lunedì 6 luglio 2020

Energia e infrastrutture: chi ha diritto di parlare?

L'impianto eolico di Montemigniaio, sull'appennino toscano


In questo testo, il professor Andrea Pase dell'università di Padova ha magistralmente identificato un elemento chiave di un dibattito in corso sull'opportunità di costruire un impianto eolico sull'Appennino. E' una questione che vale per tante altre infrastrutture di utilità pubblica. Chi ha diritto di parlare in proposito? Succede spesso che gli abitanti dei territori interessati si impegnano in una difesa a oltranza di quello che vedono come il "loro" territorio. Ma questo vuol dire che gli altri cittadin italiani, impegnati nella difesa della società che ritengono "civile" non devono avere voce in capitolo? Qui, Pase allarga la sua visione a includere anche quelli che non sono ancora nati, come pure gli orsi polari, i rapaci, e le salamandre, minacciati dal riscaldamento globale che li spazzerà via, come spazzerà via tutti noi se non troviamo il modo di smettere di bruciare i combustibili fossili. Un bellissimo intervento, buona lettura! (UB)




Buonasera Presidente, buonasera a tutte e a tutti.

MI chiamo Andrea Pase. Sono un geografo dell’università di Padova. Mi occupo soprattutto di Africa subsahariana, faccio ricerca nel Sahel: dal Senegal al Sudan, passando per il Mali, il Burkina Faso, il Niger, la Nigeria, il Ciad.

Vi chiederete giustamente perché partecipo a questa inchiesta pubblica, cosa c’entro io con il monte Giogo.

Sono qui per provare a spiegarvelo.

Inizio esprimendo un parere discorde rispetto a quanto affermato nella scorsa seduta, sempre se ho ben capito, dalla collega politologa, professore Donatella Della Porta, quando ha detto che la modalità telematica inficia questa inchiesta pubblica perché permette a tanti, forse a troppi, che non sono abitanti dell’area, di dire la loro. Questo fatto costituirebbe una distorsione profonda del dibattito. Il vero problema è stato così messo sul tavolo: chi veramente ha diritto di esprimersi su questo progetto?

Concordo pienamente invece su un’altra cosa che la collega ha detto: il crinale è un bene comune. Ma che confine ha quel “comune”? Fin dove si estende la comunità di cui stiamo parlando? Riguarda solo chi abita il Mugello, o i due comuni di Vicchio e Dicomano, o addirittura si identifica con gli abitanti di Villore e Corella?

Di chi è il vento che passa sul crinale? A chi appartiene l’acqua che cade sui versanti appenninici?

C’è un problema e il problema è quello della scala: un classico tema geografico.

La scala in realtà crea i fenomeni: la scelta della scala, prima di tutto quella spaziale, è fondamentale nel poter individuare aspetti diversi di una questione, nell’includere o nell’escludere dal computo costi e benefici. Un conto è se si pensa alla scala locale, un altro a quella nazionale e un altro ancora a quella globale.

Le comunità convocate cambiano a seconda della scala scelta. E si tratta di una scelta politica ed etica, oltre che cognitiva.

Poi c’è anche la scala temporale da prendere in considerazione: a chi ci rivolgiamo? Solo a chi vive oggi o anche a chi vivrà domani?

Un capo nigeriano interrogato nel 1912 affermò che la terra appartiene ad una comunità della quale molti membri sono morti, pochi sono vivi e infiniti devono ancora nascere.

Io vorrei convocare in questa inchiesta molte voci che non sono state ancora ascoltate, a scale spaziali e temporali diverse.

Vorrei convocare gli abitanti delle piccole isole oceaniche che l’innalzamento del mare dovuto al riscaldamento climatico rischia di far sparire. Poche persone, mi direte. Bene, allora convoco gli abitanti dei grandi delta fluviali del mondo: del Nilo, del Gange, del Mississippi, dello Yangtse, centinaia di milioni di persone, anch’esse esposte ad inondazioni sempre più frequenti. Poi chiamo a testimoniare le genti del Sahel, i cui volti ho incontrato tante volte. Il cambiamento climatico moltiplica gli eventi atmosferici estremi, le piogge violente e gli intervalli di siccità, complicando la loro già non semplice vita.

Ma poi convoco anche i non umani, e non solo i rapaci e le salamandre degli appennini, convoco gli orsi polari, convoco le centinaia di specie animali e vegetali a rischio di estinzione, per l’impatto del cambiamento climatico. Chiamo a testimoniare anche il mondo inanimato, i ghiacciai che stanno sparendo.

Vorrei, ancora, convocare i nostri nipoti, chi è piccolo e chi non è ancora nato, per chiedergli cosa si aspettano da noi.

Tutto è correlato, non possiamo ritagliare un singolo luogo dal mondo in cui è inserito, dal tempo che attraversa: dobbiamo assumere consapevolezza e responsabilità che ogni scelta, per quanto piccola, ha ripercussioni ad altre scale. Anche la scelta di cui stiamo parlando oggi: vi prego di tenere presente tutti coloro che abbiamo chiamato a testimoniare stasera. Di tener presente le diverse scale spaziali e temporali implicate.

I “conflitti di scala”, come afferma l’antropologo Eriksen, sono inevitabili in un mondo globalizzato: ogni soluzione ha esiti diversi a scale diverse. Non è semplice, ma è indispensabile provare a far dialogare le diverse scale: le emergenze globali e le situazioni locali, i diritti dei viventi e di coloro che ancora devono arrivare su questa nostra terra.

Chiudo dicendovi da dove parlo, ovvero spiegandovi che a un chilometro e mezzo dalla mia abitazione c’è uno dei più grandi impianti di trattamento della parte umida dei rifiuti di tutta la pianura padana. Vi assicuro che, soprattutto d’estate, non è piacevole. Ma gestire i rifiuti è un’altra delle grandi sfide ambientali. Non è comodo avere questo impianto a portata di naso. Devo dirvi che preferirei avere un impianto eolico. Ognuno, però, non può che fare la sua parte.

Sono disponibile ad ogni approfondimento, volentieri venendo di persona a Vicchio e Dicomano, o ancor meglio a Villore e Corella, magari ospite di qualcuno degli abitanti. Come geografo, amo il territorio.

Grazie, buon proseguimento dei lavori.






giovedì 2 luglio 2020

Mascherine: Quando è necessario usarle?




Di Ugo Bardi e Sara Gandini


Nota: in questo post, è un onore per me avere come coautrice la dott.sa Sara Gandini, epidemiologa e biostatistica. Queste note sono basate in gran parte su un articolo apparso su “Pillole di Ottimismo” e che ha Sara Gandini come primo autore e dove potete trovare un'estesa bibliografia a supporto di quello che leggete qui. 


Come sempre nel dibattito, si tende a estremizzare tutto e le mascherine si prestano particolarmente all’estremizzazione e alla strumentalizzazione ideologica (sono di sinistra o di destra? e la cura al plasma?). Questo specialmente dopo la gran polemica fatta da Vittorio Sgarbi, alla fine portato via di peso dall’aula di Montecitorio (anche se non per via della sua opposizione alle mascherine). Allora, vediamo se possiamo fare un po’ di chiarezza.

Cominciamo con esaminare come si propaga il virus detto “SARS-Cov-2.” C’è scarsa evidenza che si propaghi per contatto ma sembra chiaro invece che viaggi nell’aria in forma di “aerosol,” ovvero portato da minuscole goccioline in sospensione. Queste goccioline sono emesse dalla normale respirazione, in particolare quando uno parla. Le goccioline più grandi, quelle visibili quando uno starnuta o tossisce, tendono a cadere rapidamente a terra e non sono molto dannose. Viceversa, un aerosol si spande dappertutto, specialmente in ambienti chiusi dove tende a ristagnare. E, in effetti, la maggior parte dei contagi sono stati riscontrati in ambienti chiusi: case di cura, residenze, ristoranti, bar, e simili. All’aperto, il virus sparisce rapidamente e la luce del sole da un ulteriore contributo a disattivarlo. Così, il modo migliore per evitare il contagio è stare all’aperto. Se uno deve stare in ambienti chiusi, è bene arearli il meglio possibile.

E le mascherine? I dati sono in accordo con quello che sappiamo di come il virus si trasmette. Finché uno sta all’aperto e non è vicino a persone infette, non c’è evidenza che la mascherina serva a qualcosa. Poi, la mascherina fa moltissimo per eliminare le goccioline relativamente grandi, molto meno per quelle molto piccole, le più pericolose. Questo dipende dal tipo di mascherina, che è comunque utile quando ci si prende cura di persone infette, in ambienti chiusi affollati, o comunque in vicinanza di persone che potrebbero essere contagiose.

Ma come possiamo sapere se ci sono persone infette intorno a noi? Certezze non ce ne sono mai perché che il rischio zero non esiste, e quindi non possiamo fare altro che usare il buon senso come prendere precauzioni quando siamo a contatto con le persone più a rischio, per esempio anziani con patologie croniche. Fortunatamente in Italia, ma anche in molti paesi europei, il numero di soggetti con tampone positivo è oramai molto basso e in continuo declino, molti di questi non sono realmente contagiosi. I ‘focolai’ sono tutti contenuti, ma soprattutto il rischio di ospedalizzazione a causa del Covid-19 oramai è minimo. Alcuni sostengono che il virus potrebbe tornare e, in quel caso, sarà bene avere le mascherine a portata di mano. Ma per ora non sta succedendo.

Per finire, è vero che le maschere fanno male a chi le indossa? Molto di quanto è stato detto a questo riguardo è falso o esagerato. Non risulta che le mascherine abbiano controindicazioni fisiologiche comuni. Però ci sono problemi, come la necessità di smaltire centinaia di milioni di mascherine usate, la maggior parte delle quali non sono state pensate per essere riciclate. E potrebbero portare problemi psicologici seri, specialmente nei bambini.

Quindi, indossate pure la mascherina se vi fa piacere o se vi fa sentire più sicuri, ma sappiate che:

  1. All’aperto, la mascherina non è necessaria, a meno che non si sia in condizioni di forte affollamento.
  2. In casa, la mascherina può servire solo se ci sono persone colpite dal virus.
  3. Non è necessario che i bambini indossino la mascherina. Sembra certo i suggerimenti INAIL per un uso continuativo delle mascherine a partire dal prossimo anno scolastico da parte di tutti i bambini sopra i 6 anni nelle ore di permanenza a scuola *non* sono fondati su considerazioni scientificamente solide.
  4. Nei luoghi di lavoro e luoghi pubblici, ci sono regolamenti che vanno rispettati. Ma la necessità di una mascherina è quantomeno discutibile eccetto in ambienti particolari, come gli ospedali e gli ambulatori.



Sara Gandini.  Dal 2018 direttrice (Group leader) dell’unità "Molecular and Pharmaco-Epidemiology" presso il dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano (IEO).  Docente dell’European School of Molecular Medicine di Milano (SEMM). Dal 2016 professoressa a contratto di statistica medica presso l'Università Statale di Milano.
http://www.semm.it/content/sara-gandini
https://www.researchgate.net/profile/Sara_Gandini


mercoledì 1 luglio 2020

Basta scienza!


Il 23 giugno 2020 Ugo Bardi ha pubblicato su Facebook (nel Gruppo The Seneca Effect) un post con la foto di una manifestazione in cui veniva innalzato un cartello con la scritta BASTA SCIENZA.
La manifestazione, organizzata dal movimento 3V (Vogliamo Verità Vaccini), si è svolta il 20 giugno in piazza Santa Croce a Firenze e vi hanno partecipato migliaia di persone contrarie all’uso dei vaccini, ma anche alla rete 5G, alla TAV e via dicendo.
Non entro nel merito di questi argomenti, a cui ho già dedicato un paio di articoli (vedi “Antivaccinismo e dintorni” e “La rete che ci sta per avvolgere”); vorrei invece soffermarmi sullo specifico discorso della scienza, che mi pare di assoluto rilievo.
A caldo ho così commentato il post: “Quel cartello andava issato migliaia di anni fa e doveva recitare: "No alla scienza". Ora è troppo tardi. Solo la scienza può tentare di rimediare ai guai che gli scienziati hanno combinato […]”
Cosa intendevo dire? Provo a rispondere infilando i ragionamenti uno dietro l’altro, in modo consequenziale ma anche estremamente sintetico, in modo da non annoiare chi legge e andare diritti al cuore del problema.
1) La scienza è figlia del pensiero astratto (di quel tipo di pensiero cioè che mette in relazione gli oggetti e ne ricava dei collegamenti immateriali)
2) il pensiero astratto nasce nell’uomo in modo graduale, man mano che il suo cervello cresce e con esso il numero dei neuroni
3) esiste una soglia di sviluppo neuronale, che nessuno è in grado di quantificare, al di sopra della quale inizia a formarsi il pensiero astratto e al di sotto della quale il pensiero rimane “oggettivo”, “concreto”, legato alle sensazioni e nulla più
4) una volta superata la soglia, l’uomo inizia a modificare la natura. Il pensiero astratto gli consente di immaginare forme nuove per gli oggetti esistenti e poi di modificarli come immaginato. Nasce così l’industria litica, poi la caccia di gruppo, la pastorizia, l’agricoltura ecc.
5) nasce la matematica, la geometria, la scienza
6) lentamente, passo dopo passo, si concretizza il mondo artificiale. La scienza mette a disposizione dell’uomo ritrovati sempre più sofisticati che gli consentono di impossessarsi degli spazi che la natura aveva riservato ad altre specie (animali e vegetali)
7) lo strumento mediante il quale l’uomo raggiunge gli obiettivi indicati dalla scienza è il lavoro (a questa attività, bollata un tempo come maledizione e oggi incensata come benedizione, ho recentemente dedicato l’articolo “La retorica del lavoro”)
8) la scienza consente all’uomo di moltiplicarsi a dismisura (tramite igiene diffusa, contrasto alle malattie ecc.), nonché di alimentare questa immensa moltitudine e di fornire energia alla ancor più grande moltitudine di macchine che scienza, tecnica e lavoro hanno prodotto (di questi argomenti tratta il mio nuovo libro “L’impero del cancro del pianeta”)
9) la scienza ha quindi contribuito in modo determinante all’edificazione di questa rete mondiale che sta soffocando la biosfera come le masse tumorali distruggono i tessuti sani degli ammalati di cancro
10) ma solo la scienza ha anche le chiavi per il sostentamento di questa enorme massa umana, per continuare a far marciare la macchina finché ci sarà carburante disponibile. Rinunciare oggi alla scienza significherebbe innescare anzitempo la catastrofe. Il mondo artificiale ha i secoli contati (o decenni?). Solo la scienza, la colpevole di tutto, può ancora elargirci cure palliative in grado di allungare un poco l’esistenza della biosfera che noi conosciamo. Dobbiamo rinunciarvi? Chi non tenterebbe di alleviare le sofferenze di un ammalato di cancro in fase terminale?
Ecco riassunti in 10 punti i termini del dramma che stiamo vivendo.
In Siberia si sono toccati 38 gradi di calore. La pandemia partita dalla Cina ha raggiunto tutto il mondo, in conseguenza del global warming, della deforestazione, della desertificazione, dell’inquinamento, della sovrappopolazione, e così via.
Tutto a causa della scienza, figlia del pensiero astratto, che ci ha consentito di dar vita al mondo artificiale.
E, prima ancora, a causa della crescita eccessiva del nostro encefalo.
Causa, non colpa. Qui nessuno è colpevole. È accaduto e basta.
Ma ora, al punto in cui siamo, credo che sia giunto il momento di svelare il vero senso del cammino che abbiamo sin qui percorso.
A questa “impresa” è consacrato il mio prossimo libro, che avrà per titolo “Rivelazione”, e per sottotitolo: “Discorso alle cellule malate”. Con questa opera, che vedrà la luce non prima del 2021, mi propongo di approfondire analiticamente il ruolo svolto dal nostro cervello, dal pensiero astratto e dalla scienza nell’infausta attività di distruzione della natura che stiamo portando avanti con ritmi sempre più frenetici.
Cionondimeno credo che il decalogo sopra riportato possa avere una sua utilità nell’incuriosire il lettore in buona fede sui problemi innescati dalla scienza e sul fatto che solo la scienza è in grado di decifrarli e di tentare di arginarli.
Un’ultima annotazione relativamente al movimento organizzatore della manifestazione di Firenze.
Un suo fan ha scritto: “BASTA SCIENZA!”, ma il secondo punto programmatico di questo neonato movimento afferma: “La Repubblica è fondata sul lavoro ed essa riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro”.
Alla luce del ragionamento fin qui svolto (vedi punto 7) dovrebbe apparire evidente la contraddizione di chi intendesse fermare la “scienza” e al tempo stesso riconoscere al “lavoro” un ruolo centrale nella vita della Repubblica.
Ma tant’è! Protestare contro tutto e contro tutti è molto più facile che costruire un sistema ideologico coerente.

domenica 28 giugno 2020

Negazionismo del Virus: siamo alla caccia alle streghe.



Di Ugo Bardi


Vi ricordate la storia del tempo della "caccia alle streghe" negli Stati Uniti negli anni 1950, quello che chiamiamo "Maccartismo"? A quel tempo, Kenneth Galbraith raccontava che qualunque cosa scrivesse stava sempre attento a evitare che qualcuno potesse estrarre una frase fuori contesto per accusarlo di simpatie per il comunismo.

Bene: non è che le cose siano cambiate molto da allora. Ti fanno ancora lo stesso scherzetto, ma ora per accusarti di "negazionismo del virus."

Vi racconto cosa mi è successo. In un post su Facebook di qualche giorno fa, avevo fatto vedere l'andamento della mortalità in Italia sulla base dei dati dell "European Mortality Monitor" (Euromomo) . I dati fanno vedere come il numero di vittime causato dal cornavirus sia stato considerevole, ma non molto più grande di quello di altre epidemie stagionali.

Bene, nella discussione qualcuno mi ha domandato la ragione del picco di mortalità del 2016 che si vedeva nei dati. Io gli ho risposto che era "una normale influenza stagionale" -- cosa che in effetti era.

Avrei dovuto ricordarmi del consiglio di Galbraith. Ti pareva che qualcuno non avrebbe estratto quella frase dal contesto per accusarmi di aver detto che il coronavirus era "una banale influenza"? E, in effetti, qualcuno ha letto la discussione e lo ha fatto.

Ho cercato di spiegare che mi riferivo all'influenza del 2016, non a quella del 2020, come del resto era evidente nel contesto. Ma non c'è stato niente da fare. Puntuale, mi è arrivata indietro l'accusa di "arrampicarmi sugli specchi".

Insomma, siamo rimasti a questi trucchetti retorici basati sull'idea di accusare una persona delle peggiori nefandezza sulla base di una singola frase che ha detto (o che, non ha nemmeno detto, tipo quella di Berlusconi sul fascino discreto di Angela Merkel).

Stateci attenti anche voi, che basta nulla per finire additati al pubblico ludibrio per aver detto qualcosa di politicamente scorretto, anche se uno non l'ha né detto né pensato. E andiamo avanti, però mamma mia che la vita è difficile....






giovedì 25 giugno 2020

Sesso per Olobionti -- Perché le persone si toccano fra loro?

Uso il traduttore di Google per presentarvi un post strabiliante dal blog in lingua inglese di Ugo Bardi.

Innanzitutto, trovo il tema incredibilmente più importante del 90% delle cose di cui si parla nei media in questi giorni.
Secondariamente, da traduttore luddista, mi preoccupa il fatto che l’Intelligenza Artificiale stia rapidamente arrivando al mio livello: dieci anni fa, dire “sì, hai usato Google per tradurre!” era un insulto.
Oggi, IA sa pure cosa sono gli olobionti.
Lasciamo la parola a Ugo Bardi

Perché le persone si toccano continuamente? Le vie del sesso tra gli olobionti



Al giorno d’oggi, siamo incoraggiati a sterminare il nostro microbioma cutaneo mediante varie sostanze velenose. Ma questa non è una buona idea. Siamo olobionti e il nostro microbioma fa parte di noi. Se uccidiamo il microbioma, uccidiamo noi stessi. Toccarsi l’un l’altro è un modo per mantenere vivo il nostro microbioma, è una forma di sesso (“olosesso”) intesa come una forma di comunicazione. La signora in questa foto sembra capire il punto, almeno a giudicare dalla sua espressione infelice. (vedi anche il gruppo “proud holobionts” su Facebook)


Gli umani tendono a toccarsi. Si abbracciano, picchiettano, si strofinano, si baciano, si coccolano, si stringono, si accarezzano, eccetera. Pensiamo all'abitudine del bacio (“la bise”) tipica della società francese, si fa anche in Italia e in altri paesi latini. Nella maggior parte delle società, almeno un qualche tipo di contatto con la pelle dovrebbe essere un segno di fiducia reciproca.

Ma oggi vediamo uno schema completamente diverso che si diffonde in tutto il mondo. Con l’epidemia di coronavirus, le persone non si stringono più la mano, per non dire nulla sul baciarsi e abbracciarsi. Non solo le persone non vogliono toccare altre persone, ma hanno anche una paura positiva di avvicinarsi l’una all’altra. Si chiama “social distancing” e comporta una serie di comportamenti ritualizzati di dubbia efficacia contro l’epidemia che includono indossare maschere per il viso, disinfettare le mani, spruzzare disinfettanti su persone e cose, alzare barriere di plexiglass e altro ancora.

Allora, cosa sta succedendo? Il distanziamento sociale è solo un’esigenza temporanea o qualcosa che durerà in futuro? La risposta dipende dal fatto che il contatto con la pelle sia utile per qualcosa: in caso contrario, potremmo anche abbandonarlo, a parte le esigenze strettamente riproduttive. Ma perché le persone si toccano? Per prima cosa, potremmo essere ragionevolmente sicuri che se il contatto reciproco fosse dannoso per noi, la selezione naturale avrebbe eliminato questo comportamento dal nostro pool genetico e dalle nostre abitudini culturali. Al contrario, toccarsi ha vantaggi positivi. È perché siamo tutti olobionti.

Lasciatemi spiegare: io sono un olobionte, tu sei un olobionte, tutte le creature viventi che ti circondano sono olobionti. Il termine è un po astruso e ancora poco conosciuto, ma ha fatto spettacolari progressi in biologia da quando è stato proposto da Lynn Margulis nel 1991. Probabilmente hai sentito parlare di Margulis come co-sviluppatore con James Lovelock del concetto di “Gaia “come sistema di controllo dell’ecosfera terrestre. E, sì, anche Gaia è un holobiont!

Quindi, cos’è un olobionte? È una comunità di esseri viventi che condividono cibo, riparo, risorse e si proteggono a vicenda. Un albero è un holobiont, una foresta è un holobiont, una barriera corallina è un holobiont, il tuo cane è un holobiont. E, come ho detto, come essere umano sei un olobiont. Sei un’entità formata da un organismo umano e un grande microbioma formato da un ecosistema completo di microrganismi che vivono sulla tua pelle, colonizzando il tuo intestino, aiutando varie sintesi ormonali più o meno ovunque nel tuo corpo. Senza un microbioma, non sopravvivresti a lungo, anche se potresti vivere un’esistenza precaria con un set ridotto della versione a pieno titolo.

E, come olobionte, fai sesso continuamente con altri olobionti (e, sì, anche con il tuo cane!). Questo deve essere spiegato come parte del grande fascino per il concetto di olobionte. Stiamo iniziando a sviluppare una definizione di “sesso” che va oltre quella convenzionale. Nel nostro caso, come esseri umani, pensiamo al sesso come allo scambio di materiale genetico tra un maschio e una femmina della stessa specie (in realtà, pratichiamo anche varietà di sesso non orientate alla riproduzione, ma questa è un’altra storia). Il risultato del sesso riproduttivo è la meiosi e un nuovo individuo con un genoma misto. Si chiama anche “sesso verticale”, il che significa che il materiale genetico viene trasferito dai genitori alla prole.

Al contrario, il trasferimento genico orizzontale è il movimento di materiale genetico da un organismo donatore a un organismo ricevente che non è la sua progenie. I batteri, di gran lunga la forma di vita più comune sulla Terra, scambiano materiale genetico semplicemente facendolo passare attraverso le loro membrane, un meccanismo chiamato “coniugazione”. E i virus sono grandi macchine per lo scambio genetico: sono pacchetti di DNA e RNA che si spostano da un ospite all’altro.

Un olobionte è, come si dice, un altra caraffa di coltura batterica. È formata da un insieme di organismi, quindi non ha un genoma adeguato. Ma ha un ologenoma, l’insieme dei genomi degli organismi che lo compongono. L’ologenoma ha lo stesso significato del genoma, è il “progetto”, per così dire, dell’olobiont. E poiché gli olobionti sono creature viventi, nascono e muoiono. Quindi, l’ologenoma deve essere trasmesso dall’uno all’altro. È la trasmissione di informazioni costitutive. È un tipo di sesso che possiamo chiamare “olosesso”.

Per mezzo dell'olosesso, gli olobionti trasmettono l’ologene, scambiano informazioni da un individuo all’altro. È in questo modo che si verifica l’evoluzione: gli olobionti “cattivi”, ovvero quelli che sono instabili o incapaci di garantire la sopravvivenza dell’organismo, vengono deselezionati e scompaiono. È una forma di selezione naturale, non esattamente nel senso neo-darwiniano, ha un certo grado di trasmissione “lamarckiana” di informazioni. In altre parole, gli olobionti si scambiano continuamente materiale genetico da un individuo all’altro. Se un holobiont ha sviluppato alcune capacità che altri olobionti simili non hanno – diciamo, resistenza a un parassita specifico – può trasmetterlo direttamente ad altri olobionti dallo scambio di microrganismi. Non è necessario attendere che la popolazione venga sostituita da una nuova generazione di individui che hanno ereditato un determinato tratto.

Ma allora come funziona esattamente quell’olosesso, il sesso tra gli olobionti? Bene, non hai bisogno di organi speciali e, ovviamente, non c’è distinzione maschio / femmina. Il materiale ologenetico si presenta principalmente sotto forma di forme di vita microbiche di vario tipo. Per scambiare queste piccole creature, gli olobionti devono essere in contatto tra loro o, almeno, vicini l’uno all’altro. Quindi, il passaggio dei microbi avviene principalmente per contatto con la pelle, anche se ci sono altre possibilità.

Ecco perché gli olobionti tendono a toccarsi: si abbracciano, si accarezzano, si strofinano e si baciano: è scambiare pezzi del loro ologenoma, esibirsi in olosesso, se ci piace usare questo termine. Tendono, come possiamo immaginare, a essere cauti nel farlo perché potrebbero scambiare microbi “cattivi” ed essere infettati da qualche malattia. Come tutti sappiamo, il sesso è necessario, ma nessuno ha mai detto che non è pericoloso. Gli olobionti hanno bisogno dell’olosesso per trasmettere e mantenere la loro struttura ologenetica. Niente sesso, niente vita. Almeno non per molto.

Ciò significa che, prima o poi, torneremo a toccarci e, forse, in Francia, ricominceranno con la bise. Ora sembra obsoleto come i rituali danzanti sulla Dea della luna nella notte, ma potrebbe tornare di moda anche questo. E così, avanti, compagni olobionti!

martedì 23 giugno 2020

Siccità: galoppa nella nebbia parolaia e cementizia


                                                Fichi sofferenti per la siccità
 Post di Silvano Molfese

Nel dibattito pubblico sulla pandemia da Coronavirus una figura nuova per il grande pubblico è salita, suo malgrado, alla ribalta televisiva: quella dell’epidemiologo. Questi professionisti ci hanno spiegato come e perché si diffondono le epidemie e le misure preventive da adottare in attesa di un vaccino e di cure efficaci.

Al momento si dibatte sulla ripresa delle attività produttive, stiamo ascoltando anche giornalisti, politici e imprenditori: questi ultimi hanno parlato delle loro proposte imperniate come al solito sulla ripresa della crescita; il tutto è condito dalle polemiche governo-regioni, tra regioni e via dicendo.

Nonostante da diversi mesi si dia tanto spazio televisivo alla pandemia, sono quasi assenti dalla discussione quotidiana gli aspetti ecologici che ci hanno portato al blocco mondiale. Eppure in Italia non mancano gli ecologi che lavorano da tanti anni, tuttavia questi esperti non hanno spazio nei dibattiti in TV: perché? Secondo me forse interrogati su questo argomento potrebbero rispondere che il virus SARS-CoV 2 è "agente causale" di questa pandemia secondo la definizione di Lewontin (1).



Le cause che hanno favorito lo sviluppo del Covid 19, come di altre patologie animali e vegetali, sono legate all’intromissione sempre più massiccia dell’uomo negli ambienti naturali, alla concentrazione sempre più elevata di persone nei centri urbani, ai fitti scambi commerciali su scala globale, alla concentrazione sempre più spinta di animali domestici; all’inquinamento di tutto l’ambiente che ci circonda, con numerosissime sostanze di sintesi.

Il saccheggio metodico delle risorse naturali è praticato pure in Italia anche se spennellato di verde: per alimentare le centrali termoelettriche nostrane, che vanno a legna, adesso chiamata biomassa, annualmente si bruciano circa 5 milioni di tonnellate di pellet; di queste ne importiamo oltre 4 milioni dall’estero. Bruciare tali quantitativi di legna significa immettere nel giro di un solo anno milioni di tonnellate di CO2, biossido di carbonio, che saranno riassorbiti dalle piante in diversi decenni.

A livello globale in quasi due decenni, fino al 2018, sono stati rasi al suolo o incendiati qualcosa come 230 milioni di ettari di foreste primigenie, in pratica una superficie estesa quasi otto volte l’Italia! (2)

Le cause che ci hanno condotto a questo punto andrebbero ricercate nel sistema economico imposto in tutto il mondo e che favorisce la distruzione delle foreste, per trarre profitto e impossessarsi di vasti territori: non sia mai far parlare un ecologo tutti giorni in televisione!

Luca Mercalli, sul Fatto Quotidiano, segnala le preoccupanti anomalie termiche: ben 25 °C sopra la media in Siberia, a Khatanga, il 22 maggio (3); a Bologna il 14 aprile, nel giro di mezzora, la temperatura si è abbassata di ben 12 °C! (4)

Sono dati che dovrebbero destare una forte preoccupazione collettiva ed una quotidiana discussione pubblica a tutti i livelli perché è in discussione la sicurezza alimentare di quasi tutta la popolazione italiana. Le piante, come tutti gli esseri viventi, soffrono per queste elevate e rapide escursioni termiche e, se non deperiscono, certamente produrranno molto poco.

Dieci anni addietro la Russia bloccò le esportazioni di cereali per una intensa e prolungata ondata di calore ed il prezzo del grano si impennò: qualche mese più tardi quasi tutti i paesi del Nord Africa erano in rivolta.

Da ben due secoli si bruciano ingenti quantità di combustibili fossili e la distruzione delle foreste avviene proprio mentre aumenta la concentrazione di biossido di carbonio in atmosfera: per questo parametro siamo già molto oltre la soglia di sicurezza e le conseguenze sono il caos climatico e la siccità che aumentano anno dopo anno.

Per la siccità a Città del Capo, Sud Africa, l’acqua è razionata e la popolazione giornalmente può consumarne solo cinquanta litri a testa! (5) Cosa succederebbe se in Italia fossimo costretti ad un consumo idrico limitato a cento litri pro capite al giorno? Non oso immaginarlo.

La preoccupazione è più che motivata: le temperature medie aumentano, le portate medie dei principali fiumi italiani e le precipitazioni nevose stanno diminuendo come anche l’infiltrazione dell’acqua che ricarica le falde.

Questi fenomeni si verificano a livello mondiale e quindi non possiamo fare affidamento su aiuti alimentari esterni. Mentre la siccità avanza al galoppo, vengono riproposte colate di cemento per le tasche delle imprese cementizie e per la gioia dei politicanti e di numerosi sindacalisti.



Bibliografia

(1) Lewontin R.C., 2010 – Biologia come ideologia. Bollati Boringhieri, 43 (Rimasi colpito dalla distinzione tra causa ed agente causale dell’Autore)
(2) Bertacchi A. 2019 - Relazione al convegno Resilienza o estinzione, Pisa 22 marzo 2019 http://mediaeventi.unipi.it/category/video/Resilienza-o-estinzione-parte-seconda/5eb581096cc392dfdbd8cd35cbec5bcf/206 al minuto 97.
(3) Mercalli L., 19 aprile 2020, - Il virus è poca cosa rispetto al disastro ambientale futuro. Il Fatto Quotidiano, 13
(4) Mercalli L., 24 maggio 2020, - In Italia arriveranno le notti “tropicali”, ai tropici tempeste. Il Fatto Quotidiano, 13

(5) Rai Tre – Acqua perduta - Presa Diretta di lunedì 3 settembre 2018

sabato 20 giugno 2020

Cancrismo e libero arbitrio


Annibale Carracci - Ercole al bivio (indeciso tra virtù e vizio)

Post di Bruno Sebastiani

Il pensiero umano, sin da quando ha iniziato a elaborare concetti astratti, si è diviso tra chi ritiene che Homo sapiens possa agire liberamente e chi lo nega.
Agli animali sarebbe preclusa questa possibilità poiché il loro cervello non elabora concetti astratti e il loro comportamento è guidato unicamente dall’istinto.
Già da questa introduzione appare chiaro come la diatriba sul “libero arbitrio” poggi sul fatto che il nostro cervello ha patìto una evoluzione abnorme, sconosciuta a ogni altra specie vivente.
E poiché, sin dal suo apparire, questa evoluzione abnorme è stata glorificata come l’evento più importante nella storia della biosfera, ne consegue che anche il libero arbitrio da allora è stato considerato condizione preminente rispetto alla “schiavitù” dell’istinto, tipica del mondo animale.
Le principali religioni, e in particolare le più diffuse, Cristianesimo e Islam, considerano il libero arbitrio una caratteristica imprescindibile della natura umana.
Questa attribuzione ha una sua ben precisa ragion d’essere: è l’espediente escogitato da profeti e teologi per giustificare la presenza del male nel mondo.
Come sarebbe stato possibile credere in un Dio perfettissimo che avesse creato degli esseri malvagi? L’ostacolo è stato aggirato dicendo che Dio aveva creato l’uomo (il “re del mondo”) tanto perfetto da essere libero, in grado cioè di decidere autonomamente del suo destino.
Salvo arrabbiarsi, lui, Dio, quando la scelta dell’uomo cade sul male anziché sul bene. E allora perché non “inclinarlo” verso il bene sin dall’inizio, impedendogli di fare il male?
Se è veramente onnipotente avrebbe potuto farlo!
In realtà il mondo della natura, come già detto, non gode di questa libertà. E, per di più, non conosce il concetto di bene e di male. O meglio. Il bene in ottica evoluzionista è ciò che tende a preservare la vita dell’individuo e a perpetrare quella della specie. Il male è ciò che vi si contrappone. Ciò all’interno di un complicatissimo sistema di pesi e contrappesi che mantiene la vita nel suo insieme in una perenne condizione di equilibrio instabile.
Ogni specie tende a espandersi ed è frenata in questa sua attività dalla capacità espansiva delle specie circonvicine, in un intreccio di territorialità e di convivenza che coinvolge tanto il mondo vegetale quanto quello animale.
La foresta con i suoi grovigli di piante, grida di animali, volo di uccelli, ombre, luci, vento e quant’altro è la rappresentazione vivente (o meglio: lo era) di questo mondo tanto complesso e tanto autoregolantesi.
Poi, come sappiamo, a un primate crebbe il volume del cervello e con esso la capacità di elaborazione delle idee.
Questo evento spostò gradualmente l’ago della bilancia a favore del primate in questione, divenuto nel frattempo “homo habilis”, poi “erectus” e infine “sapiens”.
Le specie circonvicine non furono più in grado di contrastare l’avanzata di questa specie, e iniziarono fatalmente a ritirarsi.
Ma la specie “homo” avrebbe potuto decidere di non espandersi ai danni delle specie circonvicine? Questa è la domanda fondamentale in merito alla questione del libero arbitrio.
Siamo tutti consapevoli di poter scegliere liberamente se andare al cinema o se restare a casa a guardare, la televisione.
Ma avremmo potuto scegliere di rinunciare all’utilizzo della parte superiore del nostro cervello, la neocorteccia, la quale, essendo intimamente connessa agli strati inferiori ove risiedono gli istinti primordiali, non poteva che sbilanciare a nostro vantaggio i delicati equilibri della natura?
Ebbene la risposta è no.
No in via teorica, per il semplice motivo che il cervello, sebbene tripartito, è tutt’uno (per un approfondimento su questo argomento si veda il primo capitolo del mio libro “Il cancro del pianeta consapevole” dal titolo “L’evoluzione abnorme del cervello”).
No in via empirica, in quanto tutta la storia del genere umano sta a dimostrare come dalle prime pietre levigate agli ultimi ritrovati della tecnica, ogni scoperta, invenzione, applicazione elaborata dal nostro cervello sia sempre stata usata per accrescere il nostro potere nei confronti del mondo della natura.
Tutto ciò premesso, vi è da dire che l’evoluzione umana, dopo aver conseguito a livello biologico l’abnorme evoluzione del cervello (la carcinogenesi), ha proseguito il suo cammino a livello culturale.
La ragione, frutto dell’evoluzione di primo tipo, si è dimostrata di gran lunga l’arma più potente nella lotta per la vita di darwiniana memoria, tanto potente da riuscire a modificare anche le proprie capacità elaborative.
Sinora lo ha fatto a proprio esclusivo vantaggio. Non solo. Lo ha fatto esaltando questa sua caratteristica, glorificando queste sue capacità: è il mito del continuo progresso che ha sospinto la ruota della storia sino al punto in cui ci troviamo.
Potrà la ragione modificare questo iter? Potrà assurgere al “libero arbitrio” e utilizzare se stessa contro se stessa?
Finora i segnali in questa direzione sono scarsi, diffusi solo a livello personale, del tutto insignificanti a livello socio - politico.
Il “servo arbitrio” impera a ogni latitudine. Tutti i popoli vogliono “progredire”, accrescere la produzione di ogni genere di beni, aumentare i consumi, arricchirsi, espandersi.
Questa è l’evoluzione culturale condizionata dagli istinti primordiali di sopravvivenza.
Contro questo modello c’è chi invoca la decrescita, la chiusura degli allevamenti intensivi, la rinuncia alla deforestazione e alle grandi monocolture, ma si tratta di una esigua minoranza, la cui predicazione, oltretutto, si scontra con il livello di complessità raggiunto dall’organizzazione sociale dell’impero del cancro del pianeta.
Una minoranza che esercita il libero arbitrio. È l’unico esempio che abbiamo.
Ed è per dare una voce più vigorosa a questa minoranza che nasce il Cancrismo.
Le idee possono muovere il mondo? Preferisco non pronunciarmi su ciò che accadrà in futuro, ma se esiste una tale possibilità, richiede senz’altro di poggiare su basi solide, su idee coerenti e ben strutturate intorno a una metafora fondante di sicuro impatto emotivo.
La metafora, l’immagine che io propongo è quella della cellula sana che si trasforma in cellula tumorale e si espande indefinitamente nel corpo dell’ammalato.
Lo choc provocato da questa immagine è del tutto voluto: intende smuovere le coscienze di quanti più umani è possibile dalla passiva accettazione degli impulsi originati a livello di cervello limbico e rettiliano per accedere finalmente ad uno spiraglio di libero arbitrio.
Se ciò non accadrà (e difficilmente accadrà), sarà la natura prima o poi a intervenire, presentandoci il conto del sontuoso banchetto sin qui consumato ai danni di tutte le altre specie vegetali e animali. C’è solo da augurarsi di non essere presenti nel momento in cui sul pianeta si scatenerà questo “redde rationem”.
Ma, visto che sto scrivendo queste pagine in tempo di pandemia, riflettiamo sul fatto che anche questo evento ha potuto verificarsi a causa della distruzione di tanti habitat naturali da noi causata, dalla nostra eccessiva concentrazione in spazi ristretti (le megalopoli) e dai numerosi mezzi di comunicazione che hanno trasformato il pianeta in un villaggio globale.
Le poche settimane di forzata inattività umana sono bastate alla natura per riprendersi qualche spazio che le era stato tolto.
Non so cosa accadrebbe se questo confinamento della nostra specie dovesse prolungarsi per mesi o anni.
A fianco di una espansione di tante specie vegetali e animali ai nostri danni, assisteremmo all’inceppamento della macchina sociale, con tutte le conseguenti gravi problematiche.
Ma cosa accadrà una volta superata l’emergenza sanitaria? Se tutti riprenderanno le loro abituali attività, proseguiremo la nostra folle corsa verso il baratro.
Vale dunque la pena di fare un estremo tentativo per conquistare realmente il libero arbitrio e volgere l’uso della ragione contro se stessa.
Il Cancrismo non vuol essere un “divertissement” letterario, ma una vera e propria rivoluzione culturale in questa direzione.