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giovedì 1 settembre 2022

Piantare alberi serve veramente a qualcosa?





Dal "Fatto Quotidiano" del 2 Agosto 2022

Sembra che si stia concludendo questa caldissima estate con i temporali che hanno alleviato un po’ la siccità e il caldo afoso, perlomeno al Nord – ma causando anche, come al solito, dei grossi danni. Se questa è la tendenza per i prossimi anni, non siamo messi bene. Negli ultimi anni, è venuto di moda piantare alberi per evitare, o perlomeno mitigare, la siccità e i disastri correlati. Ma serve veramente a qualcosa? Oppure è soltanto un modo per i politici di farsi belli?

Per prima cosa, ci dobbiamo domandare se la siccità è legata al cambiamento climatico. Una correlazione diretta è difficile da stabilire, ma i modelli ci dicono che gli eventi estremi tendono ad aumentare in frequenza con il riscaldamento globale. Quello che sta succedendo è che piove di più in inverno, a volte con risultati catastrofici, mentre piove di meno in estate, con risultati altrettanto catastrofici in termini di siccità. Questo corrisponde a quello che abbiamo visto questa estate in Italia.

Quindi, la prima ricetta contro la siccità è contrastare il cambiamento climatico. Questo si può fare riducendo le emissioni di gas serra (principalmente il biossido di carbonio, CO2), ovvero smettendo di bruciare combustibili fossili. Ma per questo, comunque vada, ci vorrà tempo. Nel frattempo, gli alberi possono darci una mano?

Certamente piantare alberi dove prima non ce n’erano ha l’effetto di assorbire un po’ di carbonio dall’atmosfera, e questo riduce l’effetto riscaldante. Tenete conto, però, che una volta che l’albero è cresciuto, non assorbe più carbonio. Se poi viene tagliato per farci pellet per le stufe, allora siamo di nuovo al punto di prima, con il carbonio assorbito che ritorna nell’atmosfera.

Ma gli alberi hanno anche effetti sul clima che non dipendono dal biossido di carbonio. Non entro qui nel discorso dell’effetto che le foreste hanno sulla temperatura dell’atmosfera. E’ una storia molto complicata, ma ci sono buoni motivi per ritenere che l’effetto complessivo sia un raffreddamento, anche se è difficile quantificarlo.

A proposito della siccità, i contadini di una volta dicevano che gli alberi “portavano la pioggia”. Avevano ragione, anche se non sapevano perché. Anche qui, la storia è complicata, ma ha a che vedere con la “evapotraspirazione”, il meccanismo con cui gli alberi pompano acqua dalle radici alle foglie. Un effetto dell’evapotraspirazione è che le foreste rilasciano enormi quantità di vapore acqueo nell’atmosfera, che in certe condizioni può ritornare a terra sotto forma di pioggia. Non solo, ma gli alberi emettono anche composti organici che tendono a formare nuclei di condensazione che, anche loro, favoriscono la pioggia. Infine, la condensazione genera la cosiddetta “pompa biotica” che porta vapore acqueo dal mare alla terra. Anche questo effetto favorisce la pioggia.

Quindi, piantare alberi dovrebbe aiutarci contro la siccità. Ma c’è un problema: in Italia, la superficie forestata è raddoppiata negli ultimi 50 anni (vedi l’articolo recente di Agnoletti e altri). E allora perché abbiamo oggi un problema di siccità che non sembra esistesse nel passato? Su questo punto, ho interpellato la collega Anastassia Makarieva, esperta di clima e di fisica dell’atmosfera. Fra le altre cose è stata lei (insieme a Viktor Gorshkov) a sviluppare il concetto di “pompa biotica”, importantissimo per capire il funzionamento della biosfera. Dice Anastassia che “c’è una soglia di concentrazione di vapore acqueo necessaria per generare la pioggia. Se il vapore acqueo emesso dagli alberi non è sufficiente per generare la condensazione, quest’acqua è perduta inutilmente. E’ quello che succede con la maggior parte delle foreste italiane. Sono il risultato di una crescita disordinata in aree prima occupate dall’agricoltura. Sono delle ‘foreste bambine’ che traspirano in un regime sotto la soglia della condensazione, quindi non generano pioggia. Invece, le foreste naturali mature traspirano quando è necessario e riducono al minimo le fluttuazioni del ciclo dell’acqua, le ondate di calore, la siccità e le inondazioni”.

In sostanza, serve a poco piantare alberi più o meno a casaccio per combattere la siccità. Come sempre, le vere soluzioni non sono quelle più semplici, ma una volta capito come stanno le cose, ci possiamo lavorare sopra in molti modi. Uno dei più efficaci (anche se non il solo) è creare foreste mature e vitali che possano fare il loro mestiere di regolare le fluttuazioni del ciclo dell’acqua. Dopotutto, anche le “foreste bambine” prima o poi diventeranno grandi. Ma solo se le lasciamo crescere in pace.

sabato 14 settembre 2019

Il Potere della Biosfera: Anastassia Makarieva parla della "pompa biotica" a Firenze




https://www.bioticregulation.ru/

Tutto comincia con l'idea di un secolo e mezzo fa, quella dell'"evoluzione per selezione naturale" di Charles Darwin. Era un' "idea pericolosa" secondo Daniel Dennett, ma non c'era niente di pericoloso nel darwinismo, a meno di non capirlo male. E lo sappiamo come è stato capito male dai vari suprematisti, razzisti, bianco-superioristi, eccetera. Ma l'idea di Darwin era semplice e ovvia: la biosfera non è statica, ma si adatta ai cambiamenti dell'ecosistema. Tutto qui. Non c'è nessuna specie nella biosfera che sia superiore ad altre specie, non c'è nessun movimento collettivo verso un qualche tipo di "progresso" -- niente del genere. Tutto cambia per mantenere la biosfera viva.

Fra le altre cose, quello di Darwin è stato il primo tentativo di capire il funzionamento dei sistemi complessi -- fra i quali uno dei più complessi è l'ecosistema. Curiosamente, il cervello umano, esso stesso un sistema complesso, si trova spesso in difficoltà a capire i sistemi complessi, ci deve essere qualche ragione profonda ma non entriamo in questo argomento.

Piuttosto, i concetti proposti da Darwin si sono anche loro evoluti -- ovvero adattati -- alle conoscenze che via via si sono accumulate su come funziona l'ecosfera. E stiamo cominciando a capire che l'idea di Darwin - la biosfera si adatta ai cambiamenti -- è troppo semplice. Non è così che funzionano i sistemi complessi. Funzionano attraverso quei meccanismi che chiamiamo feedback, dove ogni elemento del sistema ne influenza altri.

Qui, il passo in avanti è arrivato da James Lovelock e Lynn Margulis con il loro concetto di Gaia. un nome che descrive il fatto che la biosfera si adatta ai cambiamenti dell'ecosistema e allo stesso tempo genera cambiamenti nell'ecosistema. L'adattamento è reciproco e biunivoco. Feedback, in sostanza.

Il concetto di Gaia è sotto certi aspetti ancora più pericoloso di quello dell'evoluzione Darwiniana, al solito se lo capisci al contrario. Lo si può usare come una facile scusa per dire che qualsiasi cosa di orribile facciamo all'ecosistema, tanto ci pensa mamma Gaia a rimettere tutto a posto. Eh, si, magari...  Ma, più che altro, sembra che l'idea sia totalmente aliena al dibattito corrente dove gli opinion leader sono del tutto incapaci di capire il concetto di autoregolazione dell'ecosistema (ovvero, Gaia). Il dibattito viene spezzettato in idee incoerenti e parzialmente (o totalmente) incompatibili l'una con l'altra. Un buon esempio è quello che si sta facendo in Toscana dichiarando l'emergenza climatica e allo stesso tempo promuovendo la costruzione di un nuovo aeroporto internazionale a Firenze. Proprio, non ce la facciamo. (Non gne a famo, usando un altro dialetto).

Ma se riuscite a capirle, queste idee sono potentissime. Se mai riusciremo a renderle parte della cultura corrente ci offrono la possibilità di manovrare l'azione umana all'interno della biosfera e dell'ecosfera, come minimo limitando i danni, se possibile in armonia reciproca. Al momento sembra totalmente impossibile, ma tutto cambia e chi non si adatta sparisce -- come ci ha insegnato Darwin per primo.

Veniamo ora al lavoro di Gorshkov, Makarieva, e altri, che nel corso di alcuni decenni hanno sviluppato il concetto che chiamano "regolazione biotica" -- è un concetto molto simile a quello proposto a suo tempo da Lovelock e Margulis, anche se Makarieva e Gorshkov ci tengono a far notare che non è la stessa cosa: certe volte (ma erroneamente) Gaia viene capita come un "superorganismo," una forma di vita biologica. Non lo è ma non entriamo in questo argomento.

Il concetto di biotic regulation è una profonda sintesi di come funziona la biosfera che enfatizza il potere di regolazione sull'ecosistema, tale da mantenere le condizioni planetari nei limiti che consentono alla vita biologica di sopravvivere. Da questo concetto arriva l'idea che lo squilibrio ecosistemico che chiamiamo "cambiamento climatico" è causato soltanto in parte dalle emissioni di CO2. Un altro fattore importante (forse anche più importante) è la deforestazione in corso.  

Questa è, ovviamente, una posizione controversa -- per non dire eretica. Giusto la settimana scorsa leggevo un commento di un climatologo italiano che diceva esplicitamente "La crisi climatica NON è causata dalla mancanza di alberi." Questa sembrerebbe essere tuttora l'opinione prevalente fra i climatologi in occidente, nonostante esistano studi (vedi per esempio questo articolo su Science del 2016) che dimostrano esattamente il contrario. Le foreste raffreddano la Terra non solo sequestrando carbonio in forma di biomassa, ma per un effetto biodinamico correlato all'evapotraspirazione. Ovvero, l'acqua evapora a bassa quota provocando raffreddamento. Restituisce il calore quando condensa in forma di nuvole, ma le emissioni in quota si disperdono più facilmente verso lo spazio perché il gas serra principale, l'acqua, esiste in concentrazioni molto ridotte.

Qui, si innesta il concetto sviluppato da Gorshkov e Makarieva nel 2012, quello della pompa biotica, ovvero che le foreste agiscono come "sistemi di pompaggio planetari" che portano l'acqua dall'atmosfera sopra gli oceani fino a migliaia di chilometri all'interno dei continenti. Il meccanismo proposto da Gorshkov e Makarieva è controverso, ma evidentemente ci deve essere per forza qualche cosa che porta l'acqua all'interno dei continenti.

Ora, tutto dipende da fattori quantitativi ancora poco noti. Ma se è vero che il clima è legato in modo importante alle foreste, e di conseguenza alla pompa biotica, deforestando, come sta succedendo in Amazzonia, stiamo distruggendo uno dei meccanismi fondamentali di autoregolazione dell'ecosistema terrestre. In altre parole, non è sufficiente tagliare le emissioni di CO2 da combustibili fossili, ma occorre anche ricostituire le foreste in una forma integra: altri tipi di piantagione non hanno lo stesso effetto.

Questo argomento preoccupa alcuni ricercatori russi che hanno prodotto un documento (completamente ignorato in Occidente) in cui raccomandano la cura e il mantenimento degli ecosistemi naturali, in particolare le foreste, come il modo principale per combattere la degradazione climatica e generalizzata dell'ecosistema terrestre dove prendono una posizione simile a quella del recente articolo di Franzen in the New Yorker, "what if we stopped pretending?" ovvero che non riusciremo a fermare l'uso dei combustibili fossili in tempo utile. I ricercatori russi sostengono invece che:

Nell'attuale situazione, è necessario un approccio complesso ai problemi climatici - quello non limitato ai tentativi di contenere le emissioni antropogeniche di anidride carbonica come una transizione verso fonti di energia rinnovabile, la rimozione dell'anidride carbonica già accumulata dall'atmosfera con mezzi tecnologici ecc. L'approccio complesso deve includere il ripristino e la protezione dei sistemi naturali come misura principale, poiché il loro degrado può portare a un collasso climatico indipendentemente dal fatto che la combustione di combustibili fossili continui o meno. Qualsiasi soluzione strategica considerevole richiederà enormi risorse all'umanità. Pertanto, tali soluzioni dovrebbero essere reciprocamente coerenti, altrimenti la situazione climatica si aggraverà (ad esempio, aumentare la produzione di biocarburanti può portare a un'intensificazione della deforestazione).

Qui c'è un problema ovvio. In questo momento, qualsiasi cosa arrivi dalla Russia viene considerata come propaganda, se non direttamente roba contaminata dal Novichok. Quindi, la prima reazione, a pelle, è di tipo ideologico: siccome ci hanno raccontato che la Russia è poco più di una stazione di servizio mascherata da stato, ne consegue che questo documento è solo un trucco per mantenere i profitti degli oligarchi petroliferi russi e del loro grande capo, l'arcicattivo Vladimir Putin.

Siamo sicuri però che non abbiano invece ragione loro? Ovvero che non è solo un problema di CO2 ma anche di altri fattori? Non è che abbiamo bisogno di un cambiamento radicale di strategia invece di insistere con le "soluzioni" proposte fino ad ora, tipo la carbon tax? Di questo, ne parliamo con Anastassia Makarieva a Firenze il 17 Settembre. E vediamo se riusciamo a capirci: ne va della sopravvivenza di un intero ecosistema planetario.





sabato 1 agosto 2015

Grafico del giorno: terreno agricolo mondiale pro capite 1961-2012

DaDesdemona Despair”. Traduzione di MR (via Maurizio Tron)

L'agricoltura mondiale sarà in grado di sostenere una popolazione umana di 12 miliardi di persone nel 2100? La risposta riguarda in gran parte quanto terreno c'è a disposizione per coltivare. Sfortunatamente, l'area di terreno coltivabile del mondo sta declinando ad un tasso enorme. La Convetion dell'Onu per Combattere la Desertificazione (UNCCD) stima che “ogni anno va perso terreno pari a 12 milioni di ettari, equivalente alla Bulgaria o al Benin”. (Desertificazione pdf, p. 12)


Cause della desertificazione

Questa perdita di terreno coltivabile è causata dagli esseri umani che distruggono il suolo e provocano l'abbassamento delle falde acquifere:

Nei paesi in cui le principali risorse economiche dipendono da attività agricole, ci sono poche fonti alternative di reddito, o nessuna. Il suolo viene danneggiato dall'uso eccessivo quando gli agricoltori trascurano o riducono i periodi di maggese, che sono necessari per permettere al suolo di recuperare abbastanza da produrre abbastanza cibo per sfamare la popolazione. Ciò a sua volta causa la perdita di materia organica da parte del suolo, limitando la crescita delle piante e riducendo la copertura di vegetazione. Il suolo nudo è più vulnerabile agli effetti dell'erosione. Quattro attività umane ne sono le cause più dirette:

martedì 1 dicembre 2009

Davanti a noi, la foresta; dietro di noi, il deserto




Gilgamesh e Enkidu uccidono Humbaba, il guardiano della foresta dei cedri, in Libano. Gilgamesh poi taglierà i cedri in un processo che si è completamente esaurito solo ai nostri giorni, con la quasi completa distruzione delle foreste libanesi. Per fare qualcosa in proposito, potete aggregarvi alla "causa" di Facebook "All for the reforestation of Lebanon"


La distruzione delle foreste planetarie da parte degli esseri umani è un processo che è iniziato migliaia di anni fa e che sta arrivando al completamento ai nostri tempi. Non ci sono dati quantitativi sull'andamento della deforestazione mondiale, ma è rapido abbastanza da giustificare il titolo de "Il Grande Massacro" all'ultimo capitolo del libro "Deforesting the Earth" di Michael Williams.

Gli alberi sono un'altra risorsa che stiamo sovrasfruttando e che farà la stessa fine del petrolio, delle balene, degli storioni, degli elefanti e di tutto quanto abbiamo distrutto e sterminato con grande efficienza. Per distruggere una foresta, bastano pochi anni - per ricrearla ce ne vogliono migliaia. Dove abbiamo sterminato gli alberi, di solito non rimane che il deserto generato dall'erosione. Tutta la storia umana si può vedere come una corsa verso la foresta, mentre scappiamo dal deserto.

Di questa nostra attivitità come sterminatori di alberi, mi è capitato fra le mani un documento che vorrei passarvi. E' l'antichissima storia di Gilgamesh, eroe sumero di almeno 5000 anni fa. Una delle storie della saga è quando Gilgamesh e Enkidu, il suo amico, uccidono Humbaba, il divino guardiano delle foreste di cedri del Libano e danno inizio al taglio degli alberi. Oggi, il lavoro di Gilgamesh è ampiamente concluso e delle antiche foreste del Libano non rimane che qualche centinaio di alberi. Vista in questi termini, la storia che ci ritorna dalle antiche tavolette di argilla ci suona come l'inizio di una tragedia. Forse, appariva così anche all'antico scriba che ci ha lasciato queste tavolette, dato che mostra una certa simpatia umana per Hubaba, mostro orribile, ma che chiede pietà e al quale la pietà viene rifiutata. Usa anche il termine "uccidere gli alberi", a indicare la brutalità della distruzione della foresta. Da notare anche il dettaglio dell' "abitazione degli Dei" (gli Annunaki) desecrata da Gilgamesh e Enkidu. Che la foresta avesse un suo valore sacro è una cosa che ritroviamo in moltissime culture umane, ma che non è bastata a salvare gli alberi.

Vi passo questo testo senza ulteriori commenti. E preso da "La saga di Gilgames" di Giovanni Pettinato (Mondadori 2004). La tavoletta è frammentaria e la traduzione è incerta. Quindi ho un po' ritoccato e interpolato il testo per renderlo più leggibile - spero che i sumeristi non me ne vogliano, ma credo che l'essenza della cosa sia rimasta.


La Tavoletta di Iscali (EpCl Tav. V)

Enkidu parlò a lui, a Gilgamesh:
"Uccidi Hubaba per i tuoi dei,
spargi le sue membra nella steppa"

Gilgamesh diede ascolto alle parole del suo compagno

la spada che pesava otto talenti, l'ascia di dieci talenti egli prese
Con esse avanzò nel bosco.

Dell'abitazione degli Dei egli apri' la tenda
Gilgamesh tagliò i cedri, Enkidu dissotterrò i tronchi.


Enkidu parlo poi a lui, a Gilgamesh:

"Gilgamesh uccidi i cedri!"


prese l'ascia nella sua mano

estrasse la spada dalla sua guaina


Gilgamesh lo colpì alla nuca

Enkidu, il suo amico, lo trafisse al cuore


Al terzo colpo, egli cadde.

Ne nacque un gran trambusto e poi silenzio di morte


Egli aveva ucciso Hubaba, il grande guardiano

A due leghe di distanza, i cedri udirono il tonfo


Aveva ucciso il brigante, il guardiano della foresta,

al cui frastuono tremano Saria e Libano