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mercoledì 26 agosto 2020

Il Principio di Precauzione: Dal Cambiamento Climatico al Coronavirus

Nota: questo post non nega l'esistenza del coronavirus né il fatto che abbia fatto delle vittime. Commenti che fanno uso del termine "negazionismo" saranno automaticamente cassati

Qui di seguito, un commento di Olga Milanese sulla questione del "Principio di Precauzione." Queste considerazioni sono importanti per tutto quello che ha a che vedere con i vari disastri che ci stanno arrivando addosso, dal coronavirus al cambiamento climatico. In effetti, sembrerebbe che stiamo facendo decisamente troppo poco per certe cose che potrebbero distruggerci tutti quanti (tipo il cambiamento climatico), e troppo per certe cose delle quali si poteva fare benissimo a meno (tipo, per esempio i "dispositivi anti-abbandono" nei sedili per bambini). Qui Olga Milanese fa correttamente notare che con il principio di precauzione si può esagerare e soprattutto che farlo diventare "principio di massima precauzione," come si è fatto recentemente per il coronavirus,  è un aberrazione che porta a ogni sorta di esagerazioni e quindi rischia di fare più danni di quelli che si proponeva di prevenire.

 

Di Olga Milanese

Il PRINCIPIO DI MASSIMA PRECAUZIONE non è ciò che sembra!

Innanzitutto non esiste un principio di "massima" precauzione,
ma di precauzione... e basta!

La differenza è fondamentale.

Questo principio contempla la necessità di adottare misure di tutela e di prevenzione anche quando non sia assolutamente certo che un determinato fenomeno sia nocivo, ma sussista un dubbio SCIENTIFICAMENTE ATTENDIBILE che possa esserlo. Il che significa che legislatore e la P.A., nell' esercizio dei propri poteri discrezionali, debbono agire cautelativamente allorquando si è in presenza di un rischio potenziale. In questi casi, si parla di "discrezionalità tecnica", poiché le scelte vengono operate all'esito di una valutazione basata sulle cognizioni e sui mezzi forniti dalle varie scienze. Anche nella concezione comunitaria l'azione precauzionale è "giustificata solo quando vi sia stata l’identificazione degli effetti potenzialmente negativi (rischio) sulla base di dati scientifici, seri, oggettivi e disponibili, nonché di un ragionamento rigorosamente logico e, tuttavia, permanga un’ampia incertezza scientifica sulla “portata” del suddetto rischio".

È, quindi, vero che il principio di precauzione opera laddove manchi una sicurezza scientifica sul danno e allorquando il ritardo di interventi potrebbe comportare un aggravamento del potenziale danno, ma è altrettando vero che la sua affermazione NON può tradursi nella possibilità di dar ascolto e seguito ad ogni tipo di timore o paura, e ciò per molteplici motivi. In primis, proprio perché va considerato che le misure precauzionali NON vengono adottate, per loro natura, sul presupposto di certezze assolute, ma in ragione di ipotesi e probabilità (benché studiate). In secundis, per la non meno rilevante considerazione che le menzionate misure sono destinate a comportare un sacrificio certo, attuale o futuro, spesso elevato, di altri valori, diritti o principi.

Per ovviare a questo conflitto immanente si deve ricorrere ad un bilanciamento di interessi che si traduce nella necessità (id est obbligo) di PROPORZIONE tra il grado di probabilità e di gravità dei rischi ed il grado di incisività delle precauzioni che si intendono adottare sulle libertà o diritti antagonisti. Già questo dovrebbe far comprendere perché un piano precauzionale che contempli l'annullamento di una qualsisi attività (scuola, lavoro, salute nel senso ampio del termine, ecc.) in ragione di un pericolo non immediato e non fondato su una radicata CERTEZZA scientifica, è destinato a violare i presupposti applicativi della stessa precauzionalità.

Ma non è tutto! Il mancato rispetto della proporzione e del bilanciamento di interessi determina una lesione del principio di RAGIONEVOLEZZA, per il quale l'azione pubblica DEVE osservare dei canoni di RAZIONALITÀ OPERATIVA ed EVITARE DECISIONI ARBITRARIE ED IRRAZIONALI.
 
Tale ultimo principio è di primaria rilevanza nella gestione democratica di un Paese, poiché in esso confluiscono i valori di eguaglianza, imparzialità e buon andamento dell'attività amministrativa, tanto che la sua violazione configura il vizio di ECCESSO DI POTERE!

Volendo essere meno tecnici potremmo dire che un conto è stabilire la necessità di adottare una serie di precauzioni nel maneggiare un ordigno sconosciuto di cui, scientificamente, ignoriamo la potenza e la nocività, tutt'altro conto è decidere di non voler neanche provare a disinnescare l'ordigno o metterlo in sicurezza, scegliendo di paralizzare la vita di una intera comunità per evitare il rischio che qualcuno vi si possa, per avventura, avvicinare.

La prima condotta costiuisce la corretta applicazione del principio di precauzione, per come inteso dal nostro ordinamento e nel diritto dell'UE; la seconda è un'arbitraria distorsione di quel principio, originata da un solo maledetto insidioso aggettivo ("massima") buttato lì accanto alla parola precauzione, ad inizio pandemia, per legittimare la negazione del diritto all'istruzione, del diritto al lavoro, del diritto ad una giusta retribuzione, del diritto all'eguaglianza sociale, del diritto ad una sanità fatta di cure ed assistenza a 360°, in sintesi, del diritto alla tutela della dignità dell'uomo, in ogni ambito in cui si svolge la sua personalità.

Una sola parola, tirata fuori dal cassetto della politica, ha operato la "mutazione" di un principio sorto per garantire i cittadini in un pretesto per liberare gli amministratori dello Stato dall'onere di studiare soluzioni ponderate, ma soprattutto dal peso delle responsabilità di una qualsivoglia decisione o scelta.


Olga Milanese è avvocato civilista. Si occupa principalmente di aspetti legati alla tutela dei diritti in ambito imprenditoriale, familiare e in relazione alla responsabilità medica e professionale, come pure il tema della tutela dei diritti umani

venerdì 7 agosto 2020

Ritirata su tutti i fronti: epicedio per i ghiacciai (e non solo)

 

L'epicedio (in greco antico: ἐπικήδειον μέλος, epikédion mélos) è un tipo di componimento poetico scritto in morte di qualcuno, tipico della letteratura latina

Di Luciano Celi

Krzysztof Kieślowski – regista, sceneggiatore, scrittore e documentarista polacco, considerato uno dei più grandi registi della storia del cinema – diresse e produsse, tra il 1988 e il 1989, 10 brevi film (mediometraggi) di circa 55 minuti, indipendenti per trama l’uno dall’altro: il Decalogo. 

Il Decalogo mette in scena, attraverso storie di vita comuni, l’adesione e soprattutto l’infrangere i dieci comandamenti. Tema antico, anzi antichissimo, già specificatamente individuato da una breve parolina greca – hýbris – ed esemplificato piuttosto dettagliatamente anche nella sua letteratura e tragedia.
Il termine hýbris è spesso tradotto con “orgogliosa tracotanza” e davvero è antico quanto l’uomo: la cacciata dall’Eden ne è solo uno degli esempi perché il frutto proibito è quello della conoscenza. 

Kieślowski nel primo episodio – «Io sono il Signore tuo Dio. Non avrai altro dio all'infuori di me» – narra le vicende del protagonista, suo omonimo perché si chiama Krzysztof, che, fisico e professore universitario separato dalla moglie, deve crescere il figlio Paweł da solo. L’uomo è un grande appassionato di computer e pensa che tutta la vita possa essere descritta matematicamente attraverso l'uso dei calcolatori. Secondo lui non esiste una dimensione trascendente della realtà: non esiste nessun Dio e quando si muore il cervello smette semplicemente di funzionare. Credo che ormai molti siano di questa idea, ma non è qui il caso di divagare sulle credenze di ognuno e atteniamoci alla trama: un giorno il lago vicino a casa ghiaccia e Paweł esprime il desiderio di pattinare.

Il padre, allora, da bravo scienziato esegue una serie di calcoli al computer, che gli permettono di stabilire che il ghiaccio è in grado di reggere il suo peso. Per maggiore sicurezza esegue nuovamente i calcoli e va a verificarne l'esattezza con una prova empirica. Accade però che il ghiaccio si rompe. Il padre non lo sorvegliava (sicuro come era che il ghiaccio non si sarebbe rotto) e non sospetta di nulla nemmeno quando nota dei segnali premonitori (un camion dei pompieri che si dirige verso il lago, gli amici che non lo trovano, la lezione a cui è mancato, le persone che lo cercano per avvisarlo dell'accaduto e dell'inchiostro che si versa in un libro). Comincerà a capire che non tutto è prevedibile quando il calamaio con cui stava scrivendo si rompe senza essere stato toccato. Decide quindi di andare a vedere cosa stava succedendo al lago, vede il buco nel ghiaccio ed i soccorritori ma stenta ancora a crederci (apprende che alcuni ragazzi stavano giocando nelle vicinanze e va a cercare suo figlio). Il padre si arrende all'evidenza solo quando i soccorritori estraggono il corpo senza vita del bambino.1
Questo episodio, visto molti anni fa, mi è tornato alla mente leggendo un bel libro di Enrico Camanni, Il grande libro del ghiaccio, Laterza, Bari, 2020. Descrivendo le sorti dei ghiacci nel mondo – da quelli alpini a quelli polari – l’attenzione dell’autore si ferma sulla Siberia dove, notizia più volte descritta e riportata, il riscaldamento climatico procede a velocità più che doppia rispetto al resto del mondo. Questa regione è oggetto dell’attenzione di un documentarista russo, Viktor Kossakovsky, che nel suo Aquarela filma, tra le altre cose, il lago Baikal, la riserva (chiusa) d’acqua dolce più grande del mondo:
Le conseguenze del riscaldamento climatico sono espresse da trombe d’aria improvvise e allagamenti disastrosi, ma è la sequenza girata sulle acque scongelate del Lago Baikal in Siberia a togliere il fiato allo spettatore. Il Baikal è la nuova icona del clima terrestre. Campo largo: un’automobile avanza nell’imperturbabile silenzio della landa siberiana, puntando leggera verso un orizzonte di montagne; di colpo la superficie del lago si spacca e l’auto sprofonda. Campo stretto (invisibile): i passeggeri si dibattono dentro la loro trappola e i soccorritori si sporgono sull’acqua cercando di tirarli in salvo. Campo largo: la sequenza si ripete senza pietà, nuova automobile, nuovo sfondamento, nuovo bagno gelato; uno dopo l’altro i veicoli e i guidatori s’inabissano nelle crepe del disgelo. Auto viene, auto scompare: è la roulette russa.2 

Verrebbe da dire che mentre il Dio di Kieślowski è veterotestamentario e non perdona la umana hýbris, quello nella realtà è almeno un poco più misericordioso e fa trovare, almeno nelle scene descritte, qualche aiuto ai malcapitati.

Questo libro, in generale, è molto bello: ricco di riferimenti che vanno dalla scienza alla letteratura, passando per un po’ di antropologia e storia, mi ha stupito perché in primo luogo ci ho letto una specie di “inconscia” descrizione di me stesso.

Il 20 agosto 2009 Chamonix era una città rovente. […] Era un mondo capovolto. Nella capitale dell’alpinismo i turisti cercavano refrigerio nei negozi con l’aria condizionata, dove maneggiavano ramponi e maglioni con le mani sudate, oppure sfogliavano i libri che raccontavano di neve, gelo e seracchi. Alle Aiguilles e ai ghiacciai preferivano le vecchie fotografie. Si era rotta la relazione logica tra i panorami delle pagine illustrate e gli stessi panorami inquadrati dalle finestre […]. Fuori il sole era talmente bollente che i turisti preferivano rifugiarsi tra gli scaffali del grande magazzino, e alla fine, sfogliando e sfogliando, trovavano più attraenti gli scenari patinati dei libri e delle cartoline dei fondali svaporati della montagna vera.3 

Non ero a Chamonix ma al bookshop del Forte di Bard, nella “bassa” valdostana; non era il 20 agosto 2009, ma il 29 luglio 2020 e questo libro, per il titolo e la bella confezione, mi è sembrata subito un’ottima evasione dal caldo e forse il suo acquisto è stato anche inconsciamente dettato dal percorso psicologico che l’autore stesso racconta in queste righe.

Certo in Val d’Ayas, poco sotto Brusson, la casa era fresca e abbiamo dormito con un piumino leggero la sera; in almeno una escursione nella quale ci siamo avventurati, abbiamo potuto godere della vista del massico del Monte Rosa, ancora innevato, ma tutto questo non è consolatorio perché le vicende e i fatti descritti nel libro sono, purtroppo, terribili e reali.

Lo è (stato) il “canto funebre” (epicedio) del ghiacciaio islandese lo scorso anno (qui si trova ancora la notizia), “replicato”, in Italia, da due iniziative simili: lo scioglimento del ghiacciaio dei Forni in alta Valtellina, che ha avuto, come dice Camanni, «un riverbero mediatico più da evento folcloristico che da allarme epocale» e ha portato in quota, alla capanna Branca, un’intera orchestra di “musicisti-montanari” devoti alla causa il 20 luglio 2019 e, due mesi dopo, alle sorgenti del Lys, davanti ai seracchi del Monte Rosa.

La targa per la scomparsa del ghiacciaio Ok.

Fino ad arrivare alla notizia, sempre riportata da Camanni, che il parroco di Fiesch, in Svizzera, non pregava più che il ghiacciaio lasciasse in pace i suoi fedeli. I montanari della Fieschertal – racconta Camanni – si erano rivolti formalmente a papa Benedetto XVI per avere il permesso di modificare il rito di Sant’Ignazio, perché la preghiera storica non aveva più senso. Una volta la processione invocava la ritirata del fiume gelato, adesso volevano pregare Dio che gli restituisse il loro ghiacciaio.
Sembrano notizie di folklore, ma è lo zeitgeist, lo spirito di un tempo che, pretendendo di fare a meno del rispetto dell’ecosistema in cui vive – senza scomodare Dio… – non può che intonare canti funebri.

1 Wikipedia, alla voce: «Decalogo 1».
2 Camanni, Il grande libro del ghiaccio, Laterza, Bari, 2020, p. 294.
3 Op. cit., p. 302.

Ma è vero che stiamo finendo il pesce? Si, se continuiamo a sovrasfruttare il mare.

Nel recente libro "Il Mare Svuotato," di Ugo Bardi e Ilaria Perissi, fra le tante cose proponiamo anche il "gioco della pesca alla balena."  E' un gioco didattico che illustra il sovrasfruttamento delle risorse. Nell'immagine, vediamo una sessione di prova del gioco. Ilaria, vestita di rosso, gioca il ruolo del mozzo Ishmael, Ugo Bardi, col cappello a tuba, prende la parte del capitano Ahab, Claudia, Gianluca, e Stefano sono altri membri dell'equipaggio. Questo è un gioco, ma purtroppo il sovrasfruttamento delle risorse ittiche avviene per davvero, come potete leggere nell'articolo qui di seguito

 

(riprodotto dal "Fatto Quotidiano" con leggere modifiche)

Il WWF ha recentemente comunicato che a Luglio c’è stato il “Fish Dependence Day,” ovvero, “il limite oltre il quale i consumatori europei terminano virtualmente il consumo di pesce pescato nei mari della regione.” Detto così, ha l’aria di una cosa preoccupante, ma non è che sia chiarissimo cosa sta succedendo. Allora vediamo di spiegare.

Il “Fish Dependence Day” è stato proposto nel 2010 da una fondazione chiamata “NEF” (New Economic Foundation). L’idea è abbastanza semplice: si misura la quantità di pesce pescato in “acque europee”, incluso l’acquacoltura, e la si rapporta al consumo di pesce in Europa. Ne viene fuori che il totale del pesce pescato nei mari Europei (o allevato in Europa) potrebbe soddisfare il consumo soltanto fino a una certa data, ovvero fino ai primi di Luglio – da allora in poi, possiamo considerare che mangiamo tutto pesce importato o pescato in acque internazionali. Per l’Italia, la data fatidica è ancora prima, ai primi di Aprile. E, come vi potete aspettare, la data si sposta all’indietro ogni anno. Il tempo in cui l’Europa produceva abbastanza pesce per il suo consumo interno è ormai remoto, parecchi decenni nel passato e la “forbice” fra consumi e produzione continua ad aumentare.

Ma è veramente un problema se produciamo meno pesce di quello che consumiamo? Che cosa ci impedisce di importarlo? E perché non potremmo semplicemente pescare di più? Ma le cose non sono così semplici. Il Fish Dependence Day è un indicazione di un profondo squilibrio in tutta la questione della pesca a livello mondiale.

Su questo argomento, io e la mia collaboratrice Ilaria Perissi abbiamo scritto un libro intero (“Il Mare Svuotato”, Editori Riuniti 2020), dove trovate descritto come stiamo letteralmente “svuotando il mare” di pesce. E’ per via del “sovrasfruttamento,” ovvero consumare una risorsa naturale a un ritmo superiore a quello con cui si riforma. Succede anche con i conti in banca: se uno preleva più di quanto non deposita, alla fine non rimane più niente. (A Firenze, diciamo, “Leva e non metti fa la spia”).

Questo è quello che sta succedendo col mare. Semplicemente, si sta pescando troppo ovunque e il risultato è che gli stock di pesce si stanno riducendo e tendono a collassare. Avete fatto caso a come sia diventato comune essere punti da una medusa mentre fate il bagno in mare? Ma se avete più di 50 anni, vi ricordate che, quando eravate bambini, il problema delle meduse era molto meno importante. Ma perché tante meduse, oggi? Semplice: i pesci si nutrono di meduse, ma con meno pesci in mare, le meduse hanno potuto riprodursi in tranquillità.

Ma come è possibile che siamo arrivati a questo punto? Governi, scienziati, le agenzie che si occupano di pesca, non avrebbero potuto evitare quello che è successo? In teoria si, ma i politici sono esseri umani e sono sensibili ai ritorni economici che vengono dall’industria della pesca. Il risultato è stato che, spesso, le risorse ittiche sono state sovrastimate, come pure le quote allocate ai pescatori. E’ il caso ben noto, per esempio, della distruzione del merluzzo di Terranova negli anni 1990. Per non parlare degli effetti disastrosi della pesca illegale, dell’inquinamento chimico, della plastica in mare, del riscaldamento globale, e molte altre cose.

E allora? Vuol dire che non dobbiamo mangiare più pesce? No, il pesce è un alimento importante che è stato parte della dieta umana fin dai nostri remoti antenati. Vuol dire però che dobbiamo gestire molto meglio le risorse marine. Già possiamo fare qualcosa di utile mangiando pesce locale, evitando pesce esotico e costoso che viene da lontano. Soprattutto, non dobbiamo dare retta a quelli che ci parlano dell’”Economia Blu” come se fosse un miracolo che risolverà tutti i problemi del mare in modo anche sostenibile. Il mondo reale non ammette miracoli e la crescita economica a tutti i costi non è una cosa buona. Il mare ha ancora grandi risorse, ma dobbiamo lasciarlo un po’ in pace se vogliamo che si riprenda dai danni che ha subito negli ultimi decenni. 



giovedì 14 maggio 2020

Virus e inquinamento atmosferico: la correlazione di due malanni

La Cassandra Placata: viste le questioni interessanti sollevate da questo post di WM, la profetessa mi da il permesso di riaprire i commenti. Per favore rimanete in tema. Post razzisti o semplicemente antipatici risulteranno non solo nella eliminazione degli stessi, ma anche in una maledizione specifica che vi arriva dalla Dea Madre in persona che vi causerà un lieve mal di pancia per un paio di giorni. Maledizioni molto peggiori sono possibili se insistete.


Guest post di WM

All'inizio di marzo ho letto le prime considerazioni sulle possibili correlazioni tra alti livelli di inquinamento e pandemia Covid 19, il primo articolo era su Nimbus. La coincidenza tra zone altamente inquinate e concentrazione di infezioni era, è tuttora, effettivamente allarmante. Provo a riassumere.

Nelle settimane scorse erano anche apparse immagini satellitari che mostravano un significativo calo di NOx, gli ossidi di azoto in Cina, in pianura Padana.

Seguo giornalmente l'andamento del principale parametro che da anni decide le politiche più o meno restrittive alla circolazione automobilistica nelle nostre città: il PM10 (particolato 10 micron). Il valore limite per legge da non superare è di 50 microgrammi/metro cubo da non superare più di 35 giorni (d. lgs 155/2010). Spesso nelle città del nord questo valore raggiunge 60/70 e in alcuni casi supera i 100. Vengono bloccati i veicoli Diesel Euro 4 a volte Euro 5 ma quasi sempre l'effetto è insignificante.

A ottobre dello scorso anno ARPA Piemonte ha presentato uno studio molto interessante che riporto in sintesi:

(estratto da www.arpa.piemonte.it/news/qualita-dell2019aria-e-clima-una-sfida-odierna-con-lo-sguardo-al-futuro)

Se ci soffermiamo sulle emissioni di inquinanti e gas serra a livello regionale:

il traffico è responsabile del
- 67% delle emissioni di ossidi di azoto (di cui il 92% è generato dai veicoli diesel);
- 32% delle emissioni di particolato primario (di cui il 67% legato a risospensione e usura di freni/pneumatici e 30% legato alle emissioni esauste del traffico diesel);
- 23% delle emissioni di CO2 equivalente (di cui il 71% legate ai veicoli diesel).

il riscaldamento è responsabile del
- 9% delle emissioni di ossidi di azoto;
- 53% delle emissioni di particolato primario (di cui il 99% è riscaldamento a biomassa, legna o pellet);
- 17% delle emissioni di CO2 equivalente (di cui l’81% legato agli impianti termici a metano).

l’agricoltura è responsabile del:
- 11% delle emissioni di particolato - sia per la combustione delle stoppie, che per la zootecnia (sistemi di stabulazione degli animali, movimentazione dei mangimi, residui di pelle e piumaggio degli animali, condizioni delle strutture di ricovero);
- 10% delle emissioni di CO2 equivalente, legato alle colture agricole che emettono protossido di azoto e CH4 (come risaie e foraggere) e alla zootecnia (in particolare per la fermentazione enterica dei bovini e per la scorretta gestione dei reflui da allevamento, che producono CH4).

L’industria, che se non è più un problema per quanto riguarda il particolato primario, lo è ancora in parte per gli ossidi di azoto (21%, di cui il 60% è legato alle combustioni industriali che usano il metano come combustibile, in particolare l’industria del vetro, del cemento le centrali termoelettriche), è il maggior problema per la CO2 equivalente (42%, di cui il 62% è legato alle combustioni industriali che usano il metano come combustibile, in particolare l’industria termoelettrica).

Leggendo questi dati ci si chiede per quale motivo sia solo e sempre il motore diesel il colpevole se gli inquinanti e climalteranti hanno una provenienza così varia, ma così vanno le cose e si potrebbe aprire una discussione sulla ricerca del capro espiatorio ma non è la sede.

Torniamo al punto iniziale: il Virus Sars CoV 2 può essere veicolato dal particolato? Non sono un medico e tanto meno virologo, leggendo autorevoli ricercatori è altamente improbabile in quanto il Virus deve legarsi ad una cellula per riprodursi, ha bisogno di ambiente umido e moderatamente freddo. E' una condizione che in Pianura Padana può verificarsi con nebbie e inversioni termiche tipiche degli anticicloni invernali, inoltre il particolato potrebbe funzionare da nucleo di aggregazione se composto da materiale igroscopico. La sua composizione è molto variabile, da composti organici altamente tossici tipo Benzo(a)Pirene fino a granuli silicei passando per gomma, carbonio incombusto ecc.

Dunque non lo possiamo escludere, ma è molto difficile. Credo invece che l'inquinamento possa essere una concausa, gli ossidi di azoto e il particolato non solamente PM10 ma anche il PM2,5 e PM1, ben più penetranti, possono creare situazioni di infiammazioni croniche a livello polmonare favorendo l'attacco virale. Non si può nemmeno trascurare che l'OMS nel 2016 ha dichiarato che solo in Pianura Padana ci fossero 71000 morti/anno per patologie ascrivibili all'aria inquinata e su questo non è mai stata dichiarata zona rossa tutta quest'area.

Un altro fatto mi ha colpito alla fine di Marzo: in condizioni di scarso traffico, minore produzione energetica, meno voli aerei i valori di PM10 sono schizzati su tutta la Pianura Padana, da Veneto/Friuli al Piemonte, a concentrazioni superiori a 100 anche in aree dove sono solitamente basse (colline e montagne). Cosa era successo? Ce lo siamo chiesti in molti e alcuni laboratori delle varie ARPA regionali hanno condotto delle analisi chimico-fisiche. Il particolato era composto principalmente da materiale inorganico, sabbie silicee. La spiegazione relativamente semplice andava vista come effetto meteorologico, in quei giorni eravamo in presenza di una circolazione retrograda con correnti da Est e Nord Est che hanno portato a sbattere nell'imbuto Padano masse d'aria provenienti addirittura dal Caspio.

Questo dato deve far riflettere, potrebbe spiegare perché quasi sempre i blocchi del traffico sono ininfluenti e perché comunque bisogna agire per ridurre l'inquinamento dalle varie fonti e non solamente dal solito imputato: il motore diesel.

Ridurre la mobilità creando le condizioni per il telelavoro stabile, ridurre gli spostamenti non indispensabili per contatti commerciali dove la teleconferenza è possibile, ridurre il turismo mordi e fuggi, lezioni a distanza e così via. Cose possibili come dimostrato in questi mesi. Vedo purtroppo che per alcuni aspetti si sta andando in direzione opposta, eliminare le zone a traffico limitato, togliere vincoli su motori inquinanti, ritardare la applicazioni di norme più severe su nuovi modelli di vetture.

La tentazione di far tornare tutto come prima, il crederlo prima di tutto, dimostra una miopia molto forte. Queste Zoonosi Pandemiche nascono dal nostro modo di vivere, questa è la quinta in vent'anni. L'inquinamento sappiamo da dove viene, i virus anche, sapremmo trarne insegnamento? In questi giorni l'aria pulita, i cieli azzurri e il silenzio che alcuni hanno apprezzato, potrebbero darci un suggerimento?

wm


venerdì 1 dicembre 2017

La Svizzera a 2000 Watt.

di Jacopo Simonetta

Il 4 ottobre scorso il Movimento Decrescita Felice e l’Associazione Italiana Economisti dell’Energia hanno organizzato a Roma, in Campidoglio, un’interessante convegno dal titolo: “ Modelli per la valutazione dell'impatto ambientale e macroeconomico delle strategie energetiche” (qui il link al sito per consultare tutte le relazioni).
In una serie di articoli cercherò di riassumere le presentazioni, tutte molto interessanti sia per le cose che sono state dette, sia per le cose che sono state taciute. Per prima vorrei qui trattare quella che il 4 ottobre è stata esposta per ultima, dal dr. Marco Morosini, perché, pur non avendo un contenuto tecnico rilevante, ha un contenuto politico potenzialmente rivoluzionario.

Di che si tratta?

Società a 2000 Watt” è un’idea elaborata nel 1998 da due politecnici federali: quello di Zurigo (ETH) e quello di Losanna (EPFL). Adottata nel 2002 come linea-guida dal governo federale e diventata legge locale nel 2008 a Zurigo, sempre tramite referendum (78% di si). Nel 2016 è stata approvata dal parlamento federale e nel 2017 resa attuativa con referendum nazionale (58% di si). In sintesi si tratta di porsi un obbiettivo vincolante: entro il 2050, ridurre i consumi pro-capite di energia di circa 2/3 rispetto ad oggi, portando le emissioni di CO2 a una tonnellata a cranio all'anno.

Perché è importante?

“Ridurre i consumi e le emissioni” è un mantra che oramai abbiamo sentito tante volte da dare la nausea, perché questa volta potrebbe essere diverso? Per svariate ragioni che si possono così riassumere:
1 - Non si tratta di una generica indicazione o di una dichiarazione di buoni propositi, bensì di una legge dello stato che stabilisce un obbiettivo preciso entro un tempo dato.
2 – Non si usano concetti vaghi ed elastici come “sostenibilità”, mentre si usano termini precisi: “Società” - significa che coinvolge tutti i cittadini in cambiamenti sostanziali - e “2000 Watt” - una quantità precisa espressa mediante un’unità di misura conosciuta.
3 – Si specifica che gli interventi dovranno svilupparsi secondo un ordine preciso di priorità: Primo ridurre i consumi di energia; secondo aumentare l’efficienza; terzo incrementare il ricorso alle rinnovabili; quarto uscire dal nucleare.

Il punto qualificante ed innovativo dell’intera faccenda è proprio che, per la prima volta in un documento governativo, si ha il coraggio di dire chiaro e tondo che gli obbiettivi non saranno centrati senza, per prima cosa, una diffusa adozione di stili di vita nettamente più sobri dell’attuale. Un fatto condensato con lo slogan “Fare meno con meno”, in contrasto con il “Fare di più con meno” di cui solitamente si parla. Insomma, dare finalmente la priorità alla Sufficienza sull'efficienza.
Naturalmente,  ben venga l’efficienza, ma solo in un quadro di riduzione programmata dei consumi finali; altrimenti non si farebbe che reiterare il perverso meccanismo che ha moltiplicato per 20 (circa) i consumi pro-capite dai tempi in cui Mr. Watt progettava le sue caldaie a vapore. E che ha finora vanificato qualunque tentativo di ridurre davvero le emissioni climalteranti.

Cambiare rotta

Finora, i tentativi di pianificare una reale riduzione dei consumi si sono puntualmente arenati su tre secche ideologiche principali:

Secca 1 – “La riduzione della prosperità materiale non necessaria perché l’aumento di efficienza ridurrà il consumo energetico”. Solo in teoria, perché durante tutta la storia dello sviluppo industriale lo smisurato aumento nell’efficienza delle tecnologie ha comportato un aumento e non una diminuzione dei consumi finali. Può sembrare strano, ma è così.

Secca 2 – “La riduzione del consumo energetico non è necessaria se si userà il 100% di energie rinnovabili.” Falso per due ordini di motivi: il primo è che anche le energie rinnovabili hanno impatti ambientali spesso considerevoli, mentre richiedono materiali rari e processi industriali energivori. Il secondo è che ad oggi le energie rinnovabili coprono poco più del 10% del consumo globale (principalmente con l’idroelettrico che è la tecnologia più efficiente, ma anche più impattante). Non è realistico pensare di poter rendere maggioritaria questa percentuale senza ridurre di almeno 2/3 i consumi finali.

Secca 3 –“La riduzione del consumo energetico e della prosperità materiale non sono possibili perché sono inaccettabili per la popolazione e per l’economia”. E’ stato vero finora, ma se gli svizzeri riusciranno a portare avanti il loro progetto, avremo l’esempio di un’intera nazione che accetta una contrazione economica pur di ridurre il proprio impatto sul pianeta!

Se gli svizzeri riusciranno a centrare gli obbiettivi è presto per saperlo, ma questa volta sono partiti col piede giusto e davvero è già tanto.

mercoledì 18 gennaio 2012

Scienza e resilienza







Tutte le mattine do un'occhiata sul web a quello che c'è di nuovo, e quasi tutte le mattine mi arriva addosso una nuova rivoluzione scientifica da capire e da valutare. Troppo per una testa sola, ma anche affascinante. Tutto quello che leggevo di fantascienza negli anni '60 e '70 si sta avverando, e anche cose che la fantascienza non si immaginava nemmeno.

L'ultima fiammata di innovazione che mi ha steso stamattina, la trovate qui:

http://www.sciencedaily.com/releases/2012/01/120108143559.htm

Leggetelo se avete cinque minuti. Questi sono capaci di usare una "macchina del tempo molecolare" per ricostruire i meccanismi molecolari delle proteine ancestrali e valutare come funzionano. E' veramente una cosa da fantascienza che è rilevante non solo per la biologia molecolare, ma per tantissime altre cose. Conclude il "senior author" Joe Thornton con un'osservazione che mi sembra fondamentale per quelli di noi che si dilettano a studiare i sistemi complessi:

"Non è quello che uno si aspetterebbe, ma è semplice: la complessità è aumentata perché si sono perse - e non guadagnate - delle funzionalità delle proteine. Proprio come nella società la complessità aumenta quando i singoli individui e le istituzioni si dimenticano di come essere dei generalisti e finiscono per dipendere da degli specialisti che hanno delle competenze sempre più ristrette"

Bene, questo non vi fa ricordare una cosa che ha detto Luca Mercalli a "Che tempo che fa"? "Resilienza!" Questa è la cosa che stiamo perdendo con l'aumento della complessità della nostra società. Resilienza è la cosa più importante che dobbiamo ritrovare.




(ringrazio Jules Burn di "The Oil Drum" per la segnalazione)

venerdì 22 luglio 2011

Il picco degli imbecilli


Per decollare e spargersi per il web, le leggende devono trovare un numero sufficiente di imbecilli che ci credono e che le ripetono. Ma non sempre questo succede: per esempio, la leggenda del "petrolio abiotico" non riesce ad attecchire in Italia; forse perché c'è stato un picco degli imbecilli? Può darsi, ma purtroppo altre leggende altrettanto strampalate, come quella delle scie chimiche e di un'era glaciale imminente, continuano a imperversare sul web.


Mi è capitato ultimamente di imbattermi in un sito curioso; intitolato "petrolio abiotico." Scusate se non vi do il link diretto, per evitare che qualche strampalato arrivi qui a far danni. Ma se cercate su google "petrolioabiotico" e "shooterinaction" quel sito lo trovate subito.

Bene, questo sito ha aperto il 4 Giugno di quest'anno con tutta la classica attrezzatura della bufala rampante. Parte dalla leggenda di base, quella del "petrolio abiotico", ovvero che il petrolio è sempre esistito in enormi quantità nelle viscere della terra. Ne consegue che la crisi del petrolio è tutto un complotto per farci pagare più care la benzina. I corollari sono vari insulti ai "disinformatori pagati" di ASPO (Colin Campbell, Jean Laherrere, il modesto sottoscritto e altri); al complotto delle multinazionali, ai vari tentativi di offuscazione della verità, eccetera, eccetera. Immancabile, poi, la menzione del "Club di Roma" come un'associazione di cospiratori dedicati alla conquista del mondo. E non sono solo insulti, ma si va anche sulle minacce fisiche, tipo "preparate i bastoni per prendere a randellate chi vi sta prendendo per il culo e vi fa pagare il carburante un occhio della testa!"

L'autore, rigorosamente anonimo con il nick di "shooter" (un nome, un programma) ci si è messo di buzzo buono a tradurre svariati articoli di anti-picchisti e abioticisti e ha pubblicato 18 post. Tutto lavoro sprecato perché nessuno lo ha minimamente c**ato. Non avendo trovato abbastanza imbecilli che gli abbiano dato retta, in un post datato 6 Luglio, Shooter annuncia la chiusura del blog, prendendosela con i lettori ai quali dice, "dovete morire." (Legge di Goodwin a parte, qui Shooter ricorda un po' Adolf Hitler nel suo bunker di Berlino che se la prende con i Tedeschi che non hanno combattuto abbastanza bene per lui!).

Non so dire come mai il web italiano, a differenza di quello in inglese, risulti nel complesso abbastanza refrattario alla leggenda del petrolio abiotico (per ora, perlomeno). Ci aveva provato inizialmente Roberto Vacca, deciso a rovinarsi in brevissimo tempo una solida reputazione che si era costruito in decenni di lavoro. Ma non aveva avuto successo nemmeno lui. Forse è perché la reazione è stata rapida e immediata. Forse, però, c'è stato veramente un picco degli imbecilli e dopo tanti esempi di stupide leggende che si spargono in giro, la gente comincia a farsi un tantino più furba.

In ogni caso, credo che la storia di "petrolioabiotico" sia abbastanza interessante come esempio di come nascono le leggende su internet. Sembra che ci sia uno schema generale in queste cose. Si parte da qualche idiozia; scelta però in modo tale da poter essere presentata come un complotto ai nostri danni e da scatenare odio settario nei riguardi di qualche categoria di persone. Ora, in "petrolioabiotico" per nostra grande fortuna non abbiamo visto formarsi la setta di credenti che invece infesta altri siti di leggende. Ci è andata bene, altrimenti avremmo in giro una banda di ragionieri, baristi, operatori ecologici, ciabattini e disk-jockey che si sono improvvisati geologi e che veleggiano per il web a sostenere che il fatto che la benzina costi così cara è tutto un complotto per imbrogliarci.

Tuttavia, ci sono casi dove il meccanismo di creazione di una setta di credenti ha funzionato molto bene. Uno dei più classici è quello delle "scie chimiche," l'idea che in qualche modo i poteri forti stiano sparando veleni mortali dagli aerei di linea. Oppure, quello del sito "New Ice Age" dove si racconta di una nuova era glaciale in arrivo. Il risultato è la nascita di piccole conventicole di persone che si raccontano fra di loro sempre le stesse cose e che - apparentemente - finiscono per crederci per davvero. Non è uno scherzo: là fuori ci sono veramente delle persone che credono alle scie chimiche e all'era glaciale imminente. Questi siti generano poi pattuglie di credenti che si sparpagliano per internet a raccontare la loro versione delle leggi dell'universo; nel processo insultando e minacciando chi non la pensa come loro.

Purtroppo, i meccanismi psicologici che creano queste forme di sbilanciamento mentale sono estremamente potenti e, soprattutto, perversi. E' ben noto che i membri di una setta reagiscano alle critiche "stringendo i ranghi" e confermandosi fra di loro ancora di più le loro strambe teorie. L'esempio classico è quello della setta dei "seekers" il cui leader, Dorothy Martin, aveva ricevuto un messaggio dagli extraterrestri che annunciavano il loro arrivo il 21 Dicembre 1954. In quel giorno, avrebbero imbarcato i membri della setta sul loro disco volante per salvarli da un cataclisma planetario imminente. Ovviamente, il 21 Dicembre 1954 non è successo nessun cataclisma e nessun extraterrestre è arrivato. Il bello è che, tuttavia, i membri della setta non hanno lasciato la setta dopo aver infamato la Martin come si sarebbe meritato. Anzi, si sono ancora più convinti di aver ragione e si sono messi con maggior fiducia ad aspettare l'arrivo degli extraterrestri che, secondo la Martin, era stato soltanto "rimandato". Lo studio dello psicologo Americano Leon Festinger su questo caso è affascinante, così come lo ha descritto nel suo libro "When Prophecy Fails" (quando la profezia fallisce). Dorothy Martin è morta nel 1992, continuando fino all'ultimo a ricevere messaggi dagli extraterrestri. Pare che qualche vestigia della setta da lei fondata esista ancora oggi, o perlomeno esiste un gruppo di Facebook (anche se vuoto) che si riferisce al nome dell'ultima versione della setta. Gli esseri umani, alla fine dei conti, non sono creature razionali.

In molti casi, le credenze di questi piccoli culti sono abbastanza innocue. Certamente, i "seekers" della signora Martin non facevano danni a nessuno, ma non è sempre così. Uno dei problemi è che i membri possono diventare aggressivi. Io, dal sito "New Ice Age" ho avuto minacce di morte, insulti vari, e invocazioni al mio licenziamento. Alcuni miei colleghi hanno avuto reazioni analoghe da parte degli sciachimisti. Da notare anche il caso del cappio mostrato pubblicamente al climatologo Hans Schellnhuber mentre faceva una conferenza. Per il momento, le varie minacce rimangono solo virtuali, ma cosa impedisce a qualche squilibrato di metterle in pratica? Si rischia poi che qualcuno utilizzi questi pazzoidi in buona fede per degli scopi oscuri, come è successo molte volte nella storia. Il caso delle brigate rosse dovrebbe farci pensare.

Un problema anche più importante con le sette pseudoscientifiche è quando cominciano a interferire in campi dove possono fare dei danni reali e concreti; come quando, per esempio, qualcuno pretende di curare il cancro con il bicarbonato. Nel campo della scienza del clima, l'azione di disturbo di questa gente costringe gli scienziati a un continuo lavoro di smentita e aggiunge ulteriore confusione alla campagna di disinformazione in corso.

Il problema nel gestire questo fenomeno sta nella reazione difensiva che già Festinger aveva trovato nel suo studio del culto dei "seekers". Le critiche vengono prese dai membri della setta come prova che esiste un complotto contro di loro. Così, ogni tentativo di dimostrare ai glacialisti che il pianeta si sta riscaldando è preso come una prova del complotto contro di loro in corso. Se si insiste, si passa poi a ricevere insulti, minacce e tutto il resto. E' ormai uno schema ben noto.

Allora, cosa fare? Ho paura che non ci siano soluzioni ovvie. I "seekers" di Chicago hanno continuato a credere per decenni all'imminente arrivo degli extra-terrestri. Questi che credono nell'era glaciale imminente continueranno a crederci anche bolliti. E' difficile dire se è meglio ignorarli o trattarli come si meritano. Ci possiamo consolare con il fatto che, di solito, le assurdità che questa gente racconta sono tali che non fanno molti proseliti e che - sperabilmente - si ritorcono contro di loro. Così, chissà che non arrivi davvero il picco degli imbecilli a fermarli, come è successo per "petrolioabiotico".

venerdì 1 luglio 2011

Meta-Cassandra



Come sapete, qualche mese fa mi sono messo all'anima di fare un blog in Inglese, "Cassandra's Legacy" che non è stato, per ora, una traduzione della versione Italiana ma un blog con tematiche originali; centrato soprattutto sulla modellizzazione del collasso delle civiltà.

I risultati sono interessanti. In termini di numero di lettori, la Cassandra italiana batte tuttora quella inglese, ma i miei post in inglese hanno una diffusione molto superiore. Quasi sempre, quando pubblico qualcosa su "Cassandra's Legacy" questa rimbalza su "the energy bulletin" alle volte compare su "Financial Sense" su "The Oil Drum" su "peakoil" e parecchi altri. Questi sono tutti siti internazionali, con impatto in termini di numero di lettori che è come minimo 10 volte superiore a quello di siti italiani, anche di moderato successo come "Effetto Cassandra". Non so quantificare quanta gente legga i miei post in inglese, ma se cercate "Ugo Bardi" su Google, il risultato è veramente uno sfracello di pagine.

Ora, tenere in piedi due blog insieme è un certo lavoro (anzi di più; perché scrivo anche su due altri blog: "nuove tecnologie energetiche" e "AspoItalia"). Vi dirò francamente che comincio a essere un tantinello stressato. Sto cercando di gestire le cose come posso; in particolare sto cercando di far convergere la versione italiana di Cassandra su quella inglese.

Mi spiego - ci sono molti post su Cassandra in Italiano che hanno scarso interesse per il pubblico internazionale; per esempio quando prendo in giro certi strampalati personaggi come "Gatto Silvestro" Claudio Costa. Viceversa, la maggior parte - se non proprio tutti - i post in inglese hanno interesse anche in Italia. In sostanza; cercherò di privilegiare la Cassandra anglo-sassone.

Questo implica un certo cambiamento di stile e di soggetto per il blog in Italiano. Finora, mi ero dedicato parecchio allo sbugiardamento dei diversamente esperti di clima. Opera che mi da una certa soddisfazione, ma è anche vero che far notare agli imbecilli la loro imbecillità raramente li fa rinsavire. Per cui, cercherò di allargare un po' la tematica e gli interessi di Cassandra-Italy per accogliere le traduzioni da Cassandra-International. Il risultato dovrebbe essere una specie di "Meta-Cassandra". E' una tendenza che forse avete notato già negli ultimi post.

Ovviamente, tradurre in italiano i post in inglese non è cosa da poco. Qualcosa ho fatto, ogni tanto. In più, ringrazio Massimiliano Rupalti che mi ha dato una mano per svariate traduzioni. Se qualche altro volontario ha voglia di darmi una mano, grazie!

Così, con meta-Cassandra proseguiamo verso mete ignote.