L'idea che le foreste creino pioggia è nota ai contadini da centinaia, forse migliaia, di anni. I primi studi scientifici risalgono ad Alexander von Humboldt (1769-1859), ma l'argomento rimane controverso. Tuttavia, stiamo iniziando a comprendere le profonde e complesse interazioni tra l'atmosfera e la biosfera. Esse formano un vero e proprio "olobionte", un sistema di elementi collegati che si influenzano a vicenda in modo non lineare. Un recente lavoro pubblicato da un gruppo di ricerca guidato da Anastassia Makarieva mostra come l'evapotraspirazione, l'evaporazione dell'acqua da parte degli alberi, modifichi la dinamica del vapore acqueo e possa generare regimi ad alto contenuto di umidità che forniscono la pioggia necessaria all'ecosistema terrestre. C'è ancora molto da capire su questi meccanismi, ma un punto è chiaro: le foreste sono un elemento cruciale per la stabilità del clima terrestre, e devono essere preservate il più possibile (U.B.) (dal blog "The Proud Holobionts")
Traspirazione da parte delle foreste e il ciclo dell'acqua sulla terra. Una relazione non banale
Makarieva, A. M., Nefiodov, A. V., Nobre, A. D., Baudena, M., Bardi, U., Sheil, D., Saleska, S. R., Molina, R. D., & Rammig, A.
Con la crescente scarsità d’acqua a livello
globale e la deforestazione che minaccia molte delle foreste naturali rimaste,
è sempre più urgente cercare di capire come le piante influenzino le piogge e
più in generale il ciclo dell’acqua. Uno studio internazionale,
capeggiato dalla Technical University di Monaco di Baviera (Germania), a cui ha partecipato l’Istituto di Scienze
dell'Atmosfera e del Clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Torino
(Cnr-Isac) e pubblicato su Global Change Biology, rivela che, quando le
condizioni atmosferiche sono umide, le foreste contribuiscono attivamente ad
aumentare il trasporto di umidità dal mare alla terraferma. Viceversa, date
condizioni atmosferiche più secche, la traspirazione delle piante può far
diminuire il trasporto di umidità marina sulla terra e quindi le piogge.
Lo studio va molto oltre alle convinzioni
tradizionali sul ruolo delle piante nel ciclo dell’acqua. “Abbiamo basato la
nostra analisi su un nostro risultato precedente, cioè che l'aumento
dell'umidità dell’aria dovuto alla presenza della foresta amazzonica porta a un
grande incremento della pioggia” dichiara
la Dr. Mara Baudena, ricercatrice del Cnr-Isac e coautore della ricerca. Combinando questa dipendenza con una
piena considerazione del bilancio idrico atmosferico, i ricercatori hanno
dimostrato che l’aumento delle piogge legato alla presenza delle foreste in
condizioni umide, porta a una maggiore importazione di umidità dai mari. “Tali
risultati confermano la teoria secondo cui le foreste agiscono come una “pompa
biotica”, un cuore pulsante che sposta l’acqua sul pianeta” dichiara la Dr.
Anastassia Makarieva (Technical University di Monaco di Baviera), primo autore
del lavoro. Continua: “C’è anche una controparte: esistono due regimi per il
ciclo dell’acqua, uno secco ed uno umido. In condizioni secche, la
traspirazione delle foreste non porta a piogge e anzi va a diminuire il
trasporto di umidità dal mare all’entroterra”. Questi risultati sono validi
ovunque, dall’Amazzonia all’altopiano desertico del Loess, in Cina.
I risultati dello studio hanno profonde
implicazioni, per esempio per la resilienza delle foreste tropicali di fronte
al pericolo della deforestazione e del cambiamento climatico. La deforestazione
può deumidificare l'atmosfera e quindi portare la foresta in un regime più
secco, dove la vegetazione in ricrescita potrebbe estrarre ulteriormente l’acqua
dal suolo intensificando l’aridità e al contempo diminuire l'importazione di aria
umida dall’oceano. Uscire da questa trappola potrebbe essere impossibile.
“Speriamo che i risultati dello studio aumentino la consapevolezza
dell'importanza della conservazione delle foreste pluviali” continua Baudena.
"Dobbiamo tenere conto delle relazioni olobiontiche tra tutti gli elementi
dell'ecosistema che consentono una regolazione efficiente del ciclo
dell'acqua", aggiunge un altro autore, il dott. Ugo Bardi (Club di Roma,
Università di Firenze).
C’è anche una buona notizia: anche nelle terre aride, ripristinando la vegetazione originaria si dovrebbe poter migliorare l’apporto di umidità atmosferica dal mare verso l’entroterra. Per raggiungere questo obiettivo, la strategia di ripristino ecologico dovrebbe essere attentamente progettata per guidare la transizione dell'ecosistema dal regime secco a quello umido. Conclude Makarieva: “I flussi d'acqua atmosferici non riconoscono i confini internazionali; quindi, la deforestazione in una regione potrebbe innescare una transizione al regime più secco in un'altra. I nostri risultati indicano che le foreste naturali della Terra, sia alle alte che alle basse latitudini, sono la nostra eredità comune di fondamentale importanza globale, in quanto supportano il ciclo dell'acqua terrestre. La loro conservazione dovrebbe diventare una priorità ampiamente riconosciuta per risolvere la crisi idrica globale».
La scheda
Chi: Cnr-Isac (Torino), Università Tecnica di Monaco (Germania), Centro de Ciência do Sistema Terrestre INPE, São Paulo, Brazil, Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze
Che
cosa: Makarieva, A.
M., Nefiodov, A. V., Nobre, A. D., Baudena,
M., Bardi, U., Sheil, D., Saleska, S.
R., Molina, R. D., & Rammig,
A. (2023). The role of ecosystem transpiration in creating
alternate moisture regimes by influencing atmospheric moisture
convergence. Global Change Biology, 00, 1– 21. https://doi.org/10.1111/gcb.16644
Qui "locale" (linea rossa) significa l'effetto che tutti conosciamo: quando le piante cessano di esistere, la superficie LOCALMENTE si riscalda, anche se riflette di più (es. una foresta in un deserto) (nota di UB: questo è perché scompare l'effetto raffreddante locale della traspirazione). Tuttavia, come ho detto nel mio post originale, ci sono anche effetti non locali: poiché il pianeta cattura meno energia a causa di una superficie più riflettete durante la deforestazione, si raffredda. Questo effetto NON è evidente a livello locale, perché localmente viene superato dal riscaldamento causato dalla perdita di traspirazione.
Ma a livello globale l'effetto diventa pronunciato. Quindi, secondo la Figura 2b, nei modelli globali l'effetto netto dell'illuminazione del pianeta dovuto alla perdita della copertura vegetale è MAGGIORE di qualsiasi traspirazione di raffreddamento possa indurre.
La barra grigia nella Figura 2b è il riscaldamento dovuto alle emissioni di carbonio indotte dalla deforestazione. Quindi questa immagine dice essenzialmente che (quasi) tutta l'influenza della vegetazione sul clima è dovuta all'emissione/cattura di carbonio. Il raffreddamento della traspirazione è negato dal riscaldamento correlato all'albedo.
Tenete presente che dire che i GCM NON tengono conto del raffreddamento della traspirazione non è corretto e minerà la credibilità di chi lo sta dicendo. Gli scienziati SONO molto preoccupati per la valutazione di questo effetto. Ciò che è possibile sostenere è che i modelli potrebbero tenere conto di questo effetto IN MODO ERRATO. Ma per argomentare questo, bisogna avere almeno alcune prove indipendenti.
Ora, date un'occhiata alla Figura 2c. È la più interessante. Mostra separatamente come (la simulazione indica che) il pianeta si è RAFFREDDATO (di quasi 1 grado K) dopo che la vegetazione primaria è stata distrutta e la superficie del pianeta è diventata più luminosa. Questo calcolo basato sull'albedo è molto semplice e quindi robusto.
Quindi, il fatto che l'effetto netto sia molto più piccolo, circa -0,05 K, significa che nei GCM il raffreddamento della traspirazione GLOBALE, in primo luogo, esiste e, in secondo luogo, è molto sostanziale.
La perdita di raffreddamento della traspirazione ha portato a un riscaldamento di circa 1 grado. Nella mia nota originale, ho discusso di come non sia possibile su basi qualitative dire se la traspirazione raffredderà o riscalderà globalmente la Terra.
Ora arriva la domanda principale. Albedo e traspirazione sono grandezze fisiche indipendenti. Com'è possibile che questi effetti indipendenti negli attuali GCM si compensino a vicenda in modo così preciso, in modo tale che l'effetto netto sia più di un ordine di grandezza inferiore a entrambi i due?
È una domanda molto importante, perché influenza la nostra comprensione dei cambiamenti storici della copertura del suolo sul clima. Dato che il processo di traspirazione ha molte incognite(**) e quindi fortemente parametrizzato, la mia ipotesi è che il principale vincolo che ne regola la parametrizzazione (quando i modelli erano sintonizzati sui cambiamenti storici) fosse proprio quello di compensare ampiamente l'influenza reciproca di albedo e traspirazione tale che il segnale climatico potrebbe essere attribuito alla sola CO2.
Se è così, significa che il raffreddamento della traspirazione è l'ELEFANTE sotto mentite spoglie che viene mascherato nei GCM dalle parametrizzazioni. Ciò significa che, a condizione che vi sia la volontà politica (e quindi i finanziamenti), i modelli possono essere riparametrizzati in modo relativamente semplice per informarci che QUASI tutto il riscaldamento osservato è dovuto alla perdita del raffreddamento della traspirazione. Le incertezze possono facilmente accogliere una tale opportunità.
(**) Per darvi solo un esempio di quanto sia scarsamente nota la traspirazione, posso rimandarvi a questo lavoro (Teulling 2018 https://doi.org/10.2136/vzj2017.01.0031) che discute il seguente enigma: le foreste traspirano più delle erbe? Anche le osservazioni raccontano storie diverse.