domenica 13 settembre 2020
Carrelli del Supermercato in Plastica Colorata. Malvagità allo Stato Puro o Tecnologia Avanzata?
lunedì 7 settembre 2020
Perché no all'estinzionismo
lunedì 31 agosto 2020
Recensione de "Il Mare Svuotato"
Di Walter Mola
Diciamolo subito: è un bel libro, probabilmente il migliore scritto da Ugo Bardi, questa volta in compagnia di una ricercatrice Ilaria Perissi, ma lo stile, il modo, con cui ti presenta un problema grave come l'esaurimento della disponibilità ittica a livello planetario è coinvolgente e ben documentato, il suo.
Il titolo riprende un altro bel testo scritto nel 2011 sempre per Editori Riuniti, “La Terra Svuotata” in cui si parla dell'esaurimento dei minerali. Ne “Il Mare Svuotato” si affronta il tema del superamento della capacità di rigenerazione dei pesci con una pesca industriale che non tiene conto minimamente dei cicli biologici con l'idea tipicamente estrattivista con cui si va avanti fino all'ultimo. Lo dimostra molto bene facendo notare che ormai oltre la metà del pesce consumato proviene da allevamenti con tutte le problematiche connesse. Gli allevamenti intensivi sono già fonte di guai sulla terra ferma figuriamoci in mare.
Il libro non si limita all'elenco di disastri causati dall'uomo in mare ma dimostra come di fronte ad un limite evidente (la diminuzione del pescato) invece di comprendere i cicli naturali, la risposta sia stata da un lato con l'incremento della capacità dei pescherecci e dall'altro dalla ricerca di nuove aree.
Utili i riferimenti alla storia dell'esaurimento, quasi estinzione, dei più grandi abitanti dei mari: le balene. Soggette ad una caccia spietata nell'800 erano quasi sparite ma secondo i balenieri non si trattava di estinzione ma di timidezza, si proprio così, dicevano che le balene erano diventate timide e non si facevano più vedere.
Mi è piaciuto molto il riferimento ad equazioni come quella di Lotka-Volterra che spiegano molto bene l'equilibrio tra predatori e prede che in realtà in mare si è rotto da tempo il super predatore è l'uomo .
Interessanti tutte le esperienze citate (da cui non si impara mai) in cui si supera la capacità riproduttiva e la “risorsa” sparisce. L'estinzione dello storione e la scomparsa del caviale sono emblematiche come il Merluzzo e il Salmone in certe aree del Nord Atlantico.
Non si parla solo di pesca ma ci sono continui richiami all'inquinamento, all'esaurimento delle risorse, alle risposte sempre inadeguate e in ritardo alle evidenze di sovrasfruttamento. Si parla pure di idee strampalate come l'estrazione di minerali dall'acqua di mare.
Mi viene in mente un vecchio Topolino in cui Pippo correva come un matto con la macchina per arrivare prima che la benzina finisse, ecco sembra che l'uomo stia facendo questo, consumare tutto, sempre ed eventualmente rallentare un poco per consumare comunque tutto più a lungo. In mare si sta facendo questo, addirittura sottraendo il cibo direttamente ad altri legittimi pescatori: gli altri pesci, gli uccelli, balene.
Non mancano i consigli: mangiare pesce o no? Se non si è vegani o vegetariani meglio il pesce piccolo, meno inquinato e ancora disponibile, per quanto non si sa.
wm
Il Mare Svuotato
di Ugo Bardi e Ilaria Perissi
Editori Riuniti
303 pagine
18 Euro
mercoledì 26 agosto 2020
Il Principio di Precauzione: Dal Cambiamento Climatico al Coronavirus
Nota: questo post non nega l'esistenza del coronavirus né il fatto che abbia fatto delle vittime. Commenti che fanno uso del termine "negazionismo" saranno automaticamente cassati
Qui di seguito, un commento di Olga Milanese sulla questione del "Principio di Precauzione." Queste considerazioni sono importanti per tutto quello che ha a che vedere con i vari disastri che ci stanno arrivando addosso, dal coronavirus al cambiamento climatico. In effetti, sembrerebbe che stiamo facendo decisamente troppo poco per certe cose che potrebbero distruggerci tutti quanti (tipo il cambiamento climatico), e troppo per certe cose delle quali si poteva fare benissimo a meno (tipo, per esempio i "dispositivi anti-abbandono" nei sedili per bambini). Qui Olga Milanese fa correttamente notare che con il principio di precauzione si può esagerare e soprattutto che farlo diventare "principio di massima precauzione," come si è fatto recentemente per il coronavirus, è un aberrazione che porta a ogni sorta di esagerazioni e quindi rischia di fare più danni di quelli che si proponeva di prevenire.
Olga Milanese è avvocato civilista. Si occupa principalmente di aspetti legati alla tutela dei diritti in ambito imprenditoriale, familiare e in relazione alla responsabilità medica e professionale, come pure il tema della tutela dei diritti umani
domenica 23 agosto 2020
Il Grande Disastro dei Modelli Predittivi della Pandemia: Come hanno sballato di oltre un fattore 1000!
Siamo in momento particolarmente adatto a dare un giudizio un tantino vitriolico -- come si meritano -- ai modelli epidemiologici che hanno guidato le scelte del governo fino ad oggi.
Guardate la tabella qui sopra. E' presa da un rapporto del famigerato CTS (comitato tecnico-scientifico) che si basava su modelli sviluppati dall'altrettanto famigerato Imperial College.
Il documento non viene da una fonte ufficiale, ma gira da un pezzo e la sua autenticità non è mai stata smentita. Non ha data, ma risale probabilmente ad Aprile-Maggio e descrive quello che ci si potrebbe aspettare alla riapertura dopo il lockdown di primavera. Il primo scenario, "A" corrisponde alla riapertura completa, nessuna restrizione. Gli altri due subito dopo, "B" e "C" corrispondono a una riapertura con alcune restrizioni, per esempio scuole chiuse. Gli altri scenari, dall' "1" in poi, corrispondono a ipotesi poco realistiche, tipo che nessuno va a lavorare e cose del genere.
Diciamo che dei tre scenari principali, quello più simile alla situazione attuale (scuole chiuse, ma il resto più o meno riaperto) corrisponde allo scenario "B". Bene, ora guardate la previsione. Secondo questi qua, al 20 Agosto (cioè qualche giorno fa) dovevamo avere circa 120mila persone in terapia intensiva. Quanti ne abbiamo realmente? L'ultimo dato è di 64 in totale. La previsione ha sballato di un fattore 2.000!
C'è chi ha giocato con questi numeri per cercare di giustificarre i modelli, dicendo, "ma altri scenari davano numeri più bassi" -- si, ma viene voglia di ringraziare l'organo riproduttivo dei mammiferi. Se uno presenta un totale di 92 scenari (come fanno questi qui) uno che più o meno l'azzecca lo trovi per forza. Anch'io vi posso fare un modello che prevede con assoluta certezza i numeri del lotto: uscirà sicuramente un numero da 1 a 90 -- andate tranquilli: è un modello che non sbaglia mai.
Cosa hanno sbagliato i modellisti? Molte cose ma, come spesso succede, ognuno tende a credere che il mondo che lui ha in testa sia quello reale e a comportarsi di conseguenza. I modellisti hanno veramente pensato che i loro modelli descrivessero il mondo reale e non si sono resi conto che hanno peccato principalmente di mancanza di umiltà -- quello che a volte chiamiamo "hubris." Su questo punto c'è un bell'articolo di Saltelli e altri su "Nature" che descrive cosa NON si deve fare con i modelli.
Il risultato è stato un gran bel disastro. Su come la faccenda si sia evoluta politicamente diventando ingestibile, potete leggervi un bell'articolo di Thaddeus Michael, intitolato "Perchè il mondo ha perso la bussola? E' in inglese e parla della Gran Bretagna ma, 1) è di una chiarezza cristallina e 2) google translate fa miracoli e 3) descrive benissimo anche la situazione italiana.
Ringrazio Sergio Zanatta e Sara Gandini per i loro commenti
sabato 15 agosto 2020
Ma perché ci vergogniamo di certe cose? Le strane usanze di una scimmia nuda
Antonio Canova, Amore e Psiche, 1787 - 1793
venerdì 7 agosto 2020
Ritirata su tutti i fronti: epicedio per i ghiacciai (e non solo)
L'epicedio (in greco antico: ἐπικήδειον μέλος, epikédion mélos) è un tipo di componimento poetico scritto in morte di qualcuno, tipico della letteratura latina.
Di Luciano Celi
Krzysztof Kieślowski – regista, sceneggiatore, scrittore e documentarista polacco, considerato uno dei più grandi registi della storia del cinema – diresse e produsse, tra il 1988 e il 1989, 10 brevi film (mediometraggi) di circa 55 minuti, indipendenti per trama l’uno dall’altro: il Decalogo.
Il Decalogo mette in scena, attraverso storie di vita comuni, l’adesione e soprattutto l’infrangere i dieci comandamenti. Tema antico, anzi antichissimo, già specificatamente individuato da una breve parolina greca – hýbris – ed esemplificato piuttosto dettagliatamente anche nella sua letteratura e tragedia.
Il termine hýbris è spesso tradotto con “orgogliosa tracotanza” e davvero è antico quanto l’uomo: la cacciata dall’Eden ne è solo uno degli esempi perché il frutto proibito è quello della conoscenza.
Kieślowski nel primo episodio – «Io sono il Signore tuo Dio. Non avrai altro dio all'infuori di me» – narra le vicende del protagonista, suo omonimo perché si chiama Krzysztof, che, fisico e professore universitario separato dalla moglie, deve crescere il figlio Paweł da solo. L’uomo è un grande appassionato di computer e pensa che tutta la vita possa essere descritta matematicamente attraverso l'uso dei calcolatori. Secondo lui non esiste una dimensione trascendente della realtà: non esiste nessun Dio e quando si muore il cervello smette semplicemente di funzionare. Credo che ormai molti siano di questa idea, ma non è qui il caso di divagare sulle credenze di ognuno e atteniamoci alla trama: un giorno il lago vicino a casa ghiaccia e Paweł esprime il desiderio di pattinare.
Il padre, allora, da bravo scienziato esegue una serie di calcoli al computer, che gli permettono di stabilire che il ghiaccio è in grado di reggere il suo peso. Per maggiore sicurezza esegue nuovamente i calcoli e va a verificarne l'esattezza con una prova empirica. Accade però che il ghiaccio si rompe. Il padre non lo sorvegliava (sicuro come era che il ghiaccio non si sarebbe rotto) e non sospetta di nulla nemmeno quando nota dei segnali premonitori (un camion dei pompieri che si dirige verso il lago, gli amici che non lo trovano, la lezione a cui è mancato, le persone che lo cercano per avvisarlo dell'accaduto e dell'inchiostro che si versa in un libro). Comincerà a capire che non tutto è prevedibile quando il calamaio con cui stava scrivendo si rompe senza essere stato toccato. Decide quindi di andare a vedere cosa stava succedendo al lago, vede il buco nel ghiaccio ed i soccorritori ma stenta ancora a crederci (apprende che alcuni ragazzi stavano giocando nelle vicinanze e va a cercare suo figlio). Il padre si arrende all'evidenza solo quando i soccorritori estraggono il corpo senza vita del bambino.1Questo episodio, visto molti anni fa, mi è tornato alla mente leggendo un bel libro di Enrico Camanni, Il grande libro del ghiaccio, Laterza, Bari, 2020. Descrivendo le sorti dei ghiacci nel mondo – da quelli alpini a quelli polari – l’attenzione dell’autore si ferma sulla Siberia dove, notizia più volte descritta e riportata, il riscaldamento climatico procede a velocità più che doppia rispetto al resto del mondo. Questa regione è oggetto dell’attenzione di un documentarista russo, Viktor Kossakovsky, che nel suo Aquarela filma, tra le altre cose, il lago Baikal, la riserva (chiusa) d’acqua dolce più grande del mondo:
Le conseguenze del riscaldamento climatico sono espresse da trombe d’aria improvvise e allagamenti disastrosi, ma è la sequenza girata sulle acque scongelate del Lago Baikal in Siberia a togliere il fiato allo spettatore. Il Baikal è la nuova icona del clima terrestre. Campo largo: un’automobile avanza nell’imperturbabile silenzio della landa siberiana, puntando leggera verso un orizzonte di montagne; di colpo la superficie del lago si spacca e l’auto sprofonda. Campo stretto (invisibile): i passeggeri si dibattono dentro la loro trappola e i soccorritori si sporgono sull’acqua cercando di tirarli in salvo. Campo largo: la sequenza si ripete senza pietà, nuova automobile, nuovo sfondamento, nuovo bagno gelato; uno dopo l’altro i veicoli e i guidatori s’inabissano nelle crepe del disgelo. Auto viene, auto scompare: è la roulette russa.2
Verrebbe da dire che mentre il Dio di Kieślowski è veterotestamentario e non perdona la umana hýbris, quello nella realtà è almeno un poco più misericordioso e fa trovare, almeno nelle scene descritte, qualche aiuto ai malcapitati.
Questo libro, in generale, è molto bello: ricco di riferimenti che vanno dalla scienza alla letteratura, passando per un po’ di antropologia e storia, mi ha stupito perché in primo luogo ci ho letto una specie di “inconscia” descrizione di me stesso.
Il 20 agosto 2009 Chamonix era una città rovente. […] Era un mondo capovolto. Nella capitale dell’alpinismo i turisti cercavano refrigerio nei negozi con l’aria condizionata, dove maneggiavano ramponi e maglioni con le mani sudate, oppure sfogliavano i libri che raccontavano di neve, gelo e seracchi. Alle Aiguilles e ai ghiacciai preferivano le vecchie fotografie. Si era rotta la relazione logica tra i panorami delle pagine illustrate e gli stessi panorami inquadrati dalle finestre […]. Fuori il sole era talmente bollente che i turisti preferivano rifugiarsi tra gli scaffali del grande magazzino, e alla fine, sfogliando e sfogliando, trovavano più attraenti gli scenari patinati dei libri e delle cartoline dei fondali svaporati della montagna vera.3
Non ero a Chamonix ma al bookshop del Forte di Bard, nella “bassa” valdostana; non era il 20 agosto 2009, ma il 29 luglio 2020 e questo libro, per il titolo e la bella confezione, mi è sembrata subito un’ottima evasione dal caldo e forse il suo acquisto è stato anche inconsciamente dettato dal percorso psicologico che l’autore stesso racconta in queste righe.
Certo in Val d’Ayas, poco sotto Brusson, la casa era fresca e abbiamo dormito con un piumino leggero la sera; in almeno una escursione nella quale ci siamo avventurati, abbiamo potuto godere della vista del massico del Monte Rosa, ancora innevato, ma tutto questo non è consolatorio perché le vicende e i fatti descritti nel libro sono, purtroppo, terribili e reali.
Lo è (stato) il “canto funebre” (epicedio) del ghiacciaio islandese lo scorso anno (qui si trova ancora la notizia), “replicato”, in Italia, da due iniziative simili: lo scioglimento del ghiacciaio dei Forni in alta Valtellina, che ha avuto, come dice Camanni, «un riverbero mediatico più da evento folcloristico che da allarme epocale» e ha portato in quota, alla capanna Branca, un’intera orchestra di “musicisti-montanari” devoti alla causa il 20 luglio 2019 e, due mesi dopo, alle sorgenti del Lys, davanti ai seracchi del Monte Rosa.
La targa per la scomparsa del ghiacciaio Ok. |
Fino ad arrivare alla notizia, sempre riportata da Camanni, che il parroco di Fiesch, in Svizzera, non pregava più che il ghiacciaio lasciasse in pace i suoi fedeli. I montanari della Fieschertal – racconta Camanni – si erano rivolti formalmente a papa Benedetto XVI per avere il permesso di modificare il rito di Sant’Ignazio, perché la preghiera storica non aveva più senso. Una volta la processione invocava la ritirata del fiume gelato, adesso volevano pregare Dio che gli restituisse il loro ghiacciaio.
Sembrano notizie di folklore, ma è lo zeitgeist, lo spirito di un tempo che, pretendendo di fare a meno del rispetto dell’ecosistema in cui vive – senza scomodare Dio… – non può che intonare canti funebri.
1 Wikipedia, alla voce: «Decalogo 1».
2 Camanni, Il grande libro del ghiaccio, Laterza, Bari, 2020, p. 294.
3 Op. cit., p. 302.