Accusare l’uomo di essere il
cancro del pianeta secondo alcuni può sottintendere una forma smisurata di
misantropia se non addirittura di odio verso la vita in generale.
Nulla di più sbagliato per
quanto riguarda il Cancrismo, la teoria che da anni mi sforzo di sostenere e di
divulgare, che esprime invece la posizione opposta: l’odio per la forma deviata
di vita che l’evoluzione abnorme del cervello ha indotto nella nostra specie
nasce dall’amore più profondo e sviscerato per la vita, così come sul nostro
pianeta si è sviluppata in milioni e milioni di anni.
Il secondo capitolo del mio
libro “L’impero del
cancro del pianeta” si intitola “La sinfonia della vita” e cerca
di stabilire un parallelismo tra l’armonia regnante in natura e la maestosità delle
composizioni dei più grandi musicisti. L’alterazione genica che ha provocato la
nostra disgraziata crescita cerebrale è assimilata alle stonature che possono
intervenire a seguito di errori interpretativi.
“[…] pensiamo cosa
accadrebbe ad una sinfonia di Beethoven se qualche presuntuoso orchestrale
decidesse da un certo punto in poi di sostituire ogni “la” con un “sol”, o ogni
“do” con un “si”, o di effettuare modifiche ancor più cervellotiche.
L’armonia si
spezzerebbe e il risultato sarebbe disastroso.
Ebbene è ciò che noi
abbiamo fatto con la natura della biosfera. E la sinfonia della vita rischia
ora di trasformarsi in un tragico concerto per la fine del mondo.”
Perché l’amore per la
vita?
Essenzialmente per tre ordini
di motivi.
Il primo motivo è di
natura estetica. La contemplazione della natura, animata e inanimata, è fonte
di godimento per la vista e per ogni altro senso che ne sia coinvolto. Non potrebbe
essere diversamente, poiché anche noi siamo natura e i nostri canali “percettivi”
si sono co-evoluti insieme a ogni altra componente del mondo naturale: sentiamo
di farne parte e ne siamo attratti. Restiamo immobili e sbalorditi di fronte
alla maestosità della foresta, al fascino del bosco, all’imponenza delle catene
montuose, del mare e dinanzi a ogni altro fenomeno che accade al di fuori delle
distese di cemento che ormai purtroppo ci circondano. La riprova di questo
godimento estetico si ha proprio in relazione alla triste visione delle
periferie urbane. Ma, attenzione! Anche da questo impietoso
contrasto si può trarre qualche elemento a sostegno della tesi sin qui
sostenuta. Taluni ammirano le forme ardite di alcuni edifici ultra-moderni e
molti sono affascinati da antiche costruzioni (pensiamo alle cattedrali
gotiche): ebbene, queste realizzazioni dell’ingegno umano appaiono tanto più
godibili alla vista quanto più richiamano forme, spazi e armonie proprie del
mondo della natura. Non profili squadrati e linee rette, ma curve sinuose e un’infinità
di decorazioni che riportano alla mente la vegetazione rigogliosa della selva
primordiale. Emblematiche al riguardo le opere di Gaudì e, ancor più vicino a noi,
i palazzi del cosiddetto “bosco verticale” recentemente edificati a Milano. Qui
la superiorità estetica del mondo della natura rispetto a quella del nostro
mondo artificiale è addirittura sancita dal tentativo di inserire la prima
nella seconda.
Il secondo motivo è di
natura intellettiva. Ogni fenomeno della natura è per noi fonte di immenso
stupore. Abbiamo le capacità cerebrali più elevate tra gli esseri viventi e osserviamo
l’accadimento di fatti che non saremmo mai stati in grado di progettare e men
che meno di realizzare. La più intima riprova di questa affermazione sta
proprio nella nostra stessa esistenza. Siamo venuti al mondo inconsapevolmente
e poi, quando è stato il nostro turno di dare la vita ad altri esseri, lo
abbiamo fatto altrettanto inconsapevolmente. Siamo l’anello di una catena, il
tramite per la concretizzazione di organismi ultra-complessi che accudiamo
amorevolmente ma della cui realizzazione non siamo minimamente responsabili. E
così pure osserviamo ogni altra manifestazione della natura, dallo sbocciare di
un fiore all’opera delle api sino ai più complessi rituali amorosi delle varie
specie viventi, il tutto finalizzato unicamente alla perpetuazione di quella stupefacente
realtà che chiamiamo vita. Ciò per noi è fonte di incredula ammirazione e di affascinata
contemplazione che non può fare a meno di tradursi in amore per tale realtà.
Il terzo motivo è di
natura psicologica. Oltre ad essere soggetti “osservanti” noi siamo anche e
soprattutto soggetti “senzienti”. Il che significa che riceviamo sensazioni di
ogni tipo dal mondo esterno, le immagazziniamo nel nostro cervello e le
traduciamo in emozioni, sentimenti, stati d’animo e così via, come accade per
ogni specie animale. La gioia, il dolore, il piacere sono solo alcune tra le
infinite manifestazioni che si possono produrre in noi dall’incontro – scontro tra
il mondo della natura e la nostra psiche. Alcune di queste manifestazioni
inducono dolore e sofferenza, ma si tratta di una parte minoritaria. Non
possiedo dati statistici al riguardo e credo che nessuno ne abbia, ma facendo
affidamento sul semplice buon senso ritengo che l’esistenza della maggior parte
degli esseri umani (e assai di più di quelli non umani!) sia prevalentemente contraddistinta
da condizioni di buona salute e quindi di benessere esistenziale. È una delle
leggi dell’evoluzione: ciò che apporta vantaggi procede, ciò che apporta
svantaggi retrocede. Una sensazione che rende bene l’idea di come la nostra
vita (e quindi anche quella degli altri viventi) sia da amare è l’euforia che
ci pervade a primavera, al risveglio di tutte le componenti del mondo della
natura. Quello è il momento in cui la vita rinasce dopo il letargo invernale e mostra
con maggior vigore la potenza che la pervade. Siamo trascinati da tale
spettacolo, ne restiamo affascinati e queste sensazioni si traducono nel
profondo amore che proviamo nei confronti della vita.
Questi motivi sussistono a
prescindere dalla disgraziata opera di devastazione della natura che stiamo
compiendo. Per un evento tanto fortuito quanto sfortunato la crescita abnorme
del nostro encefalo ci ha trasformati in cellule tumorali della biosfera. Ma
questa triste realtà non deve indurci a odiare ciò che stiamo distruggendo,
come pare facciano gli adoratori della modernità. Città non è meglio di
campagna. Cemento non è meglio di terra. Rumore non è meglio di silenzio. Solo
un profondo amore per la vita e per la natura è alla base della teoria
cancrista: se si sostiene il diritto dell’uomo a dominare e devastare la natura
si è dalla parte del cancro; se si nega questo diritto si è dalla parte della
vita.