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giovedì 14 settembre 2023

Geoingegneria: l'ultima scommessa del genere umano

Chi riesce a leggere le scritte sui muri carbonizzati delle case di Lahaina comincia a capire che la situazione climatica ha preso una brutta piega. Tuttavia, la reazione del pubblico è stata principalmente quella del tizio con la cravatta rossa a sinistra dell'illustrazione di Tol. Potremmo chiamarlo "il paradosso di Tol:" Le persone odiano le cose che gli fanno bene. Eppure, quel tipo di reazione sta dominando il dibattito sui social media e negli ambienti politici di destra. Data la situazione, è possibile che i poteri costituiti passino a un nuovo piano d'azione. Il "Piano C", basato sulla geoingegneria.


Negli ultimi decenni, l'idea di agire per contrastare i danni arrecati all'ecosistema dalle attività dell'uomo si è mossa lungo almeno due fasi progettuali. 

"Piano A": Accordi globali. Già nel 1972 lo studio "The Limits to Growth" proponeva una possibile procedura. Consisteva nel trovare accordi governativi globali per attuare azioni per ridurre le emissioni. L'impronta di queste prime idee è visibile tuttora nelle COP (conferenze delle parti), iniziate nel 1995 a Berlino. Ma, dopo quasi trent'anni, vediamo che questo approccio non può funzionare. I governi tendono ad agire secondo le istruzioni dei loro sponsor, tipicamente lobby industriali che non hanno alcuna intenzione di consentire ai loro rappresentanti di firmare la loro condanna a morte. Ed è proprio questo il tentativo di azzerare le emissioni: un attacco diretto alla lobby dei combustibili fossili. Come ci si aspetterebbe, hanno reagito con una strategia di ritardare, minimizzare e occasionalmente demonizzare i loro avversari. Finora hanno avuto successo. Non ci sono prove che i vari trattati negoziati alle COP abbiano influito in modo significativo sulle emissioni; al massimo hanno generato un diffuso greenwashing che non ha fatto male a nessuno ma non ha fatto nulla di utile.

"Piano B" La transizione. L'idea ha preso forma in tempi recenti quando la drastica riduzione del costo delle energie rinnovabili ha portato all'idea che l'eliminazione graduale dei combustibili fossili non fosse un sogno per hippy ma una possibilità reale. La crescita rapida della produzione di energia rinnovabile negli ultimi anni ha dato concretezza a questa idea. Quindi, il piano era (ed è tuttora) che non dobbiamo preoccuparci troppo di ciò che la gente pensa del cambiamento climatico. Potrebbero credere che sia una bufala, ma accetteranno energia a basso costo, aria pulita, acqua pura, ecc. Quindi, eliminiamo i combustibili fossili e tutto andrà bene. 

Ora ci rendiamo conto che anche se il Piano B è perfettamente possibile, ha problemi fondamentali. Il primo è lo stesso dei trattati globali: sostituire i combustibili fossili significa distruggere l'industria dei combustibili fossili, e non ci si può aspettare che la prendano allegramente. Sembrano prendere sul serio la minaccia e una delle contromisure è una campagna di pubbliche relazioni contro tutto ciò che può essere definito "verde".

Il successo della campagna di denigrazione si basa in gran parte su come il pubblico ha perso la fiducia nella scienza dopo la cattiva gestione della crisi del Covid. Il risultato è un intero ecosistema di vermi memetici che si nutrono del cadavere di quella che una volta era la credibilità del meme chiamato "scienza". Ha anche dato vita e sostanza al "Paradosso di Tol" espresso nell'immagine all'inizio di questo post. Il dibattito sui social media ci mostra la rabbia incandescente diffusa contro tutto ciò che può essere visto come "verde". Proposte che fino a pochi anni fa sembravano del tutto innocenti, dall'isolamento domestico alle cucine a induzione, ora sono viste come trucchi diabolici progettati per schiavizzarci o ucciderci.

Gli scenari più ottimistici mostrano che le rinnovabili potrebbero portare le emissioni a zero entro il 2040-2050, ma solo per un accordo globale concertato per dedicare grandi quantità di risorse alla transizione. Visto il forte contraccolpo contro le rinnovabili e le cose green in generale, difficilmente si potrà ottenere un simile accordo nel prossimo futuro. Al contrario, è perfettamente possibile che alcuni governi lavoreranno attivamente per rallentare o addirittura invertire la penetrazione delle energie rinnovabili nel mix energetico mondiale. Lo stiamo già vedendo accadere, per esempio in TexasAnche se fosse possibile eliminare gradualmente i fossili entro - diciamo - il 2040, potrebbe essere comunque troppo tardi per salvare l'ecosfera così come la conosciamo.

Piano C. Geoingegneria o "L'Ave Maria delle élite". I membri delle élite mondiali non sono più intelligenti della gente comune, almeno in media. Ma alcuni di loro cominciano a vedere che hanno un grosso problema. Veramente molto grossoSicuramente sono meglio equipaggiati della gente comune per sopravvivere durante il caos che li attende. Ma se le cose si mettono davvero male, non c'è alcuna garanzia che anche i miliardari sopravviveranno. 

Consideriamo ora che le élite hanno poteri decisionali al di là di qualsiasi cosa la gente comune possa fare. Pensate alla guerra in Ucraina; la gente comune è stata consultata? No. Nella migliore delle ipotesi, gli è stato detto chi dovevano odiare; nel peggiore dei casi sono stati arruolati e mandati in trincea. E questo è tipico di come le élite mondiali gestiscono le risorse: investendo centinaia di miliardi di dollari in attività che non avvantaggiano nessuno tranne le lobby industriali. 

Ma si noti anche che le élite, non importa quanto potenti, non sono un gruppo affiatato che si riunisce nel seminterrato della casa di Bill Gates per adorare il demone Baphomet. Sono una galassia di lobby che spingono in direzioni diverse per fare soldi con i loro prodotti: guerre, droga, carburanti, eccetera. Quindi, difficilmente possono gestire il tipo di piano globale che sarebbe necessario per ridurre le emissioni a zero in pochi anni. L'industria del petrolio e del gas da sola ha un budget dell'ordine di diversi trilioni di dollari, circa il 3%-5% del PIL mondiale. Nessuna lobby è abbastanza potente da contrastarli. Anche bombardarli servirebbe a poco perché i motori dei bombardieri funzionano con combustibili fossili. 

Tuttavia, è possibile agire sul cambiamento climatico con budget molto inferiori. Qui ci imbattiamo nella temuta parola "geoingegneria" (1), spesso considerata equivalente a un sacrilegio contro la Dea Gaia in persona. Tuttavia, non possiamo dimenticare che gli esseri umani hanno controllato l'ecosistema da quando hanno imparato ad accendere il fuoco; poche centinaia di migliaia di anni fa. Ma non discutiamone. Il punto è che è possibile agire sul clima con tecnologie come la gestione della radiazione solare (SRM) per costi che possono essere inferiori a 100 mld$ ( Vedi Sovacool 2021 ) (2). Questo è un costo inferiore a quello della guerra in Ucraina. Le lobby hi-tech, come l'industria aerospaziale, potrebbero essere in grado di ottenere questo tipo di sostegno finanziario dal governo. 

Questo "Piano C" presenta numerosi vantaggi rispetto ai piani precedenti. Uno è che non deve essere internazionale. È come iniziare una guerra; hai bisogno solo di una parte per decidere che dovrebbe iniziare. Allo stesso modo, un singolo paese potrebbe avviare un piano SRM globale. Immaginiamo che la Cina, da sola, decidesse di collocare specchi nello spazio per ridurre l'irraggiamento solare. Difficile immaginare che qualcuno possa fermarli. Lo stesso vale per gli Stati Uniti o anche solo per la California. Anche Elon Musk o Bill Gates, da soli, potrebbero impegnarsi in un simile piano.  

Un altro vantaggio del "Piano C" è che non si scontra direttamente con gli interessi dell'industria dei fossili. Li lascia liberi di impegnarsi nel greenwashing mentre continuano a produrre combustibili fossili, proprio come hanno fatto finora. Quindi, non hanno motivo di impegnarsi contro l'idea della geoingegneria. Non danneggia nemmeno l'emergente lobby delle energie rinnovabili, che può avere tempo sufficiente per costruire un'infrastruttura in concorrenza con la lobby dei combustibili fossili. È vero che, in questo momento, il pubblico ha un atteggiamento fortemente negativo nei confronti del meme "geoingegneria". Ma questo può essere rapidamente cambiato da una campagna di pubbliche relazioni ben gestita. 

Infine, si noti che il Piano C ha lo stesso vantaggio del Piano B in quanto non è necessario convincere tutti quanti che il cambiamento climatico esiste ed è una brutta cosa. Potrebbe anche essere implementato senza dire nulla a nessuno tranne che ai più alti livelli di governo. Supponiamo che la luminosità del sole diminuisca di circa l'1%-2% (è tutto ciò che serve). Ce ne accorgeremmoNo. Allora, non ci accorgeremmo che qualcuno stia mettendo degli specchi nello spazio? 

Nota che NON sto dicendo che la geoingegneria, e l'SRM in particolare, ci salveranno (e NON sto dicendo che le scie chimiche esistono e sono un piano del governo per sterminarci! (2), (3)). Il sistema climatico fa parte dell'ecosistema ed è un sistema complesso difficile da riparare con misure semplici. Alcune forme di geoingegneria sono come saltare da una finestra per scappare da un edificio in fiamme. La tua probabilità di sopravvivenza va da zero a poco sopra lo zero. Ma chi lo sa? Potresti atterrare su qualcosa di morbido. (4)

Quello che sto dicendo qui è che la porta è aperta per una spinta importante nella direzione della geoingegneria da parte di determinate lobby nazionali o internazionali. E credo che lo vedremo accadere presto. Se accadrà, sarà inarrestabile, di sicuro non per niente che la gente comune possa fare. È uno sforzo che potrebbe ritorcersi contro chi ci si è impegnato, ma è qui che ci troviamo. Come sempre, il futuro ha modi per gestirsi le cosei senza considerare ciò che gli umani gracili pensano che dovrebbe fare. 

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Appunti: 

1. Esistono diverse tecnologie di geoingegneria. Uno relativamente a basso costo è il rimboschimento. Farebbe molto per raffreddare il pianeta, anche se non abbiamo dati quantitativi che ci dicano se potrebbe compensare l'aumento della concentrazione di CO2 nell'atmosfera. Ha il vantaggio di non danneggiare direttamente la lobby dei fossili e potrebbe essere accoppiato con un'espansione delle energie rinnovabili che renderebbe il legno inutile come combustibile. Va da sé che una forte spinta verso i biocarburanti ritenuti "verdi" (come sostenuto da alcuni governi ) significherebbe la morte per le foreste del mondo e probabilmente anche per l'umanità

2. È notevole come l'idea della geoingegneria abbia generato alcuni strani memi sul Web, con quello sulle "scie chimiche" particolarmente resistente. È così testardo e così sciocco che ci si chiede se possa far parte di un piano per screditare l'opposizione alla geoingegneria. Se così fosse, confermerebbe che è in preparazione un'importante spinta in quella direzione. O, forse, che sia già in corso un piano di geoingegneria: chi lo sa?

3. Alcune persone sono preoccupate per i "blocchi climatici" messi in atto dalle élite malvagie. Mi sembra improbabile. I blocchi si sono rivelati inefficaci per quasi tutto, incluso l'impatto sulla curva di crescita della CO2. Inoltre, nessuno fa soldi con i blocchi, quindi perché preoccuparsi di nuovo con loro? 

4. Potrebbe esserci un "Piano D" se anche il Piano B fallisce? Forse, ma devi pensare a qualcosa come un  Gotterdammerung del mondo reale suonato sulle melodie della musica di Wagner. 


venerdì 20 gennaio 2023

Fascismo e Carbone. Una storia che ci influenza ancora oggi

 



Mussolini fa finta di essere un minatore in una miniera di zolfo, in Sicilia, nel 1937. Non aveva mai capito -- e non avrebbe mai capito -- l'importanza della produzione mineraria nell'economia e il regime fascista fu condannato dalla mancanza di risorse energetiche nazionali. Qui di seguito, un recente articolo di Ugo Bardi pubblicato sul "Tazebao




Dicembre 31, 2022 - di Ugo Bardi

Il Fascismo e il carbone: storia di un fallimento che ci influenza ancora oggi


Un contributo del Professor Ugo Bardi sulla storia energetica dell’Italia partendo dalla dipendenza dal carbone.

Il Fascismo può essere visto come un tentativo di adattare l’economia italiana a una situazione di carenza di risorse energetiche che cominciò a manifestarsi negli anni 1920, con l’arrivo del “picco del carbone” in Inghilterra – il principale fornitore di carbone per l’Italia. Mussolini, come pure gli intellettuali italiani del tempo, non riuscirono mai veramente a rendersi conto dei limiti produttivi del carbone e del suo valore strategico. Il risultato fu una storica sconfitta per l’Italia, dalla quale lo stato italiano non si è mai veramente ripreso. La situazione attuale, con il conflitto in corso in Ucraina, rispecchia sotto molti aspetti la situazione degli anni 1930, con il gas e il petrolio russo che giocano il ruolo del carbone inglese. Nuove prospettive energetiche si aprono oggi con il rapido sviluppo dell’energia rinnovabile.

Con il passaggio del centenario della Marcia su Roma dell’ottobre del 1922, si è visto qualche tentativo in Italia di rileggere e capire la storia di quegli eventi che, bene o male, ancora influenzano profondamente l’Italia di oggi. La marcia fu solo un episodio di un’evoluzione complessa, e per molti versi contraddittoria, dello stato italiano e del suo tentativo di giocare un ruolo politico e strategico autonomo nel Mediterraneo. Un ruolo che era inizialmente passivo: lo stato italiano era, per molti versi, una creazione Britannica che ne favorì la nascita per bloccare i tentativi francesi di espansione nel Mediterraneo. L’idea funzionò bene fino a quando l’Italia cominciò a espandersi con la campagna di Libia del 1911, trovandosi fatalmente in contrasto con i suoi tradizionali alleati Britannici. È una storia che si sviluppa nell’arco di quasi esattamente un secolo, e che finisce con la cacciata degli Italiani dalla Libia nel 2011.

Tutto quello che è avvenuto durante quel secolo tumultuoso ha le sue origini nella rivoluzione industriale del XIX secolo. Una rivoluzione che fu possibile solo per mezzo del carbone, come aveva notato per primo William Stanley Jevons che diceva nel suo “La Questione del Carbone” (1866):

«Il carbone si trova non accanto ma al di sopra di tutte le merci. È l’energia materiale del paese – l’aiuto universale – il fattore di tutto quello che facciamo. Col carbone, quasi ogni impresa è possibile o facile. Senza di esso siamo ricacciati nelle laboriosa povertà dei tempi che furono».

Ma il carbone, come tutte le risorse minerali, non è distribuito uniformemente sul globo. In Europa, lo si trovava nelle zone del Nord, in particolare in Inghilterra, dove fu il motore della prima rivoluzione industriale. E in Italia? Per ragioni che hanno a che fare con eventi che si sono verificati nel periodo Carbonifero (e quindi non influenzabili politicamente), in Italia di carbone ce n’è molto poco. C’è solo un po’ di lignite di bassa qualità in Toscana e qualche piccolo giacimento in Sardegna. L’Italia non sarebbe mai stata in grado di generare o sostenere una rivoluzione industriale sulla base delle risorse nazionali.

Ma il problema del carbone durante la rivoluzione industriale non era tanto la localizzazione delle miniere, quanto il trasporto. Il carbone è pesante e ingombrante, e si trasporta male via terra. Ma, per via marittima è tutta un’altra cosa. Per tutto il secolo XIX e per una buona metà del XX, le navi carboniere a vela hanno trasportato carbone a basso costo un po’ ovunque nel mondo, in gran parte carbone inglese. Dalla costa, però, il carbone andava distribuito all’interno di un paese, e per questo ci volevano canali navigabili. Questo fu il centro della “questione meridionale” in Italia, anche questo punto mai veramente capito a livello politico. Per una discussione approfondita, vedi “Senza Carbone nell’Era del Vapore” di Carlo Bardini (1998).

Per via di eventi geologici che si sono verificati negli ultimi 100 milioni di anni (anche quelli, non influenzabili dalla politica), l’Italia del sud è troppo arida e montagnosa per permettere di costruire dei canali navigabili. Il contrario vale per l’Italia del Nord: dove il clima e l’orografia hanno permesso di rendere navigabili i fiumi della pianura Padana e industrializzare tutta la regione. Il limite geografico dell’industrializzazione era il fiume Arno, che aveva permesso di industrializzare buona parte della Toscana. Ma, più a sud, l’industrializzazione era impossibile: la geografia dominava l’economia. Fu questo il motivo per cui il Piemonte poté facilmente sconfiggere il Regno delle Due Sicilie nel 1860. Allora come oggi, la potenza economica si traduce in potenza militare.

Dopo l’unificazione, l’economia italiana si basava principalmente sulle importazioni di carbone inglese. Era l’origine dei rapporti storicamente buoni fra i due paesi. Nel 1913, Aldous Huxley scrisse che gli inglesi che colonizzavano l’Italia erano in gran parte “sodomiti e lesbiche di mezza età”, a causa della mancanza di leggi contro l’omosessualità. Ancora negli anni 1940, il giornalista Ridolfo Mazzucconi parlava della “bella fratellanza” fra Italia e Inghilterra. E non ci dimentichiamo che il piatto “fish and chips” lo aveva inventato un italiano! Ma quello che teneva legati i due paesi era principalmente il commercio di carbone.

La produzione del carbone al picco massimo

Con la fine della Prima Guerra Mondiale, nel 1918, nessuno si accorse di un evento epocale che avrebbe cambiato tutta la storia dell’Europa, incluso i rapporti fra Italia e Gran Bretagna: il picco del carbone. Il carbone è un combustibile fossile: esiste in quantità limitata. Ed è soggetto a una legge economica ben nota: quella dei “ritorni decrescenti”, generata dall’esaurimento graduale. Se ne era già accorto Jevons nel 1866, ma nessuno gli aveva dato retta. Ma la combinazione di geologia e economia genera dei cicli economici inevitabili di crescita e declino. Nel 1913, la Gran Bretagna aveva raggiunto il suo massimo produttivo (il “picco del carbone”) e, da allora, cominciava un declino che si sarebbe concluso solo verso la fine del ventesimo secolo, con l’azzeramento della produzione. Nessuno allora come oggi, riusciva a capire il ruolo dell’esaurimento e il calo produttivo in Inghilterra veniva invece attribuito agli scioperi. In Italia, invece, si tendeva ad attribuirlo alla cattiveria dei perfidi albionici in Italia. Ci racconta D.H. Lawrence nel suo “Sea and Sardinia” del 1921 di come “il carbone”, con annessi insulti all’Inghilterra, fosse un argomento di conversazione comune in Italia.

L’avvento del Fascismo

Quando Mussolini prese prese il potere nel 1922 si trovò davanti una situazione relativamente favorevole. Nonostante il declino della produzione, il carbone inglese arrivava ancora in Italia ed era possibile soddisfare la domanda, anche con l’apporto addizionale di carbone tedesco. Questo portò ad alcuni anni di condizioni economiche relativamente buone con una crescita del PIL per persona in Italia moderata, ma significativa.

Il problema cominciò a presentarsi con la grande depressione del 1929, accompagnata, e forse causata, dal declino della produzione di carbone inglese. Mussolini era un tipico politico: non ragionava in termini quantitativi. Né lui, ne gli intellettuali italiani dell’epoca riuscirono a capire che gli alti costi del carbone inglese non erano un tentativo da parte della Gran Bretagna (la “perfida Albione”) di danneggiare l’economia italiana. A partire dal 1934, circa, questa situazione portò a una virata radicale dell’orientamento geopolitico Italiano, ovvero ad allontanarsi dall’alleanza con l’Inghilterra per stabilire rapporti sempre più stretti con la Germania, vista come un fornitore di carbone più affidabile. Questo portò ad allinearsi con la Germania in materie come l’antisemitismo e la persecuzione degli Ebrei, come pure ad avventure spericolate e disastrose, come l’invasione del’’Etiopia nel 1935.

Basta qualche numero per rendersi conto di come il governo Italiano avesse pesantemente sbagliato i calcoli. Al massimo produttivo, nel 1913, le miniere inglesi arrivarono a produrre quasi 300 milioni di tonnellate di carbone in un anno. Ancora verso la metà degli anni 1930, ne producevano oltre 200 milioni. Di questi, circa 20 milioni erano esportate in tutto il mondo e, almeno un terzo delle esportazioni si dirigevano verso l’Italia. Con l’aggiunta del carbone tedesco, l’economia Italiana consumava circa 10 milioni di tonnellate di carbone all’anno.

Se ragioniamo che l’economia industriale era proporzionale ai consumi energetici (allora come lo è oggi) ne consegue che la produzione industriale Britannica era venti volte quella Italiana in termini di quei prodotti che servono a combattere una guerra – cannoni, carri armati, navi da guerra, eccetera. La sproporzione era così evidente che non si riesce a capire come sia stato possibile anche solo prendere in considerazione l’idea di combattere la Gran Bretagna su un piano di parità. Ma fu il risultato dell’incapacità dei politici, e dell’intera società che rappresentavano, di ragionare in termini quantitativi. Mussolini era un politico “puro” non era grado di ragionare sulla base dei dati. Per lui, le miniere del Sulcis in Sardegna erano una risposta sufficiente alle miniere del Sussex in Inghilterra. Non si rendeva conto che erano delle miniere giocattolo in confronto. Certo, Mussolini contava sulla Germania per fornire il carbone che la Gran Bretagna non poteva più fornire. Ma era semplicemente cambiare fornitore e la sproporzione delle forze in campo rimaneva spaventosa.

Tolstoj diceva che i re e gli imperatori sono gli “schiavi della storia”. Mussolini lo fu certamente. Dagli anni 1930 in poi, lo vediamo dibattersi fra una situazione impossibile e un’altra, ogni volta prendendo la decisione sbagliata, creando più problemi di quelli che risolveva. Forse a simboleggiare l’assurdità della situazione vale un solo esempio: i vecchi biplani mandati dall’Italia nel 1941 a combattere contro i super-moderni Spitfire e Hurricane nei cieli d’Inghilterra. Ma il costo umano degli errori di Mussolini è stato gigantesco e ha colpito persone innocenti. Basta ricordare l’orrore delle leggi razziali del 1938.

Poteva la storia essere diversa? Ci potremmo domandare cosa sarebbe successo se Mussolini avesse preso delle decisioni diverse. Ancora nel 1934, Margherita Sarfatti, ex-amante del Duce, proponeva al presidente USA Roosevelt un’alleanza con l’Italia che, pare, Roosevelt vedeva favorevolmente. Sarebbe stato possibile? Forse si, ed è da notare che già negli anni 1920, gli USA producevano tre volte più carbone dell’Inghilterra e avrebbero probabilmente potuto rifornire l’Italia, se necessario. Sembra che Mussolini prese la decisione di allearsi con la Germania più che altro sotto l’effetto della personalità dominante di Adolf Hitler. Un caso dove la decisione sbagliata di una singola persona cambiò i destini del mondo intero. Ma la situazione italiana era di debolezza oggettiva per ragioni geografiche. Comunque fosse andata, l’Italia sarebbe diventata un paese subalterno di paesi più forti, economicamente e militarmente.

Il tempo è passato, il carbone non è più il “re”. I paesi distrutti durante la Seconda Guerra Mondiale hanno ricostruito le proprie economie usando il petrolio greggio e il gas naturale. E questo ha creato condizioni geopolitiche ed economiche diverse, ma simili sotto molti aspetti. Oggi come allora, l’Italia si trova in una posizione di dipendenza economica che l’ha gradualmente portata a non essere più in grado di giocare alcun ruolo strategico nel Mediterraneo. Nel 2011, il tentativo del governo Berlusconi di stabilire un rapporto di cooperazione privilegiato con la Libia fu stroncato da un’operazione militare condotta da una coalizione di paesi occidentali. In questo caso, la sconfitta dell’Italia non fu militare, ma economica. Una sconfitta particolarmente umiliante con l’Italia forzata a bombardare i suoi alleati libici. L’Italia sta subendo un’ulteriore sconfitta economica proprio in questo periodo, forzata dal blocco NATO ad abbandonare il suo fornitore privilegiato di gas naturale, la Russia.

Conclusioni

Come sempre, se la storia non si ripete, fa comunque rima. Siamo di fronte a un nuovo rivolgimento epocale: il declino del petrolio e del gas, rimpiazzati dalla crescita dirompente delle energie rinnovabili. In questa ottica, l’Italia, il “paese del sole” si trova in una posizione privilegiata di condizioni di insolazione ottimali per la produzione di energia in Europa. Da ora in poi, la geografia lavora in favore, e non contro, l’Italia. Non siamo ancora arrivati a un’economia basata sull’energia rinnovabile, e non è detto che ci arriveremo con un sistema economico intatto. Ma ci sono buone speranze di arrivarci. Si tratta di vedere quale sistema politico si troverà a dover gestire la nuova situazione. Certamente, con una produzione nazionale sufficiente ai bisogni economici, non ci sarà più bisogno dei sogni imperiali del tempo del Fascismo. E, alla fine dei conti, c’è la speranza di un futuro di pace per il nostro paese.

Ci sono molti riferimenti che ho usato per comporre questo testo. Qui vi darò qualche dato ulteriore.

Ho pubblicato un altro saggio sul tema del carbone in Europa sulla “newsletter ASPO” n° 73 del gennaio 2007. Si può trovare qui: http://www.energiekrise.de/e/aspo_news/aspo/newsletter073.pdf

Un ulteriore post su questo argomento si può trovare qui: http://aspoitalia.blogspot.com/2007/01/davvero-viviamo-in-tempi-oscuri.html

Ugo Bardi

venerdì 19 novembre 2021

Come Utilizzare le Risorse Ambientali: sani principi che nessuno rispetta
























Con l’ erosione del terreno diminuiscono le produzioni agricole

di Silvano Molfese

Negli ultimi decenni le conoscenze sulla biosfera hanno fatto enormi progressi e, nonostante ciò, si sono accumulate quantità sempre maggiori di gas climalteranti e di tante sostanze di sintesi, tossiche per la biosfera stessa che è stata trasformata in una discarica.

Quali criteri si dovrebbero seguire per salvaguardare la biosfera quando utilizziamo le risorse naturali? Per esempio quant’acqua possiamo prelevare senza danneggiare l’ecosistema?

Vandana Shiva nel richiamare l’attenzione sul ciclo dell’acqua e sui principi del prelievo idrico sostenibile si esprimeva così:

“La falda acquifera si abbassa quando il tasso di prelievo dell’acqua sotterranea è superiore al tasso di ricostituzione dei depositi di acqua sotterranea per percolazione. Per assicurare un’offerta continua di acqua sotterranea, il prelievo dovrebbe essere limitato al tasso netto di approvvigionamento della falda acquifera. Se il prelievo è invece superiore si inizia a estrarre l’acqua delle riserve sotterranee, e si verifica una siccità del sottosuolo anche se non c’è siccità dovuta a cause meteorologiche. “ (1).

Rileggendo questo concetto si potrebbe dire che si sfrutta una risorsa naturale quando, da una data superficie, si preleva una quantità della risorsa superiore al tasso netto di approvvigionamento annuo.

Invece si utilizza una risorsa naturale quando da una data superficie si preleva una quantità della risorsa entro il tasso netto di approvvigionamento annuo.

Con l’uso ripetuto della fresa su terreni acclivi si avrà l’erosione del suolo che comporterà un calo produttivo e, nei casi più gravi, l’azzeramento della produzione: in questi casi diremo che la risorsa suolo è stata sfruttata.

Un altro esempio potrebbe essere la disponibilità di seme per la semina in campo.

In un dato ambiente per ottimizzare le rese medie del grano duro, pari a 3,0 tonnellate per ettaro, è necessaria una densità di semina di 200 kg per ettaro.

Se un anno, per condizioni climatiche avverse, la resa di grano fosse di sole 1,5 t/ha il quantitativo di grano da conservare per la semina successiva, volendo mantenere le stesse potenzialità produttive, sarà comunque di 200 kg/ha .

Se il contadino dimezzasse queste scorte di semente, potrà seminare soltanto metà della superficie con il corrispondente calo produttivo.

In questo caso potremo affermare che è stata sfruttata la risorsa seme.

Un aspetto trascurato ma decisamente preoccupante per la stabilità climatica è dato dalla distruzione delle foreste primigenie: a livello mondiale nel 1947 si stimavano 1.500 miliardi di ettari di foreste primigenie mentre allo stato attuale ne sono rimaste circa la metà; tra il 2000 ed il 2018 per incendi e disboscamenti ammontano a ben 230 milioni gli ettari di foreste primigenie perse nel mondo. (2)

Dal 1950 circa, le tecnologie impiegate, la massiccia produzione industriale e la distruzione del manto forestale legate al sistema economico, a cui si somma l’aumento della popolazione mondiale, stanno modificando fortemente gli equilibri naturali

Forse definire le parole utilizzo e sfruttamento, quando ci riferiamo alle risorse naturali, potrà sembrare eccesso di pignoleria; tuttavia credo che nel comune linguaggio tecnico e scientifico sia preferibile una tale distinzione vista la distruzione esponenziale dei beni ambientali.



Note

(1) Shiva V., 1988 – Sopravvivere allo sviluppo. ISEDI, 246

(2) Bertacchi A., 2019 - Intervento al convegno “Resilienza o estinzione? Cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, crisi economica: scegliere il futuro dopo la crescita.” Pisa, 22 marzo 2019.
http://mediaeventi.unipi.it/category/video/Resilienza-o-estinzione-parte-seconda/5eb581096cc392dfdbd8cd35cbec5bcf/206 dal 79’ e 05’’.





venerdì 12 febbraio 2021

Chiudere Cassandra? Cosa ne Pensate?

 


Alcuni di voi avranno notato come ho recentemente chiuso la versione in inglese di Cassandra, "Cassandra's Legacy." Non perché non andasse bene in termini di contatti, ma perché era stata oggetto di un sabotaggio specifico da parte dei motori di ricerca e di Facebook e così l'ho sostituito con un altro blog intitolato "The Seneca Effect"  

La situazione è diversa per quanto riguarda "Effetto Cassandra" che non è stato censurato, almeno per il momento, ma sta vedendo una graduale discesa nel numero dei contatti. 

Il problema non è tanto il numero di contatti in calo, ma proprio il concetto stesso del blog. "Cassandra" era nato per divulgare l'importanza del problema dell'esaurimento delle risorse. Direi che a distanza di circa 10 anni, è chiaro che i "Cassandristi" avevano ragione -- come aveva ragione la loro eroina storica, profetessa di Troia. 

Ma, ancora come era successo al tempo della guerra di Troia, il messaggio del blog di Cassandra è stato completamente ignorato. Lo è tuttora. Mentre fino a qualche anno fa c'era ancora una parvenza di "dibattito" su questi argomenti, adesso lo spazio si è completamente chiuso. Cose come il "Picco del petrolio" sono relegate fra le fake news e vengono discusse soltanto su siti di nicchia. L'argomento "risorse" è diventato politicamente scorretto e non menzionabile, perlomeno sui media principali.

Lo stesso è vero per un altro argomento sul quale il blog si era impegnato. Quello della necessità di una transizione energetica verso le rinnovabili. Qualcosa di questo argomento è arrivato alle stanze del potere, con l'istituzione di un "ministero della transizione ecologica" che però molto probabilmente, se ci sarà, sarà un carrozzone impegnato a dare una verniciatina di verde alle azioni delle solite lobby. 

Del resto, lo stesso movimento ambientalista sembra essersi bevuto completamente l'idea che le rinnovabili non possono produrre energia in quanto dipendono dall'energia fossile per la costruzione degli impianti. Questo è altrettanto evidente di come era evidente una volta che il carbone non avrebbe mai potuto produrre energia in quanto era dipendente dai cavalli.

In questo contesto, qual'è il messaggio di Cassandra? Difficile dirlo e non è sorprendente che il blog sia in declino. 

A questo punto, sto pensando seriamente di chiudere un blog che ormai fa poco più che sopravvivere a se stesso. L'idea è di lasciarlo on line, ma muoversi su altre linee e su altre cose. Non è una decisione definitiva, ma una proposta di discussione. Ai commentatori di discuterne.

U.B.





lunedì 31 agosto 2020

Recensione de "Il Mare Svuotato"

                                                       


Di Walter Mola

 

 Diciamolo subito: è un bel libro, probabilmente il  migliore scritto da Ugo Bardi, questa volta in compagnia di una ricercatrice Ilaria Perissi, ma lo stile, il modo, con cui  ti presenta un problema grave come l'esaurimento della disponibilità  ittica a livello planetario è coinvolgente e ben documentato, il suo.

Il titolo riprende un altro bel testo scritto nel 2011 sempre per Editori Riuniti, “La Terra Svuotata” in cui si parla dell'esaurimento dei minerali. Ne “Il Mare Svuotato” si affronta il tema del superamento della capacità di rigenerazione dei pesci con una pesca industriale che non tiene conto minimamente dei cicli biologici con l'idea tipicamente estrattivista con cui si va avanti fino all'ultimo. Lo dimostra molto bene facendo notare che ormai oltre la metà del pesce consumato proviene da allevamenti con tutte le problematiche connesse. Gli allevamenti intensivi  sono già fonte di guai sulla terra ferma figuriamoci in mare.

Il libro non si limita all'elenco di disastri causati dall'uomo in mare ma dimostra come di fronte ad un limite evidente (la diminuzione del pescato) invece di comprendere i cicli naturali,  la risposta  sia stata da un lato con l'incremento della capacità dei pescherecci e dall'altro dalla ricerca di nuove aree. 

Utili i riferimenti alla storia dell'esaurimento, quasi estinzione, dei più grandi abitanti dei mari: le balene. Soggette ad una caccia spietata nell'800 erano quasi sparite ma secondo i balenieri non si trattava di estinzione ma di timidezza, si proprio così, dicevano che le balene erano diventate timide e non si facevano più vedere.

Mi è piaciuto molto il riferimento ad equazioni come quella di Lotka-Volterra che spiegano molto bene l'equilibrio tra predatori e prede che in realtà in mare si è rotto da tempo il super  predatore è l'uomo . 

Interessanti tutte le esperienze citate (da cui non si impara mai) in cui si supera la capacità riproduttiva e la “risorsa” sparisce. L'estinzione dello storione e la scomparsa del caviale sono emblematiche come il Merluzzo e il Salmone in certe aree del Nord Atlantico.

Non si parla solo  di pesca ma ci sono continui richiami all'inquinamento, all'esaurimento delle risorse, alle risposte sempre inadeguate e in ritardo alle evidenze di sovrasfruttamento. Si parla pure di idee strampalate come l'estrazione di minerali dall'acqua di mare.  

Mi viene in mente un vecchio Topolino in cui Pippo correva come un matto con la macchina per arrivare prima che la benzina finisse, ecco sembra che l'uomo stia facendo questo, consumare tutto, sempre ed eventualmente rallentare un poco per consumare comunque tutto più a lungo. In mare si sta facendo  questo, addirittura sottraendo il cibo direttamente ad altri legittimi pescatori: gli altri pesci, gli uccelli, balene.

Non mancano i consigli: mangiare pesce o no? Se non si è vegani o vegetariani meglio il pesce piccolo, meno inquinato e ancora disponibile, per quanto non si sa.

wm



                                                          Il Mare Svuotato

                                                 di Ugo Bardi e Ilaria Perissi

                                                           Editori Riuniti

                                                            303 pagine

                                                             18 Euro

domenica 15 ottobre 2017

In che modo funziona la Natura: quanto è comune la curva di Seneca? Il discorso di Ugo Bardi alla Summer Academy del Club di Roma a Firenze

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Ugo Bardi alla Summer Academy del Club di Roma a Firenze, settembre 2017.


Il mio discorso alla Summer Academy del Club di Roma è stato più che altro una presentazione del mio ultimo libro “The Seneca Effect” (Springer 2017) . Di fatto, naturalmente, un libro contiene molte più cose di quante se ne possano dire in un discorso di 40 minuti. Quindi ho cercato di concentrarmi sull'idea che il comportamento che chiamo “curva di Seneca” sia molto comune, persino universale. Sotto potete vedere la curva di Seneca: le cose salgono lentamente ma collassano rapidamente, come ha detto per la prima volta il filosofo Romano Seneca duemila anni fa. Potete vedere la stessa curva anche nella maglietta che indossavo alla Academy.


Forse avete sentito il vecchio detto latino “Natura non facit saltus” (La natura non fa salti), che significa che le cose cambiano gradualmente, non all'improvviso. Potrebbe essere vero in molte circostanze ma, in pratica, ma è del tutto normale che la Natura accumuli potenziali energetici (come quando gonfiate un pallone) e poi li rilascia all'improvviso (come quando bucate un pallone). Questo è il tema della copertina della versione tedesca del mio libro.

Ci sono delle ragioni per le quali la Natura si comporta così, ma l'argomentazione che ho portato alla scuola non è stato tanto sul perché la curva sia così comune, ma sul fatto che gli esseri umani normalmente non ne sono consapevoli. Infatti, il nostro pensiero spesso determinato dall'idea che le cose continueranno ad evolvere nel modo in cui si sono evolute fino a quel punto. Pensate solo alla crescita economica e noterete in che modo gli economisti si aspettano che questa continui a crescere per sempre. Non c'è bisogno di dire che l'economia è uno di quei sistemi complessi che sono più vulnerabili al collasso di Seneca.

Ho quindi provato a sottolineare che la comprensione  che la Curva di Seneca esiste ed è comune è una scoperta recente. Anche se Seneca lo aveva capito per intuizione già 2000 anni fa, nella sua forma moderna ha meno di un secolo. E' stata proposta per la prima volta da Jay Forrester negli anni 60 ed è stata consacrata nello studio “I limiti dello sviluppo” del 1972, anche se il termine “Effetto Seneca” non è stato usato.

Durante il mio discorso, ho mostrato questa immagine per evidenziare in che modo le nostre idee sul percorso dei sistemi complessi si sono evolute nel tempo.


Vedete qual è l'idea moderna di “overshoot” (e del collasso conseguente). Malthus non lo aveva capito. Nonostante venga spesso accusato di catastrofismo, non poteva prevedere il collasso sociale; gli mancavano gli strumenti intellettuali necessari. Era un ottimista! Oggi, c'è questo concetto. Sappiamo che i sistemi complessi tendono non solo a declinare, tendono a collassare. Ma questa percezione manca completamente dal dibattito pubblico.



Quando si fa menzione del collasso sociale, ci sono due reazioni possibili. La più comune è che una cosa del genere non succederà mai. Poi, se si riesce a convincere le persone che è possibile, questa fanno tutto quello che possono per mantenere in piedi il sistema, a prescindere da quello che ci vuole. Non si rendono conto che quando si supera la capacità di carico del sistema, bisogna tornare indietro, in un modo o nell'altro. E più si cerca di stare al di sopra del limite, più veloce e severo sarà il rientro. Quello che si deve fare è rendere più leggero il collasso, seguirlo, non cercare di fermarlo. Altrimenti sarà peggio.

Così, sembra che qui ci troviamo di fronte ad un blocco culturale. Forse non lo supereremo mai, o forse sì, chi lo sa? Nei tempi antichi, l'Imperatore Marco Aurelio, un filosofo stoico proprio come Seneca,  aveva ben chiaro questo concetto. Sapeva che tutto nel mondo è impermanente, compreso l'Impero Romano. Essendo un uomo virtuoso, ha fatto tutto ciò che era in suo potere per fare il suo dovere come Imperatore. Ma ha riconosciuto i suoi limiti, ed è questo che ha scritto nelle sue “Meditazioni”.



Dobbiamo anche riconoscere i nostri limiti. Seguire il cambiamento, non cercare di fermarlo. La Natura sta cambiando tutte le cose che vediamo e con la loro sostanza farà cose nuove per fare in modo che il mondo sia sempre nuovo. E' così che funziona la Natura.


giovedì 21 luglio 2016

Uguaglianza e sostenibilità: possiamo averle entrambe?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Di Diego Mantilla




Guest post di Diego Mantilla

Recentemente, in questo blog, Jacopo Simonetta ha sollevato una domanda molto importante: una più giusta distribuzione del reddito in tutto il mondo diminuirebbe il danno che gli esseri umani stanno facendo alla terra? La sua risposta, che non lo farebbe e in realtà renderebbe le cose molto peggiori, mi ha intrigato. Quindi ho deciso di guardare i dati migliori disponibili.

Simonetta ha guardato nello specifico alla questione del se una distribuzione piì giusta del reddito ridurrebbe le emissioni globali di CO2. Nel 2015, Lucas Chancel e Thomas Piketty (da ora in avanti C-P) hanno scritto un saggio ed hanno messo online una serie di dati relativi che hanno affrontato la distribuzione globale del consumo delle famiglie e le emissioni di CO2e (biossido di carbonio equivalente = CO2 ed altri gas serra) nel 2013. I dati non sono perfetti, ma sono i migliori che esistono. La serie di dati di C-P coglie i valori delle Household Final Consumption Expenditures – HFCE (spese finali delle famiglie per il consumo) forniti dalla Banca Mondiale, usando la distribuzione del reddito della serie di dati di Branko Milanovic (che riguardano il 99% di quelli bassi) e quella del World Wealth and Income Database (che riguardano l'1% di quelli alti). (Il reddito non equivale al consumo e C-P ipotizzano che la distribuzione del reddito sia la stessa di quella del consumo. Inoltre, ipotizzano che la stessa distribuzione del reddito che c'era nel 2008 esistesse anche nel 2013. Come ho detto, la serie di dati non è perfetta).

domenica 19 giugno 2016

Non ci sono abbastanza risorse per sostenere la popolazione mondiale

Da “Church and State”. Traduzione di MR (via Population Matters)

Abbiamo raggiunto una fase in cui la quantità di risorse necessarie per sostenere la popolazione supera quella disponibile

Di John Guillebaud. 10.06.2014


Molti anni fa, come studente del secondo anno di medicina, ho assistito ad una lezione sulla popolazione umana del mio tutor di Cambridge, Colin Bertram. Da biologo sosteneva che l'incessante aumento della popolazione di qualsiasi specie alla fine è sempre insostenibile. I numeri aumentano fino ai limiti della capacità di carico del loro ambiente e quando la superano, i numeri collassano sempre. Se permettiamo che continui una crescita della popolazione incessante, noi esseri umani non possiamo sfuggire allo stesso destino. Anche se intelligentemente potremmo adattarci a tutti i diversi ambienti sulla Terra, abbiamo un solo pianeta finito su cui vivere e il 70% di esso è acqua salata e metà di quello che resta è deserto, montagna, calotta glaciale o foresta in rapida sparizione.

sabato 19 marzo 2016

Carbone, guerre e belle donne: perché in Italia si parla italiano e non francese

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione, 1837-1899. Ritratto di Michele Gordigiani. Il testo che segue è parte di una conferenza che ho fatto a Parigi il 12 febbraio, al Momentum Institute  (h/t Yves Cochet, Agnes Sinaï e Mathilde Szuba)

Di Ugo Bardi


Nello studio della storia, è di moda usare dati quantitativi il più possibile. Parliamo di fattori finanziari ed economici, della competizione per le risorse naturali, degli squilibri della popolazione, degli effetti del clima ed altro. Eppure, a volte la storia procede secondo il capriccio di un sovrano o dell'altro che fanno errori colossali, da Napoleone a Saddam Hussein. In quel caso, i fattori umani diventano predominanti e solo in alcuni casi possiamo avere uno scorcio di quello che potrebbe essere passato nella mente delle persone al vertice. Un caso del genere potrebbe essere stato quello della contessa Virginia Oldoini, femme fatale del XIX secolo, amante dell'Imperatore Francese Napoleaone III e, forse, l'origine dell'unificazione italiana del 1860. Bella donna, in effetti, e difficile da modellizzare usando la dinamica dei sistemi!

Torniamo all'inizio del XIX secolo. A quel tempo, la rivoluzione industriale era in pieno svolgimento, alimentata dalle miniere di carbone dell'Europa settentrionale, principalmente Inghilterra, Francia e Germania. Questa rivoluzione aveva creato uno squilibrio economico, rendendo i paesi settentrionali molto più ricchi e più potenti di quelli del sud. Non era solo una questione di avere o non avere il carbone. Era questione di trasportarlo. Il carbone è pesante ed ingombrante e, a quel tempo, il solo modo pratico per trasportarlo su lunghe distanze era via mare. Le navi potevano portare il carbone ovunque nel mondo ma, quando si trattava di portarlo nell'entroterra, servivano fiumi navigabili. Niente fiumi navigabili, niente carbone. Niente carbone, niente rivoluzione industriale. E' stata questa la ragione dello squilibrio: i paesi dell'Europa meridionale, proprio come quelli nordafricani, non potevano avere fiumi navigabili a causa della mancanza d'acqua. Per cui, non si sono potuti industrializzare e sono rimasti economicamente e militarmente deboli.

Ecco com'era la situazione nel 1848.


A questa data, le sole regioni mediterranee che avevano fiumi navigabili e si sono potute industrializzare sono state Francia e Nord Italia, Piemonte in particolare. Delle due, la Francia è stata di gran lunga la più potente e, già nel 1848, potete vedere in che modo la Francia ha occupato l'Algeria, strappandola via all'Impero ottomano. Il resto della regione nordafricana era matura per essere sottomessa e persino il Regno di Napoli, nell'Italia meridionale, era militarmente ed industrialmente debole, una preda facile per qualsiasi paese industrializzato. Cosa poteva quindi fermare i francesi dal trasformare l'intero mare Mediterraneo in un lago francese? Questa, apparentemente, era stata l'idea di Napoleone quando ha invaso l'Egitto, nel 1798. Non ha funzionato quella volta, ma era stata un'intuizione strategica che in seguito i governi francesi avrebbero potuto portare avanti.

Ora, mettetevi nei panni dei britannici. Nel grande gioco strategico del XIX secolo, avevano adocchiato l'Egitto, che avrebbero poi occupato nel 1882, ma avrebbero potuto fare poco o niente per impedire alla Francia di occupare l'intera costa nordafricana, fino all'Egitto e forse oltre ad esso. Niente di diretto, cioè, ma se avessero potuto creare un contrappeso strategico per bilanciare il potere francese? E cosa poteva essere quel contrappeso? L'Italia, naturalmente, se poteva essere unificata e trasformata in un unico paese, dalla pletora di staterelli che era a quel tempo.

Così, a metà del XIX secolo, i pezzi strategici del gioco mediterraneo erano tutti al loro posto, come in una enorme scacchiera. L'obbiettivo britannico era condiviso dal Piemonte: unificare l'Italia il più presto possibile e fermare l'ulteriore espansione della Francia. Dall'altro lato della scacchiera, l'obbiettivo della Francia era altrettanto chiaro: evitare ad ogni costo l'unificazione dell'Italia e prendersi quanto più Nord Africa possibile, il più presto possibile.

Chiaro, perfettamente chiaro. E facile per la Francia. Non dovevano fare quasi niente, solo tenere sotto controllo il Piemonte, cosa che potevano fare agevolmente. E' vero che il Piemonte era una piccola superpotenza industriale per i suoi tempi, ma non c'era partita per la più grande, molto più potente e vicina Francia. Ma il presidente francese ed imperatore di quel tempo, Luigi Napoleone, o “Napoleone III”, ha fatto esattamente l'opposto, anche impegnando l'esercito francese a sostegno dell'espansione del Piemonte nell'Italia del nord in una serie di battaglie sanguinose contro gli austriaci, nel 1859. Non che la Francia abbia aiutato il Piemonte per niente, naturalmente. In cambio, i francesi hanno ottenuto una fetta di terra sul lato occidentale delle Alpi, che prima faceva parte del Piemonte. E' stato un guadagno territoriale ma, in termini strategici, non era niente in confronto a quello che la Francia stava perdendo.

Un anno dopo aver sconfitto l'Austria con il sostegno della Francia, il Piemonte partiva per un'altra impresa strategica, questa volta con il sostegno dei britannici. Dal Piemonte, partiva un esercito condotto da Giuseppe Garibaldi ad invadere il Regno meridionale di Napoli. I napoletani hanno contrapposto una resistenza strenua ma, da soli, non potevano farcela e Napoleone III non ha mosso un dito per aiutarli. Col collasso del Regno Meridionale, la completa unificazione dell'Italia è diventata inevitabile, nonostante un ultimo disperato tentativo da parte di Napoleone III nel 1867, quando ha mandato truppe in Italia per impedire a Garibaldi di prendere Roma.

E quindi Italia fu. Ed è ancora. La cosa curiosa è che poteva non essere. Se Napoleone avesse fermato Garibaldi nel 1860 allo stesso modo in cui lo ha fatto nel 1867, probabilmente avremmo ancora un regno di Napoli e il paese che oggi chiamiamo “Italia” sarebbe più che altro un protettorato francese. E, molto probabilmente, il francese sarebbe la lingua dominante in gran parte del paese.

Invece, la Francia aveva perso un'occasione storica per diventare la potenza dominante nel Mediterraneo. In seguito, la Francia è riuscita comunque a ritagliarsi alcuni altri pezzi di Nord Africa, occupando la Tunisia nel 1881 e il Marocco nel 1904, ma tutti gli ulteriori avanzamenti nella regione mediterranea sono stati fermati quando, nel 1911, l'Italia  ha rivendicato ciò che gli italiani vedevano come la loro fetta legittima dell'Impero Ottomano in declino: la regione che oggi chiamiamo Libia.

Quindi, come mai Napoleone III ha fatto un errore strategico colossale del genere? In un certo senso, possiamo dire che è piuttosto normale: i sovrani degli stati spesso sono terribilmente incompetenti nel loro lavoro (pensate solo al nostro George W. Bush). Ma, per Napoleone III, potrebbe esserci stata una ragione che va oltre la semplice incompetenza.

I francesi hanno inventato la frase “Cherchez la femme” (cercate la donna) come spiegazione di molti eventi altrimenti inspiegabili. E, nella storia dell'unificazione dell'Italia, c'è coinvolta una donna: Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione. Era la cugina del Conte di Cavour, primo ministro del Piemonte a quel tempo, ed era stata mandata a Parigi da lui, pare, con l'idea specifica di influenzare Napoleone III. Lei era una fedele patriota italiana e capiva molto bene quello che sarebbe stato il suo ruolo come amante del presidente francese ed imperatore. Doveva convincerlo a fare qualcosa che i francesi non avrebbero mai dovuto permettere: aiutare il Piemonte ad invadere e conquistare il resto della penisola italiana. Secondo quello che si può spesso leggere sui libri di storia, ha adempiuto al suo ruolo e, dai ritratti e dalle fotografie che abbiamo di lei, forse possiamo anche capire come.

Naturalmente, possiamo legittimamente pensare che questa storia sia solo una leggenda. Ma potrebbe essere che Virginia Oldoini abbia davvero convinto Luigi Napoleone a fare quello che ha fatto? In questo caso, la Contessa dovrebbe essere considerata una delle donne più influenti della storia moderna. Ma non saremo mai in grado di saperlo. Ora, lei si trova dall'altra parte dello specchio, forse guardandoci da lì e ridendo di noi.



Un racconto di fanta-storia di Ugo Bardi che descrive quello che sarebbe potuto succedere se Virginia Oldoini non fosse esistita

giovedì 10 dicembre 2015

Ottimismo e Sovrappopolazione: come NON fermare la Crescita Demografica


di Virginia Abernethy

Articolo tratto da  "Overshoot n. 7"   Bollettino dell'Associazione Rientrodolce 
Copyright © 1994 di Virginia Abernethy. Tutti i diritti sono riservati. 
Originariamente pubblicato su The Atlantic Monthly,Dicembre 1994.
Traduzione di Carpanix

Nota: Un articolo datato, ma al netto di qualche dettaglio perfettamente attuale, a dimostrazione dell'insipienza con cui questo argomento viene trattato da decenni.


La sovrappopolazione che affligge la maggior parte delle nazioni, rimane primariamente un problema locale — come questo articolo cercherà di spiegare. Anche il controllo della riproduzione (la soluzione) è primariamente locale…

Molti studiosi, antichi e moderni, hanno sempre saputo che le reali dimensioni della famiglia sono connesse strettamente al numero di figli che la gente desidera. Paul Demeny, del Population Council, è eccezionalmente chiaro a questo proposito, e l’economista della Banca Mondiale Lant Pritchett asserisce che l’85-90% dei tassi di fecondità reali possono essere spiegati dai desideri dei genitori — non dalla mera disponibilità di contraccettivi.  Pritchett scrive che “l’imponente declino della fertilità osservato nel mondo contemporaneo è dovuto quasi interamente all'altrettanto imponente declino del desiderio di fecondità.”


Progresso e Popolazione

Dati interculturali e storici suggeriscono che la gente ha solitamente limitato le proprie famiglie in maniera coerente con la possibilità di vivere comodamente in comunità stabili.   Se lasciate indisturbate, le società tradizionali sopravvivono per lunghi periodi in equilibrio con le risorse locali.   Ogni società dura quando si mantiene entro le capacità di carico del suo ambiente.

Ma la percezione dei limiti inerenti all'ambiente locale è facilmente neutralizzata da segnali che promettono prosperità. Cito l’ultimo Georg Borgstrom, riconosciuto pluridecorato specialista in economie del Terzo Mondo, morto nel 1989, che in una pubblicazione del Population Reference Bureau del 1971, spiega:

“Molte civiltà, incluse quelle dell’India e dell’Indonesia, avevano una chiara idea dei limiti dei loro villaggi o comunità prima che l’intervento straniero corrompesse gli schemi tradizionali.  I programmi d’aiuto tecnologico li indussero a credere che l’adozione di certi avanzamenti tecnologici stesse per liberarli da questi vincoli e dalla dipendenza da queste restrizioni”.

L’espansione economica, specialmente se introdotta dall'esterno su larga scala, incoraggia la convinzione che i limiti prima riconosciuti possano essere trascurati, e che ognuno possa progredire verso la prosperità e, come in casi recenti, che si possa contare sull'Occidente come fornitore di assistenza, recupero e valvola di sfogo per la popolazione in eccesso.

La percezione di nuove opportunità, sia dovuta ad avanzamento tecnologico, espansione dei mercati, cambiamenti politici, aiuti esterni, emigrazione verso una terra più ricca o la scomparsa di competitori, incoraggia il numero.   Le famiglie riempiono avidamente ogni nicchia apparentemente più grande, e le nascite in sovrappiù che generano la conseguente crescita della popolazione, spesso vanno oltre le reali opportunità.

Crescere oltre il numero sostenibile è una minaccia onnipresente, poiché gli esseri umani prendono spunto dalle apparenti opportunità immediate, e sono facilmente ingannati dai cambiamenti.   Contando sul medio o breve termine, difficilmente si calcola la crescita a lungo termine della popolazione, i limiti all’avanzamento tecnologico futuro e la inesorabile progressione dell’impoverimento delle risorse.

La percezione dell’espansione di opportunità assume varie forme.   Negli anni ‘50, la redistribuzione dei terreni in Turchia condusse i contadini precedentemente senza terra ad incrementare significativamente le dimensioni delle loro famiglie.   Tra i pastori del Sahel Africano, i pozzi profondi per la captazione dell’acqua, trivellati dai Paesi donatori negli anni ‘50 e ’60, permisero l’allevamento di più grandi mandrie di bovini e greggi di capre, matrimoni più precoci (poiché i prezzi delle spose sono pagati in animali…), e più elevata fecondità.   

Allo stesso modo, la diffusione della coltivazione della patata in Irlanda nei primi anni del XVIII secolo, incrementò la produzione agricola e incoraggiò i contadini a suddividere le proprie fattorie in appezzamenti per i figli  i quali, per parte loro, promossero matrimoni precoci e un incremento esplosivo delle nascite.

Ancor prima, tra il VI e il IX secolo, l’introduzione in Europa della staffa, dei finimenti a collare rigido e della ferratura dei cavalli potenziarono grandemente la produzione agricola delle pianure settentrionali dell’Europa. Una migliore alimentazione aiutò a condurre l’Europa verso la ripresa economica e quindi, tra il 1050 e il 1350 circa, a triplicare la popolazione in Paesi quali l’Inghilterra e la Francia.

L’India offre un altro esempio. La sua popolazione fu quasi stabile dal 400 a.C. a circa il 1600 d.C.   Dopo la fine delle invasioni Mongole, e con l’avvento di nuove opportunità commerciali, la popolazione cominciò a crescere.   Quando il commercio Europeo offrì all'India ulteriori opportunità, la crescita della popolazione accelerò ulteriormente.   Nel 1947, dopo la liberazione dalla condizione coloniale, decollò letteralmente.   L’assistenza dell’URSS, della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale potenziarono la percezione di un futuro prospero e il tasso di crescita della popolazione continuò ad accelerare fino al 1980 circa.

Movimenti indipendentisti di successo e golpe populisti sono preminenti tra i cambiamenti che annunciano tempi migliori.   La Cina cominciò il suo interludio euforico con l’espulsione dei Nazionalisti, nel 1949.   La filosofia del Comunismo trionfante sosteneva che una grande nazione richiedeva più gente.   Il tasso di fecondità e la popolazione aumentarono drammaticamente. La popolazione del territorio principale della Cina , stimata a 559.000.000 nel 1949, crebbe fino a 654.000.000 nel 1959, laddove nei precedenti 100 anni di agitazioni politiche e guerre, il tasso medio di crescita della popolazione cinese era stato appena dello 0,3% all'anno.

Judith Banister scrive in “La popolazione cinese che cambia”:   “La fecondità cominciò a crescere verso la fine degli anni ‘40 ed era prossima o superiore alle 6 nascite per donna durante gli anni 1952-57.

Banister attribuisce l’esplosione demografica cinese alla fine della guerra e alla politica del governo che, con la riforma fondiaria del 1950-51, redistribuì la terra ai contadini ed ai fittavoli.

Cuba ebbe un’esplosione demografica quando Fidel Castro spodestò Fulgencio Batista, nel 1959.    Castro promise esplicitamente una redistribuzione delle ricchezze e, secondo i demografi S. D’az-Briquets e L. Perez, la fecondità crebbe.

D’az-Briquets e L. Perez scrivono: “Il fattore principale fu l’incremento delle entrate reali tra i gruppi più svantaggiati, favorito dalle misure di redistribuzione attuate dal governo rivoluzionario.   La crescita della fecondità nell'ambito di quasi ogni fascia d’età suggerisce che le coppie videro il futuro come più promettente e sentirono che ora si sarebbero potuti permettere più figli”.

Le popolazioni dell’Algeria, dello Zimbabwe e del Ruanda crebbero rapidamente quando le potenze coloniali partirono. L’Algeria, per esempio, ottenne l’indipendenza nel 1962, e trent'anni dopo il 70% della sua popolazione aveva meno di 30 anni d’età.

Lo Zimbabwe ottenne l’indipendenza nel 1980, e subito raggiunse uno dei maggiori tassi di crescita della popolazione del mondo.   La crescita venne incoraggiata dal Ministro della Salute che attaccò la pianificazione familiare come una “congiura del colonialismo bianco” per limitare il potere nero.

I programmi di sviluppo di grandi trasferimenti di tecnologia e di fondi verso il Terzo Mondo hanno influito perniciosamente sulle dimensioni delle famiglie.

Questo tipo d’aiuto è inappropriato, poiché segnala che ricchezza e opportunità possono aumentare senza sforzo e senza limiti. …. L’Africa, che negli ultimi decenni ha ricevuto tre volte più aiuti pro-capite di qualsiasi altro continente, ha ora anche i più alti tassi di fecondità. Durante gli anni ‘50 e ’60, la fecondità in Africa crebbe — fino a quasi sette bambini per donna — nello stesso momento in cui veniva ridotta la mortalità infantile, cresceva la disponibilità di cure, si diffondeva l’istruzione e l’ottimismo economico pervadeva sempre più ampi settori della società.   Tassi di crescita della popolazione straordinariamente elevati erano nuovi per l’Africa.

Anche l’immigrazione può influire sulla popolazione mondiale complessiva.   Studi relativi all'Inghilterra e al Galles del XIX secolo e alle popolazioni Caraibiche moderne, evidenziano che in comunità già nel pieno di una rapida crescita demografica, la fecondità rimane elevata fino a quando esiste la possibilità di emigrare, mentre declina rapidamente nelle comunità prive di questa valvola di sicurezza. E mentre i tassi di fecondità si vanno riducendo nella maggior parte dei Paesi africani, tale tasso resta alto in Ghana (6,2 nascite per donna nel 1993), forse perché l’emigrazione (l’uno per 1.000 della popolazione) fornisce una valvola di sicurezza per la quantità di popolazione in eccesso.

Questo effetto sulla fecondità è coerente con studi indipendenti secondo i quali l’emigrazione accresce le entrate sia tra coloro che emigrano sia tra coloro che rimangono.

In sostanza è vero, anche se imbarazzante dirlo, che gli sforzi per alleviare la povertà spesso stimolano la crescita della popolazione, così come il lasciare aperte le porte all'immigrazione.

I sussidi, le ricchezze inattese e la prospettiva di opportunità economiche rimuovono il bisogno di freni.   I mantra della democrazia, della redistribuzione e dello sviluppo economico, innalzano le attese e i tassi di fecondità, incoraggiando la crescita della popolazione e quindi rendendo più rapida una spirale ambientale ed economica discendente.

Nonostante tutto, alcuni esperti ed il pubblico che essi informano, credono che i tassi di fecondità siano stati tradizionalmente alti nel mondo intero e si siano ridotti solo nelle nazioni post-industriali o nei Paesi nei quali è disponibile la moderna contraccezione.
La possibilità che le maggiori dimensioni delle famiglie fossero il risultato del desiderio di avere più figli continua ad essere negato.

I demografi  negli anni ‘30 predirono un rapido declino della popolazione, poiché la bassa fecondità delle nazioni occidentali industrializzate veniva attribuita allo sviluppo e alla modernizzazione, più che al pessimismo endemico dovuto alla Grande Depressione. Continuando a non cogliere il punto, molti non riuscirono a vedere che gli alti tassi di fecondità che si ebbero dopo la Seconda Guerra Mondiale furono la risposta alla percezione dell’espansione delle possibilità economiche. L’esplosione demografica negli Stati Uniti (1947-1961) e la successiva esplosione demografica nell’Europa Occidentale colsero di sorpresa la maggior parte dei demografi.


Il messaggio della penuria

Come succede, la penuria alla quale miliardi di persone sono costretti dai limiti naturali del loro ambiente, sta cominciando a correggere le conseguenze di decenni di percezioni errate.   La retorica della modernizzazione, dello sviluppo internazionale e dell’uguaglianza sta perdendo il suo potere di inganno.   Man mano che l’Europa si dimostra incapace di alleviare le sofferenze della ex-Iugoslavia, che i Paesi ricchi in generale si dimostrano impotenti nell'aiutare le innumerevoli moltitudini lontane, diviene difficile credere nel recupero.

Ora, com’è successo molte volte nella storia dell’umanità, la riscoperta dei limiti sta risvegliando le motivazioni a ridurre le dimensioni delle famiglie.

In Irlanda nei primi anni del XIX secolo, quando i terreni divennero insufficienti lla popolazione in rapida crescita, la fecondità cominciò ad abbassarsi ai livelli dell’epoca precedente all'introduzione della patata.

Nel 1830 i due terzi circa delle donne si sposavano prima dei venticinque anni d’età. Nel 1851 solo il 10% di esse si sposava così giovane — un drastico rinvio del matrimonio fu la risposta alla carestia della patata del 1846-1851.

Dopo una breve ripresa, non più del 12% si sposava prima del venticinquesimo anno d’età.   L’uso di contrarre matrimoni tardivi rersistette dal 1890 circa fino alla Seconda Guerra Mondiale.

Negli Stati Uniti l’esplosione demografica terminò all'incirca nel momento in cui il mercato del lavoro cominciò ad essere saturo.   Dopo lo shock petrolifero del 1973 il tasso di fecondità crollò al di sotto dei livelli di sostituzione e molti dei redditi reali degli Americani cessarono di crescere.

Nella Cina post-rivoluzionaria, l’incremento della popolazione proseguì fino a quando la carestia.   Impose un confronto con i limiti oggettivi.   Nel 1979, consapevole delle gravi carenze alimentari, il governo istituì la politica del “un-figlio-per famiglia”, riproponendo così i controlli delle restrittive abitudini matrimoniali e riproduttive pre-comuniste.

A Cuba, l’esplosione demografica ispirata da Castro, lasciò il posto a una fecondità al di sotto del tasso di sostituzione, quando fu evidente che il comunismo non forniva la prosperità.

Nei Paesi dell’Europa Orientale, compresa la Russia, la ristrutturazione economica, lo svanire dei sussidi governativi e la percezione pubblica di una mortalità infantile in crescita, hanno portato a tassi di fecondità minori.

Nello Zimbabwe, spinto dalla crisi economica dei tardi anni ‘80, il governo cominciò a sostenere la pianificazione familiare.   Secondo The Economist, “l’elevato costo del mantenimento di una famiglia numerosa ha aiutato a convincere alcuni uomini dell’importanza del limitarne le dimensioni”.

Il tasso di fecondità è in calo tra gli Yoruba in Nigeria, per una combinazione del ritardo nei matrimoni e dell’accettazione della moderna contraccezione. Due terzi delle donne che hanno risposto ad un recente sondaggio hanno detto che “la principale causa della posposizione del matrimonio e dell’uso della contraccezione era l’attuale difficile situazione economica”.

Anche altrove, la richiesta della moderna contraccezione è in crescita.   La ragione sembra essere che le coppie percepiscono che un matrimonio precoce e una famiglia numerosa sono economicamente insostenibili.

Nel suo nuovo libro “Masse critiche”, il giornalista George D. Moffett riporta che, in Messico, una madre su due difese davanti al prete di un villaggio, il suo ricorso alla contraccezione spiegando: “Le cose sono difficili, qui. La maggioranza della gente sta attraversando tempi duri. Il lavoro è difficile da trovare”.

In modo simile, un lavoratore giornaliero in Tailandia, secondo le parole di Moffett, “vorrebbe avere un figlio in più, ma è consapevole che andrebbe al di là dei propri mezzi”.

Senza motivazione a limitare le dimensioni della famiglia, la contraccezione moderna è pressoché irrilevante. 

Per sei anni, negli anni ‘50, un progetto condotto dal ricercatore inglese John Wyon fornì a diversi villaggi dell’India Settentrionale istruzione sulla pianificazione familiare, accesso alla contraccezione e cure mediche.   Gli abitanti dei villaggi erano ben disposti nei confronti di chi forniva le cure mediche e la mortalità infantile si ridusse notevolmente.   Ma il tasso di fecondità rimase invariato.

Il gruppo di Wyon capì il motivo: gli abitanti dei villaggi apprezzavano le famiglie numerose. Essi erano entusiasti del fatto che ora, con una minore mortalità infantile, potevano avere i sei figli che avevano sempre desiderato. Il ben finanziato progetto di Wyon potrebbe anche avere rinforzato la predilezione per le famiglie numerose, avendo contribuito a rendere possibili quei figli in più.


Pensare localmente

L’errore nell'individuare le cause dell’esplosione demografica, ha portato a strategie poco efficaci o addirittura controproducenti, nel cercare di aiutare il Terzo Mondo ad un equilibrio tra le dimensioni della popolazione e le risorse disponibili.

Nei tardi anni ‘40 e negli impetuosi decenni successivi, il commercio, i movimenti indipendentisti, le rivoluzioni populiste, gli aiuti stranieri e le nuove tecnologie portarono ovunque la gente a credere nell'abbondanza e nella fine dei limiti naturali imposti dagli ambienti famigliari.

Sarebbe un passo avanti se le nazioni industrializzate, che vedono la loro ricchezza diminuire, ricalibrassero e indirizzassero gli aiuti con maggiore oculatezza.   La loro ricchezza residua non deve essere sprecata nell'armare fazioni guerriere, con assistenza avventata, o nel sostegno alle migrazioni internazionali che impoveriscono e alla fine incattiviscono — fino alla violenza  — le popolazioni residenti.

Con una nuova, informata comprensione delle risposte umane, certi tipi d’aiuto rimangono appropriati: micro-prestiti che rafforzano l’imprenditoria di base, dove il successo è sostanzialmente mirato allo sforzo; l’assistenza con servizi di pianificazione familiare, non perché la contraccezione sia una soluzione di per sé, ma perché la moderna contraccezione è un modo umano per ottenere una famiglia di ridotte dimensioni, quando c’è questo desiderio.

Questa modesta lista di cose da fare è ancora nelle possibilità dei Paesi industrializzati, nel momento in cui essi devono prestare attenzione alle necessità dei sempre più numerosi propri poveri.   E non inganna né danneggia involontariamente coloro che ne sarebbero i beneficiari.

La politica degli aiuti internazionali degli ultimi cinquant'anni si basa sull'idea che lo sviluppo economico sia la chiave per mettere un freno alla crescita della popolazione. Tali presupposti non stanno in piedi di fronte ad un’analisi storica/antropologica e le politiche che hanno prodotto hanno invece contribuito a potenziare la crescita della popolazione. (corsivo mio JS)

La capacità umana di avere una risposta di tipo adattivo si è evoluta nell'ambito d’interazioni faccia-a-faccia.   La forza dell’umanità è la sua capacità di rapida reazione agli stimoli ambientali — una risposta che è più probabilmente appropriata quando l’ambiente che conta è quello ravvicinato e locale.   L’orizzonte mentale è qui ed ora.   I nostri antenati si sono evoluti e hanno dovuto trarre il loro successo tra i piccoli gruppi che si muovevano su territori relativamente ristretti.

Essi dovevano riuscire a sopravvivere giorno per giorno — o non sarebbero divenuti i nostri antenati.   Quindi non ci deve sorprendere se i segnali che vengono dall'ambiente locale siano fortemente motivanti.   Mettiamo da parte la globalizzazione.   Le soluzioni basate su un mondo unificato non funzionano.   Le soluzioni locali, sì.   Ovunque la gente agisce secondo la personale percezione dei propri interessi.   Le persone sono portate a interpretare i segnali locali per la prossima mossa da fare.

In molti Paesi e comunità di oggi, dove le condizioni sociali, economiche e ambientali stanno indubbiamente peggiorando, la domanda per una moderna contraccezione è in crescita, il matrimonio e l’iniziazione sessuale vengono posticipati e le dimensioni della famiglia si stanno riducendo.   Gli individui che reagiscono con una bassa fecondità ai segni del raggiungimento dei limiti hanno trovato la soluzione locale. C’è da pregare che i venditori di uno sviluppo inappropriato non mettano sottosopra questa situazione.





Nota di U.B.: Virginia Abernethy (qui il suo sito) è professore emerito alla Vanderbilt University, in Tennessee (US). E' un personaggio molto controverso, fortemente criticato specialmente per certe sue posizioni politiche estreme sulla separazione etnica, sulle leggi sulle armi, e altro. Come esperta di demografia, tuttavia, ha il merito di aver perlomeno cercato una comprensione più approfondita e originale sulla questione della sovrappopolazione. In particolare, Abernethy ha criticato fortemente (come fa nell'articolo qui tradotto) l'idea semplicistica della "transizione demografica" che vuole che la crescita della popolazione si possa fermare sulla base dell'idea che "quando tutti saranno ricchi, non faranno più tanti figli."  C'è un fondo di verità in questa idea; ma le cose non sono così semplici.