lunedì 4 maggio 2020

La scienza del Coronavirus dalla teoria alla pratica





Guest post di Fabio Vomiero

Mi ero ripromesso di non scrivere niente sul Coronavirus, visto che il panorama mediatico è già ampiamente affollato fino alla noia.

Poi però ho pensato che potesse invece trattarsi di una buona occasione per cercare di analizzare, in chiave epistemologica, l'incontro tra gli aspetti più teorici della scienza stessa e gli aspetti invece più pratici, quelli per esempio delle reazioni concrete del mondo scientifico di fronte ad una insolita emergenza, o quelli, ancora più interessanti, delle interconnessioni, spesso problematiche, tra scienza e società.

Cominciamo quindi dall'inizio. Una pandemia virale di origine zoonotica, originata molto probabilmente da una serie di comportamenti umani assolutamente deplorevoli, ampiamente pronosticata dalle scienze biologiche da almeno un trentennio, e che arriva dopo che i precedenti segnali di allarme, susseguitesi a pochi anni di distanza l'uno dall'altro, i casi SARS e MERS, non erano andati a buon fine, dalla prospettiva del virus, soltanto per via di qualche contingenza fortunata.

E questo è già il primo grande tema su cui riflettere: la scienza da una parte, che studia, indaga, capisce, conosce, predice scenari, individua rischi, e la società bulimica e intellettualmente limitata e miope dall'altra, che non riesce a guardare oltre l'orizzonte piatto del PIL, dell'economia e della finanza.

Vengono allora in mente una miriade di altre questioni analoghe: i cambiamenti climatici, lo sfruttamento e l'esaurimento delle risorse, l'inquinamento, la prevenzione dei danni da terremoti o da altri eventi estremi, il modello alimentare e dello stile di vita, gli OGM e altro ancora.

Ma il Covid-19 è comunque una novità nel panorama scientifico, è un virus nuovo, non lo conosciamo nel dettaglio, non ci sono cure specifiche nè vaccini, non abbiamo solidi dati epidemiologici disponibili, tuttavia, come spesso accade, la scienza trova e utilizza sempre i metodi e le conoscenze per poter operare nel miglior modo possibile.

Si costruiscono modelli, si fanno inferenze e ragionamenti, si individuano pattern ricorrenti, si trovano analogie con quello che già si sa, si elaborano le migliori ipotesi plausibili, si utilizza la mente allenata e preparata di gente che studia sistemi simili da tutta una vita, non si cade mai dalle nuvole come invece fanno la maggior parte dei politici e di tutte quelle persone che leggono soltanto i romanzetti d'amore, piuttosto che qualche buon libro divulgativo scritto da scienziati seri e preparati.

Ma il prof. Burioni dice una cosa, il prof. Tarro un'altra, la professoressa Capua un'altra ancora... Certo, è possibile, non è una cosa positiva, ma è possibile, semplicemente perchè nè Burioni, nè Tarro e la Capua sono "la scienza", ma soltanto alcuni esponenti umani della scienza stessa che, con tutti i loro pregi, i loro limiti, le loro ambizioni e il loro background culturale, decidono di esporsi al pubblico con ragionamenti anche rischiosi, così come ogni altro essere umano.

Bisogna quindi stare molto attenti di questi tempi, è per questo che anche nei confronti della scienza, prima o poi dovremo imparare necessariamente a "farci l'orecchio", allo stesso modo di come ce lo facciamo naturalmente e allegramente per la letteratura, la pittura o la musica.

Del resto, anche nel caso del Coronavirus, fin dal momento dell'inizio dell'epidemia si sarebbero già potuti tracciare, a grandi linee, i possibili scenari con le sole conoscenze scientifiche che già avevamo e che comunque sono state poi integrate velocemente dai risultati che man mano sarebbero arrivati da quella grande macchina di produzione di conoscenza che si chiama ricerca scientifica. Un sistema di lavoro creativo, intersoggettivo, universale, sinergico e proteso verso obiettivi comuni, che unisce gli scienziati negli intenti e nei metodi e dove certamente non mancano i dibattiti e le discussioni, seppure all'interno di linguaggi e contesti specifici e condivisi.

I problemi, infatti, non sono quasi mai rappresentati dalla scienza, siamo sempre noi, semmai, miseri esseri biologicamente simili a molti altri animali, che facciamo un uso spesso sconsiderato delle conoscenze scientifiche per creare i nostri "mostri", teorici o tecnologici che siano. Scienza e tecnica non sono per niente la stessa cosa anche se seguono dinamiche molto spesso interconnesse, ci vuole la massima chiarezza su questo punto.

Tornando al Coronavirus, per esempio, anche la creazione dell'ultimo gadget tecnologico, "App Immuni", non è affatto scienza, ma soltanto l'ennesima e misera dimostrazione di quanto, in effetti, le logiche della scienza continuino ad essere, purtroppo, ancora molto distanti da quelle di certa tecnologia e della società.

Nel caso di Immuni, per esempio, si tratta ancora una volta di quella diffusa trappola concettuale che tende a confondere la realtà, con il modello della realtà stessa.

Tutti i dati che abbiamo sull'epidemia, infatti, non sono dati reali, ma soltanto stime, modelli quantitativi che a fatica sviluppiamo per poter studiare e seguire in qualche modo il fenomeno. I numeri reali sono tutt'altra cosa e nessuno li conosce veramente, probabilmente il numero dei contagiati effettivi da Coronavirus potrebbe essere di almeno 3-4 volte superiore, ma ne sapremo certamente di più tra qualche mese.

Ma a parte l'allegorica trovata di Immuni e di qualcos'altro, una lancia a favore del nostro governo la vorrei comunque spezzare, perchè, nonostante gli errori ovvi e naturali che chiunque avrebbe commesso in una situazione del genere, i nostri rappresentanti hanno invece capito, con coerenza e intelligenza, che l'unico modo possibile per cercare di gestire e arginare al meglio l'emergenza sarebbe stato quello di ascoltare e avere fiducia nelle principali istituzioni scientifiche nazionali e internazionali.

Per esempio, l'epidemia nel nostro Paese è iniziata, come sempre accade, con una curva di aumento dei nuovi casi (incidenza) di tipo esponenziale, ma che ha raggiunto rapidamente il suo punto di flesso soltanto dopo un mese circa (esattamente una dozzina di giorni dopo l'inizio del lockdown), mentre i casi totali (prevalenza) hanno raggiunto, per il momento, un valore massimo che, tenendo conto di quel fattore 3 o 4, potrebbe essere stimato in almeno 600.000-800.000 casi.

Ebbene, 600.000 casi sono soltanto l'1% della popolazione italiana. Sapete quanti contagiati fa l'influenza, il cui modello epidemiologico dinamico diventa a questo punto molto interessante perchè, comunque sia, si tratta di un altro virus a RNA, a diffusione aerea come il Coronavirus e dall'indice di contagiosità apparentemente molto simile? 6 milioni almeno ogni anno, al netto di tutti i vaccinati.

Vogliamo quindi provare a tradurre una possibile ondata di 6-8 milioni di persone affette da Coronavirus nel giro di qualche mese, nel numero di pazienti da intubare in terapia intensiva o nei relativi morti? Ognuno si può fare il proprio semplice calcolino considerando che la percentuale di casi che necessitano di terapia intensiva è di circa il 10%, mentre l'indice di letalità è intono al 3%.

Ecco perchè l'attuazione di straordinarie misure di sanità pubblica, il cosiddetto "lockdown", che peraltro non è mai stato completo, è stata una scelta necessaria e fondamentale, proprio perchè in assenza di un vaccino o di un'immunità di gregge naturale, nonchè di cure specifiche, il distanziamento sociale e il rispetto di basilari regole igieniche e comportamentali sono diventati l'unica nostra possibilità di scampo.

Da questo questo punto di vista, pertanto, anche la cosiddetta "fase 2" diventa anch'essa un passaggio logico e razionale; si prova a riavviare gradualmente il sistema socio-economico, monitorando però attentamente la reazione dei dati epidemiologici e si rivaluta periodicamente. D'altra parte il virus circola ancora, e anche se subisce delle mutazioni e l'estate oramai alle porte ci darà certamente una mano, non c'è alcuna evidenza scientifica che sia diventato "meno potente"come qualcuno dice. Altro che riaprire tutto, quindi.

Un pò come si fa nel caso di una reazione allergica alimentare quando si devono togliere di colpo tutti gli alimenti sospetti per poi provare a reintrodurli, uno alla volta, per testare l'eventuale reazione del paziente.

E non fatevi nemmeno ingannare dalle costanti bufale, fake, interpretazioni superficiali di dati e fraintendimenti vari, che spesso spopolano nei media e nel web, come quando per esempio si racconta di Paesi dove tutti fiabescamente hanno continuato la loro vita normale e il virus non ha fatto alcun danno, o di altri, che pur avendo implementato qualche forma di lockdown, hanno poi riaperto tutto dall'oggi al domani senza il minimo fastidio. Anche perchè, ammesso che così fosse, gli eventuali danni si paleserebbero dopo almeno un paio di settimane, non il giorno dopo.

Pertanto, per evitare il rischio di guai ancora più seri, non è che abbiamo molte altre possibilità per il prossimo futuro. Del resto, tutto ha un costo nell'economia della vita e, in ogni caso, bisogna sempre fare delle scelte precise e spesso anche difficili, tra le molte possibili.

Dovremo quindi necessariamente imparare a convivere con il virus, almeno per un pò, osservando attentamente tutte quelle linee guida comportamentali dettate da chi studia da una vita le epidemie e la profilassi e, nel frattempo, osservare attentamente come risponderanno gli indici epidemiologici, in attesa della disponibilità quantomeno di un vaccino sicuro ed efficace, oppure di una sempre possibile attenuazione della contagiosità e/o della patogenicità del virus per cause naturali perlopiù imprevedibili.

E ai tanti amici "dissidenti concettuali", che presto fanno a parlare maldestramente di "dittatura", scientifica o politica che sia, vorrei quindi ricordare che l'alternativa a questa certamente impegnativa linea programmatica, sarebbe stata, con tutta probabilità, quella di avere invece un'emergenza sanitaria fuori controllo con una marea di morti e di malati che non si sarebbero potuti curare a causa della rapida saturazione delle strutture sanitarie.

Come se, fra l'altro, le molte migliaia di persone già decedute prematuramente in solitudine senza nemmeno il conforto dei propri cari, compresi medici e infermieri, e le molte altre migliaia di pazienti che hanno sofferto le pene dell'inferno per moltissimi giorni, immobili, da soli, e con un tubo infilato nella gola e con chissà quali conseguenze future, non fossero già abbastanza.


domenica 3 maggio 2020

Per una rilettura dell'antispecismo


Peter Wenzel - Adamo ed Eva nel paradiso terrestre

Guest post di Bruno Sebastiani

Un “amico” di Facebook, commentando il mio articolo su “Antivaccinismo e dintorni”, conclude dicendo: “Sarebbe davvero interessante una lettura dell'antispecismo dal punto di vista “cancrista”.
Detto fatto. Lo accontento subito, anche perché l’argomento è ben ricco di stimoli, tutti da approfondire.
Egli dice: “Obiettivo dell'antispecismo è superare le gerarchie delle specie. Non è un'ideologia, ma un dato scientifico, perché è la stessa scienza a dimostrare che non esiste una specie animale più importante di un'altra.”
Poi soggiunge: “Non è il caso di addentrarsi nelle motivazioni filosofiche ed etiche che stanno dentro al pensiero antispecista […] metterlo accanto ai no vax mi sembra qualcosa di molto azzardato se non addirittura molto superficiale”.
Effettivamente io avevo immaginato un unico ampio schieramento che raggruppasse tutti gli “anti” che si contrappongono alla società edonista – consumista, al fine di proporre la teoria cancrista come elemento “ideologico” unificante.
Ero consapevole della differenza che intercorre tra le varie anime di questo mondo, che definivo “variegato e combattivo”, ma in quella sede mi premeva concentrarmi più sulla proposta che non sull’analisi delle varie componenti.
Affrontare ora il discorso dell’antispecismo è l’occasione per fare un ulteriore passo avanti nell’opera di chiarificazione e di unificazione degli sforzi di tutte le cellule-uomo consapevoli della propria nocività per la biosfera.
I termini “specismo” e “antispecismo” risalgono al 1970 e da allora hanno trovato diffusione nel mondo ambientalista e, più specificamente, in quello vegano - animalista.
Ma i concetti che sottintendono sono vecchi come il mondo. In occidente è stato Aristotele il primo a teorizzare la superiorità della nostra specie su tutte le altre, come ebbi a ricordare nel mio primo libro: “Tutti gli uomini sono protesi per natura alla conoscenza”, questo l’incipit della Metafisica, e subito dopo viene confermata, come cosa ovvia e scontata, la superiorità dell’essere umano su tutti gli altri animali, alcuni dei quali sarebbero privi di memoria, e quindi non possono far tesoro dell’esperienza, altri non avrebbero capacità di imparare in quanto privi di udito. Quelli dotati di memoria e udito sarebbero capaci di imparare, ma nella loro vita “sono presenti soltanto immagini e ricordi, mentre l’esperienza vi ha solo una limitatissima parte; nella vita del genere umano, invece, sono presenti attività artistiche e razionali” (da “Il Cancro del Pianeta”, cap. 12)
Da lì in avanti ogni filosofo, ogni corrente di pensiero, indipendentemente dall’appartenenza ideologica, religiosa o culturale, ha sempre confermato la superiorità della specie Homo sapiens su ogni altra.
Prima di occuparmi di questa visione del mondo indifferenziata e totalizzante, vorrei soffermarmi sul fatto che la stessa era ovunque diffusa ben prima dei ragionamenti di Aristotele.
Questa considerazione non è affatto scontata. Infatti molti, in accordo con il mito rousseauiano del buon selvaggio, pensano che gli uomini primitivi vivessero in armonia con la natura, nel rispetto di ogni essere vivente.
Purtroppo non era così. O meglio: forse lo era prima che il nostro cervello subisse l’abnorme evoluzione che ci trasformò in quello che siamo, quando cioè eravamo dei semplici primati, come i gorilla e gli scimpanzè.
Da quando diventammo “homo”, prima “habilis”, poi “erectus” e infine “sapiens”, il nostro rapporto con flora e fauna è sempre stato conflittuale.
Le nostre accresciute capacità cerebrali ci servirono per organizzare battute di caccia più proficue e per ricavare dalla terra prodotti più abbondanti di quelli che potevamo raccogliere a mani nude nei boschi.
Ma questo riferimento alla caccia e all’agricoltura non rende bene l’idea delle estinzioni e delle devastazioni che abbiamo perpetrato ai danni della biosfera sin dai primordi.
In America distruggemmo la mega fauna, in Europa gli orsi, i lupi e ogni altro animale in competizione con noi per il cibo e in Nuova Zelanda i giganteschi moa.
Il tema è assai ampio. Rinvio chi volesse approfondirlo al mio articolo su “La distruzione della natura nell’antichità” o al sesto capitolo del libro di Stefano Mancuso “L’incredibile viaggio delle piante” (Editori Laterza).
Occupiamoci ora del “post Aristotele” e dell’idea, ovunque diffusa e pressoché unanimemente condivisa nei secoli, della superiorità della nostra specie su ogni altro essere vivente.
È vero, come afferma il mio amico di Facebook, che “è la stessa scienza a dimostrare che non esiste una specie animale più importante di un'altra”?
No, caro amico, purtroppo non è vero. Certo, la scienza non rileva differenze tipologiche, non dice, ad esempio, che l’uomo è dotato di un’anima immortale e gli animali no, che gli uomini provano sentimenti e gli animali no. Ma certifica qualcosa di ben più importante al fine di sancire la differenza tra noi e loro, per stabilire inequivocabilmente la nostra superiorità nei loro confronti: conta il numero dei neuroni e delle sinapsi all’interno del cervello, sia del nostro sia di quelli di ogni altra specie animale. Così facendo appura in modo matematico, inequivocabile e incontrovertibile, l’immensa superiorità quantitativa del nostro connettoma, ovvero della nostra intelligenza, rispetto a quella di ogni altra specie vivente.
È non è questo il tipo di superiorità, di importanza, che ci pone “di diritto” ai vertici della piramide gerarchica della biosfera?
Per chi volesse prendere visione di uno dei tanti articoli scientifici che attestano questa realtà, suggerisco di consultare quello che ho inserito tra i documenti del sito de Il Cancro del Pianeta, originalmente pubblicato su Frontiers in Neuroanatomy.
Sento già sollevarsi le proteste di chi dice: “Ma essere più intelligenti non significa avere maggiori diritti e poter disporre a piacimento della vita altrui! Anzi, significa avere più responsabilità nella salvaguardia dei diritti dei più deboli!
Santa innocenza! Ma se non è bastata la predicazione di Gesù Cristo, del Buddha e di Maometto per dare a questo mondo la giustizia, se non sono bastate la Rivoluzione americana, quella francese e quella comunista per tutelare i diritti dei più bisognosi (e parliamo di uomini…), come ci si può illudere che i nostri contemporanei, sempre più sotto pressione a causa di sovrappopolazione, esaurimento delle risorse, inquinamento e riscaldamento globale, si prodighino per alleviare le sofferenze degli animali?
Sarà un caso, ma queste sofferenze sono proprio aumentate a dismisura da quel 1970 in cui si cominciò a parlare di “antispecismo” (più probabilmente si cominciò a parlarne proprio perché qualcuno si avvide delle sofferenze che avevamo iniziato a infliggere agli animali su vasta scala).
Gli allevamenti intensivi si sono moltiplicati e si sono estesi anche al mondo acquatico. Certo, nel frattempo sono stati chiusi un po’ di zoo e forse è diminuita qualche esibizione ferina nei circhi. Ma queste operazioni di facciata nascondono un mondo di sofferenze animalesche che si è enormemente dilatato.
Come affrontare dunque il problema da un punto di vista concettuale per dare all’antispecismo delle basi ideologiche più solide di quelle velleitarie che lo hanno sin qui contraddistinto?
La mia proposta è la seguente:
1) abbandonare l’idea che tutte le specie siano uguali e abbiano pertanto diritto ad occupare il medesimo posto nella scala gerarchica della biosfera. Non lo sono, come abbiamo visto, per intelletto (punto principale), ma non lo sono neppure per dimensioni né per capacità di accesso al cibo (è la cosiddetta catena alimentare a stabilire chi sta alla base e chi ai vertici del processo nutritivo);
2) riconoscere che l’essere umano, a seguito di fortuite alterazioni intervenute nel suo patrimonio genetico, ha conseguito capacità cerebrali maggiori di ogni altro essere vivente (vedasi -tra i vari riferimenti- l’articolo a suo tempo pubblicato su Wired da Viola Rita con i link da me aggiunti alla relativa documentazione scientifica);
3) prendere atto che queste capacità cerebrali hanno creato gravissimi danni all’ambiente, dimostrando che l’essere umano è in grado di sbilanciare a proprio vantaggio gli ultra-delicati equilibri della biosfera, ma non è assolutamente capace di ricreare un equilibrio complessivo altrettanto stabile come quello distrutto, indispensabile al mantenimento della vita sul pianeta;
4) ammettere che una siffatta attività è del tutto analoga a quella svolta dalle cellule del nostro organismo quando da sane si trasformano in tumorali a seguito di fortuite mutazioni nel loro materiale genetico. Ciò comporta l’alterazione irreversibile dell’equilibrio tra la proliferazione e la morte cellulare programmata (omeostasi) e dà luogo a una divisione cellulare incontrollata, con la conseguente distruzione dei tessuti sani adiacenti e poi di quelli più remoti attraverso le metastasi;
5) dedurre da quanto precede che le capacità cerebrali maggiori di cui al punto 2), lungi dal costituire la causa della superiorità della specie Homo, sono l’elemento che ne determina la nocività, avendolo trasformato in agente distruttore della biosfera.
A questo punto specismo e antispecismo assumono un significato diverso da quello che siamo soliti attribuire a queste due categorie. Non dobbiamo combattere il primo in nome della parità delle specie, ma dobbiamo riconoscere che le differenze tra le specie esistono. Dobbiamo però prendere atto che solo una (la nostra) ha rotto il patto di alleanza con la natura, mentre tutte le altre, pur nella loro diversità, hanno sempre vissuto rispettando l’equilibrio interspecifico inscritto nel loro DNA (non considero qui i comportamenti abnormi degli animali addomesticati o destinati alla macellazione, in quanto indotti dalla specie umana).
Definirsi cancristi anziché antispecisti significa dunque aver fatto un passo in più sulla via della consapevolezza (si veda in proposito la presentazione del mio libro “Il cancro del pianeta consapevole).
Siamo specisti perché riconosciamo che le differenze tra le specie esistono e siamo cancristi perché riconosciamo che l’unica nociva per la biosfera è quella umana.
Dopodiché chi è sensibile al benessere del mondo animale continuerà ad adoperarsi per alleviarne le sofferenze e chi non lo è (la stragrande maggioranza della popolazione) continuerà a comportarsi come prima.
Ma per cercare di convincere questi ultimi a modificare i propri comportamenti non dobbiamo sostenere che tutte le specie sono uguali.
Dobbiamo dimostrare che la nostra è dannosa, che siamo il cancro del pianeta!

giovedì 30 aprile 2020

Ma è bene imbrogliare i gonzi per il loro bene? L'opinione dei miei studenti

Collage di titoli assurdi sulla stampa italiana da "Berlino on Line." Non è vero niente: il contagio NON è riesploso in Germania, La Germania NON torna alla fase 1, NON sta succedendo nulla in Germania che possa "spaventare l'Europa". Tutti i parametri dell'epidemia sono in discesa in Germania, come ovunque in Europa e anche in Italia.


Prima ci hanno raccontato che succedeva chissà quale strage in Svezia perché non avevano fatto il lockdown. Ci hanno detto addirittura che gli Svedesi avevano messo in atto delle misure eugenetiche per sterminare i loro vecchi. Due giorni fa, invece, ci hanno raccontato che in Germania l'epidemia, misurata dal fattore R0, aumenta di nuovo perché sono usciti dal lockdown.

Sono tutte balle. Se vi incuriosice, guardate i dati (cortesia di Alessia Scopece). Vedete che in Germania il fattore R0 oscilla un po' ma non è aumentato. Anzi, diminuisce.


Quello che mi ha scosso di questa storia non è tanto che la nostra stampa ci abbia raccontato delle balle clamorose. E' come tantissimi ci hanno creduto. Questo lo vedete bene dai commenti sui social media, ma vi posso dire che l'altro giorno un mio collega, ricercatore universitario, mi ha scritto in completa serietà qualcosa tipo, "Sono preoccupato: hai visto cosa è successo in Germania?" 

Ora, non mi metto a disquisire con i colleghi, molti dei quali hanno superato da un pezzo la soglia della non-criticabilità. Ma ho deciso di fare una piccola prova con i miei studenti. Ragazzi in gamba che si sono già fatti 4 o 5 anni di studi, anche abbastanza pesanti. Come reagiscono a queste notizie?

Beh, diciamo che i risultati non sono stati incoraggianti. Tutti avevano letto o sentito dire che l'epidemia aveva ripreso in Germania e nessuno veramente ne dubitava. Una volta che gli ho fatto notare che la storia non era vera, gli ci è voluto un po' di tempo per accettare l'idea che una notizia che appariva sulla prima pagina di tutti i quotidiani poteva essere una balla totale.

Ma la parte interessante è venuta dopo. La loro reazione "a pelle" è stata di dire, "si, è vero, è una balla. Ma gli italiani sono troppo stupidi e indisciplinati per comportarsi bene se non li spaventiamo un po'"

In altre parole, è lecito per il governo imbrogliare i gonzi per il loro bene. Il buffo della faccenda è che gli studenti non si sono veramente resi conto che i gonzi erano loro, perché ci erano cascati in pieno.

E mi sa che questa opinione sia diffusa a tutti i livelli. Il governo ci considera degli imbecilli da imbrogliare per il nostro bene e noi stessi accettiamo di essere imbrogliati per il nostro bene (forse) perché tutto sommato la cosa ci tranquillizza e ci evita la fatica di dover verificare che cosa ci raccontano. 

Ma così vanno le cose. Che ci volete fare?






Pensieri sul virus. Il terrore sparso a piene mani è servito soprattutto a coprire i guasti di chi ha gestito l’epidemia.


Come tutti i "guest post" che appaiono su questo blog, anche questo rappresenta le opinioni dell'autore e non necessariamente quelle del gestore del blog, Ugo Bardi. Ma questa lettera che ho ricevuto dal Dr. Moriconi mi è parsa contenere molti spunti di riflessione interessanti, per cui ve la propongo con il suo permesso.



Guest post di Enrico Moriconi

Caro Professor Bardi,

Innanzi tutto le segnalo, da Garante dei diritti degli animali della Regione Piemonte, lo starno caso per cui gli animalisti criticano la scienza e Garattini sulla vivisezione ma poi accettano le parole di Burioni. Perché un atteggiamento discordante, Garattini no e Burioni si? Non lo so. Non sono un complottista però non credo che ci abbiano fornito tutte le notizie correttamente. L’ultimo articolo del Corriere della Sera vuole essere una pietra tombale sul virus di laboratorio però, praticamente dice che l’oste – i ricercatori – garantiscono che non è il virus del laboratorio ma io non ho visto la sequenza del virus di strada confrontata con quello del laboratorio.

Non ho neppure sentito da parte degli animalisti la condanna della metodica di studi che creano nuovi virus. Chiediamoci perché e come sono fatti gli studi. Tutti orientati sui wet markets, da eliminare, dimentichiamo la sorte dei pipistrelli e , forse, dei pangolini, che saranno stati sacrificati nelle ricerche. La gestione della vicenda. Hanno imposto il confinamento in casa, chiamato più elegantemente lokdown per dare un tono di importanza giustificandolo con i numeri dei contagiati e terrorizzando con i morti senza neppure considerare i dati di morbilità e mortalità. Rispettando ogni singolo morto dopo quasi due mesi di clausura emergono dati che la sconfessano. Le persone sono state contagiate per il 44 per cento nelle RSA e per il 24 per cento in casa.

Quindi hanno fermato gli italiani per poco o nulla. Anche perché i dati sierologici che stanno emergendo dimostrano che la percentuale di coloro che hanno avuto il virus, perché la sierologia rileva la presenza di anticorpi attivati dal virus, significa che la percentuale di contagio è stata molto più alta rispetto ai casi individuati e di conseguenza che la patologia è meno pericolosa di quello che si è diffuso. Quando si tireranno le somme risulterà poco più nociva delle influenze che colpiscono ogni anno. Le cartine dei giornali con tanti stati con il colore rosso scuro (rosso uguale pericolo) non si basano su dati comparati con le altre cause di morte, ma erano valori assoluti un modo per terrorizzare le persone. I dati veri e realistici devono prendere in considerazione la percentuale delle persone colpite rispetto alla popolazione e quella dei deceduti rispetto alla popolazione e agli infetti.

Quando le persone con sintomi erano 189973, 25549 sono decedute,con una percentuale di mortalità di circa il 13 per cento degli infetti; rispetto alla popolazione italiane i morti sono , con quel numero, una percentuale tra lo 0,04 e lo 0,045 per cento, cioè più o meno 4000 ogni dieci milioni di abitanti. Gli infetti sono lo 0,31 % della popolazione. Di fronte a numeri che rappresentano una sofferenza per i colpiti e le loro famiglie, che però, non sono numeri eclatanti si è sparso il terrore a piene mani con grafici tinti di rosso che esaltavano il senso della gravità ma non rappresentavano la realtà, come dimostrano i dati precedenti. La gestione dei dati è significativa per chi vuole comprendere: quando dovevamo stare in casa si puntava l’attenzione sul numero crescente dei contagi e dei morti, per diminuire la pressione improvvisamente sono calati i morti e si dedica poco spazio al fatto che i contagi rimangono alti. I morti però, purtroppo, non sono conteggiati ovunque con gli stessi criteri: in Italia se c’era il virus e la persona moriva per un’altra patologia, il decesso era attribuito al virus.

Meriterebbe verificare i dati secondo i quali le morti attribuibili unicamente al virus sono estremamente bassi. Come qualcuno diceva dall’inizio il virus provoca una forma che può essere grave ma lo è di più se i servizi sanitari non hanno strumenti e sbagliano le cure. Un esempio di come il terrore viene usato è la responsabilità dell’inquinamento. Che i polmoni delle popolazioni del nord Italia, immersi nei fumi siano più compromessi di chi vive in regioni meno inquinate è una riflessione logica così come i polmoni debilitati siano più facilmente attaccabili da un virus che ha il suo punto principale di azione in quell’organo. Invece di collegare questo semplice dato, la notizia che viene pubblicata è che il particolato delle automobili veicola il virus, peraltro senza verifiche ufficiali. La colpevolizzazione dello smog segnalerebbe un dato epidemiologico, buono anche per decidere politiche ambientalmente corrette, la notizia del particolato stimola la paura e sostiene l’obbligo di stare in casa. Due pesi, due misure: a chi , come il professor Bardi, segnalava la corrispondenza tra zone ad alto inquinamento, come la Lombardia e il Belgio e la gravità della forma virale si rispondeva che non erano articolati accertati scientificamente mentre la notizia del particolato viene proposta come veritiera prima della validazione. Aspettiamo la prima critica del virologo di turno alla pubblicazione sulla rivista Elsevier dello studio che mette in relazione inquinamento e gravità del corona virus.

Il terrore sparso a piene mani è servito soprattutto a coprire i guasti di chi ha gestito l’epidemia. Ci sono dati che il virus circolava ben prima di quando sono state intraprese le misure, e il tempo intercorso non è stato utilizzato per predisporre strumenti di prevenzione, quali dettare norme igieniche e neppure dotarsi dei famosi respiratori. Con un normale decorso tipico delle forme virali, passando da individuo a individuo, la virulenza può essersi modificata e accresciuta. Certo stupisce non poco lo strano connubio che unisce molti governi mondiali e che induce a prudenza nei giudizi anche da parte di persone che di base non rinunciano al senso critico. Una risposta si può ipotizzare nel senso che a tutti i governi, anche quelli democratici del terzo millennio, che prediligono la cosiddetta democrazia decidente, che suona un poco come dittatura democratica, non dispiace se vi sono motivi per spegnere le critiche e i commenti negativi e se la paura delle propria vita fa passare in secondo piano la mancanza e la precarietà del lavoro, la predominanza delle multinazionali che ormai determinano le vicende delle nazioni, anche perchè, come ha detto da tempo Jacques Attali, per ora governano per mezzo dei politici ma nel prossimo futuro governeranno loro.

mercoledì 29 aprile 2020

La Cassandra Furiosa: chiusi i commenti sul blog

La profetessa in persona mi è apparsa in sogno, arrabbiatissima, direi anzi incavolata nera. Umilmente, eseguo i suoi ordini.  (immagine da "TVtropes")


Gentili lettori/lettrici e commentatori/commentatrici

Scusate, ma ho pensato che sia meglio chiudere i commenti di questo blog. Sfortunatamente, ho visto un evoluzione che ha fatto diventare i commenti una zona piuttosto tossica per sfoghi di vario tipo, dal razzista al complottista.

Capisco bene che molti di noi sono frustrati e stressati e che hanno bisogno di sfogarsi. Ma questo tipo di commenti non aggiunge nulla al blog e non è utile al lettore che per caso si trova a leggerli. Neppure credo che spetti a me, umile avatar della profetessa, il mestiere di censurare questo o quel commento, cosa che finisce sempre per essere arbitraria.

Quindi -- una pausa di lunghezza temporale indeterminata, vedremo come evolvono le cose. Per il momento non stanno evolvendo, semmai "involvendo" ma tutto quello che succede, succede perché doveva succedere. Non sono il solo blogger catastrofista che alla fine non ne ha potuto più -- lo ha fatto anche Antonio Turiel con il suo blog "The Oil Crash", dopo che i commentatori erano passati addirittura alle minacce personali.

Mi preme ringraziare i commentatori che sono stati meno tossici di altri, in particolare "Mago" (*) che si è costruito una sua visione proprio sui commenti. In gran parte non la condivido, ma la trovo interessante. Anche "Madre Terra" e altri hanno fatto del loro meglio per fare dei commenti sensati. Per loro e per altri non-tossici: se volete mandarmi dei commenti in forma di post da pubblicare, potete scrivermi.

E andiamo avanti in questi tempi molto difficili. Speriamo bene.


Saluti a tutti/e

Ugo Bardi
ugo.bardi(coronavirus)unifi.it


(Ah.... se siete fra gli "autori" del blog potete ancora commentare. Mago, se mi scrivi ti ci metto)

lunedì 27 aprile 2020

I numeri dell'epidemia: come buttarsi nudi nel cespuglio dei rovi per raccogliere le more



Nel mondo anglofono, il gesto della figura si chiama "facepalm" e indica quando uno è talmente stupito dall'idiozia incontrata che non può fare di meglio che mettersi le mani nei capelli. Non so se sul sole lo hanno scelto con questa idea, ma si applica molto bene all'articolo che illustra.



Anche le idee buone vanno realizzate con un minimo di criterio per non fare come quello che si era buttato nudo dentro il cespuglio dei rovi. Dopo, raccontò che lo aveva fatto perché gli era sembrata una buona idea per raccogliere le more.

Qualcosa di simile mi sembra sia successo con alcuni articoli che cercano di confrontare l'eccesso di mortalità rispetto agli anni passati per farsi un idea del numero di vittime causate dall'epidemia di coronavirus. E' una buona idea, ma va usata con un minimo di attenzione per verificare che i dati siano quelli giusti.

Mi riferisco all'articolo pubblicato dal "Sole 24 Ore"  a firma di di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi, con il titolo: "L’economia ferma e il dubbio sui decessi in Italia". Di queste cose ho già parlato: diciamo che Becchi e Zibordi sono cascati nudi nel cespuglio delle more facendo esattamente lo stesso errore che hanno fatto quelli del sito "Disquisendo", che è un sito di sciachimisti e cialtronate varie che neanche vi linko per carità di patria.

Così, Becchi e Zibordi si sono beccati e zibordati una precisazione da ISTAT che dice:
. . .  suggerisco agli autori dell'articolo di utilizzare sempre fonti ufficiali di dati per le loro analisi e non quelli tratti da fonti non accreditate (come il sito italiaora.org), le quali oltretutto oltre ad usare dati errati in merito ai decessi in Italia nel 2020 non corredano le informazioni pubblicate con metadati e riferimenti dettagliati sull'origine e le modalità di aggiornamento delle stesse.  
In aggiunta alla spazzolata ricevuta da ISTAT, l'articolo di Becchi e Zibordi è stato sbufalato in molteplici siti, Per esempio su Left o anche da Gianni Catalfamo.

Ora, a parte i cespugli dei rovi e le more, mi viene da domandarmi come sia possibile che tanto del dibattito si basi su dati presi più o meno a caso qua e la, incompleti e interpretati male. Non sarà che il virus prende anche il cervello della gente? Oppure non sarà che c'è in giro l'idea di screditare tutti quelli che in qualche modo cercano di verificare l'interpretazione ufficiale sulla base dei dati? In ogni caso, il pubblico riceve informazioni frammentarie e confuse e non riesce a rendersi conto di cosa stia veramente succedendo con l'epidemia. E mi sa proprio che neanche i decisori politici al governo se ne rendano conto.

Qui, francamente, l'ISTAT avrebbe potuto e dovuto fare di meglio. Va bene sbufalare le fesserie, ma avrebbe potuto attrezzarsi per tirar fuori dei dati aggiornati che avessero valore rappresentativo di quello che sta succedendo a livello nazionale. Chiaramente, non spetta all'ISTAT fare diagnosi sulle cause di morte, ma se per una ragione qualsiasi la mortalità aumenta in Italia, chi se non l'ISTAT dovrebbe lanciare il cambiamento d'allarme? Si spera che ci stiano pensando per la prossima emergenza.

E a questo punto, speriamo che il governo ci dia il permesso di andare a cogliere le more, questa estate. Nudi, ma con la mascherina.




venerdì 24 aprile 2020

Antivaccinismo e dintorni


Demetrio Cosola, La vaccinazione nelle campagne, 1894

Guest Post di Bruno Sebastiani

Parlare di natalismo / antinatalismo o di diete vegane / onnivore è come entrare in una cristalleria in sella a un elefante. Comunque ti muovi fai danni.
Eppure io ci ho provato, con due specifici articoli (“È meglio essere nati o sarebbe stato meglio non essere mai nati” e “Carne o non carne? Siamo animali vegetariani o onnivori?”) e, tutto sommato, credo di essermela cavata abbastanza bene, limitando al minimo i danni (solo qualche bicchiere rotto, e di scarso valore).
Incoraggiato da queste esperienze positive ho deciso di inoltrarmi in un altro campo minato, quello dei vaccini.
L’argomento è quanto mai di attualità, tenuto conto dell’emergenza sanitaria in corso e della speranza che tanta parte della popolazione ripone in un vaccino prossimo venturo, in contrasto con la chiassosa minoranza no-vax.
L’argomento è oltremodo spinoso, perché implica l’estrinsecazione di giudizi di valore non solo sui vaccini in se stessi, ma anche su tutte le grandi scoperte che in campo medico hanno consentito di aumentare la speranza di vita di miliardi di persone.
Una questione veramente scottante, ancor più delicata se si tiene conto che il tema della salute è uno dei pochi intorno al quale vi è consenso unanime da parte di tutti, forze politiche, componenti culturali, movimenti religiosi ecc.
Persino i no-vax si oppongono ai vaccini in quanto li ritengono inutili o, peggio, pericolosi per la salute, non già perché salvando vite umane contribuiscono alla sovrappopolazione del pianeta.
Eccoci dunque subito giunti al nocciolo della questione: i no-vax perseguono lo stesso fine dei “vaccinisti”, ovvero la maggior salute possibile per il maggior numero possibile di esseri umani. Solo che lo perseguono in modo diverso, mettendo in risalto i rischi, veri o presunti, connessi alla somministrazione dei vaccini.
In quegli aggettivi, veri o presunti, si cela la sostanza dell’argomento, che quindi è di natura esclusivamente e squisitamente scientifica.
Se fosse acclarato che i vaccini contribuiscono alla difesa dello stato di salute della popolazione senza eccezione alcuna e che, a contrariis, in assenza dei medesimi tale stato di salute decadrebbe fatalmente, la querelle sarebbe risolta, nessuno più si dichiarerebbe no-vax.
Ma le eccezioni esistono, non potrebbe essere diversamente.
Cionondimeno l’efficacia dei vaccini è dimostrata statisticamente in modo più che ampio. Malattie come il vaiolo, la poliomielite, la difterite, il tetano sono state debellate pressoché totalmente grazie alla vaccinoprofilassi. Altre affezioni sono tenute validamente sotto controllo con la vaccinoterapia.
Dopodiché tra i milioni, miliardi di vaccinazioni eseguite, qualche “incidente di percorso” si è verificato in passato e certamente si verificherà in futuro.
I nostri organismi non sono tutti uguali e i singoli preparati vaccinali non sono sempre perfetti al 100%. Come in tutte le cose umane vi è sempre un margine di errore e di imprevedibilità.
Così pure sappiamo che gli interessi economici dettano legge anche nel campo della salute e le industrie farmaceutiche non sono certamente degli istituti filantropici.
Ma attaccarsi a queste “microfessure” del sistema per mettere in discussione la solidità dell’intero edificio rappresenta, da parte dei no-vax, una posizione estrema, sinceramente indifendibile.
Un conto è la critica contingente di singoli aspetti, un altro la negazione della efficacia dei vaccini tout court.
Il discorso potrebbe dunque chiudersi qui.
Ma sarebbe un’occasione sprecata.
Credo infatti che il variegato e combattivo mondo antinatalista, vegano, animalista, antispecista, no vax ecc. meriti una considerazione tutta particolare per l’impegno e la passione con cui affronta le sue battaglie.
Ne parlo come di un unico schieramento perché ritengo che le idee e le azioni di tutti questi “attivisti – estremisti” siano collegate da un sottile filo rosso, anche al di là degli intendimenti dei diretti interessati.
Un loro denominatore comune è certamente la critica alla società industriale e consumista. Un altro è l’avversione per la dittatura dell’economia. Un altro ancora è la forte repulsione per l’opera di devastazione della natura compiuta da Homo sapiens.
Ce ne è abbastanza per tentare di fare un discorso onnicomprensivo.
Quali sono i punti di forza e quelli di debolezza di questo mondo, così variegato e combattivo?
Il punto di forza è sostanzialmente uno: la crisi di valori che sta attraversando il modello di vita occidentale, oramai divenuto il modello di riferimento per tutta la popolazione mondiale.
I punti di debolezza sono diversi.
In primo luogo la negatività del punto di forza, ovvero il fatto che le varie frange dello schieramento si riconoscono nella critica al modello industriale-consumista ma non hanno alle spalle una comune ideologia né un metodo di analisi storica condiviso.
Vi è così un ecologismo marxista, un altro cristiano, un altro anarco-primitivista e così via.
Inoltre, alla frammentazione ideologica se ne aggiunge un’altra di tipo contenutistico.
Vi è chi difende i diritti degli animali, chi si oppone ai vaccini, chi è contro la sovrappopolazione, chi lotta contro l’alta velocità, chi protegge determinate specie animali in pericolo di estinzione, chi si oppone alla deforestazione, chi si batte per i diritti dei più deboli, chi è contro la vivisezione ecc. ecc.
Non che le singole posizioni siano in contrasto le une con le altre, ma di fatto l’impegno dei singoli si esplica su una pluralità di fronti e, come ben sa chi si occupa di strategia militare, per vincere le battaglie occorre concentrare l’attacco in un determinato punto dello schieramento avversario, evitando di disperdere le forze in mille direzioni.
Infine un altro punto di debolezza, forse il più rilevante, di questo mondo è la contiguità con movimenti e personaggi di dubbia credibilità, professionalmente dediti al sensazionalismo, alla ricerca delle cause occulte e della dietrologia ad ogni costo, i complottisti a oltranza, quelli delle scie chimiche, dei cerchi nel grano, dell’uomo che non è mai sceso sulla luna, dei servizi segreti che hanno abbattuto le torri gemelle ecc. ecc. (per carità di patria ometto di parlare di terrapiattismo!)
Signori: non c’è bisogno di cercare spiegazioni strambe a una realtà che sta di fronte ai nostri occhi e che è ben visibile sia da chi contesta questo sistema sia da chi lo sostiene.
Per fornire un canone interpretativo basato unicamente sul buon senso e quindi alla portata di ogni intelletto ho sviluppato il Cancrismo, la teoria secondo cui il nostro comportamento su questa terra è analogo a quello delle cellule tumorali nel corpo dell’ammalato di cancro.
L’immagine non deve spaventare. L’analogia ha unicamente lo scopo di far aprire gli occhi ai candidi speranzosi in un futuro migliore.
Assumendo come punto di partenza la nocività di Homo sapiens quale diretta conseguenza dello sviluppo del suo cervello che gli ha consentito di contravvenire alle leggi di natura, tutta la storia del genere umano può essere riletta in ottica regressista.
Ogni progresso dell’indagine filosofica, delle scienze, della tecnica anziché rappresentare un successo di cui vantarsi è da intendere come un avanzamento nell’edificazione di un mondo artificiale sempre più avulso dall’armonia naturale della biosfera.
Questi progressi hanno consentito proprio quella crescita numerica indifferenziata della popolazione che è all’origine della malattia del pianeta.
In tale ottica tutto trova la sua logica spiegazione.
Non è il mangiar carne il delitto, ma il mangiarla in quantità industriale, costringendo miliardi di poveri animali a una vita del tutto innaturale.
Del mangiar vegetali nessuno ha mai detto che sia un delitto, ma io soggiungo che invece lo è aver iniziato a coltivare i campi per procurarseli artificialmente e in gran quantità.
Non è l’aver tanti figli il delitto, ma l’aver alterato il rapporto nascite / morti innescando l’aumento iperbolico della popolazione.
La rivoluzione agricola è la prima responsabile di questo stato di cose, dopodiché qui si inserisce nuovamente il discorso dei vaccini, insieme a quello degli antibiotici e dei tanti farmaci salvavita di cui ci gloriamo. Sono i secondi responsabili del grande balzo della sovrappopolazione, unitamente alle nuove condizioni igienico sanitarie e organizzative della società contemporanea.
Da notare che la necessità di particolari presìdi sanitari, tra cui i vaccini, deriva dal fatto che la diffusione di molte malattie avviene per contagio, ed è quindi favorita dal concentramento di molti esseri in spazi ristretti, situazione tipica delle città.
Prova ne sia che per arginare la diffusione della recente pandemia si è fatto ricorso al distanziamento sociale e all’isolamento, situazione in cui vivevano abitualmente gli uomini primitivi e anche gran parte dell’umanità in epoca pre-urbana.
Dobbiamo dunque predicare l’abolizione dell’agricoltura, dei vaccini e di ogni altra cura medica?
Ovviamente no. Ci siamo incamminati su una via che non può essere percorsa a ritroso e non è in nostro potere di esseri intelligenti il comportarci come se non avessimo l’intelligenza, che è la causa di ogni male.
L’unica cosa che possiamo fare è di cercare di tirare un po’ i freni, di modo che la nostra folle corsa verso il collasso rallenti e consenta a qualche generazione in più di esseri viventi di godere del poco che resta di quello che un tempo era chiamato paradiso terrestre.
Per ogni approfondimento sul Cancrismo vi rinvio al sito de “Il cancro del pianeta”.