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giovedì 1 settembre 2022

Piantare alberi serve veramente a qualcosa?





Dal "Fatto Quotidiano" del 2 Agosto 2022

Sembra che si stia concludendo questa caldissima estate con i temporali che hanno alleviato un po’ la siccità e il caldo afoso, perlomeno al Nord – ma causando anche, come al solito, dei grossi danni. Se questa è la tendenza per i prossimi anni, non siamo messi bene. Negli ultimi anni, è venuto di moda piantare alberi per evitare, o perlomeno mitigare, la siccità e i disastri correlati. Ma serve veramente a qualcosa? Oppure è soltanto un modo per i politici di farsi belli?

Per prima cosa, ci dobbiamo domandare se la siccità è legata al cambiamento climatico. Una correlazione diretta è difficile da stabilire, ma i modelli ci dicono che gli eventi estremi tendono ad aumentare in frequenza con il riscaldamento globale. Quello che sta succedendo è che piove di più in inverno, a volte con risultati catastrofici, mentre piove di meno in estate, con risultati altrettanto catastrofici in termini di siccità. Questo corrisponde a quello che abbiamo visto questa estate in Italia.

Quindi, la prima ricetta contro la siccità è contrastare il cambiamento climatico. Questo si può fare riducendo le emissioni di gas serra (principalmente il biossido di carbonio, CO2), ovvero smettendo di bruciare combustibili fossili. Ma per questo, comunque vada, ci vorrà tempo. Nel frattempo, gli alberi possono darci una mano?

Certamente piantare alberi dove prima non ce n’erano ha l’effetto di assorbire un po’ di carbonio dall’atmosfera, e questo riduce l’effetto riscaldante. Tenete conto, però, che una volta che l’albero è cresciuto, non assorbe più carbonio. Se poi viene tagliato per farci pellet per le stufe, allora siamo di nuovo al punto di prima, con il carbonio assorbito che ritorna nell’atmosfera.

Ma gli alberi hanno anche effetti sul clima che non dipendono dal biossido di carbonio. Non entro qui nel discorso dell’effetto che le foreste hanno sulla temperatura dell’atmosfera. E’ una storia molto complicata, ma ci sono buoni motivi per ritenere che l’effetto complessivo sia un raffreddamento, anche se è difficile quantificarlo.

A proposito della siccità, i contadini di una volta dicevano che gli alberi “portavano la pioggia”. Avevano ragione, anche se non sapevano perché. Anche qui, la storia è complicata, ma ha a che vedere con la “evapotraspirazione”, il meccanismo con cui gli alberi pompano acqua dalle radici alle foglie. Un effetto dell’evapotraspirazione è che le foreste rilasciano enormi quantità di vapore acqueo nell’atmosfera, che in certe condizioni può ritornare a terra sotto forma di pioggia. Non solo, ma gli alberi emettono anche composti organici che tendono a formare nuclei di condensazione che, anche loro, favoriscono la pioggia. Infine, la condensazione genera la cosiddetta “pompa biotica” che porta vapore acqueo dal mare alla terra. Anche questo effetto favorisce la pioggia.

Quindi, piantare alberi dovrebbe aiutarci contro la siccità. Ma c’è un problema: in Italia, la superficie forestata è raddoppiata negli ultimi 50 anni (vedi l’articolo recente di Agnoletti e altri). E allora perché abbiamo oggi un problema di siccità che non sembra esistesse nel passato? Su questo punto, ho interpellato la collega Anastassia Makarieva, esperta di clima e di fisica dell’atmosfera. Fra le altre cose è stata lei (insieme a Viktor Gorshkov) a sviluppare il concetto di “pompa biotica”, importantissimo per capire il funzionamento della biosfera. Dice Anastassia che “c’è una soglia di concentrazione di vapore acqueo necessaria per generare la pioggia. Se il vapore acqueo emesso dagli alberi non è sufficiente per generare la condensazione, quest’acqua è perduta inutilmente. E’ quello che succede con la maggior parte delle foreste italiane. Sono il risultato di una crescita disordinata in aree prima occupate dall’agricoltura. Sono delle ‘foreste bambine’ che traspirano in un regime sotto la soglia della condensazione, quindi non generano pioggia. Invece, le foreste naturali mature traspirano quando è necessario e riducono al minimo le fluttuazioni del ciclo dell’acqua, le ondate di calore, la siccità e le inondazioni”.

In sostanza, serve a poco piantare alberi più o meno a casaccio per combattere la siccità. Come sempre, le vere soluzioni non sono quelle più semplici, ma una volta capito come stanno le cose, ci possiamo lavorare sopra in molti modi. Uno dei più efficaci (anche se non il solo) è creare foreste mature e vitali che possano fare il loro mestiere di regolare le fluttuazioni del ciclo dell’acqua. Dopotutto, anche le “foreste bambine” prima o poi diventeranno grandi. Ma solo se le lasciamo crescere in pace.

venerdì 15 luglio 2022

Clima: un'altra previsione azzeccata di Ugo Bardi!




Questo articolo l'avevo pubblicato sul Fatto Quotidiano meno di due settimane fa. Ero sicuro che del disastro della Marmolada non si sarebbe più parlato dopo qualche giorno al massimo, e avevo ragione. (Va bene, potete dirlo: mi piace vincere facile!) Comunque, solo per rinfrescarvi la memoria, date un'occhiata al filmato qui sopra di un bel ghiacciaio del Kyrgystan che crolla. Notate come quelli che facevano le riprese ci sono rimasti sotto! Per fortuna se la sono cavata.  


La Marmolada – un’altra tragedia. Ma l’inazione riguardo al cambiamento climatico continua.

Da "Il Fatto Quotidiano" del 4 Luglio 2022

Di Ugo Bardi


Oltre a essere stato una tragedia, il disastro della Marmolada è stato un altro chiodo nella bara metaforica di chi continua a sostenere che il riscaldamento globale è un imbroglio ordito dagli scienziati per farci pagare più cara la benzina. Ma possiamo scommettere che a breve anche questo disastro sarà dimenticato e continueremo tranquilli per la strada che abbiamo preso. Quella di ignorare completamente il cambiamento climatico.

Se ci fate caso, è un pezzo che il dibattito sul clima è quasi completamente scomparso dai media. Quando se ne parla, se ne parla negli angoli bui dei dibattiti televisivi, oppure si creano trappole mediatiche per ridicolizzare lo scienziato di turno. E’ successo recentemente a Luca Mercalli che, invitato a Cartabianca a parlare di clima, a un certo punto non ne ha potuto più di fesserie, si è alzato e se n’è andato.

Di questo, ve ne accorgete anche dai titoli dei giornali del giorno dopo il disastro della Marmolada. Se si parla di clima, se ne parla solo in qualche trafiletto laterale, oppure indirettamente, come effetti dell’“ambiente”. Perlomeno, hanno smesso di fare battute sceme sui “gretini”. Ma sicuramente ricominceranno a breve. Come pure ricominceranno a dare la colpa al sole, ai movimenti planetari, o a Belzebù in persona. Dare la colpa a qualcun altro è uno degli hobby più diffusi al mondo.

Il problema non sarebbe nemmeno che di clima se ne parli tanto oppure no. E’ che, chiaramente, il governo non considera il clima una priorità. Non solo non fa nulla di sostanziale, ma peggiora le cose, per esempio programmando il ritorno al carbone, notoriamente la sorgente di energia più sporca di tutte. Peggio ancora sta facendo l’Unione Europea che sta programmando di classificare il gas naturale come una “sorgente rinnovabile”. Per chi non lo sapesse, il gas “naturale” è formato principalmente da metano fossile che è un gas serra molto più potente dell’anidride carbonica. Le inevitabili perdite nell’estrazione e nel trasporto rendono il gas naturale uno dei fattori principali nel riscaldamento globale. Classificarlo per legge come “rinnovabile” è un po’ come falsificare la data di nascita sulla carta di identità per sembrare più giovani.

In compenso, il governo ci propina quotidianamente storielle sulla fusione nucleare, senza preoccuparsi del fatto che nessuno sa come costruire un impianto che possa produrre energia nel mondo reale. Parla vagamente ripartire con le centrali nucleari a fissione, senza preoccuparsi di spiegarci quanto tempo ci vorrebbe per costruirle, o da dove dovrebbe venire l’uranio per alimentarle. Come pure ci presenta l’idrogeno come la meraviglia salvifica che ci risolverà tutti i problemi, dimenticandosi che l’idrogeno non esiste in natura e che bisogna produrlo.

Insomma, non siamo messi bene. C’è una frase lapidaria che gira sul Web in questi giorni che dice “godetevi questa estate, perché sarà la più fresca del resto della vostra vita.” Mi sa che sarà proprio così.

Ma ci sono anche ragioni di speranza. Una è che con il fatto che i costi dei fossili sono andati alle stelle, l’energia rinnovabile è diventata ancora più conveniente di quanto non lo fosse già. E allora, l’unica cosa che può fermare la transizione alle rinnovabili è la burocrazia, l’idiozia, o tutte e due le cose insieme. E questo è quello che sta succedendo con l’impianto eolico di Villore, ancora bloccato per l’opposizione dal ministero della cultura, nonostante sia stato approvato da tutti gli enti competenti. Speriamo che questa tragedia almeno faccia rinsavire qualcuno: fare qualcosa di serio per il clima sarebbe il miglior omaggio alle vittime innocenti del disastro.




mercoledì 8 giugno 2022

Il centro non resiste più e l'albero sacro è morto. Il collasso del dibattito scientifico

 


A Cartabianca di ieri, un evento emblematico della situazione attuale. Luca Mercalli si scontra con Francesco Borgonovo sul cambiamento climatico e alla fine si stufa, si alza e se ne va.

https://www.raiplay.it/video/2022/06/cartabianca---Puntata-del-07062022-d35a8cf6-fd26-45db-b4de-04fef7036c56.html (Mercalli appare a 2h17m)

Comprensibile la reazione di Mercalli, dopo che Borgonovo aveva buttato tutto in caciara: il riscaldamento globale è un complotto per imporci nuove tasse. (incluso la classica fesseria, "qui a Trento, dove sono, io si sta belli freschi"). Per non parlare della Berlinguer che era partita tutta convinta a raccontare che "nel medioevo faceva più caldo." 

Ma il fatto stesso che si sia arrivati a uno scontro del genere indica che siamo immersi in una sostanza viscosa e marrone che non è Nutella. Abbiamo perso il controllo della gestione dei cosiddetti "dibattiti" dove ormai chiunque può venir fuori a pretendere di aver ragione perché urla più forte di un altro. Per non parlare della giornalista che parte subito contro tutte le regole dei dibattiti che vorrebbero che il moderatore rimanga neutrale, per poi mostrarsi allibita della reazione di Mercalli. (*)

Nel medioevo, i cosiddetti anni bui, quando si facevano dibattiti c'erano regole ben precise su come condurre una "disputatio." E allora si vedeva chi sapeva di cosa parlava e chi non ne aveva la minima idea. E non era che uno poteva presentarsi a una disputatio seria urlando, "ho ragione io" oppure interrompendo l'oppositore, o sparando le prime fesserie che gli venivano in mente. Col piffero.  Il problema non è Francesco Borgonovo o Bianca Berlinguer. Sono soltanto elementi particolarmente visibili del problema. Gli anni bui sono oggi.

E non è solo un problema di conduzione del dibattito. Magari fosse tutto lì. Il problema vero è che la sfiducia nella scienza sta crescendo in modo esponenziale -- come si diceva del virus non molto tempo fa. Per chi non è un esperto, non è sbagliato pensare che molta della cosiddetta "scienza" sia diventata più che altro un imbroglio per far soldi a nostre spese. 

I climatologi, di solito, sono scienziati "duri e puri" -- non fanno soldi sul loro lavoro, a parte il loro stipendio di ricercatori. Ma pensate a tutta la storia dell' "economia basata sull'idrogeno." Che sia un imbroglio lo sanno gli stessi proponenti, eppure i politici continuano a proporci treni a idrogeno e autobus a idrogeno. Per non parlare della banda dei televirologi che ci hanno impestato per due anni raccontandoci tutto e il contrario di tutto, sempre sostenendo di essere loro i soli portavoce autorizzati della "scienza."

Ti fa venire in mente Alce Nero che vedeva il suo mondo distrutto, il suo popolo sterminato, la disfatta di tutto quello in cui aveva creduto e commentava "There is no center any longer, and the sacred tree is dead." Il centro non esiste più, e l'albero sacro è morto.






(*) Nota Pietro Cambi che questa faccenda è stata un vero e proprio agguato mediatico fatto contro Mercalli. Infatti, dice Cambi che Bianca Berlinguer

1) interrompe Mercalli a piffero, con l’osservazione sulla telecamera. Queste cose non si fanno a caso, se si è professionisti.

2) interrompe di nuovo con l’affermazione sul caldo del Medioevo, chiaramente in cattiva fede, visto che appena Mercalli fa presente che è bufala marcia, da quanto stantia, si cheta.

3) quando Borgonovo sragiona sul nucleare, assentisce, conferma, con pochi ma ben centrati monosillabi.

4) quando Borgonovo da di catastrofista ad un climatologo che lavora a raccogliere dati che disgraziatamente sono, loro si catastrofici, non apre bocca.

5) il finto stupore e dispiacere, dopo l’agguato mediatico, sono la parte peggiore.


martedì 8 giugno 2021

Clima: cosa ci ha insegnato la pandemia?

 

Clima, se la pandemia ci ha insegnato qualcosa è la differenza fra sogni e realtà

Clima, se la pandemia ci ha insegnato qualcosa è la differenza fra sogni e realtà
Da "Il Fatto Quotidiano" del 9 Aprile 2021
di Ugo Bardi

Arriva proprio in questi giorni dal Noaa (l’ente nazionale per l’amministrazione degli oceani e dell’atmosfera degli Stati Uniti) una discreta doccia fredda (in effetti calda, addirittura bollente) su quelli che speravano che la pandemia avesse aiutato a ridurre il problema del cambiamento climatico. Dice il Noaa che i livelli dei due gas serra principali, biossido di carbonio e metano, “hanno continuato la loro crescita nel 2020, nonostante il rallentamento economico causato dalla risposta alla pandemia” e anche che “la concentrazione di CO2 di oggi è comparabile a quella del periodo caldo del Pliocene, circa 3,6 milioni di anni fa”.

In sostanza, non è cambiato nulla. Eppure in Italia si parla di una riduzione del 10% delle emissioni di CO2 nel 2020. In tutto il mondo ci si attesta sul 6-7% in meno. Come è possibile che questo non abbia avuto effetto sulle concentrazioni atmosferiche? Per alcuni, è una cosa talmente sorprendente che c’è chi ha cominciato a dire che tutta la storia del riscaldamento globale causato dall’uomo è una balla colossale. Ma non è così. Immaginatevi di stare riempiendo di acqua una vasca da bagno. Se chiudete un po’ il rubinetto, ma non del tutto, non vi aspettate di certo che il livello dell’acqua diminuisca. Non diminuisce nemmeno se chiudete completamente il rubinetto, a meno che la vasca non perda dal tappo.

Per quanto riguarda il CO2, c’è un “rubinetto” che sono le emissioni umane, mentre il “tappo” è l’assorbimento dell’ecosistema che elimina circa il 50% delle emissioni umane. Non ci aspettiamo certamente che una riduzione del 7% delle emissioni porti a un calo nelle concentrazioni. Al massimo, dovrebbe mostrarsi come una riduzione della velocità di crescita. Ma, nei dati, questo effetto viene completamente mascherato dalle variazioni stagionali.

Tuttavia, perlomeno le emissioni si sono un po’ ridotte: era un obiettivo che si cercava di ottenere da decenni, senza riuscirci. Se rimangono attivi i vari blocchi e le restrizioni, ci possiamo aspettare altri cali delle emissioni. Se questo continuasse per qualche anno, allora potremmo vedere il CO2 nell’atmosfera rallentare la crescita e potrebbe anche cominciare a scendere. Certo, però, che il prezzo da pagare sarebbe spaventoso se questi metodi drastici sono l’unico modo di arrivarci.

In effetti, se la pandemia ci ha insegnato qualcosa in termini di clima è la differenza fra sogni e realtà. Quando si parlava di ridurre le emissioni, c’era chi parlava di “decrescita felice” e chi di “disaccoppiamento”. Ovvero, si sosteneva che riducendo i consumi saremmo stati più felici e, non solo, sarebbe stato addirittura possibile continuare a far crescere l’economia. Certo, e sarà anche Natale tre volte all’anno. A questo punto, con un milione di posti di lavoro persi nel 2020 e l’economia a pezzi, dovremmo aver imparato che il cosiddetto “disaccoppiamento” non è tanto semplice come sembrava. E che la decrescita è tutt’altro che felice.

E allora? Con l’esaurirsi della pandemia c’è chi spera in un ritorno rapido al mondo di prima. Ammesso che ci si possa arrivare (cosa molto dubbia), questo ci riporterà anche ai problemi di prima: come ridurre le emissioni se continuiamo ad affidarci ai combustibili fossili? Se non le riduciamo, ritornare al Pliocene potrebbe essere anche peggio della decrescita infelice, specialmente se consideriamo che durante il Pliocene faceva molto più caldo di oggi e il livello del mare era circa 25 metri più alto. Per gli australopitechi di quell’epoca andava benissimo, ma per noi sarebbe un po’ dura adattarsi.

E allora dobbiamo cercare di barcamenarci il meglio possibile. Dopotutto, la situazione non è disperata. Gli ultimi dati disponibili indicano che l’energia rinnovabile è diventata la tecnologia di energetica meno costosa in assoluto. Questa è una strada che ci si apre davanti per liberarci dei combustibili fossili senza dover far decrescere rapidamente l’economia, con tutta l’infelicità del caso. Vediamo di imboccarla con decisione, altrimenti saranno guai.

 

venerdì 7 agosto 2020

Ritirata su tutti i fronti: epicedio per i ghiacciai (e non solo)

 

L'epicedio (in greco antico: ἐπικήδειον μέλος, epikédion mélos) è un tipo di componimento poetico scritto in morte di qualcuno, tipico della letteratura latina

Di Luciano Celi

Krzysztof Kieślowski – regista, sceneggiatore, scrittore e documentarista polacco, considerato uno dei più grandi registi della storia del cinema – diresse e produsse, tra il 1988 e il 1989, 10 brevi film (mediometraggi) di circa 55 minuti, indipendenti per trama l’uno dall’altro: il Decalogo. 

Il Decalogo mette in scena, attraverso storie di vita comuni, l’adesione e soprattutto l’infrangere i dieci comandamenti. Tema antico, anzi antichissimo, già specificatamente individuato da una breve parolina greca – hýbris – ed esemplificato piuttosto dettagliatamente anche nella sua letteratura e tragedia.
Il termine hýbris è spesso tradotto con “orgogliosa tracotanza” e davvero è antico quanto l’uomo: la cacciata dall’Eden ne è solo uno degli esempi perché il frutto proibito è quello della conoscenza. 

Kieślowski nel primo episodio – «Io sono il Signore tuo Dio. Non avrai altro dio all'infuori di me» – narra le vicende del protagonista, suo omonimo perché si chiama Krzysztof, che, fisico e professore universitario separato dalla moglie, deve crescere il figlio Paweł da solo. L’uomo è un grande appassionato di computer e pensa che tutta la vita possa essere descritta matematicamente attraverso l'uso dei calcolatori. Secondo lui non esiste una dimensione trascendente della realtà: non esiste nessun Dio e quando si muore il cervello smette semplicemente di funzionare. Credo che ormai molti siano di questa idea, ma non è qui il caso di divagare sulle credenze di ognuno e atteniamoci alla trama: un giorno il lago vicino a casa ghiaccia e Paweł esprime il desiderio di pattinare.

Il padre, allora, da bravo scienziato esegue una serie di calcoli al computer, che gli permettono di stabilire che il ghiaccio è in grado di reggere il suo peso. Per maggiore sicurezza esegue nuovamente i calcoli e va a verificarne l'esattezza con una prova empirica. Accade però che il ghiaccio si rompe. Il padre non lo sorvegliava (sicuro come era che il ghiaccio non si sarebbe rotto) e non sospetta di nulla nemmeno quando nota dei segnali premonitori (un camion dei pompieri che si dirige verso il lago, gli amici che non lo trovano, la lezione a cui è mancato, le persone che lo cercano per avvisarlo dell'accaduto e dell'inchiostro che si versa in un libro). Comincerà a capire che non tutto è prevedibile quando il calamaio con cui stava scrivendo si rompe senza essere stato toccato. Decide quindi di andare a vedere cosa stava succedendo al lago, vede il buco nel ghiaccio ed i soccorritori ma stenta ancora a crederci (apprende che alcuni ragazzi stavano giocando nelle vicinanze e va a cercare suo figlio). Il padre si arrende all'evidenza solo quando i soccorritori estraggono il corpo senza vita del bambino.1
Questo episodio, visto molti anni fa, mi è tornato alla mente leggendo un bel libro di Enrico Camanni, Il grande libro del ghiaccio, Laterza, Bari, 2020. Descrivendo le sorti dei ghiacci nel mondo – da quelli alpini a quelli polari – l’attenzione dell’autore si ferma sulla Siberia dove, notizia più volte descritta e riportata, il riscaldamento climatico procede a velocità più che doppia rispetto al resto del mondo. Questa regione è oggetto dell’attenzione di un documentarista russo, Viktor Kossakovsky, che nel suo Aquarela filma, tra le altre cose, il lago Baikal, la riserva (chiusa) d’acqua dolce più grande del mondo:
Le conseguenze del riscaldamento climatico sono espresse da trombe d’aria improvvise e allagamenti disastrosi, ma è la sequenza girata sulle acque scongelate del Lago Baikal in Siberia a togliere il fiato allo spettatore. Il Baikal è la nuova icona del clima terrestre. Campo largo: un’automobile avanza nell’imperturbabile silenzio della landa siberiana, puntando leggera verso un orizzonte di montagne; di colpo la superficie del lago si spacca e l’auto sprofonda. Campo stretto (invisibile): i passeggeri si dibattono dentro la loro trappola e i soccorritori si sporgono sull’acqua cercando di tirarli in salvo. Campo largo: la sequenza si ripete senza pietà, nuova automobile, nuovo sfondamento, nuovo bagno gelato; uno dopo l’altro i veicoli e i guidatori s’inabissano nelle crepe del disgelo. Auto viene, auto scompare: è la roulette russa.2 

Verrebbe da dire che mentre il Dio di Kieślowski è veterotestamentario e non perdona la umana hýbris, quello nella realtà è almeno un poco più misericordioso e fa trovare, almeno nelle scene descritte, qualche aiuto ai malcapitati.

Questo libro, in generale, è molto bello: ricco di riferimenti che vanno dalla scienza alla letteratura, passando per un po’ di antropologia e storia, mi ha stupito perché in primo luogo ci ho letto una specie di “inconscia” descrizione di me stesso.

Il 20 agosto 2009 Chamonix era una città rovente. […] Era un mondo capovolto. Nella capitale dell’alpinismo i turisti cercavano refrigerio nei negozi con l’aria condizionata, dove maneggiavano ramponi e maglioni con le mani sudate, oppure sfogliavano i libri che raccontavano di neve, gelo e seracchi. Alle Aiguilles e ai ghiacciai preferivano le vecchie fotografie. Si era rotta la relazione logica tra i panorami delle pagine illustrate e gli stessi panorami inquadrati dalle finestre […]. Fuori il sole era talmente bollente che i turisti preferivano rifugiarsi tra gli scaffali del grande magazzino, e alla fine, sfogliando e sfogliando, trovavano più attraenti gli scenari patinati dei libri e delle cartoline dei fondali svaporati della montagna vera.3 

Non ero a Chamonix ma al bookshop del Forte di Bard, nella “bassa” valdostana; non era il 20 agosto 2009, ma il 29 luglio 2020 e questo libro, per il titolo e la bella confezione, mi è sembrata subito un’ottima evasione dal caldo e forse il suo acquisto è stato anche inconsciamente dettato dal percorso psicologico che l’autore stesso racconta in queste righe.

Certo in Val d’Ayas, poco sotto Brusson, la casa era fresca e abbiamo dormito con un piumino leggero la sera; in almeno una escursione nella quale ci siamo avventurati, abbiamo potuto godere della vista del massico del Monte Rosa, ancora innevato, ma tutto questo non è consolatorio perché le vicende e i fatti descritti nel libro sono, purtroppo, terribili e reali.

Lo è (stato) il “canto funebre” (epicedio) del ghiacciaio islandese lo scorso anno (qui si trova ancora la notizia), “replicato”, in Italia, da due iniziative simili: lo scioglimento del ghiacciaio dei Forni in alta Valtellina, che ha avuto, come dice Camanni, «un riverbero mediatico più da evento folcloristico che da allarme epocale» e ha portato in quota, alla capanna Branca, un’intera orchestra di “musicisti-montanari” devoti alla causa il 20 luglio 2019 e, due mesi dopo, alle sorgenti del Lys, davanti ai seracchi del Monte Rosa.

La targa per la scomparsa del ghiacciaio Ok.

Fino ad arrivare alla notizia, sempre riportata da Camanni, che il parroco di Fiesch, in Svizzera, non pregava più che il ghiacciaio lasciasse in pace i suoi fedeli. I montanari della Fieschertal – racconta Camanni – si erano rivolti formalmente a papa Benedetto XVI per avere il permesso di modificare il rito di Sant’Ignazio, perché la preghiera storica non aveva più senso. Una volta la processione invocava la ritirata del fiume gelato, adesso volevano pregare Dio che gli restituisse il loro ghiacciaio.
Sembrano notizie di folklore, ma è lo zeitgeist, lo spirito di un tempo che, pretendendo di fare a meno del rispetto dell’ecosistema in cui vive – senza scomodare Dio… – non può che intonare canti funebri.

1 Wikipedia, alla voce: «Decalogo 1».
2 Camanni, Il grande libro del ghiaccio, Laterza, Bari, 2020, p. 294.
3 Op. cit., p. 302.

sabato 28 settembre 2019

Una domanda capziosa: come tener conto del progresso tecnologico?

Un Post di Jacopo Simonetta




Sabato 21 Settembre scorso, presso le Officine Garibaldi in Pisa si è tenuto un convegno sulla crisi climatica ed ambientale in corso, organizzata dall’Associazione “Esperia”.  Non molta gente, ma interessata, tanto che in parecchi si sono attardati fin oltre l’ora di pranzo per discutere.

Vorrei qui tornare su una delle domande fatte perché ha riproposto uno dei miti fondanti della nostra civiltà, nonché uno dei principali ostacoli da superare se vogliamo affrontare la situazione in modo costruttivo.

La domanda è stata circa questa: “Nei vostri modelli previsionali, con quale algoritmo è integrata la variabile del progresso tecnologico?” 

Sul momento la risposta più sintetica ed esaustiva la ha data Luca Pardi (uno dei relatori) con queste parole: “Nella cultura odierna il progresso tecnologico ha preso il posto della Divina Provvidenza”.   

Non avendo la capacità di sintesi di Pardi, vorrei qui dilungarmi un poco sull’argomento, non per dire qualcosa di nuovo, ma per cercare di riassumere cose dibattute e risapute a beneficio, forse, dei giovani che si affacciano ora a questi temi e che si troveranno spesso a rispondere a domande simili.

Prima una piccola osservazione: la domanda era evidentemente capziosa, non mirava cioè ad avere una risposta, bensì a screditare l’avversario.  Mi sento di affermarlo perché ad averla posta è stato un universitario che deve (o dovrebbe) sapere che un sistema della complessità della Terra non è modellizzabile.  Quindi non esiste e non può esistere un “modello predittivo”.   Già vediamo quotidianamente le lacune dei modelli che cercano di simulare l’evoluzione del clima (che è solo uno degli elementi in gioco); per non parlare del puntuale fallimento di quasi tutti modelli economici.  

In realtà si lavora su indicatori, modelli parziali e dati empirici da cui si possono estrapolare delle tendenze evolutive che consentono di delineare degli scenari più o meno probabili.  Ma soprattutto conosciamo bene le leggi fondamentali dell’energia e della materia, le quali non ci dicono cosa succederà, ma ci dicono con assoluta certezza cosa NON succederà.   Ecco perché possiamo tranquillamente affermare che un salvataggio in extremis della civiltà industriale per via tecnologica è quanto meno estremamente improbabile.

Ma come essere così categorici?   Abbiamo appena detto che il sistema Terra non è modellizzabile ed è fuor di dubbio che lo straordinario miglioramento di strumenti e processi è esattamente ciò che oggi consente di vivere ad un numero di persone superiore alla somma di tutte le generazioni precedenti messe insieme, da quanto H. sapiens esiste; oltretutto con un livello ed una durata di vita mediamente assai superiori che in passato. 

Anzi, si può affermare che è proprio grazie allo sviluppo della tecnologia che la nostra specie esiste; se i nostri remoti antenati non avessero imparato prima a scheggiare sassi e poi a fare il fuoco oggi sulla Terra non ci sarebbe niente di simile a noi.  Dunque perché pensare che la tecnologia non potrà risolvere i problemi del presente e del futuro, come a fatto con quelli del passato?

Perché il progresso tecnologico non è una variabile indipendente, frutto esclusivamente dell’ingegno umano, bensì  il prodotto di un contesto che lo rende possibile e lo alimenta.  In particolare, dipende dalla disponibilità di energia e di servizi eco-sistemici.  Dissipare energia è infatti ciò che consente l’elaborazione, l’accumulo e la conservazione di informazione (sia sotto forma di bit che di pagine, di arte e di costruzioni, di computer e telefoni, di denaro e quant’altro).  I gli ecosistemi naturali compensano l’aumento di entropia che inevitabilmente deriva da questa dissipazione, evitando che la Vita si dissolva nel caos.  

In altre parole, da un lato il progresso tecnologico, da cui ci si aspetta una riduzione dei consumi energetici, è frutto di un aumento dei medesimi; dall’altro, la tecnologia ha consentito alla nostra nicchia ecologica di occupare oramai oltre la metà della Biosfera, minando alla base i processi di riduzione dell’entropia che solo la Biosfera e nessuna tecnologia, neppure teorica, potrà mai realizzare.   E di questo possiamo essere scientificamente del tutto certi dal momento che la temperatura media del pianeta aumenta e la biodiversità diminuisce.

Ma l’efficienza energetica?  La dematerializzazione?  Il disaccoppiamento?   Anche senza andare a spolverare le venerande ossa di Mr. Jevons e di Mr. Watt, abbiamo tutti visto come l’efficienza dei motori a scoppio sia migliorata enormemente nei 50 anni scorsi, mentre i consumi di carburante e l’inquinamento relativo crescevano in modo iper-esponenziale.   I computer di 20 anni fa pesavano 4-5 volte tanto quelli odierni ed avevano prestazioni oggi risibili; nel frattempo i consumi di elettricità e materie prime per costruirli e farli funzionare sono esplosi mentre la percentuale di riciclo è caduta assai vicina a zero, proprio perché oramai in ogni esemplare c’è troppo poco materiale perché valga la pena di recuperarlo. Intanto il numero di queste macchine è cresciuto tanto che le miniere sono ormai diventate dei mostri che devastano intere regioni e popoli.  Perfino il consumo di carta negli uffici è aumentato, anziché diminuire come annunciato, mentre Internet assorbe oramai qualcosa come il 5% circa dei consumi elettrici mondiali, un altro dato in crescita esponenziale.  

Quanto al disaccoppiamento fra PIL e consumi/emissioni, se andiamo a vedere i dati reali, troviamo che è stato verificato solo in pochissimi casi ed anche in questi è stato solo temporaneo e/o relativo (vale a dire c’è stato un aumento del PIL superiore a quello dei consumi/emissioni che, però, sono comunque aumentati).    Ma per essere utile a qualcosa, il disaccoppiamento dovrebbe essere permanente, generale e assoluto (cioè dovremmo avere un aumento o una stabilizzazione del Pil a fronte di una diminuzione dei consumi).   Soprattutto, il disaccoppiamento dovrebbe essere sufficiente.   L’IPCC, che finora si è sempre dimostrato molto prudente nelle sue stime, valuta che per sperare di contenere il riscaldamento al di sotto dei 2 C° di media globale i paesi “ricchi” dovrebbero ridurre le loro emissioni di qualcosa come il 5% annuo, mentre gli altri paesi le dovrebbero stabilizzare ai livelli attuali o poco più.   Al di fuori dei romanzi, non esistono tecnologie che possono fare questo e probabilmente non potrebbero neppure esistere.

Ma, si potrebbe obbiettare, l’Intelligenza Artificiale, il computer quantistico, i robot e le altre meraviglie della tecnologia prossima ventura?  Proprio perché è roba che funziona, nella misura in cui uscirà dai laboratori per entrare nella società, aumenterà i consumi.   Del resto, è esattamente questa la promessa di questi oggetti: mettere chi ne disporrà in condizione di fare cose finora impossibili.  Il che, tradotto in termini scientifici, significa estendere ulteriormente la già obesa nicchia ecologica umana, riducendo quindi lo spazio ecologico a disposizione di tutte le altre specie (e degli umani che non ne disporranno).  Cioè esattamente il contrario ciò che bisogna fare.

Insomma, i processi e gli strumenti sono migliorati e continuano a migliorare ed è fuor di dubbio che a scala locale possono mitigare ed anche risolvere molti problemi, ma a livello macro è proprio questo miglioramento che spinge la crescita dei consumi, della popolazione e, di conserva, anche dell’entropia. 

Bene, ma se non abbiamo dei modelli previsionali affidabili, che senso ha fare un’affermazione del genere?

Le ragioni sono molte e molte sono già state trattate su queste e su altre pagine.  Mi limiterò quindi a ricordare alcuni punti essenziali.

1. La crescita della popolazione, della tecnologia e dell’economia sono tre fattori strettamente correlati e largamente sinergici (anche se in modo complesso ed in parte tuttora discusso) e tutti e tre dipendono dalla quantità di energia che è possibile dissipare.  La qualità termodinamica delle fonti di energia disponibile sta diminuendo e continuerà a farlo, mentre la tecnosfera invecchia e la complessità dei sottosistemi socio-economici cresce.  Questo significa che la quantità di energia necessaria per estrarre e distribuire energia (anche rinnovabile), per manutenzionare la tecnosfera e per far funzionare le società sta aumentando e continuerà a farlo, lasciando sempre meno energia netta a disposizione dell’economia e della ricerca scientifica, anche se i consumi globali continueranno a crescere.  La tecnologia può mitigare tutto ciò, ma non impedirlo.

2. Il clima sta rapidamente peggiorando e continuerà a farlo comunque, generando sempre maggiori costi economici e sociali, ma soprattutto devastando quel che resta degli ecosistemi semi-naturali (ecosistemi del tutto naturali non esistono già più) riducendo ulteriormente i servizi ecosistemici.

3. I servizi eco-sistemici sono quelli che assicurano gratuitamente che il Pianeta rimanga abitabile e dipendono dall’integrità degli ecosistemi.  Stiamo distruggendo Biosfera ad un ritmo molto più rapido di quanto non stiamo incrementando le emissioni, anche nei paesi con emissioni di CO2 infinitesimali, sia totali che pro-capite.  Fra peggioramento del clima e perdita di servizi ecosistemici vi è una stretta sinergia dal momento che un clima relativamente temperato è proprio il principale fra questi “servizi.”

4. Già in parecchi paesi anche importanti la combinazione di sovrappopolazione e peggioramento delle condizioni di vita ha portato o sta portando al collasso totale o parziale delle società e degli stati, con quel che ne consegue in termini di morte e distruzione.

Ognuno di questi 4 fatti, da solo, sarebbe probabilmente sufficiente a far tramontare il sogno di una “rivoluzione tecnologica” capace di salvare lupi, capre e cavoli.  Ma non solo sono contemporanei, sono anche sinergici.

Insomma, la tecnologia risolve “problemi”, cioè trova soluzioni tecniche per fare cose che prima non si potevano fare.  Ma noi non abbiamo un “problema”, siamo piuttosto in una “brutta situazione” da cui non possiamo uscire facendo qualcosa che prima non potevamo fare, semmai il contrario. 

Il guaio è che ciò comporterebbe di pagare un conto salato in termini di benessere, di convinzioni, scelte etiche e modelli mentali, oltre che di vite.  Un conto che nessuno vuole pagare. 

La tecnologia ci aiuta moltissimo a rimandare il "redde rationem", ma a costo di far lievitare gli interessi passivi.  E su questo non c’è tecnologia che tenga: più tardi pagheremo il conto, più salato sarà; più difficile sarà ricominciare per chi sopravvivrà alla fase acuta. 

Anche di questo possiamo essere ragionevolmente certi, anche se non possiamo assolutamente prevedere quando, come e dove colpiranno le calamità.  

Personalmente, ho sempre trovato spassoso che proprio fra i cultori della scienza e della tecnica si trovino tante persone che, pur competenti e colte, nel loro intimo pensano in termini magici che avrebbero fatto sorridere Agrippa di Nettesheim.


venerdì 26 luglio 2019

Clima e Attività Solare - un post di wm




Mentre stiamo esaurendo gli aggettivi per descrivere l'ondata di calore che ci è arrivata addosso, c'è ancora qualche frastornato che disperatamente cerca di parare il colpo con le scuse che trova, per esempio dicendo "si, però, mah, forse, eppure, potrebbe essere, chissà mai, che è più colpa del sole che dell'uomo" Eh, si, mi ricorda la barzelletta di quel pugile suonato che chiedeva all'allenatore di tener d'occhio l'arbitro perché sul ring c'era qualcuno che lo stava menando. Per non parlare degli abbindolati che ancora straparlano di un'era glaciale imminente. Insomma, disperazione per disperazione, continuiamo a cercare di convincere questi stralunati. Qui, ci prova WM con questo post (UB)

Clima e Attività Solare

di wm










                                                        http://www.solen.info/solar/



Una delle molte giustificazioni dei negazionisti dei cambiamenti climatici è l'influenza dell'attività solare sul clima della terra, proviamo a fare chiarezza: il sole attuale è diventato progressivamente più luminoso di quanto fosse alcuni miliardi di anni fa ma l'alternarsi di glaciazioni e alte temperature intervallate da condizioni simili alle attuali sul nostro pianeta hanno caratterizzato le ere geologiche. Una cosa assai interessante è che se qualche miliardo di anni fa la radiazione solare era minore le condizioni adatte allo sviluppo delle vita sul pianeta erano comunque presenti, una delle ragioni la quantità di gas serra sicuramente elevatissime prima della comparsa dei cianobatteri con la fotosintesi e seguente consumo CO2 .

Il sole è una stella di classe G, è composta principalmente da H che a causa delle fortissime pressioni interne dovute alla enorme massa consentono la fusione nucleare, H → He + energia in estrema sintesi.

Questa energia viene emessa in un ampio spettro che ricalca abbastanza fedelmente il corpo nero a 5777 K. Prima di entrare in atmosfera è approssimativamente costituita da :

UV 7% (λ < 3800 Angstrom), Visibile 40% (λ da 3800 a 7000 Angstrom), IR 53% (λ > 7000 Angstrom)

L'indicatore principale dell'attività solare è la presenza di macchie sulla superficie, sono zone che appaiono scure a causa della temperatura inferiore con un intenso campo magnetico. La loro presenza non è costante ma segue un ciclo approssimativamente di 11 anni, da un minimo ad un massimo e un nuovo minimo. Ad ogni ciclo la polarizzazione del campo magnetico delle macchie si inverte. Le prime osservazioni risalgono all'anno 301 documentate da cinesi, ma anche in epoche successive da arabi (anno 840) e in Europa a Worcester nel 1128.

Le osservazioni sistematiche avvennero tuttavia dall'inizio del 1600 da Keplero, Galileo ed altri. La registrazione dei dati effettuata dal 1700 circa da vari osservatori, Zurigo e poi in Belgio. Dall'analisi di questi dati Edward Maunder verso la fine del 1800 rilevò che nella seconda metà del XVII secolo le macchie erano scomparse . Questo episodio aveva una corrispondenza con quella che è stata definita piccola era glaciale, ma per avvalorare la tesi si passò all'analisi della correlazione con i raggi cosmici che vengono deviati in base all'intensità del campo magnetico solare (eliosfera). Quando l'attività è minore le radiazioni cosmiche giungono facilmente in ionosfera e agiscono sulle componenti, in particolare si formano isotopi di 14C e 10Be, questi a giunti a terra sono rilevabili negli alberi e nei ghiacci polari.

Da queste analisi si è dedotto che sono esistiti altri periodi di minima attività negli ultimi 2000 anni, cicli che durano intorno a 100 anni.

Ora sembrerebbe facile trovare una correlazione tra attività della nostra stella e clima terrestre. Non voglio fare troppi calcoli (dovremmo scomodare la legge di Stefan-Boltzman) ma semplificando possiamo dire: energia che entra – energia che esce. Considerando l'energia solare in tutte le sue forme una parte giunge sulla Terra, il resto viene riflesso e/o rifratto, inoltre anche la Terra irradia a sua volta nello spazio. Il Sole è stato ben studiato e per molto tempo si è cercato di comprendere quanta energia irradia in tutte le frequenze, la Costante Solare. Nello spazio il valore oscilla intorno a 1367 W/m2 e varia per l'ellitticità dell'orbita terrestre di circa il 7% tra gennaio e luglio

Ebbene, la relazione tra attività solare e energia irradiata (irradianza) esiste ma l'analisi precisa del valore della Costante Solare in funzione dell'attività è dell'ordine dello 0,3%.

Evidente che ci sono altri meccanismi che entrano in gioco, variazioni dello scambio energetico tra troposfera e strati più alti nella stratosfera, dove vengono assorbite le radiazioni più energetiche, UV e X.

Aggiungiamo un altro dato a complicare le cose, negli ultimi 60 anni i cicli solari sono diminuiti costantemente come intensità e numero di macchie. L'ultimo che stiamo attraversando, il 24, è il più moderato del periodo considerato come evidenziato nel grafico.

Un metodo di analisi al quale faccio riferimento è la misura del flusso a 2,8 Ghz ( SF) che viene rilevato con appositi strumenti insieme ad altri dati geomagnetici che valutano la distorsione del campo magnetico terrestre. Il valore del Solar Flux (SF)   varia da 66-67 nei periodi minimi (come l'attuale) a oltre 250 nei periodi di altissima attività solare collegandosi anche a brillamenti (flares).

L'indice geomagnetico A  invece varia in funzione del vento solare costituito principalmente da protoni (ioni H) che vengono espulsi durante le tempeste solari, eruzioni ed esplosioni o buchi coronali che rilasciano materia nello spazio e che, se geoeffettivi, colpiscono la terra a velocità tra 300 e 900 Km/sec distorcendo il campo magnetico e determinando, tra le altre cose, le aurore alle alte latitudini ma anche sconvolgimenti nelle comunicazioni in onde corte e raramente alle alte frequenze.

In definitiva, faccio fatica a credere che l'influenza del Sole sul clima sia determinante, sono ben altre le forzanti climalteranti, al massimo la nostra stella da un piccolo aiuto ma trascurabile.

Se davvero fosse dovremmo assistere ad una riduzione della T in questa fase e non certamente all'aumento drastico cui stiamo assistendo.

wm











lunedì 1 aprile 2019

Dichiarazione-choc di Greta Thunberg. Lo scopo è stato raggiunto: non c'è più bisogno di scioperare per il clima.




Notizia bomba dalla Svezia: Greta Thunberg ha raggiunto il suo scopo e interrompe la sua azione per combattere il cambiamento climatico.

La giovane attivista svedese ha dichiarato che "dopo aver parlato con tanti dei nostri leader, mi rendo conto ora che hanno sotto controllo la crisi climatica, capiscono l'emergenza, e sono pronti ad agire. Quindi, ho deciso di smettere di scioperare e ritornare a scuola come si deve, Niente più sciopero del venerdì" 

venerdì 1 settembre 2017

Zichichi Furioso

Questo non è il Prof Antonino Zichichi, ma in qualche modo sembra un'immagine appropriata per questo post. 



Vi ricordate la storia della "falsa petizione" sul cambiamento climatico che Zichichi aveva fatto surrettiziamente firmare ai suoi colleghi, senza spiegargli che cosa stavano firmando? Potete leggere la storia su questo blog.

Visto che il suo trucco era stato scoperto, il prof. Zichichi non l'ha presa bene, decisamente. Ecco un suo commento che è apparso su "Libero Quotidiano". Pesantino, non vi pare? Si vede proprio che abbiamo colpito nel segno.



In merito alla sua petizione contro le eco-bufale, alcuni siti come «Climalteranti» hanno dimostrato che i 20 scienziati internazionali da lei coinvolti a sostegno delle sue tesi o non le conoscevano o non le condividevano. Come è nato l’equivoco?

«Lei cita sorgenti di informazione nelle quali non c’è una sola persona che sia autore di scoperte e di invenzioni. Sono persone che parlano di Scienza senza averne mai fatta. Enrico Fermi insegna che queste persone sono esempi di Hiroshima culturale e non meritano risposte. Se poi qualcuno ha sottoscritto un documento senza leggerlo, impari a leggere prima di firmare. Gli scienziati che partecipano ai Seminari di Erice sono pienamente a conoscenza delle mie tesi come dimostra la testimonianza dell’Ingegnere Pracanica. E le mie critiche scientifiche ai modelli climatologici sono nei volumi pubblicati dalla World Scientific, la più prestigiosa casa editrice scientifica».


sabato 18 giugno 2016

Le attempate spogliarelliste della scienza


Recentemente, sono stato a un convegno di cui non dirò il titolo e neppure il luogo. E ho ascoltato alcuni interventi da parte di persone di cui non dirò il nome e non dirò il ruolo. La cosa mi ha fatto venire in mente un articoletto che avevo scritto qualche anno fa su Risorse Economia e Ambiente, e così ve lo ripropongo. (lo ha citato anche Steph nel suo blog)

Le attempate spogliarelliste della scienza


Questo post l'ho scritto di getto sotto l'effetto della lettura di un pezzo di Freeman Dyson intitolato "Pensieri eretici sulla scienza e la società" Un testo che mi ha profondamente deluso. Dyson, che è stato un grandissimo scienziato nel passato, si è messo a criticare la scienza del cambiamento climatico con una faciloneria e una mancanza di approfondimento impressionante, facendo anche dei banali errori di fisica. Da questo, mi è venuto in mente il paragone con una spogliarellista attempata che non si rende conto che certe cose non le può più fare. Dopo che l'ho scritto, ho pensato che forse non era il caso di pubblicarlo; un po' troppo forte come critica. Alla fine, però, ho pensato che certe cose bisogna anche dirle. Quindi, ecco il post come mi è venuto - l'ho solo rivisto un po' aggiungendo le date di nascita degli scienziati che menziono.

Gli scienziati arrivano in varie forme. Ci sono i pedanti, gli accurati, i metodici, i perfezionisti, i cialtroni, i chiaccheroni, gli svagati, i sognatori, insomma un po' di tutto. Ce n'è una categoria particolare, però, che sono i creativi. Li possiamo anche chiamare gli "eretici", perché per essere creativi bisogna avere il coraggio di dire cose che nessuno dice. E' noto quello che diceva Thomas Huxley, il "cane da guardia di Darwin": "le nuove verità nascono come eresie e muoiono come superstizioni"

E' un'arte difficile quella dell'eretico scientifico; bisogna camminare lungo la sottile linea di demarcazione fra la vera creatività e la cialtroneria. Ma, se ci riesce, il creativo viene abbondantemente premiato. Bisogna essere molto creativi per avere un premio Nobel o qualcun altro dei vari riconoscimenti prestigiosi che ci sono nella scienza. I creativi sono la vera elite degli scienziati.

Ma non è facile fare l'eretico con successo. La scienza ha dei meccanismi collaudati per filtrare le fesserie e lasciar passare le cose buone. Quella che si chiama "ortodossia" in qualsiasi campo della scienza non è dogma, ma il risultato di lunghe ricerche, prove, controprove e affinamenti continui. Andare a contraddire gli esperti in un campo che non è il proprio è uno dei modi più sicuri nella vita per fare la figura del fesso.

Fare l'eretico senza dire fesserie richiede uno sforzo intellettuale poderoso e una padronanza a tutta prova di più di un campo scientifico. E questo richiede l'elasticità mentale di un cervello giovane. Il premio Nobel, si sa, si prende per lavori fatti prima dei trent'anni. In un certo senso, gli scienzati creativi sono come delle spogliarelliste. Anche queste fanno una cosa eretica, ovvero una cosa che la maggior parte delle donne non fa, e la possono fare soltanto fino ai trent'anni di età; più o meno.

Ora, qui c'è un problema. Se una spogliarellista di successo pretendesse di continuare a fare il suo mestiere ben oltre i trent'anni di età, beh, i risultati non sarebbero brillanti. Questo, per fortuna, succede di rado. Ma succede non di rado che uno scienziato che ha avuto successo in gioventù con le sue idee creative pretende di continuare a fare l'eretico a un'età alla quale sarebbe bene che la smettesse.

Ci sono casi di scienziati assai noti, persone di grande prestigio, che cadono vittime della sindrome della spogliarellista attempata e non si rendono conto che le loro esternazioni pubbliche fanno grossi danni, soprattutto alla scienza, dando argomenti a chi di scienza non capisce niente per criticare cose serie, per esempio la scienza del clima.

Fra i casi di scienziati molto noti che in tarda età hanno decisamente perso brillantezza, il primo che viene in mente è Newton, che in tarda età si era messo a studiare l'alchimia. Poi, c'è statoWilliam Shockley (1910-1989), l'inventore del transistor, che in tarda età si mise a sostenere che le razze nere si riproducono troppo, donò il suo sperma a una banca dello sperma in quanto "sperma della migliore qualità" e cose del genere.

Mentre le idee di Newton sull'alchimia e quelle di Shockley sulla razza sono oggi dimenticate, ci sono dei casi recenti di scienziati famosi le cui idee stanno facendo notevoli danni. Questo è il caso di Thomas Gold (1920-2004), un astronomo famoso che in tarda età si mise in testa che l'origine del petrolio è "abiotica." Gold riuscì a ottenere considerevoli finanziamenti pubblici per fare delle inutili trivellazioni. In se, non c'è niente di male a fare dei test di una teoria, il guaio è che con la sua insistenza e il suo atteggiamento dogmatico, Gold ha generato un'intera tribù di seguaci rumorosi che stanno tuttora infestando l'internet sostenendo che il petrolio è "infinito" e che l'esaurimento dello stesso è tutto un complotto delle compagnie petrolifere per farcelo pagare più caro.

Uno dei casi più tristi è quello di James Lovelock (1919 -), probabilmente una delle più grandi menti del ventesimo secolo, noto per il suo concetto di "omeostasi planetaria", a cui dette il nome di "Gaia". Purtroppo, a 87 anni Lovelock ha pubblicato un libro intitolato "la vendetta di Gaia" del tutto senile, sconclusionato e pieno di errori. Con la sua polemica infondata e rabbiosa contro le energie rinnovabili, anche Lovelock ha generato un buon numero di seguaci che impestano l'internet per dir male delle rinnovabili rifacendosi alle sue argomentazioni.

C'è poi Kari Mullis (1944- ), un premio Nobel per la Chimica che si è lanciato in una polemica in cui sostiene che il riscaldamento globale non esiste, che l'inquinamento è solo "un problema estetico" e cose del genere. Mullis è un esempio delle tante persone di un certo prestigio che si lanciano a criticare gli studi sul riscaldamento globale senza sapere niente di clima. Purtroppo, essendo persone di prestigio, c'è gente che gli da retta.

E veniamo a Freeman Dyson (1923- ). Dyson è stato un grande scienziato della generazione degli sviluppatori della meccanica quantistica e dell'energia atomica. Una mente estremamente creativa che si occupava un po' di tutto, compreso la colonizzazione spaziale e il destino dell'umanità. E' noto fra le altre cose per la sua geniale intuizione della "sfera di Dyson", il concetto che una civilizzazione planetaria avanzata potrebbe sfruttare al massimo la radiazione stellare circondando la stella con una sfera che la intercetta completamente.

A 82 anni, tuttavia, Dyson si è messo a fare una serie di critiche alla scienza del clima dichiarandosi scettico sul fatto che il riscaldamento globale sia una cosa negativa, sul fatto che sia veramente necessario agire in proposito e, insomma, facendo proprie molte delle argomentazioni dei peggiori negazionisti. La critica di Dyson è pubblicata su internet e anche in un libro intitolato "a many colored glass" pubblicato nel 2007. E' sicuro che anche i negazionisti italiani se ne approprieranno ben presto per giustificare le loro tesi.

Le considerazioni di Dyson sul clima, purtroppo, sono quasi tutte sbagliate. Sono una serie di discorsi senza capo né coda, dove Dyson giustifica le sue conclusioni soltanto sulla base del concetto che essere un eretico è una cosa buona. Da quello che scrive, dimostra di non aver neanche capito bene la fisica del cambiamento climatico! Per una critica dettagliata, vedi quioppure qui. Vedi anche fra i commenti una mia domanda al climatologo Michael Tobis: non riuscivo a credere che Dyson avesse fatto degli errori così clamorosi. Eppure Tobis me lo ha confermato: è rimasto sorpreso anche lui.

Adesso, fatemi dire come la penso:

Mi pesa dire certe cose a proposito di Dyson, che è una persona che ho molto ammirato e che continuo ad ammirare per quello che ha fatto nel passato. Ma proprio perchè è uno scienziato famoso e ammirato ha delle responsabilità. Uno scienziato studia e lavora per una vita cercando di fare del suo meglio; e questo vuol dire verificare i dati, citare le fonti, stare attenti a capire bene le cose prima di lanciarsi a criticarle. Sono cose che impari da giovane, all'università; e le impari dagli scienziati anziani. Uno scienziato anziano non può più essere creativo come un giovane, ma ha questa grande responsabilità di dare l'esempio ai giovani di come essere non solo creativi ma anche e soprattutto rigorosi. Dyson qui ha tradito questa responsabilità.

La scienza vive di tante cose; ha bisogno certamente di intuizioni geniali, ma vive anche e soprattutto del lavoro rigoroso e poco eccitante della grande maggioranza degli scienziati che sono persone serie e competenti, anche se non sono in grado di avere colpi di genio da premio Nobel. Non ha bisogno di eretici attempati che vanno a lanciare le loro eresie in pubblico come se forsero spogliarelliste attempate che comunque insistono a lanciare i loro reggiseni al pubblico.

Deve essere un destino della vita che i tuoi maestri, quelli che consideravi la tua guida, prima o poi ti deludono. Presumo che capiterà anche a me di deludere i miei allievi nel futuro (sperando che non li stia deludendo troppo già ora). Comunque, giuro a me stesso e a tutti quanti che non impesterò nessuno con teorie eretiche a 80 anni, in effetti anche prima. Mi dedicherò alla cura dell'orto e a coltivare carote e cavolfiori. Se mai ci arriverò a 80 anni.....






martedì 7 giugno 2016

Bye bye BRICS?

Post già apparso sul blog "Crisis, What Crisis?  il 23/05/2016.


BRICS
“ BRICS ” : parola magica capace di far sognare ad un tempo sia i più fanatici sostenitori del turbo-capitalismo, sia molti che lo odiano.   Mistero dell’opinione pubblica.

 

di Jacopo Simonetta

Nascita dei BRICS


L’acronimo è nato nel 2001 nel cuore del capitalismo d’alto bordo:  nientedimeno che in casa Goldman Sachs, ad opera di Jim O'Neill, uno dei suoi uomini più brillanti.   In effetti, in origine era solo BRIC, cioè Brasile, Russia, India e Cina che, garantiva mr. O’Neill, erano i “mattoni” su cui sarebbe stata fondata l’incredibile prosperità economica del XXI secolo.   In seguito fu aggiunto il Sudafrica.  Tutti avevano gli ingredienti per vincere: grandi territori Ed una rapida crescita del PIL, oltre che della popolazione (Russia esclusa).
Ancora nel 2014 i “magnifici 5 BRICS ” avevano fatto frullare le prime pagine dei giornali economici annunciando che erano stufi dell’obsoleto e razzista Fondo Monetario Internazionale (all’interno del quale sono comunque ben  presenti).   Avrebbero quindi fondato una banca mondiale alternativa che avrebbe davvero finanziato la crescita dei paesi emergenti: la New Development Bank.   Nuova ondata di entusiasmo bi-partisan sia dei fautori che dei detrattori del BAU (Business As Usual = globalizzazione), sia pure per motivi opposti.
Qualche scettico cronico, tipo il sottoscritto, sostenne che dietro lo smalto si vedevano già delle belle crepe in tutti e cinque i BRICS, ma nessun commentatore di rilievo, che io sappia, fece osservazioni analoghe.   In fondo siamo comunque umani e ci piace sognare.

I BRICS oggi.

A solo 15 anni dal loro battesimo in casa (o chiesa?) Goldman Sachs, che ne è dei cinque “enfant prodige” della crescita economica?   Diamogli un’occhiata.

Brasile.


crisi BRICS
Il PIL del Brasile
Nel medesimo fatidico 2014 in cui i BRICS annunciavano la loro nuova super-banca, si giocavano i mondiali di calcio in Brasile.    Mondiali destinati a passare alla storia per le spese iperboliche mai recuperate, la realizzazione di mega-stadi, alcuni dei quali subito abbandonati, e per le sommosse popolari contro tutto questo.    N.B.:  Sommosse contro il campionato di pallone in Brasile!

E per colmo di sventura, vinse la Germania.
Di per sé tutto ciò sarebbe trascurabile, ma qui ci interessa perché era un sintomo evidente di quello che stava per accadere: la peggiore recessione della storia brasiliana, il caos politico con il Presidente sotto processo, le alte sfere travolte dagli scandali ed in arrivo le olimpiadi più disastrate e disastrose della storia.   Per non farsi mancare nulla, siccità ed incendi stanno mettendo in ginocchio la rete elettrica nazionale e, di conseguenza, buona parte dell’industria.   Mentre San Paolo (la città più grande del l’emisfero australe) sta restando a corto di acqua.  Davvero Zika è l’ultimo dei loro problemi.

Russia

Crisi BRICS - svalutazione rublo
Svalutazione del Rublo
Già di partenza era una presenza anomala.   Gli altri erano infatti “Paesi emergenti” e ruggenti (nel 2001), mentre la Russia era una super potenza sconfitta che aveva faticosamente recuperato un equilibrio e rimesso in piedi un’economia.   Soprattutto basandosi sull’esportazione di energia: petrolio sul mercato globale e gas su quello europeo.   In pratica quindi, un fornitore di materia prima per l’eventuale sviluppo altrui.    Non era un gran che, ma era il meglio che si  potesse fare e Putin lo aveva fatto, fermando il completo collasso del paese scatenato dalla sconfitta, ma soprattutto dalla disastrosa gestione del governo Eltsin.

Il problema è che non appena sono entrate in crisi le economie clienti, la Russia si è trovata di colpo con le spalle al muro.   Né la prospettiva di uno sviluppo delle forniture verso la Cina pare avere molte prospettive, sia per i tempi e gli investimenti necessari, sia per la crisi che nel frattempo ha raggiunto la Cina.   Anche in questo caso, il disastro ambientale contribuisce.  Molti tratti dei previsti metanodotti e delle strade di servizio dovrebbero infatti appoggiare sul permafrost che si sta sciogliendo. Certo la Russia rimane la seconda forza armata a livello planetario e, di conseguenza, un attore politico di primo piano.   Ma le prospettive economiche rimangono quanto mai fosche.

India

siccità in india
Siccità in India
Per l’India, i dati ufficiali parlano di una crescita economica intorno al 7% ma intanto calore estremo e siccità stanno letteralmente distruggendo buona parte del paese.   La gente fugge in città per sopravvivere e per rifornire d'acqua le città si finiscono di prosciugare le campagne, i fiumi e le falde freatiche.  I tassi di inquinamento sono fra i più alti del mondo, con i conseguenti costi sanitari e sociali.

Più di tutto, l’India ha una popolazione di quasi 1,3 miliardi in rapida crescita (1,38%) ed un terzo della popolazione ha meno di 30 anni.   Sono impressionanti i livelli di violenza di tutti i tipi: da quella domestica e sulle donne a quella religiosa, passando per quella politica e dalla criminalità comune.   L’affermarsi di partiti nazionalisti e oltranzisti non è che un ulteriore indice di crisi strutturale e non potrà che aggravare la situazione.

Cina

Importazioni cinesi
Importazioni cinesi
E’ il pezzo forte della collezione.   Il paese più popoloso e più inquinante del mondo è adesso anche la seconda economia e la terza forza armata a livello mondiale.    Sul piano economico, i dati ufficiali proclamano una crescita fra il 6 ed il 7% negli anni peggiori, ma analizzando l’import/export (verificabile dai dati di tutti gli altri paesi) risulta evidente che non è vero.   La Cina è in recessione o, perlomeno, in stagnazione.  E si sta tirando dietro tutte le economie dell'est asiatico: dalla Corea del sud a Singapore.   Del resto, la crescente aggressività internazionale, ad esempio con le ricorrenti crisi militar-diplomatiche per il possesso di scogli inabitabili sparsi in giro, sono un indizio pesante di crisi grave.
Esportazioni cinesi
Esportazioni cinesi
Sul piano politico, il Partito Comunista continua ad avere un saldo controllo e l’opposizione pare limitata a pochi intellettuali, ambientalisti e minoranze etniche marginalizzate.  Ma i licenziamenti di massa in programma e la fine (o perlomeno il drastico rallentamento) della crescita economica potrebbero cambiare il quadro.   Così come il debito, esploso al 300% del PIL in pochi anni.    Anche i folli livelli di inquinamento, la desertificazione di vasti territori e la cronica mancanza d’acqua non mancheranno di avere effetti sul futuro del paese.

Sudafrica.

Andamento della crescita del PIL e della disoccupazione.
Andamento della crescita del PIL e della disoccupazione.
Passata la sbornia del dopo-apartheid, si cominciano a fare i conti con l’oste.   Al di la dei tecnicismi e dei trucchi contabili, la crisi cinese ha trascinato anche il Sudafrica in una crisi economica senza precedenti, assieme a tutti gli altri paesi esportatori di materie prime.  I titoli governativi e di molte imprese sono classificati “Junk” o quasi, l’inflazione galoppa ed il debito esplode.

La delinquenza aumenta, in particolare il bracconaggio che sta spazzando via buona parte della mega-fauna in questo, come in tutti gli altri paesi africani.    Ed intanto il presidente Zuma (quello dello storico accodo del 2014) è coinvolto in una serie di scandali per corruzione e simili.
A far le spese di tutto ciò, innanzitutto gli immigrati dai paesi circostanti che sono fuggiti in massa dopo una serie di attacchi xenofobi che hanno fatto diversi morti e molti feriti.

E’ la fine dei BRICS ?

Prima di sparare pronostici, è sempre bene dare un’occhiata al contesto.   E il contesto è di impatto globale contro i limiti dello sviluppo.    Una cosa di cui si parla da 40 anni, ma cui ancora molti non vogliono credere.
Se davvero la crisi attuale non è un incidente, ma l’inizio della fine del BAU, è ben difficile che 5  paesi fra i “più BAU” del mondo possano uscire dal pantano in cui si sono cacciati.   Tuttavia non si può far d’ogni erba un fascio.  Se come blocco politico-economico i BRICS sono probabilmente finiti per sempre (ammesso che siano mai esistiti!), non è affatto detto che lo siano singolarmente.   Soprattutto non in un contesto in cui l’Europa sta facendo di tutto per suicidarsi e gli USA sembrano precipitare in una voragine di stupidità.
A mio  modesto avviso, quelli messi peggio sono il Sudafrica e l’India, sia per la pressione demografica che per la rapida evoluzione del clima.  Segue il Brasile che, pur avendo una popolazione relativamente modesta rispetto al territorio, ha fatto della sistematica distruzione di questo il suo settore trainante.   Inoltre, sia il Brasile che il Sudafrica sono, fondamentalmente, fornitori della Cina.   Se questa sprofonderà li trascinerà con sé, mentre se la Cina riprenderà fiato ricomincerà a comprare, ma ciò non farà che accelerare il tasso di distruzione delle risorse ed il degrado del territorio dei suoi fornitori.
La Russia è un caso a parte.   Se sul piano strettamente economico non può far molto altro che sperare che il prezzo dell’energia torni a salire, sul piano politico ha parecchie frecce al suo arco.  Finora ne ha scoccata qualcuna giusta e qualcuna sbagliata.   Se saprà giocare bene le sue carte, potrebbe cavarsela meno peggio di altri, anche grazie alla bassa densità di popolazione (tendente alla diminuzione) ed al vasto territorio.   Anche il fatto che la maggior parte dei russi siano abituati a cavarsela con poco potrebbe aiutare questo paese ad essere fra quelli che cadranno in cima e non in fondo al cumulo di macerie della civiltà industriale.   Se, invece, opterà per diventare una periferia cinese, farà la fine di tutte le periferie di tutti gli imperi in declino.
In ultimo l’Impero Cinese.     Direi che è sicuramente troppo presto per darlo per spacciato.   Anche se la tendenza globale è verso la fine dell’economia industriale, la Cina ha ancora molti margini di manovra sul piano politico e militare.  Ed ha una popolazione relativamente stabile, anche se malsana.    Il rischio che una potenza in crisi cerchi la scappatoia attraverso l’avventura militare è sempre presente.  Del resto USA e Russia stanno facendo esattamente questo.   Lo farà anche la Cina?   Non possiamo saperlo, ma diciamo che è abbastanza probabile.   Il contesto ed i mezzi sono però molto diversi e non è prevedibile come possa finire. In sintesi, credo che finché il sistema partito-esercito rimarrà saldo e coeso, la Cina potrà attraversare crisi terribili al suo interno e scatenarne di ancor peggiori fuori, ma non si disintegrerà.
Un’ultima osservazione.   Il destino di questi paesi è in gran parte nelle nostre mani.   Più stupidaggini faremo noi, più si apriranno spazi di manovra per loro.   Personalmente, credo che la strategia migliore sarebbe cercare (se possibile) un accordo strategico con la Russia per tenere sotto controllo la Cina.   Non che l’Europa abbia molto da fidarsi della Russia, né la Russia dell’Europa, ma credo che una sospettosa alleanza gioverebbe ad entrambi.   Noi abbiamo urgente bisogno di prendere pacificamente le distanze dagli USA e loro stanno rischiando di diventare una colonia cinese.

Forse, potremmo darci una mano l'un l'altro per farsi il meno male possibile rotolando giù per la parte discendente del "Picco di tutto".