martedì 29 settembre 2020

Bibbia e Olobionti: in un mondo dove più nessuno legge, proviamo a tornare alla comunicazione orale

 

 
Cliccando sull'immagine, o su questo link,  arrivate a un nuovo video che ho messo sulla mia pagina di Youtube. Si parla di sistemi compless, di Olobionti, e della storia biblica di Tamar e Judah. Cosa c'entrano queste cose messe tutte insieme? Per scoprirlo, dovete guardare il video
 
 
Dopo molte elucubrazioni, sono arrivato alla conclusione che la società "alfabetizzata" sta scomparendo. Non so cosa ne pensate voi, ma quasi tutti quelli che conosco non leggono ormai quasi più nulla salvo quegli spezzoni di frasi che gli arrivano nei vari social media. E dal livello grammaticale di certe conversazioni, si arriva a capire che stiamo lentamente, o forse rapidamente, perdendo quell'alfabetizzazione generale che veniva considerata una conquista qualche decennio fa. Sembra che la grande maggioranza o non sa leggere, o non gli interessa più.

Forse è una perdita, ma forse anche no. Siamo veramente sicuri che una società complessa non può esistere se la popolazione non sa leggere? Certamente, stiamo sviluppando dei metodi di comunicazione sempre più efficaci e che si basano sempre di meno sul testo. E quindi vediamo il dilagare di media come Youtube, mentre Facebook, ancora basato parecchio sul testo, sta chiaramente perdendo terreno. Forse, se Facebook dovesse essere sostituito da Youtube, non sarebbe poi un così gran danno. In fondo, nella storia umana, la frazione di persone capaci di leggere e scrivere è quasi sempre stata minuscola. 

Quindi, accettiamo le cose che non possiamo cambiare e andiamo avanti. Prendiamo atto che la gente non legge più e proviamo a comunicare oralmente. Qui vedete un mio tentativo di fare qualcosa del genere, producendo un video che è quasi tutto semplicemente parlato, senza immagini. E' una semplificazione voluta, ispirata in parte dai video di Roberto Mercadini (che anche lui spesso parla di Bibbia!)

Il risultato di questo tentativo è questo primo video (link) dove si parla di Bibbia e Olobionti (scusate per qualche glitch nell'audio). Vedete un po' cosa ve ne pare e commentate su Youtube, oppure qui, sul blog di Cassandra. 






giovedì 24 settembre 2020

Il Cancrismo e l'amore per la vita

 


Accusare l’uomo di essere il cancro del pianeta secondo alcuni può sottintendere una forma smisurata di misantropia se non addirittura di odio verso la vita in generale.

Nulla di più sbagliato per quanto riguarda il Cancrismo, la teoria che da anni mi sforzo di sostenere e di divulgare, che esprime invece la posizione opposta: l’odio per la forma deviata di vita che l’evoluzione abnorme del cervello ha indotto nella nostra specie nasce dall’amore più profondo e sviscerato per la vita, così come sul nostro pianeta si è sviluppata in milioni e milioni di anni.

Il secondo capitolo del mio libro “L’impero del cancro del pianeta” si intitola “La sinfonia della vita” e cerca di stabilire un parallelismo tra l’armonia regnante in natura e la maestosità delle composizioni dei più grandi musicisti. L’alterazione genica che ha provocato la nostra disgraziata crescita cerebrale è assimilata alle stonature che possono intervenire a seguito di errori interpretativi.

“[…] pensiamo cosa accadrebbe ad una sinfonia di Beethoven se qualche presuntuoso orchestrale decidesse da un certo punto in poi di sostituire ogni “la” con un “sol”, o ogni “do” con un “si”, o di effettuare modifiche ancor più cervellotiche.

L’armonia si spezzerebbe e il risultato sarebbe disastroso.

Ebbene è ciò che noi abbiamo fatto con la natura della biosfera. E la sinfonia della vita rischia ora di trasformarsi in un tragico concerto per la fine del mondo.”

Perché l’amore per la vita?

Essenzialmente per tre ordini di motivi.

Il primo motivo è di natura estetica. La contemplazione della natura, animata e inanimata, è fonte di godimento per la vista e per ogni altro senso che ne sia coinvolto. Non potrebbe essere diversamente, poiché anche noi siamo natura e i nostri canali “percettivi” si sono co-evoluti insieme a ogni altra componente del mondo naturale: sentiamo di farne parte e ne siamo attratti. Restiamo immobili e sbalorditi di fronte alla maestosità della foresta, al fascino del bosco, all’imponenza delle catene montuose, del mare e dinanzi a ogni altro fenomeno che accade al di fuori delle distese di cemento che ormai purtroppo ci circondano. La riprova di questo godimento estetico si ha proprio in relazione alla triste visione delle periferie urbane. Ma, attenzione! Anche da questo impietoso contrasto si può trarre qualche elemento a sostegno della tesi sin qui sostenuta. Taluni ammirano le forme ardite di alcuni edifici ultra-moderni e molti sono affascinati da antiche costruzioni (pensiamo alle cattedrali gotiche): ebbene, queste realizzazioni dell’ingegno umano appaiono tanto più godibili alla vista quanto più richiamano forme, spazi e armonie proprie del mondo della natura. Non profili squadrati e linee rette, ma curve sinuose e un’infinità di decorazioni che riportano alla mente la vegetazione rigogliosa della selva primordiale. Emblematiche al riguardo le opere di Gaudì e, ancor più vicino a noi, i palazzi del cosiddetto “bosco verticale” recentemente edificati a Milano. Qui la superiorità estetica del mondo della natura rispetto a quella del nostro mondo artificiale è addirittura sancita dal tentativo di inserire la prima nella seconda.

Il secondo motivo è di natura intellettiva. Ogni fenomeno della natura è per noi fonte di immenso stupore. Abbiamo le capacità cerebrali più elevate tra gli esseri viventi e osserviamo l’accadimento di fatti che non saremmo mai stati in grado di progettare e men che meno di realizzare. La più intima riprova di questa affermazione sta proprio nella nostra stessa esistenza. Siamo venuti al mondo inconsapevolmente e poi, quando è stato il nostro turno di dare la vita ad altri esseri, lo abbiamo fatto altrettanto inconsapevolmente. Siamo l’anello di una catena, il tramite per la concretizzazione di organismi ultra-complessi che accudiamo amorevolmente ma della cui realizzazione non siamo minimamente responsabili. E così pure osserviamo ogni altra manifestazione della natura, dallo sbocciare di un fiore all’opera delle api sino ai più complessi rituali amorosi delle varie specie viventi, il tutto finalizzato unicamente alla perpetuazione di quella stupefacente realtà che chiamiamo vita. Ciò per noi è fonte di incredula ammirazione e di affascinata contemplazione che non può fare a meno di tradursi in amore per tale realtà.

Il terzo motivo è di natura psicologica. Oltre ad essere soggetti “osservanti” noi siamo anche e soprattutto soggetti “senzienti”. Il che significa che riceviamo sensazioni di ogni tipo dal mondo esterno, le immagazziniamo nel nostro cervello e le traduciamo in emozioni, sentimenti, stati d’animo e così via, come accade per ogni specie animale. La gioia, il dolore, il piacere sono solo alcune tra le infinite manifestazioni che si possono produrre in noi dall’incontro – scontro tra il mondo della natura e la nostra psiche. Alcune di queste manifestazioni inducono dolore e sofferenza, ma si tratta di una parte minoritaria. Non possiedo dati statistici al riguardo e credo che nessuno ne abbia, ma facendo affidamento sul semplice buon senso ritengo che l’esistenza della maggior parte degli esseri umani (e assai di più di quelli non umani!) sia prevalentemente contraddistinta da condizioni di buona salute e quindi di benessere esistenziale. È una delle leggi dell’evoluzione: ciò che apporta vantaggi procede, ciò che apporta svantaggi retrocede. Una sensazione che rende bene l’idea di come la nostra vita (e quindi anche quella degli altri viventi) sia da amare è l’euforia che ci pervade a primavera, al risveglio di tutte le componenti del mondo della natura. Quello è il momento in cui la vita rinasce dopo il letargo invernale e mostra con maggior vigore la potenza che la pervade. Siamo trascinati da tale spettacolo, ne restiamo affascinati e queste sensazioni si traducono nel profondo amore che proviamo nei confronti della vita.

Questi motivi sussistono a prescindere dalla disgraziata opera di devastazione della natura che stiamo compiendo. Per un evento tanto fortuito quanto sfortunato la crescita abnorme del nostro encefalo ci ha trasformati in cellule tumorali della biosfera. Ma questa triste realtà non deve indurci a odiare ciò che stiamo distruggendo, come pare facciano gli adoratori della modernità. Città non è meglio di campagna. Cemento non è meglio di terra. Rumore non è meglio di silenzio. Solo un profondo amore per la vita e per la natura è alla base della teoria cancrista: se si sostiene il diritto dell’uomo a dominare e devastare la natura si è dalla parte del cancro; se si nega questo diritto si è dalla parte della vita.


sabato 19 settembre 2020

L'EPIDEMIA NEGLI STATI UNITI: TANTA POLITICA, MA COSA SUCCEDE VERAMENTE?


 
Ci stiamo avvicinando alle elezioni presidenziali del 3 Novembre negli Stati Uniti con la pandemia che continua a giocare un ruolo fondamentale nel dibattito. I dems non hanno nessuna remora a utilizzare il virus come alleato politico per demonizzare Trump, presunto responsabile di un genocidio pianificato a tavolino (vedi sopra, un attacco propagandistico tipico). Quanto a spaventare la gente, ci stanno riuscendo benissimo, con gli Americani che sovrastimano la mortalità da Covid di oltre un fattore 100! Ma può anche darsi che la strategia del terrore gli si rivolti contro se i loro elettori spaventati staranno a casa piuttosto che andare a votare (il problema si pone anche in Italia). 
 
Ma, a parte la propaganda cosa succede veramente negli USA? Se esaminiamo i dati, vediamo che la situazione non è così disastrosa come i media la dipingono e come molta gente in buona fede crede che sia. La mortalità negli Stati Uniti è molto simile a quella Italiana, ed è anche chiaramente in discesa. Quelli che leggono questo blog sanno che il meccanismo di diffusione delle epidemie segue la "Legge di Hubbert" e tende a mostrare delle "curve a forma di campana" per il ciclo di crescita e declino. E' quello che vediamo negli Stati Uniti, dove la curva ha la forma di un doppio picco che risulta dalla disomogeneità geografica della regione. In sostanza, l'epidemia se ne sta andando, come era ovvio che succedesse: nessuna epidemia dura in eterno. E questo potrebbe giocare a favore di Trump

Qui di seguito, un articolo che ho scritto per il sito  di "Pillole di Ottimismo" l' 11 Settembre 2020 (i grafici sono aggiornati)


 
 

Di Ugo Bardi -- Docente presso il dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze dove si occupa di modelli matematici applicati all'ecosistema e al cambiamento climatico. (1)

 Post pubblicato sul sito Facebook di "Pillole di Ottimismo" 11 Settembre 2020


 💊💊💊La pandemia negli Stati Uniti ha avuto fin dall'inizio un forte risvolto politico, con la sinistra democratica che accusa Trump di piani di sterminio e la destra repubblicana che agita lo spettro di una dittatura sanitaria. In realtà, se è vero che gli USA sono stati colpiti abbastanza pesantemente dal Covid-19, i danni non sono stati peggiori che in molti paesi Europei. Anche negli USA, l'epidemia sembra avviarsi verso la sparizione. Ma la polemica politica non finirà tanto presto! 💊💊💊

 

L'interpretazione politica della pandemia da Covid-19 è presente in tutti i paesi del mondo, incluso in Italia. Ma negli Stati Uniti ha portato a uno scontro particolarmente acceso fra repubblicani e democratici in vista delle elezioni presidenziali in arrivo a Novembre.

L'amministrazione del presidente Trump ha privilegiato fin dall'inizio le attività economiche rispetto a provvedimenti come lockdown, chiusure, eccetera. Abbiamo anche visto l'ala estrema "Libertarian" dei Repubblicani scendere a volte in piazza senza mascherina e imbracciando fucili automatici per protestare contro le restrizioni.

Dalla parte opposta, la sinistra democratica non ha usato mezzi termini nell'accusare Trump di piani di sterminio. Per esempio, a Marzo il "Daily Beast" parlava di 1,8 milioni di vittime del covid che avrebbero dovuto essere il risultato delle politiche dell'amministrazione Trump (2).

Questa polarizzazione politica è stata certamente aggravata dai media, che hanno fatto del loro meglio per disinformare i cittadini Americani con il loro sensazionalismo e la mancanza di scrupoli (10). Il risultato è stato disastroso: Secondo una recente inchiesta (3), la percezione media degli americani sovrastimava di oltre un fattore 200 (!!) il numero delle vittime dell'epidemia. Ovvero, la stima media fatta dagli Americani era di 30 milioni di decessi mentre il totale al tempo dell'inchiesta era meno di 150mila. Va detto che gli Europei non hanno fatto molto meglio (purtroppo mancano i dati per l'Italia).

Ma, a parte le esagerazioni dei media e la polemica esasperata, cosa è successo veramente negli Stati Uniti? Senza voler dire bene di Trump, che ha tutti i difetti che sappiamo, diciamo che l'epidemia negli USA non è andata peggio che in altri paesi.

I grafici dei decessi e dei casi giornalieri e dei decessi negli Stati Uniti sono mostrati in fondo a questo post. Vi raccontavo in un post precedente (4) di come l'andamento delle epidemie segue normalmente una curva "a forma di campana." La curva cresce rapidamente all'inizio, poi rallenta, inverte la tendenza, e alla fine va a zero. Questo è un andamento che si è visto bene in molti paesi europei. Negli Stati Uniti, si è visto qualcosa di simile, ma con due "campane" abbastanza separate, in corrispondenza a una prima e una seconda ondata. La seconda è stata molto meno intensa della prima in termini di mortalità giornaliera (5).

 



 Grafico 1 da https://www.worldometers.info/coronavirus/

Abbiamo visto anche una seconda ondata di "casi" intesi qui come numero di test positivi. 

 

Grafico 2 da https://coronavirus.jhu.edu/testing/individual-states,

Entro certi limiti queste due ondate negli USA somigliano al caso italiano, dove abbiamo visto recentemente un aumento del numero dei casi positivi. Ma ci sono delle differenze: in Italia, la seconda ondata non ha generato un aumento significativo dei decessi giornalieri. Negli USA, invece, l'aumento della mortalità era evidente già una settimana dopo l'inizio della tendenza all'aumento dei casi.

Questi andamenti differenti si spiegano abbastanza bene sulla base dei dati disponibili. In Italia, l'aumento dei casi positivi è correlato principalmente (anche se non soltanto) all'aumento del numero dei test. Negli Stati Uniti, invece, la seconda ondata è principalmente il risultato delle differenze geografiche.

In America, l'epidemia di Covid è arrivata prima nelle città della costa Est, che sono la zona più "Europea" degli USA. Lì ha seguito un ciclo di crescita e declino simile a quello che si è visto in Europa. Poi, si è diffusa negli stati centrali che sono un mondo diverso, socialmente ed economicamente. Qui, l'ondata del virus si è mossa più lentamente, formando appunto la seconda "campana" della curva.

E' chiaro che l'epidemia negli USA non è ancora finita, ma potete anche vedere che la seconda campana dei decessi ha avuto un suo massimo verso i primi di Agosto e ora è in evidente declino. Meno chiara la forma dei casi positivi ma, come sempre, sono numeri che dipendono dal numero dei test fatti. Se guardate il rapporto fra positivi e test, vedete che è in netto calo (6), un'altra indicazione che l'epidemia è in declino.

Estrapolando i dati disponibili sulla base del concetto di "curva a campana", la mortalità dell'epidemia negli USA si potrebbe assestare intorno ai 200mila decessi che, rapportato ai 330 milioni di abitanti corrisponde a circa lo 0.06% della popolazione. E' un valore praticamente uguale a quello dell'Italia con 35.000 morti su 60 milioni di persone. Nella classifica mondiale dei decessi rapportati alla popolazione, secondo "worldometer," gli Stati Uniti si piazzano al momento all'undicesimo posto. Fanno meglio di paesi Europei come l'Inghilterra, la Spagna, ed il Belgio.

Se però volete essere pessimisti, potete guardare le proiezioni di IHME (6) che parlano di circa 400mila decessi negli USA a fine anno nello "scenario corrente". Ma tenete conto che l'IHME usa modelli che si sono rivelati per niente affidabili (7). Infine, notate che ogni anno negli USA muoiono quasi tre milioni di persone per tutte le cause. Comunque vada, la mortalità dovuta all'epidemia di Covid-19 rimarrà ben al di sotto di questi valori.

A questo punto, dovremmo parlare delle misure di contenimento, argomento oggetto di infinite polemiche negli USA proprio come da noi. Qui, però, la storia è complicata con i 50 stati dell'Unione che hanno preso tutti misure diverse, in date diverse, con risultati diversi. I cosiddetti "Stati Rossi" (maggioranza repubblicana) hanno preso misure generalmente meno restrittive degli "Stati Blu" (maggioranza democratica), ma trovare una correlazione significativa con l'andamento dell'epidemia non è cosa ovvia. Ne sapremo di più quando il ciclo sarà veramente finito e -- soprattutto -- dopo le elezioni di Novembre.

Quello che possiamo dire è che l'epidemia ha fatto danni spaventosi all'economia degli USA (8). Una vittima illustre della contrazione è stata l'industria petrolifera americana, in particolare quella che si dedica all'estrazione del cosiddetto "petrolio di scisto" ("shale oil"). Questo petrolio è un elemento fondamentale della strategia che il presidente Trump ha chiamato "dominio energetico" ("enegy dominance"). Ma lo shale oil è una risorsa costosa e la contrazione della domanda ha messo in grave difficoltà i produttori. Per il momento, si legge solo di chiusure, licienziamenti, tagli alla produzione, e cose del genere. Non si sa se e come l'industria si potrà riprendere nel futuro, ma è probabile che la recente fase di crescita rapidissima della produzione petrolifera americana sia finita per un pezzo (9).

Il caso degli USA ha molti elementi interessanti anche per la nostra situazione, soprattutto per cercare di capire quale sarà l'effetto a lungo termine dell'epidemia sulla situazione politica e su quella economica. In ogni caso, è difficile aspettarsi cose buone dalle elezioni in arrivo con l'opinione pubblica così pesantemente frastornata dai media. Consoliamoci pensando che comunque vada l'epidemia sembra in calo nel mondo (4).

 

1. https://ugobardihomepage.blogspot.com/2016/04/ugo-bardis-personal-home-page.html
2. https://www.thedailybeast.com/trumps-crazy-coronavirus-math-will-kill-as-many-as-18-million-americans
3. https://www.kekstcnc.com/media/2793/kekstcnc_research_covid-19_opinion_tracker_wave-4.pdf
4. https://ugobardi.blogspot.com/2020/09/buone-notizie-dal-mondo-comincia-il.html
5. https://www.worldometers.info/coronavirus/country/us/
6. https://coronavirus.jhu.edu/testing/individual-states/usa
7. https://covid19.healthdata.org/united-states-of-america?view=total-deaths&tab=trend
8. https://www.cnbc.com/2020/08/27/us-gdp-q2-2020-second-reading.html
9. https://oilprice.com/Energy/Crude-Oil/US-Oil-Dominance-Is-Coming-To-An-End.html

 


domenica 13 settembre 2020

Carrelli del Supermercato in Plastica Colorata. Malvagità allo Stato Puro o Tecnologia Avanzata?

 

Quando mi sono trovato davanti questo aggeggio, l'ultima volta che sono stato a fare la spesa al supermercato, la prima impressione è stata di trovarmi di fronte a una manifestazione di malvagità allo stato puro - Sauron l'oscuro davanti a me nella sua livrea colorata di arancione. 

Cosa ci sarà mai stato di male nei vecchi carrelli d'acciaio, mi sono detto? L'acciaio si ricicla bene, anche se viene disperso nell'ambiente non causa grossi danni, poi, comunque ha un certo valore di scarto per cui c'è una certa convenienza a recuperarlo da parte di quelli che lavorano con i rottami di ferro. Perché sostituirlo con la plastica, anche se più bella e colorata?

Certo, sicuro, la parola magica è "riciclare" -- la plastica si ricicla. Si, in teoria, ma mentre l'acciaio ha un certo valore di scarto, la plastica no. Il riciclo della plastica è un costo che qualcuno si deve accollare. Ora, sicuramente il supermercato che ha acquistato questi carrelli non credo che li voglia buttare nei cassonetti. Questa roba dovrebbe andare normalmente al circuito dei rifiuti speciali, dove può darsi che venga riciclata oppure che venga avviata agli inceneritori. In ogni caso, nessun processo di riciclo della plastica è efficiente al 100%. Qualcosa va sempre perso e mi posso immaginare certamente di trovare qualcuno di questi bei carrelli arancioni in qualche bosco dove nessun ferrivecchi andra mai a recuperarlo. 

Poi, cosa vuol dire riciclare? Vuol dire che dalla plastica dei vecchi carrelli si fa granulato di plastica dal quale si possono fare altri oggetti di plastica. Di solito, la plastica riciclata ha un colore grigiastro molto brutto ed è di cattiva qualità per tante ragioni. Per questo, la si usa per oggetti di scarso valore, tipo cassette della frutta o vasi da fiori. Bene. Ma di questi oggetti, poi, cosa se ne fa? Ben che vada, finiscono in un inceneritore a produrre gas serra. Più probabilmente, finiscono dispersi nell'ambiente e ce li ritroviamo nelle cose che mangiamo. 

Questo vuol dire che fare dei carrelli di plastica è davvero il lavoro di Sauron l'oscuro? Forse no, c'è una logica nei carrelli di plastica. Potete ritenerla perversa ma è una logica -- o perlomeno ci potrebbe essere. 

Uno dei punti critici dei supermercati attuali è il "collo di bottiglia" delle casse, dove i clienti devono perdere un sacco di tempo a tirar fuori gli oggetti dai carrelli per poi rimetterceli. Avrete notato che hanno provato un sacco di metodi per evitare di dover fare questo "giro di cassa" (letteralmente) e poter finalmente licenziare le cassiere: scanner individuali, scontrino fai-da-te, e altre cose. Ma nessuno ha mai veramente funzionato. 

Allora, ecco l'ideona: la trovate scritta qui: https://www.polycartgroup.com/old/it/rfid.htm - nel futuro, tutti i prodotti venduti al supermercato avranno etichette RFID (Radio-frequency identification). L'etichetta RFID è un trasmettitore passivo: sottoposto a un segnale radio, ritorna un segnale che si può decodificare con un numero che corrisponde alla merce etichettata. A differenza del "bar code" l'RFID non deve necessariamente essere visto dal raggio laser maneggiato dalla cassiera. Il problema è che i carrelli di acciaio danno interferenze con le schede RFID, ed ecco la ragione del carrello in plastica. E' in preparazione all'etichettatura RFID. 

Ora, però c'è un problemino: da quello che ho letto su questo argomento, anche con le schede RFID non è che puoi semplicemente buttare tutta la spesa dentro il carrello e passare dal sensore. Le varie schedine interferiscono fra di loro e quindi devi comunque mettere ogni prodotto separatamente su un nastro che passa dal sensore. Se è così, tanto valeva utilizzare il carrello di acciaio.

A questo punto, è difficile dire se il carrello arancione in plastica sia un'idea intelligente verso un miglioramento tecnologico, oppure un'idea di marketing da quattro soldi ispirata da Sauron, il signore dell'oscuro. Quello che è certo è che il progresso tecnologico non va necessariamente verso un miglioramento dell'ambiente. 

Un'altra cosa certa è che si prospettano tempi duri per chi fa la cassiera/il cassiere al supermercato. Ma così va la vita: chissà se i robot-cassiere saranno di plastica o di acciaio?

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Nota aggiunta dopo la pubblicazione:
 
Non è che io voglio fare l'orco mangia-plastica. Ho telefonato alla Conad per sentire che politica di riciclo hanno con questi carrelli. La persona che mi ha risposto non ne aveva la minima idea. Le ho chiesto se c'è un ufficio relazioni con il pubblico, ma mi ha detto che non esiste. Le ho chiesto se potevo domandare a qualcuno, e mi ha detto "guardi sul nostro sito" -- le ho detto che avevo guardato, ma non avevo trovato niente. Al che mi ha detto, "provi a domandare al negozio dove ha visto quei carrelli" -- saluti e arrivederci. Beh, così vanno le cose.



lunedì 7 settembre 2020

Perché no all'estinzionismo


Nuovo mondo, dopo l'estinzione umana, di Cristina de Biasio

Uno dei “cancristi della prima ora”, il mio amico Antonio Zaffaroni, mi scrive: “Ciao Bruno, a corollario della tua eccezionale opera pongo l'estinzione della specie umana come unica e moralmente doverosa cura al cancro che ha quasi ucciso la biosfera. A questa conseguente e a mio avviso logica conclusione vi arrivai prima che ci conoscessimo. C'è un motivo particolare per il quale non tratti mai di estinzionismo? Con molta stima, Antonio
Non potendo riassumere la risposta a questo importante quesito in un breve messaggio di “whatsapp”, ho promesso ad Antonio che avrei dedicato alla questione uno specifico intervento, ed è ciò che mi accingo a fare.
Iniziamo col dire che non è proprio vero che non ho mai trattato l’argomento.
Nel mio ultimo libro, “L’impero del cancro del pianeta”, nella appendice dedicata ai precursori del Cancrismo, vi è un paragrafo intitolato “Natalismo e antinatalismo”, dove, in estrema sintesi, definisco l’antinatalismo un “atto contro natura”, come effettivamente è.
Nel primo libro (“Il cancro del pianeta”) vi è il capitolo “Le improponibili soluzioni al problema della sovrappopolazione” con una curiosa tabella in cui si mostra come in meno di mille anni ci si estinguerebbe se solo ogni coppia generasse un solo figlio.
In un caso e nell’altro definisco le soluzioni difficilmente praticabili e del tutto innaturali, implicanti cioè situazioni lesive delle condizioni di vita a cui saremmo stati destinati se fossimo rimasti cellule sane del pianeta.
La politica del figlio unico condurrebbe a una società di vecchi, decadente per definizione. Inoltre verrebbe realizzata non già per restituire alle altre specie ciò che è stato loro tolto, bensì per consentire all’essere umano di continuare a sfruttare le risorse scemanti.
Ma non è questo il punto che interessa ad Antonio. Egli è più drastico, parla di estinzionismo tout court. Sa bene che finché rimarrà anche un solo uomo con il suo cervello ipersviluppato sulla terra, costui cercherà di continuare a sfruttare le altre specie.
Come non ricordare a questo proposito i bei versi di Giorgio Caproni, che terminano così: “Come / potrebbe tornare a essere bella, / scomparso l’uomo, la terra.” (in “Versicoli quasi ecologici”).
Sulla stessa lunghezza d’onda si trova il “Movimento per l'estinzione umana volontaria” (in inglese VHEMT).
Il ragionamento sottinteso da tutti coloro che predicano l’estinzionismo (in verità assai pochi) si può riassumere nei seguenti punti:
·        sul pianeta Terra, per una serie di combinazioni del tutto fortuita, è nata la vita
·        pur nel continuo cambiamento, la natura ha sempre provveduto a mantenere l’equilibrio tra le varie specie viventi
·        a causa di un’alterazione, anch’essa fortuita, nel DNA di un determinato primate, è nato il mondo artificiale, che ha eroso spazi al mondo naturale in quantità via via crescente
·        l’unico modo per restituire al mondo naturale la sua integrità è eliminare la causa del mondo artificiale, e cioè l’uomo.
Non si può negare che il filo di questo ragionamento si dipani in modo inappuntabile.
Tuttavia c’è da tener conto di un particolare non del tutto trascurabile, e cioè che i soggetti della auspicata estinzione siamo noi, io, tu, i miei figli, i tuoi figli e così via!
Come pensare di trovare consenso intorno a una teoria che auspica l’annientamento tuo, dei tuoi figli e dei tuoi nipoti?
E senza consenso come potrebbe avvenire l’autoestinzione della specie?
Gli “estinzionisti” sono rigorosi all’estremo, ma proprio a causa di questo loro estremismo non potranno mai contare sul consenso della maggioranza della popolazione, anzi sono inesorabilmente destinati a rimanere infima minoranza.
Il Cancrismo invece si propone di fornire una ideologia coerente alla gran massa di giovani che si è mobilitata di recente in tutto il mondo a difesa dell’ambiente.
Questi ragazzi non vogliono estinguersi, vogliono che la loro generazione possa vivere su questo pianeta e che possibilmente lo possano fare anche altre generazioni. Perché ciò accada occorre modificare stili di vita e di consumi, rinunciare agli sprechi e a tante altre cose inutili che ci hanno condotto sull’orlo del baratro.
In una parola dobbiamo “decrescere”. Sotto questo profilo il Cancrismo è allineato con i movimenti di Serge Latouche e di Maurizio Pallante.
Stiamo parlando delle cure palliative da somministrare all’ammalato terminale di cancro? Con ogni probabilità sì, ma comunque ben vengano.
La cosa importante è che ci sia la spinta a decrescere, e perché ciò accada la motivazione deve essere forte, molto forte, più forte dell’egoismo di specie che ci contraddistingue.
Occorre, in breve, ribaltare l’intera considerazione che Homo sapiens ha della sua intelligenza, dimostrandogli che anziché essere una scintilla divina o una mirabile opera della natura essa è stata un tragico errore del processo evolutivo della vita, una via “svantaggiosa” imboccata casualmente da madre natura.
Così iniziava il mio primo articolo di presentazione della teoria (“Il cancro del pianeta: una teoria inquietante per scuoterci dal fatalismo progressista che ci attanaglia”) e questa è ancora la via da seguire: dimostrare, dati alla mano, che la situazione è sempre più tragica (e questo lo fanno in molti, compresi il Papa, tanti Capi di Stato e tanti scienziati), che ha potuto verificarsi in conseguenza delle accresciute capacità elaborative del cervello umano (e questo lo fanno in pochi) e che quindi questo accrescimento è da considerare negativamente (e questo non lo fa nessuno).
Se molti, moltissimi, capissero questa triste realtà, sarebbe relativamente semplice tirare un po’ i freni di questa macchina che sta andando a folle velocità verso il dirupo.
Tirare i freni significa prendere tempo. Anche se la macchina non può fare inversione di marcia, andare più lentamente può dare alla biosfera un po’ di respiro e può consentire a tutti gli esseri viventi di prolungare un poco la loro permanenza su questo pianeta.
In breve dovremmo fare nostro il motto di Alexander Langer: “Lentius, profundius, suavius” ("più lento, più profondo, più dolce"), in contrapposizione a quello olimpico “Citius, altius, fortius” ("più veloce, più alto, più forte") che ben rappresenta lo spirito tipico del progressismo economico e materiale del cancro del pianeta.

lunedì 31 agosto 2020

Recensione de "Il Mare Svuotato"

                                                       


Di Walter Mola

 

 Diciamolo subito: è un bel libro, probabilmente il  migliore scritto da Ugo Bardi, questa volta in compagnia di una ricercatrice Ilaria Perissi, ma lo stile, il modo, con cui  ti presenta un problema grave come l'esaurimento della disponibilità  ittica a livello planetario è coinvolgente e ben documentato, il suo.

Il titolo riprende un altro bel testo scritto nel 2011 sempre per Editori Riuniti, “La Terra Svuotata” in cui si parla dell'esaurimento dei minerali. Ne “Il Mare Svuotato” si affronta il tema del superamento della capacità di rigenerazione dei pesci con una pesca industriale che non tiene conto minimamente dei cicli biologici con l'idea tipicamente estrattivista con cui si va avanti fino all'ultimo. Lo dimostra molto bene facendo notare che ormai oltre la metà del pesce consumato proviene da allevamenti con tutte le problematiche connesse. Gli allevamenti intensivi  sono già fonte di guai sulla terra ferma figuriamoci in mare.

Il libro non si limita all'elenco di disastri causati dall'uomo in mare ma dimostra come di fronte ad un limite evidente (la diminuzione del pescato) invece di comprendere i cicli naturali,  la risposta  sia stata da un lato con l'incremento della capacità dei pescherecci e dall'altro dalla ricerca di nuove aree. 

Utili i riferimenti alla storia dell'esaurimento, quasi estinzione, dei più grandi abitanti dei mari: le balene. Soggette ad una caccia spietata nell'800 erano quasi sparite ma secondo i balenieri non si trattava di estinzione ma di timidezza, si proprio così, dicevano che le balene erano diventate timide e non si facevano più vedere.

Mi è piaciuto molto il riferimento ad equazioni come quella di Lotka-Volterra che spiegano molto bene l'equilibrio tra predatori e prede che in realtà in mare si è rotto da tempo il super  predatore è l'uomo . 

Interessanti tutte le esperienze citate (da cui non si impara mai) in cui si supera la capacità riproduttiva e la “risorsa” sparisce. L'estinzione dello storione e la scomparsa del caviale sono emblematiche come il Merluzzo e il Salmone in certe aree del Nord Atlantico.

Non si parla solo  di pesca ma ci sono continui richiami all'inquinamento, all'esaurimento delle risorse, alle risposte sempre inadeguate e in ritardo alle evidenze di sovrasfruttamento. Si parla pure di idee strampalate come l'estrazione di minerali dall'acqua di mare.  

Mi viene in mente un vecchio Topolino in cui Pippo correva come un matto con la macchina per arrivare prima che la benzina finisse, ecco sembra che l'uomo stia facendo questo, consumare tutto, sempre ed eventualmente rallentare un poco per consumare comunque tutto più a lungo. In mare si sta facendo  questo, addirittura sottraendo il cibo direttamente ad altri legittimi pescatori: gli altri pesci, gli uccelli, balene.

Non mancano i consigli: mangiare pesce o no? Se non si è vegani o vegetariani meglio il pesce piccolo, meno inquinato e ancora disponibile, per quanto non si sa.

wm



                                                          Il Mare Svuotato

                                                 di Ugo Bardi e Ilaria Perissi

                                                           Editori Riuniti

                                                            303 pagine

                                                             18 Euro

mercoledì 26 agosto 2020

Il Principio di Precauzione: Dal Cambiamento Climatico al Coronavirus

Nota: questo post non nega l'esistenza del coronavirus né il fatto che abbia fatto delle vittime. Commenti che fanno uso del termine "negazionismo" saranno automaticamente cassati

Qui di seguito, un commento di Olga Milanese sulla questione del "Principio di Precauzione." Queste considerazioni sono importanti per tutto quello che ha a che vedere con i vari disastri che ci stanno arrivando addosso, dal coronavirus al cambiamento climatico. In effetti, sembrerebbe che stiamo facendo decisamente troppo poco per certe cose che potrebbero distruggerci tutti quanti (tipo il cambiamento climatico), e troppo per certe cose delle quali si poteva fare benissimo a meno (tipo, per esempio i "dispositivi anti-abbandono" nei sedili per bambini). Qui Olga Milanese fa correttamente notare che con il principio di precauzione si può esagerare e soprattutto che farlo diventare "principio di massima precauzione," come si è fatto recentemente per il coronavirus,  è un aberrazione che porta a ogni sorta di esagerazioni e quindi rischia di fare più danni di quelli che si proponeva di prevenire.

 

Di Olga Milanese

Il PRINCIPIO DI MASSIMA PRECAUZIONE non è ciò che sembra!

Innanzitutto non esiste un principio di "massima" precauzione,
ma di precauzione... e basta!

La differenza è fondamentale.

Questo principio contempla la necessità di adottare misure di tutela e di prevenzione anche quando non sia assolutamente certo che un determinato fenomeno sia nocivo, ma sussista un dubbio SCIENTIFICAMENTE ATTENDIBILE che possa esserlo. Il che significa che legislatore e la P.A., nell' esercizio dei propri poteri discrezionali, debbono agire cautelativamente allorquando si è in presenza di un rischio potenziale. In questi casi, si parla di "discrezionalità tecnica", poiché le scelte vengono operate all'esito di una valutazione basata sulle cognizioni e sui mezzi forniti dalle varie scienze. Anche nella concezione comunitaria l'azione precauzionale è "giustificata solo quando vi sia stata l’identificazione degli effetti potenzialmente negativi (rischio) sulla base di dati scientifici, seri, oggettivi e disponibili, nonché di un ragionamento rigorosamente logico e, tuttavia, permanga un’ampia incertezza scientifica sulla “portata” del suddetto rischio".

È, quindi, vero che il principio di precauzione opera laddove manchi una sicurezza scientifica sul danno e allorquando il ritardo di interventi potrebbe comportare un aggravamento del potenziale danno, ma è altrettando vero che la sua affermazione NON può tradursi nella possibilità di dar ascolto e seguito ad ogni tipo di timore o paura, e ciò per molteplici motivi. In primis, proprio perché va considerato che le misure precauzionali NON vengono adottate, per loro natura, sul presupposto di certezze assolute, ma in ragione di ipotesi e probabilità (benché studiate). In secundis, per la non meno rilevante considerazione che le menzionate misure sono destinate a comportare un sacrificio certo, attuale o futuro, spesso elevato, di altri valori, diritti o principi.

Per ovviare a questo conflitto immanente si deve ricorrere ad un bilanciamento di interessi che si traduce nella necessità (id est obbligo) di PROPORZIONE tra il grado di probabilità e di gravità dei rischi ed il grado di incisività delle precauzioni che si intendono adottare sulle libertà o diritti antagonisti. Già questo dovrebbe far comprendere perché un piano precauzionale che contempli l'annullamento di una qualsisi attività (scuola, lavoro, salute nel senso ampio del termine, ecc.) in ragione di un pericolo non immediato e non fondato su una radicata CERTEZZA scientifica, è destinato a violare i presupposti applicativi della stessa precauzionalità.

Ma non è tutto! Il mancato rispetto della proporzione e del bilanciamento di interessi determina una lesione del principio di RAGIONEVOLEZZA, per il quale l'azione pubblica DEVE osservare dei canoni di RAZIONALITÀ OPERATIVA ed EVITARE DECISIONI ARBITRARIE ED IRRAZIONALI.
 
Tale ultimo principio è di primaria rilevanza nella gestione democratica di un Paese, poiché in esso confluiscono i valori di eguaglianza, imparzialità e buon andamento dell'attività amministrativa, tanto che la sua violazione configura il vizio di ECCESSO DI POTERE!

Volendo essere meno tecnici potremmo dire che un conto è stabilire la necessità di adottare una serie di precauzioni nel maneggiare un ordigno sconosciuto di cui, scientificamente, ignoriamo la potenza e la nocività, tutt'altro conto è decidere di non voler neanche provare a disinnescare l'ordigno o metterlo in sicurezza, scegliendo di paralizzare la vita di una intera comunità per evitare il rischio che qualcuno vi si possa, per avventura, avvicinare.

La prima condotta costiuisce la corretta applicazione del principio di precauzione, per come inteso dal nostro ordinamento e nel diritto dell'UE; la seconda è un'arbitraria distorsione di quel principio, originata da un solo maledetto insidioso aggettivo ("massima") buttato lì accanto alla parola precauzione, ad inizio pandemia, per legittimare la negazione del diritto all'istruzione, del diritto al lavoro, del diritto ad una giusta retribuzione, del diritto all'eguaglianza sociale, del diritto ad una sanità fatta di cure ed assistenza a 360°, in sintesi, del diritto alla tutela della dignità dell'uomo, in ogni ambito in cui si svolge la sua personalità.

Una sola parola, tirata fuori dal cassetto della politica, ha operato la "mutazione" di un principio sorto per garantire i cittadini in un pretesto per liberare gli amministratori dello Stato dall'onere di studiare soluzioni ponderate, ma soprattutto dal peso delle responsabilità di una qualsivoglia decisione o scelta.


Olga Milanese è avvocato civilista. Si occupa principalmente di aspetti legati alla tutela dei diritti in ambito imprenditoriale, familiare e in relazione alla responsabilità medica e professionale, come pure il tema della tutela dei diritti umani