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lunedì 30 maggio 2022

La memetica delle armi biologiche – e perché sono importanti




Da "The Unconditional Blog"
Marzo 17, 2022

Armi Biologiche: quanto c’è di vero in quello che si racconta?

La presenza di laboratori di ricerca biologici in Ukraina è stata recentemente ammessa pubblicamente da Victoria Nuland, ex assistant secretary of state degli Stati Uniti. Non è stato detto che questi laboratori erano dedicati alla fabbricazione di armi biologiche, ma questa storia ha rinfocolato la discussione sulle armi biologiche e, di riflesso, sull’origine del virus SARS-Cov2.

Nell’articolo che vi traduco, qui di seguito, ne parla il prof. Chuck Pezeshki dell’Università di Washington. Chuck (lo conosco bene) è un ingegnere con una vasta esperienza in molti campi, incluso la politica internazionale, con in più una grande capacità (del resto tipica degli ingegneri) di analizzare le cose senza farsi fuorviare dalla politica o dai ragionamenti “di pancia.”

Anche per persone competenti, comunque, l’analisi della situazione con i virus e i vaccini non è cosa facile. Siamo a parlare di cose “top secret” per le quali abbiamo soltanto brandelli di dati che emergono in qualche modo dal silenzio ufficiale. Vi ricordate come, all’inizio, dire che il virus era un’arma biologica era considerata un’ovvia scemenza di complottisti/terrapiattisti. Col tempo, tuttavia, sono venuti fuori molti dettagli quantomeno sospetti. Più che altro, ci siamo resi conto che la “guerra biologica” è qualcosa che i governi delle potenze mondiali considerano molto seriamente.

Ora, ovviamente, se il SARS-Cov2 era un’arma biologica, è stato un flop colossale. Con tutta la buona volontà, che razza di arma è una che uccide lo 0.1% dei bersagli, come è successo in Italia? (e questi sono quelli contati come deceduti “con Covid”, quelli veramente uccisi “dal Covid” sono sicuramente di meno). Eppure, non è impossibile che questo virus fosse stato concepito come un arma – semplicemente potrebbe non aver funzionato come i suoi creatori pensavano che funzionasse.

Se provate a pensare la storia in questi termini, si trovano mille intrecci che si sovrappongono. Il principale (che Chuck non cita nel suo articolo, ma è un punto fermo della storia) è tale Rajeev Venkayya (https://brownstone.org/articles/the-vindication-of-d-h-henderson/) che già nel 2005 aveva proposto la strategia dei lockdown come una difesa contro possibili attacchi terroristici basati su armi biologiche. È possibile che i governi abbiano reagito applicando il piano di Venkayya di fronte a quello che pensavano fosse un attacco biologico capace di fare enormi danni?

Per ora sono solo illazioni, ma chissà? Di certo, come nota giustamente Chuck, i governi credono veramente alle armi biologiche. C’è in questo momento una specie di “escalation” globale nella ricerca di nuove patogeni con i pesci piccoli che cercano di inventarsi qualcosa che li può mettere alla pari con i pesci grossi.

Ma che cosa possono fare veramente le armi biologiche? Fino a ora, non c’è mai stato un caso in cui sono state effettivamente utilizzate e non è detto che sia facile crearle. Potrebbe essere addirittura impossibile. Un altro punto interessante che fa Chuck è quello delle nostre difese biologiche innate. Quelle che hanno avuto “eoni” di tempo per evolversi in modo tale da proteggerci dai germi in modo ottimale. Per quelli che cercano di mettere a punto un’arma biologica efficace, il sistema immunitario è un grosso ostacolo, forse un ostacolo insormontabile (e meno male!!).

In più, c’è il problema che i virus mutano rapidamente. Immaginiamoci un virus modificato geneticamente per colpire, per esempio, gli Europei (sembrerebbe impossibile data la grande varietà genetica degli europei, ma prendiamolo come ipotesi). Questo potrebbe mutare e trasformarsi in una variante che colpisce altrettanto bene, e forse meglio, gli Asiatici. La recente ondata di contagi in Asia potrebbe dirci qualcosa sulla validità di questa ipotesi? Chi lo sa? Come sempre, queste sono soltanto illazioni. Comunque, leggetevi Chuck e meditate.

(Prof. Ugo Bardi)


***

La memetica delle armi biologiche – e perché sono importanti


di Chuck Pezeshki, 15 Marzo 2022 (articolo originale)

Traduzione a cura del Prof. Ugo Bardi per The Unconditional Blog


La svolta improvvisa


Era da un po’ che volevo scrivere sulle armi biologiche – in parte perché conosco un po’ tutto il processo di disarmo, avendo lavorato con la comunità della non proliferazione per tutto questo tempo, e in parte perché è così (patologicamente) interessante. Per quanto riguarda la non proliferazione, ho lavorato con gli scienziati del PNNL (Pacific Northwest National Laboratory) su molti progetti che coinvolgono i miei studenti, e sulle necessità che potrebbero avere quando si recano all’estero in qualche posto come il Kazakistan per assicurare la conformità con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, e il loro monitoraggio del trattato di non proliferazione nucleare. Il trattato è stato, a mio parere, uno dei più riusciti di tutti i trattati globali, con solo un paio di fallimenti degni di nota – Pakistan e Corea del Nord sono tra questi. Non è questo il punto di questo pezzo – potete leggere tutta la storia sulla pagina di Wikipedia.

La domanda che molte persone probabilmente si stanno ponendo è “perché le armi biologiche?” E se ne sanno qualcosa, allora deve essere accoppiata alla domanda “perché ora?” Infatti. Ma il problema nel discutere qualsiasi cosa che sia rilevante sulle armi biologiche è che nel momento in cui qualcuno come me lo tira fuori, allora ci imbattiamo in quelli che io chiamo problemi di “Narrativa Squalificante”. Certamente l’idea di un super-germe tira fuori le solite accuse varie di pensiero complottista, perché così poco di tutta la storia sembra avere senso, in superficie. Se a questo si aggiunge il fatto che la maggior parte delle persone non riesce nemmeno a concepire come si potrebbe rilasciare un super-germe nel mondo – non è come un missile con un pulsante che si preme e poi il missile vola verso il suo obiettivo (un potenziale, ma non probabile meccanismo di distribuzione per le armi biologiche) – si viene messi nella categoria dei pazzi abbastanza velocemente.

E si suppone che in realtà abbiamo un trattato internazionale che fondamentalmente vieta le armi biologiche, chiamato “convenzione sulle armi biologiche”, (BWC) creato nel 1975, e nessuno vuole discutere la questione. Ma la BWC non è davvero nella stessa classificazione di sicurezza dei vari trattati dedicati al disarmo nucleare. Non c’è la stessa struttura istituzionale per l’ispezione. Le armi nucleari sono, ad un certo livello, relativamente facili da ispezionare – le radiazioni lasciano tracce ovunque e l’attrezzatura è relativamente standardizzata se si vuole arricchire l’uranio fino al punto in cui se ne può fare una bomba.

Ma le armi biologiche sono diverse. Certo – per maneggiarle in modo sicuro, bisogna conformarsi alle varie protezioni del livello di biosicurezza. Questa è una bella pagina di Wikipedia perché mostra dove sono apparentemente tutti i laboratori – e posso dirvi che più di qualche struttura importante è stata lasciata fuori dalla lista. Il vero problema è che qualsiasi laboratorio di sperimentazione biologica che potrebbe essere utilizzato per la ricerca sui germi può essere facilmente convertito in un laboratorio di armi biologiche in tempi relativamente brevi. E naturalmente, il vero problema dell’ispezione, è che è vero il contrario. Basta buttare un paio di contenitori di vaiolo nell’autoclave e addio campioni incriminati.

Il problema è che quei laboratori sono ovunque. La Cina sostiene, per esempio, che l’Ucraina ha più di 25 stazioni di ricerca biologica che potrebbero essere laboratori di armi biologiche. Chissà quante strutture nascoste ci sono in Cina – parliamo del bue che dà del cornuto all’asino. E gli scienziati fanno scienza – semplicemente non c’è una coscienza morale prevalente nella comunità scientifica contro qualsiasi tipo di ricerca sulle armi. Se ci sono soldi, si farà. 

Ma perché qualcuno dovrebbe volerle in primo luogo? Quando questi trattati sono stati firmati e sviluppati a metà degli anni ’70, tutta una serie di tecnologie genetiche esisteva solo nei romanzi di fantascienza. Non pretendo di essere un esperto di strumenti come CRISPR, che permette l’editing genetico diretto. Maggiori informazioni alla pagina di Wikipedia. La cosa bella di CRISPR è che non richiede tonnellate di denaro, né grandi infrastrutture, come quelle che si devono avere per arricchire l’uranio o creare il plutonio. Direi che è un po’ più di quello che può stare dentro un lavandino in cucina, ma sicuramente possibile per l’uso su piccola scala.

Quindi sono studi a basso costo. E mentre continuiamo a capire di più come funziona la codifica biologica che ci crea tutti, possiamo aspettarci più atti di miracolo e meraviglia, così come più atti atroci che hanno il potenziale per minacciare la nostra sopravvivenza.

Più o meno. Il vero problema con qualsiasi processo di editing genico probabilmente non è nei nostri vari tentativi di creazione. Il vero problema è con le conseguenze non volute a valle – l’intera questione metacognitiva. Probabilmente siamo ancora lontani dal creare intenzionalmente un SuperGerme che potrebbe spazzare via l’umanità. Perché? Perché abbiamo circa 500 milioni di anni di editing genetico evolutivo (comprese un paio di estinzioni di massa) che hanno dimostrato in modo decisivo che gli organismi multicellulari hanno vantaggi estremi rispetto alle loro controparti unicellulari (n.d.t. non è proprio così: gli organismi multicellulari non potrebbero sopravvivere senza la collaborazione con organismi unicellulari, come la nostra flora intestinale). I nostri stessi sistemi immunitari sono pile multistrato di tecnologia incredibile, raffinata nel corso degli eoni. Questo è stato per me uno degli aspetti più incredibili dell’intero incubo della paranoia COVID – credere che un pezzo di stoffa ed eliminare un’intera funzione umana (respirare) possa essere salutare. Richiede un certo livello di estrema arroganza a cui abbiamo assistito dalle comunità epidemiologiche e mediche che è letteralmente strabiliante. È lì che troviamo il Cigno Nero. (n.d.t. termine che indica eventi rari, ma di portata gigantesca)

Tornando alla domanda centrale – perché un paese dovrebbe volere armi biologiche in primo luogo? La risposta è nella memetica, incorporata nelle dinamiche di potere delle nazioni. Una delle vere epifanie che ho avuto è stata quando sono stato invitato a un gioco di ruolo sul disarmo nucleare al PNNL. Gestito dall’ambasciatore Tom Graham, uno dei negoziatori anziani in tutti i nostri trattati di disarmo. All’inizio dell’esercizio, l’ambasciatore disse qualcosa del tipo “Non dimenticare mai che tutte le nazioni sono egemoni. Rimangono supremamente interessate solo a se stesse, e supporre il contrario porterà a una pratica negoziale scorretta”. Niente piacioni. Perché non ce ne sono mai stati.

Ciò significa che tutte le rivalità di potere sono sempre dominate da dinamiche autoritarie – chi è più forte, chi può sopportare più danni, prevarrà. Tutto questo sembra relativamente ovvio, naturalmente. Ma ciò che significa veramente in un mondo unipolare, dove gli Stati Uniti, con un po’ di aiuto da parte dei suoi vari partner dell’alleanza, sono stati il boss del quartiere per almeno gli ultimi 30 anni, è che ci sono un sacco di attori frustrati.

Ed ecco il problema. Non è probabile che questo cambi presto. Senza una qualche tecnologia che inverta la più incredibile tecnologia militare del nostro tempo – la moderna portaerei – tutti quelli che non hanno portaerei sono letteralmente andicappati. Le armi nucleari sono un cambiamento delle regole del gioco solo in senso generale, il loro uso spingerà qualsiasi stato-nazione verso il v-Meme della sopravvivenza, dove la massima neuroplasticità aggregata fa sì che tutti evitino il confronto nucleare.

E lo fanno anche con piccoli stati paria come la Corea del Nord. Procurandosi un’atomica è praticamente garantito che se vuoi rimanere una nazione fuorilegge, anche gli Stati Uniti te lo permetteranno. Anche se questo implica lasciare che il tuo popolo muoia di fame.

Ma solo perché le armi nucleari sono state (più o meno) tolte dal tavolo dei negoziati non significa che i desideri egocentrici delle nazioni siano stati banditi. La memetica degli stati-nazione semplicemente non lo permette. Quello che significa è che le nazioni, anche se possiedono armi nucleari, si muoveranno per l’acquisizione di altre armi che permettono di manovrare nei negoziati con avversari più potenti. E dato che gli Stati Uniti hanno praticamente tolto le armi convenzionali dal tavolo, questo lascia nazioni come la Cina alla ricerca di alternative reali alla pressione del pulsante nucleare. Entrano in scena le armi biologiche.

Tutto quello che ho letto mi ha portato a credere, e ne ho fiducia, che il COVID fosse un’arma biologica, oltre che un rilascio accidentale in laboratorio. Ci sono semplicemente troppe informazioni incorporate in proposte come la richiesta della Ecohealth Alliance alla DARPA (l’originale, che è una lettura difficile, è qui). Quello che per me è pazzesco è che anche gli organi investigativi come The Intercept non hanno la cognizione istituzionale che il rifiuto della proposta da parte di DARPA e il successivo finanziamento da parte dell’organizzazione NIAID di Tony Fauci era probabilmente un diversivo – non un rifiuto – e gli Stati Uniti avrebbero probabilmente avuto molte ragioni per avere degli osservatori all’interno del Wuhan Institute of Virology a Wuhan, Cina. Se sei un lettore di questo blog, le statistiche dicono che sei una persona intelligente. PENSACI. Ci basiamo di solito su persone che devono avere difficoltà ad accarezzare la testa e a strofinarsi la pancia allo stesso tempo per indagare su una delle storie più importanti del nostro tempo.

Che tipo di arma biologica era? Potreste guardare questo video e decidere da soli.


Ho parlato di questo giovane reporter per diversi anni. La sua risorsa principale? È acuto, ovviamente. Ma soprattutto, è assolutamente fluente nel leggere e scrivere in mandarino. Ho chiesto a mia moglie (è nativa di Taiwan) di controllare le dichiarazioni del video, dove fondamentalmente i membri dell’esercito della Repubblica Popolare hanno ammesso di aver condotto ricerche con l’intento di infettare gruppi di individui con profili razziali ed etnici diversi dai cinesi Han.

Il problema con tutto questo non è la veridicità del contenuto. In realtà mi fido del reportage nel pezzo, e i vari collegamenti (come l’acquisto di aziende di genotipizzazione, che è abbastanza facile da rintracciare). Il problema è che è fuori dalla Finestra di Overton dell’accettabilità per quanto riguarda la colpevolezza del Partito Comunista Cinese (PCC) nel fare questo tipo di lavoro. Negli Stati Uniti, anche se sosteniamo costantemente che il nostro governo non è rappresentativo degli intenti e degli interessi americani, non siamo disposti a capire né ad applicare la stessa indulgenza verso la nostra interpretazione del popolo cinese. Non facciamo differenza tra il popolo cinese e il PCC, il che è triste.

Ma il PCC, anche essendo caritatevoli, è, come ho detto sopra, un egemone, guidato da un autocrate estremamente autoritario, con un’attiva macchina di propaganda molto interessata a “sfruttare” la predilezione degli americani nel trasformare ogni conversazione controversa in una riguardante la razza e l’etnia. Così, mentre i cinesi stanno certamente conducendo ricerche sulle armi biologiche all’Istituto Wuhan, il PCC può giocare la carta della razza se un individuo come me tenta di chiamarli fuori – anche se i loro stessi membri del PRA ne parlano. Ecco quanto siamo ignoranti e facilmente manipolabili. Siamo letteralmente istupiditi dall’ideologia “woke”.

Per capire perché il PCC sarebbe interessato alle armi biologiche, però, dobbiamo capire le intenzioni egemoniche del PCC stesso. Con l’esercito statunitense che fondamentalmente gode di una posizione dominante di armi convenzionali in tutto il mondo, le ambizioni imperiali della Cina sono state incanalate in altre angolazioni pubbliche di “soft power” – come l’iniziativa “Belt and Road”.

E queste non sono un’idea così cattiva dal punto di vista cinese. Ma ancora non fornisce, almeno per quanto riguarda il trattare con il loro principale avversario – gli Stati Uniti. Ed è più complicato di così. Gli Stati Uniti, come principale partner commerciale della Cina, sono vitali per il PCC per mantenere la sua fiorente classe media nei posti di lavoro. Se ci incasinano troppo, c’è un collasso economico IN CINA in arrivo.

Questo è ciò che rende le armi biologiche così attraenti. Il PCC sviluppa le armi biologiche e possiede allo stesso tempo l’antidoto. (Per coloro che si stanno chiedendo come potrebbe funzionare, guardate il ritardo tra il rilascio del genoma del COVID e i primi progetti per il vaccino). Immaginate che gli Stati Uniti facciano qualcosa per prevenire un’occupazione cinese di Taiwan. Quindi il PCC, attraverso qualche tecnologia per la dispersione virale come il cloud seeding, diffonde un virus su un’area che limita il coinvolgimento proprio da quella forza militare convenzionale schiacciante che potrebbe impedire loro di realizzare le loro ambizioni. E se noi ci tiriamo indietro, loro ci danno l’antidoto (o vaccino). Raggiungono i loro obiettivi.

E non sono coinvolte armi nucleari. La Cina semplicemente non potrebbe permettersi alcuna detonazione di armi nucleari sulla loro patria – una città cinese di modeste dimensioni conta circa 5 milioni di persone, e ce ne sono molte. Cosa succederebbe anche con una sola città, o con 5 milioni di cinesi in movimento dopo una detonazione nucleare? Ma con le armi biologiche? Occupano l’esatta nicchia necessaria ad un egemone minore per esercitare pressione su uno maggiore. Rischieremmo una guerra nucleare se tutte le nostre truppe si ammalassero durante un’acquisizione territoriale cinese? Non credo.

E ora forse possiamo dare un’occhiata al perché l’Ucraina ospiterebbe così tanti potenziali laboratori di armi biologiche sul suo territorio. Ho letto i vari documenti sulla costruzione di queste strutture, tutte finanziate dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Sono documenti banali, tranne che per chi ha pagato il conto. Se si voleva nascondere l’intento, il minimo che si poteva fare era chiedere all’USDA o qualcosa del genere di finanziare le strutture. Ecco Victoria Nuland che sostanzialmente ammette l’intero affare, mentre cerca di dare la colpa ai russi.

È stupefacente quanto siano stupidi nel supporre che non esistano persone che possano vedere attraverso le loro assolute stronzate. Il problema è che gente come Victoria Nuland è quella che gestisce la politica, mentre io sono solo un professore che scrive su un blog di modesta lettura.

La cosa principale è che ora possiamo mettere insieme in modo significativo le strategie “v-Meme autoritarie” che sosterrebbero le armi biologiche. Hai uno stato-nazione, minacciato non tanto dalle armi nucleari, ma da un esercito convenzionale enormemente superiore, che cerca di scoraggiare un’invasione o di eseguire un’azione che potrebbe comportare un conflitto armato per raggiungere qualche obiettivo locale. Le armi nucleari non saranno davvero utili se non in una situazione di sopravvivenza estrema – le armi nucleari sono davvero meno che inutili a causa del loro potenziale di fine gioco.

Ma armi biologiche su misura? Forse non è una cattiva idea. Puoi avere un vantaggio nella gerarchia del potere sul cattivo in cima.

Il problema con tutto questo, anche da un punto di vista strategico, è che un’arma biologica evocata con prestazioni utili è ben lontana dall’essere progettata. Qualsiasi programma di armi comporta decine di iterazioni, con test, e quei test inevitabilmente falliscono. I missili vengono lanciati centinaia di volte, esplodendo sulla piattaforma o a metà strada verso il loro obiettivo, prima di ottenere il tipo di affidabilità che genera la fotocopia della pubblicità per l’International Defence Exhibition & Conference, o IDEX, che si tiene ad Abu Dhabi, o Defence & Security Equipment International (DSEI) a Londra.

Ma le armi biologiche sono ancora più problematiche. Puoi sparare un missile e renderti conto che ha funzionato, o non ha funzionato, e non devi preoccuparti molto di cosa succede dopo. Come esattamente questo possa funzionare con le armi biologiche non rientra nella mia immaginazione – beh, senza l’introduzione di crimini intenzionali contro l’umanità. Ci sono solo tanti criceti dorati siriani (il modello animale COVID attualmente preferito) da infettare. (n.d.t. il criceto dorato siriano esiste veramente come un diffuso animale da laboratorio, ma può anche darsi che i “siriani” in questo contesto non siano soltanto criceti)

E poi ci sono altri “problemi” (detto intenzionalmente in modo eufemistico). Qualsiasi gruppo di scienziati che cerca un ambiente di rilascio più realistico, come hanno fatto Peter Daszak e Ecohealth Alliance quando hanno proposto (e probabilmente parzialmente fatto) di spruzzare i pipistrelli con la SARS-Cov-2 nelle grotte dello Yunnan, corre intrinsecamente il rischio di un rilascio più ampio. I pipistrelli volano – anche se i ricercatori erano “sicuri” che non ci potesse essere un trasferimento zoonotico. Chi sa cosa potrebbe succedere? O piuttosto, nel caso di COVID, cosa è successo. E poi dare la colpa ai poveracci che gestiscono il mercato umido adiacente.

C’è di peggio. Confrontando con qualsiasi problema che potremmo avere con gli ordigni inesplosi (UXO) o gli avanzi di uranio impoverito, i virus sono incomprensibilmente più pericolosi. I virus mutano, in modi strani e imprevedibili. Quindi un virus progettato (ed è la parola giusta) solo per uccidere i bianchi e risparmiare le persone di origine asiatica, potrebbe mutare e avere un ritorno di fiamma e creare una pandemia generalizzata. Potrebbe essere quello che stiamo vedendo ora, con le ondate di COVID che spazzano le nazioni asiatiche. Alla fine, la mutazione è arrivata al punto in cui qualsiasi comportamento infettivo preferenziale verso il pubblico target è stato finalmente mutato. Non possiamo saperlo veramente – ma ancora una volta, è lontano da una cospirazione. Sono solo le leggi della fisica a livello dei genomi virali che giocano.

Tutto questo, come ho detto sopra, ha enormi rischi metacognitivi. Non possiamo sapere quello che non sappiamo. E nelle società v-Meme inferiori, sfortunatamente, come la maggior parte degli egemoni di cui il buon Ambasciatore ha parlato sopra, il nostro senso delle conseguenze non intenzionali non esiste nemmeno realisticamente. Ecco cosa può fare la mancanza di sviluppo emozionale – farci progettare la nostra stessa distruzione, e non ce ne accorgeremo nemmeno. E in qualsiasi storia in cui ci riflettiamo sopra (se c’è qualcuno in giro per fare la riflessione) probabilmente diremo che è stato qualcosa che “è semplicemente successo”. È pazzesco.

Quindi, siamo davanti a una cospirazione irrealistica, o forse a una sorta di scappatoia per Putin (sono assolutamente sicuro che i russi stanno gestendo un grande programma di armi biologiche, quindi non iniziare con queste sciocchezze da ‘apologeta di Putin’) per dire che stavano invadendo l’Ucraina a causa delle armi biologiche? Difficilmente. E gli Stati Uniti avrebbero un motivo per sponsorizzare quel tipo di lavoro? Cosa c’è di meglio per scoraggiare la Russia? Far entrare l’Ucraina nella NATO? Stai scherzando? Gli egemoni amano far fare agli altri il loro lavoro sporco. Questo è il bello del tipo di personalità egocentrica dopo un crollo nervoso. Per poi piangere e fare la “vittima”, ovviamente. Torna indietro e guarda di nuovo il video di Victoria Nuland.

Ed ecco un altro sottotesto memetico. Noi, come società, non possiamo nemmeno AVERE una conversazione significativa sulle armi biologiche. Il COVID ce lo ha dimostrato. Se qualcuno ci prova I media gli salteranno addosso e lo butteranno fuori dalla Finestra di Overton. È OVVIAMENTE una teoria del complotto! Tranne, ovviamente, che non lo è affatto. E considerando quante applicazioni civili/militari ci hanno detto che possono esistere fianco a fianco, anche scrivere queste cose è una narrazione squalificante. Soprattutto perché non possiamo seguire le tracce di questa storia come Hansel e Gretel facevano con le briciole di pane.

Mi sconvolge quanto sia grande la follia della stampa mainstream. Esattamente COSA pensano che succeda in laboratori come questo? E cosa succederà allo status della scienza in una società che continua a permettere questo tipo di comportamento?

Qual è il lungo gioco per una società che conta su questo livello di imbroglio da fine del mondo per condurre la sua politica?

Come al solito, concludo questo pezzo con il mio solito appello per una maggiore empatia e la sua sorella accompagnatrice, la complessità del pensiero. E di solito sono un ottimista. Ma qui, la scommessa intelligente è sui nostri milioni di anni di adattamento evolutivo per proteggerci dalla nostra stessa mendacia e stupidità. Potrebbe essere il modo di scommettere. Ma è imbarazzante.


mercoledì 7 aprile 2021

Il Fattore Rt nella Pandemia: Serve Veramente a Qualcosa?


di Ugo Bardi,

In queste note, non intendo sostituirmi agli specialisti di epidemiologia, il mio scopo è più che altro divulgativo e cerca di fornire qualche dato e qualche informazione utile a tutti quanti in questa situazione, dove la pandemia è diventata più una questione politica che scientifica. Per cui, se dobbiamo prendere delle decisioni informate, bisogna avere gli strumenti per capire di cosa si parla -- cosa assai difficile nell'attuale cacofonia di dati e di ragionamenti. Qui, ho fatto del mio meglio per chiarire la faccenda del fattore Rt usando come esempio un'ipotetica epidemia, la "bluite", che vi fa diventare blu come i personaggi del film "Avatar". 


Avrete notato come questo "fattore Rt" di cui si parla tanto a proposito della pandemia sia molto popolare fra i politici e i virologi televisivi. E' un numeretto che sembra darci delle informazioni utili in forma semplice e sappiamo tutti che i politici sono sempre alla ricerca di soluzioni semplici per problemi complicati. Ed è anche sulla base del fattore Rt che si decide dei vari colori delle zone, rossa, arancione, rosa shocking o che altro.

Però, mi sa che nè i politici e neppure molti dei tele-virologi che imperversano sui media abbiano veramente capito cosa sia esattamente questo fattore Rt. In effetti, nel mondo reale, le cose non sono mai semplici. Come ha notato anche il professor Antonello Maruotti (1), ordinario di statistica alla Lumsa, l'uso del fattore Rt potrebbe fare più danni che altro. Maruotti non ha peli sulla lingua quando parla della "persistente cecità da parte dei decisori politici.” 

Allora, cos’è esattamente questo fattore Rt? Come lo si determina? Quanto ci possiamo fidare della sua accuratezza? Ed è veramente un parametro sul quale vale la pena di basare tutta la politica delle restrizioni che sta facendo il governo? Vediamo di capire come stanno le cose.

Si sente dire spesso che il fattore Rt è “il numero medio di persone infettate da una persona già infetta in un certo intervallo di tempo.”  

Se ci pensate sopra, qui c'è un grosso problema. Se prendiamo la definizione letteralmente, questo vuol dire che l'epidemia non può decrescere mai. Se c'è qualche persona infetta, infetterà sempre qualcun altro (meno che Rt non sia uguale a zero) e quindi ci sarà qualche infetto in più. La definizione non è sbagliata ma è incompleta. Bisogna tener conto anche delle persone che guariscono (o muoiono) nell'intervallo di tempo considerato.

La faccenda è resa più complessa dal fatto che in epidemiologia ci sono due termini simili, uno viene detto Ro e l'altro Rt (anche semplicemente “R”). Se volete farvi un idea della confusione che regna in questo campo, leggetevi l'articolo di Wikipedia su Ro. Tanto per capirsi, ci leggiamo che la definizione "non è universalmente condivisa" e che "L'incoerenza nel nome e nella definizione del parametro Ro è stata potenzialmente una causa di incomprensione del suo significato." e addirittura che "Il processo di definizione, calcolo, interpretazione e applicazione di R0 è tutt'altro che semplice. Sono state proposte numerose definizioni simili ma non identiche." Insomma, un bel pasticcio per non dire di peggio. 

E questo vale per Ro. Ma allora cos'è Rt? Guardiamo di nuovo Wikipedia, e qui ti dicono che la definizione di Rt "è analoga a quella di Ro, con la differenza che Rt viene calcolato in un preciso momento" Insomma, ti definiscono una cosa sulla base di un'altra della quale ti dicono che è mal definita! Il pasticcio è totale. 

Ora, capisco che quelli che sono specialisti in qualcosa tendano a tenere all'oscuro quelli che non lo sono. Ma qui si esagera. Comunque, lasciamo perdere e cerchiamo di districarsi fra le varie definizioni per capire come funziona la faccenda. 

Ne tiriamo fuori le gambe quando scopriamo che Rt in epidemiologia è del tutto analogo a quello che in una popolazione biologica si chiama Il tasso netto di riproduzione, cioè il tasso di riproduzione al netto delle morti. 

Questo è un concetto facilmente comprensibile: prendete una popolazione (diciamo, conigli). Si misura il numero dei coniglietti nati per ogni generazione e si fa il rapporto con i conigli mangiati nel frattempo dalle volpi. Il risultato è questo tasso netto di riproduzione: capite bene che se nascono più conigli di quanti ne vengono mangiati, deve essere Rt maggiore di 1. E' il contrario se Rt è minore di 1. Se Rt è uguale a 1, la popolazione è stabile.

 Una popolazione di virus non è diversa da una popolazione di conigli in termini di riproduzione. I virus si moltiplicano quando qualcuno infetta qualcun altro, ma muoiono quando qualcuno guarisce. Messa in questi termini, le faccenda non è poi tanto complicata, almeno dal punto di vista concettuale. Basta guardare il valore di Rt per capire se l'epidemia è in crescita o in calo. Ma, come sempre, il diavolo sta nei dettagli e ci dobbiamo lavorare sopra un po' per capire come stanno le cose.

Si sa che le cose si capiscono sempre più facilmente se le esponiamo in termini di un esempio concreto. Nel seguito, vi propongo una spiegazione basata su un’epidemia ipotetica, la "bluite", molto semplificata. Ci sono un po’ di numeri e di calcoli, ma se avete voglia di seguirli vi potranno servire per farvi un "modello mentale" di come funziona questo fattore Rt.


La “bluite”: un’epidemia semplificata

Immaginiamoci un’ipotetica malattia infettiva che si trasmette per contatto e che si chiama "bluite" perché vi fa diventare blu, portata sulla terra da uno degli alieni del film “Avatar”. Incidentalmente, esiste veramente una malattia che fa diventare blu: si chiama “argiria”. Viene se uno ingerisce dei sali di argento, c'è chi lo fa come terapia "alternativa" per certe malattie. E' una fesseria da non fare assolutamente perché uno si rovina la pelle in modo irreversibile, a meno che non vogliate trovarvi un lavoro come comparse sul set di un film di fantascienza. 

Ma non entriamo in questo argomento: in ogni caso, l'argiria non è infettiva. Il punto è che la bluite di questo esempio (se esistesse) si può diagnosticare semplicemente guardando il colore della pelle di una persona. Supponiamo anche che la bluite sia una malattia al 100% benigna, ovvero non da sintomi spiacevoli e non ammazza nessuno.  Quindi, nessuno prende precauzioni particolari per evitare di infettarsi. Supponiamo anche che chi l’ha avuta diventa immune per un tempo lungo in confronto alla durata dell'epidemia. Gli rimane la pelle di color grigio chiaro, ma a lungo andare anche quello passa. 

Questo vuol dire che in qualsiasi momento nella popolazione ci sono persone con la pelle bianca, oppure blu, oppure grigia (siccome è un esempio del tutto ipotetico, per semplicità possiamo trascurare la presenza di persone di pelle scura nella popolazione). Queste tre categorie, bianco, blu, grigio, corrispondono alle tre categorie del modello epidemiologico chiamato SIR (suscettibili, infettivi, e rimossi), ma non entriamo in questo argomento.

Infine, ammettiamo che la bluite abbia un ciclo molto breve: in un giorno passa, la pelle non è più blu e questo vale per tutti. Andrebbe bene anche considerare un periodo diverso, per esempio una settimana, ma teniamo questa durata breve come esempio.

Cominciamo ammettendo di aver contato, un certo giorno, il numero di persone con la pelle blu che passano per una certa strada, e ammettiamo anche che questo sia un buon campione statistico. Diciamo che sono passate 1000 persone e che 10 hanno la faccia blu. Questo vuol dire che il’1% della popolazione è infetto. Se lo riportiamo alla popolazione in generale, supponiamo in Italia con 60 milioni di abitanti, possiamo estrapolare che in tutto il paese ci sono 600 mila persone con la bluite. La frazione di infetti nella popolazione, si chiama "prevalenza."

E fin qui va bene, ma questo non ci dice niente di come sta andando l’epidemia. Per questo abbiamo bisogno di informazioni in funzione del tempo. Ammettiamo allora di rifare la stessa misura il giorno dopo. Troviamo che adesso ci sono 20 blu, sempre su 1000 persone. Chiaramente, l’epidemia si sta diffondendo. Il numero di nuove infezioni in un certo periodo si chiama "incidenza." In questo caso particolare, siccome facciamo una misura al giorno e l'infezione dura un giorno, l'incidenza è uguale alla prevalenza. 

Possiamo misurare adesso il fattore Rt? Certo. Ragioniamo sull'intervallo di un giorno. Abbiamo detto che Rt è il tasso netto di riproduzione della popolazione. Allora, abbiamo 20 nuovi infetti, ma 10 persone guarite. Ne consegue che Rt= 20/10 = 2. Facile, vero?

Si, facile, ma attenzione che spesso la faccenda viene capita male: Se in un giorno le persone infette sono raddoppiate, qualcuno si potrebbe aspettare che il loro numero continui a raddoppiare. Ovvero, 10, 20, 40, 80 … eccetera. 

Questo è l’errore che fanno quelli che parlano di “crescita esponenziale” dell’epidemia; è un'approssimazione accettabile soltanto nei primissimi stadi della diffusione. Fate un po’ di conti e vedrete che se il numero di casi di bluite raddoppiasse tutti i giorni, in una settimana ci sarebbero più infetti che persone. Cosa leggermente improbabile, per non dire altro.

L'errore qui è confondere il tasso netto (Rt) con il tasso semplice di riproduzione. Quest'ultimo è la probabilità che ha un “blu” di infettare un “bianco” quando lo incontra. In generale non lo possiamo misurare direttamente, né per la bluite nè per epidemie reali. Lo possiamo solo stimare. Tanto per scegliere dei numeri, ammettiamo che in media ognuno nella popolazione incontri 4 persone ogni giorno a distanza abbastanza ravvicinata da poterli infettare. Siccome c’erano 10 blu all'inizio, e ne sono venuti fuori 20 nuovi, sembrerebbe di poter dire che la probabilità di infezione a distanza ravvicinata era il 50% per ogni incontro. Ma non è così.

Non tutte le persone che un blu incontra sono "bianche", ovvero “suscettibili,” ovvero infettabili. Sappiamo già che ci sono 10 blu nella popolazione e ammettiamo anche che ci siano 10 grigi (persone infettate in precedenza, adesso immuni). Ne consegue che solo il 98% delle persone sono infettabili. Quindi la probabilità per un blu di infettare un bianco (suscettibile) è 0.5/0.98= 51%. È una piccola differenza, ma è la chiave di tutta la faccenda. 

Da questo, possiamo ora stimare il valore di Ro, quando il primo alieno blu dal pianeta Pandora è atterrato e ha cominciato a infettare i terrestri. Siccome il tasso di riproduzione è 0.51 (fisso), ne consegue che Ro = 0.51x4=2.4. Questo era il valore iniziale, quando l'epidemia era appena cominciata e il numero di infetti e di immuni era trascurabile.

Vediamo adesso di calcolare come andranno le cose nei giorni successivi a quello da cui siamo partiti. Con 20 persone infette, in un giorno costoro interagiranno ciascuna con 4 persone, un totale di 80 persone. Di queste, non tutte sono infettabili. La frazione degli infettabili è uguale a 1000 (numero totale di persone) – 20 (i blu del giorno) – 20 (i grigi dei giorni precedenti), ovvero 960/1000. Ne consegue che le 20 persone infette generano 20*0.51*4*.960/1000 = 39 nuovi infetti e non 40, come sarebbe stato il caso se il numero di infettabili fosse rimasto costante. 

A questo punto, Rt si è ridotto a 39/20= 1.96 senza che sia cambiato niente nella probabilità che un blu passi l’infezione a un suscettibile. Quello che cambia è la probabilità che un blu incontri un suscettibile. 

Da qui, potete divertirvi a fare un calcolo con un foglio excel, ma l’ho fatto io per voi. Ecco qua i risultati, la curva rossa è un fitting con una curva sigmoide asimmetrica:

 

Vedete la curva delle infezioni giornaliere (rossa) che ha la tipica forma “a campana” delle curve epidemiche. Notate che non abbiamo ipotizzato cure, distanziamenti, niente del genere. Le infezioni vanno a zero semplicemente perché col passare del tempo rimangono sempre meno persone da infettare. In questo particolare caso, il numero di persone che hanno contratto l’infezione si stabilizza a circa il 74% del totale alla fine del ciclo epidemico. Vedete come funziona la “immunità di gregge”? Oltre un quarto delle persone non si infettano, nonostante che nessuno prenda precauzioni di nessun genere. È una proprietà intrinseca della diffusione di un’epidemia.

Notate anche come la curva per Rt, invece, scende sempre, perlomeno in questo caso semplificato. Vedete che quando l’epidemia è al picco, Rt è uguale a uno. Alla fine si stabilizza intorno a 0,5. A seconda dei vari parametri, si può stabilizzare su valori diversi, ma sempre meno di 1. 

 

Effetto delle restrizioni sulla bluite

Ora divertiamoci a usare questo modello per vedere gli effetti delle restrizioni. Dovrebbero servire a ridurre la probabilità che, quando un blu incontra un bianco, gli passi l'infezione. Questo si chiama alle volte "schiacciare la curva". Per prima cosa, rivediamo i risultati di prima, ottenuti senza assumere nessuna restrizione.

 

Adesso proviamo a ridurre del 25% la probabilità di infezione in qualche modo non specificato. Ecco i risultati

 


Vedete che la curva è in effetti schiacciata. Notate però anche che la durata dell'epidemia si allunga e Rt, al contrario di quello che uno si potrebbe aspettare, aumenta leggermente invece di diminuire. Per quanto riguarda il numero totale di infetti, le restrizioni li hanno ridotti dal 74% a della popolazione a circa il 58%. Infine, notate che questo è possibile solo se le restrizioni sono imposte fin dall'inizio e mantenute tutto il ciclo epidemico. Se assumiamo che l'effetto delle restrizioni sia ancora maggiore, per esempio al 50%, possiamo schiacciare anche di più la curva e ridurre i casi a circa il 15% della popolazione. Riducendo ancora la probabilità di infezione, l'epidemia non si sviluppa proprio.

Proviamo ora a vedere cosa succede se, invece, le restrizioni si fanno su una "finestra" temporale limitata. Si suppone che le restrizioni con effetto del 25% di riduzione siano iniziate al terzo giorno e si riapre al nono giorno.


Notate che la curva dei contagi mantiene più o meno la forma "a campana," anche se un po' distorto. Invece, il fattore Rt mostra delle discontinuità abbastanza nette. Notate anche che l'infezione dura più a lungo. Abbiamo ridotto l'intensità dell'epidemia in cambio di una sua maggior durata. In queste assunzioni, il numero totale dei casi è intermedio rispetto ai due esempi precedenti: il numero di persone infettate si attesta sul 67%.

Uno si può divertire cambiando i parametri, ma i risultati si possono riassumere come segue. 

1. Le restrizioni hanno l'effetto previsto: ovvero schiacciano la curva. 

2. Portare la curva a "contagi zero" è quasi impossibile e richiede che le restrizioni siano mantenute per tempi molto lunghi.

3. L'effetto delle restrizioni si vede come una discontinuità nella curva del fattore Rt meglio che nella curva dei contagi. 

 

Il mondo reale

Tutto questo vale per un’epidemia ipotetica che abbiamo chiamato bluite e per un modello semplificato. Nel caso di un’epidemia reale, la situazione è più complessa, ma i risultati non sono molto diversi. La previsione di base del modello, quella della forma "a campana" della curva dei contagi, è confermata dai dati del mondo reale. Nella figura, vediamo un esempio, una recente epidemia di colera a Kinshasa, in Congo (https://www.who.int/csr/don/02-march-2018-cholera-drc/en/)

 


In questo, come in molti altri casi reali, vediamo bene la curva "a campana," simile a quella del modello. Notate come, in questo come molti altri esempi, il numero dei casi non va mai veramente a zero, al contrario di quello che il modello prevede. L'epidemia si "endemizza", pronta a ritornare in scena quando troverà condizioni favorevoli per ricominciare. 

Cosa possiamo dire a proposito di Rt nel mondo reale? Qui, il calcolo è molto più complesso che per l'ipotetica bluite. L’infezione non ha una durata fissa ed è anche possibile re-infettarsi. Poi ci sono le varie incertezze nella determinazione dei contagi, come pure i ritardi con la disponibilità dei dati. Per non parlare poi dei vari effetti delle varianti, delle restrizioni, e dei vaccini. Il risultato è che calcolare Rt è una cosa complessa che possono fare solo gli specialisti. 

L’articolo che è un po’ la “Bibbia” di queste cose è questo documento della Royal Society (86 pagine di formule varie) (1). Se poi volete solo vedere i risultati, potete trovarli nel sito di Maurizio Rainisio “La Peste” (2).  Contentiamoci di sapere che il fattore Rt si può calcolare per l’epidemia di Covid, sia pure con metodi complessi e con alcune incertezze. Con questi metodi, la previsione di base, ovvero che Rt debba scendere nel tempo durante ogni ciclo epidemico, è verificata in generale, ma è anche vero che molte epidemie hanno più cicli, per cui il fattore Rt può anche risalire.

Ecco qua qualche dato recente, dal sito FB di Maurizio Rainisio (2). Qui, vedete un equivalente di Rt (che Rainisio chiama “Tasso di Crescita Settimanale”). Qui l’epidemia ha avuto due fasi, probabilmente dovute a fattori stagionali, o forse anche all’effetto delle “varianti” del virus. Notate come il picco della fase più recente corrisponda a Rt=1.

 

Qui, vedere un effetto delle varie zone rosse, arancioni, gialle, eccetera è molto difficile. Per esempio, Rt ha mostrato un aumento piuttosto ripido all'inizio di Febbraio, mentre ha cominciato a scendere a partire dal 20 febbraio circa. C'è una correlazione con qualche fenomeno specifico che abbia a che vedere con le restrizioni? Mah? Forse c'è, ma è certamente debole.


 Conclusione: Rt serve a qualcosa?

L'utilità di qualcosa dipende sempre dal contesto. Per esempio, un bel fucile mitragliatore può essere molto utile in certe circostanze, ma è una pessima idea se è in mano a un Talebano, specialmente se c'è un negozio di televisori nelle vicinanze. Questo vale anche per i modelli statistici se finiscono in mano a persone che non li capiscono.

Così, in primo luogo, il calcolo del fattore Rt non vi dà, e non vi potrebbe mai dare, nessuna informazione in più rispetto a quella che è già presente nella curva dell'andamento dell'epidemia. Abbiamo visto che le curve epidemiche tendono ad avere una forma "a campana" per cui si può capire qualitativamente se l'epidemia cresce o cala anche semplicemente dalla forma della curva.

C’è poi il problema che il valore di Rt ci può dire se l’epidemia cresce o declina, ma niente sul numero di persone infette. Chiaramente, c’è una bella differenza se abbiamo 100 persone infette su 1000 o se ne abbiamo soltanto una o due, ma il valore di Rt potrebbe essere lo stesso. E questo non è un dettaglio: a seconda del valore assoluto dei contagi, gli ospedali potrebbero rischiare oppure no di andare in saturazione. Ma il fattore Rt, da solo, non ci dice niente su questo punto.

Soprattutto, quando gli infetti sono pochi cambia l’importanza degli inevitabili errori di misura e delle approssimazioni (3). Se avete 100 casi su 1000, un errore di qualche unità fa poco effetto: che siano 101 o 99 non cambia nulla. Ma se un giorno avete due casi, mentre il giorno prima ne avevate uno, vi può sembrare che Rt sia molto alto e che sia il caso di lanciare l’allarme. Chiaramente, il sensazionalismo dei media, con queste cose ci va a nozze e rilancia per raccogliere quanti più click possibile. E così vi potreste ritrovare a chiudere un intero paese per colpa di una fluttuazione statistica.

Ma il problema più grosso è proprio nel concetto. Come dicevo prima, molta gente non ha capito come funziona un meccanismo epidemico e crede veramente che un’epidemia cresca in modo esponenziale finché non si sono infettati tutti. E, di conseguenza, sono convinti che se vediamo che la curva dei contagi cala, questo è merito solo e soltanto delle misure di contenimento: restrizioni oppure vaccini. Lo trovate scritto esplicitamente, certe volte: "il fattore Rt misura l'effetto delle misure di contenimento". Ma non è assolutamente così!

Attenzione, non è che uno non debba fare niente per rallentare un'epidemia in corso! I vaccini, per esempio, forzano il raggiungimento dell’immunità nei singoli e fanno sì che l’immunità di gregge sia raggiunta più rapidamente. Ma se vedete che l'epidemia cala o sale, non lo dovete necessariamente mettere in relazione soltanto alle restrizioni o ai vaccini. L'epidemia ha un suo ciclo, lo potete rallentare, ma ne dovete tener conto.

Sfortunatamente, da un pezzo il dibattito si è bloccato sulla conclusione che la sola cosa (a parte i vaccini) che può fermare l’epidemia sono le restrizioni. E le restrizioni hanno un costo enorme non solo sull’economia ma anche sulla salute dei cittadini. Ma finché non ci ragioniamo sopra continueremo a insistere su delle misure che potrebbero essere esagerate e non giustificate in confronto ai costi.

In sostanza, il problema è che molte persone, anche fra i decisori politici, non sanno leggere un grafico cartesiano e non hanno la minima idea di come funziona un ciclo epidemico. Per cui, tendono ad affidarsi a un singolo numero magico, "Rt" per semplificare. Ma la situazione non si presta a semplificazioni estreme e, come sempre, l'ignoranza paga solo dividendi negativi.

 

1. https://www.romatoday.it/attualita/coronavirus-professore-lumsa-sbagliate-decisioni-su-rt.html

2. https://www.facebook.com/La-Peste-111172767208456

3. http://www.radiocora.it/post?pst=39381&cat=news




venerdì 24 luglio 2020

La adattabilità del genere umano


Osservo in questi giorni il nuovo look degli spot pubblicitari che passano in TV. Oltre al rinnovato green-washing di cui mi sono già occupato (articolo “Il Green business che ci aspetta”) vedo un grande sfoggio di mascherine e di slogan inneggianti alla ripartenza dell’Italia. In pieno lockdown il ritornello era “io resto a casa”, ora è tornata la speranza e, con l’invito a mantenere il distanziamento sociale, si assiste a spot che mostrano ogni genere di attività lavorativa in corso di riapertura.
Fin qui nulla di strano. In fondo la pubblicità e la televisione rispecchiano i comportamenti della società, esattamente come i comportamenti della società sono influenzati dalla pubblicità e dalla televisione, similmente al classico girotondo del cane che si morde la coda.
Ma l’osservazione di questo stato di cose può offrire lo spunto per considerazioni di più ampio respiro.
Così come stiamo superando una pandemia che ci ha costretti all’isolamento sociale per tre lunghi mesi, in passato l’umanità ha superato crisi ben più micidiali.
Ricorderò solo alcune delle emergenze più gravi che hanno afflitto i nostri antenati:
  • le glaciazioni. L’ultima, Wurm, interessò il pianeta tra 110.000 e 12.000 anni fa. Nel periodo che va dalla metà del XIV alla metà del XIX secolo la Terra fu caratterizzata da un clima freddo denominato PEG, piccola era glaciale
  • le pandemie. Andando a ritroso nel tempo, il genere umano è stato afflitto dal virus dell’Hiv/Aids (tra i 25 e 35 milioni di morti), dall’influenza Spagnola (tra i 40 e i 50 milioni di morti), dal Vaiolo (oltre 50 milioni di morti), dalla Peste e dal Colera (oltre 200 milioni di morti), solo per citare le malattie più letali
  • le guerre. Inutile qui fare il riassunto degli eventi e del numero di morti di cui è pieno ogni manuale di storia.
Ebbene, nonostante tutti questi eventi catastrofici e i tanti altri che per brevità ho omesso di annoverare, la popolazione umana ha continuato a crescere a dismisura, raggiungendo il ritmo parossistico di riproduzione che ben conosciamo.
Che interpretazione dare a questa realtà? Una e una sola: l’abnorme evoluzione patìta dal nostro encefalo (conseguenza di alterazioni casuali intervenute ai danni di alcuni geni) ci ha messi in grado di superare gli ostacoli che la natura ha posizionato via via sul nostro cammino, consentendoci di proseguire lungo il nostro folle itinerario distruttivo anziché fermarci, come sarebbe accaduto in assenza di quella abnorme evoluzione.
Scienza, tecnica, industriosità e lavoro sono riusciti nell’intento di farci sopravvivere a ogni disastro naturale e artificiale. Non solo. Ci hanno consentito di dilagare in ogni angolo del pianeta.
L’autoriflessione, altra peculiarità del genere umano derivata da quella abnorme evoluzione, ci consente inoltre di modificare le nostre piccole abitudini quotidiane in modo da adattarci ad ogni nuova consuetudine impostaci dalle circostanze esterne.
Per la verità questa è una caratteristica che abbiamo in comune anche con gli altri animali. Basti pensare a come questi ultimi si siano adattati per secoli a vivere nelle gabbie degli zoo, a esibirsi nei circhi o a lottare nelle arene.
È dunque l’istinto a sospingere ogni essere vivente a modificare il proprio stile di vita, pur di sopravvivere in ogni nuova situazione imposta dal destino.
Ma in noi questa adattabilità è mediata dalla autoriflessione, che ci induce a comprendere e condividere le nuove realtà in cui veniamo a trovarci e, quindi, a viverle più coscientemente.
Il nuovo look degli spot televisivi cui accennavo in apertura è la riprova più evidente di questa realtà.
La “plasticità” del nostro cervello, e quindi del nostro corpo, ci consentirà di affrontare prove ben più impegnative di Covid19. Mi riferisco ai disastri ecologici e alla distruzione dell’ambiente naturale che stiamo compiendo. Il collasso non avverrà di colpo e la lunga agonia che attende i nostri pronipoti sarà assai graduale.
Ad ogni effetto negativo per l’uomo causato dagli squilibri nella biosfera, verranno poste in atto contromisure che controbilanceranno per un certo periodo l’effetto di cui trattasi. Ma poi queste contromisure comporteranno a loro volta nuovi squilibri che causeranno nuovi effetti negativi, in una catena di azioni e reazioni sempre più stringente.
E nel corso di questa lotta disperata per la sopravvivenza, a ogni tappa l’essere umano modificherà i suoi comportamenti per adattarsi alle nuove situazioni.
Altro che isolamento e distanziamento sociale! Bisognerà cambiare le abitudini alimentari (finché ci sarà cibo), modificare il modo di viaggiare (torneranno in auge i cavalli?), vestirsi diversamente e imparare a coltivare parchi e giardini.
Non amo avventurarmi nel campo della fantascienza, ma qualche volta le immagini terrificanti del futuro che ci aspetta possono essere utili per indurci a tirare i freni di un veicolo che sta correndo a folle velocità.
Le mascherine e i nuovi slogan degli spot televisivi ci facciano riflettere su come potrà essere il nostro domani.

giovedì 9 luglio 2020

Covid-19: Cosa Rischiano i Bambini e i Ragazzi a Scuola?






Vi passo qui di seguito un testo scritto da un gruppo di ricercatrici italiane che è veramente una boccata di ossigeno nello tsunami di fesserie e di bugie che ci sta sommergendo. Non un testo facile, non un testo annacquato. Un esame approfondito della letteratura scientifica. Non è un testo di opinioni, è un testo di dati e di fatti. E che arriva alla conclusione che il rischio di un ritorno a scuola per i nostri bambini è minimo o inesistente, e che -- soprattutto -- è trascurabile rispetto ai danni psicologici che i bambini ricevono standosene isolati a casa.

La cosa più bella è il successo che questo testo ha avuto. Pubblicato sul sito Facebook "Pillole di Ottimismo" è stato condiviso oltre 2500 volte in 24 ore. E' un risultato eccellente considerato il marasma che è Facebook al momento attuale. Dei circa 500 commenti, praticamente tutti sono favorevoli, molti ringraziano per la spiegazione. Soprattutto, sono genitori e mamme preoccupate per i loro bambini costretti in una situazione innaturale di isolamento e segregazione. 

Come sappiamo, l'informazione pubblica in Italia è dominata da sorgenti di informazione completamente inaffidabili e di solito impegnate nel raccontarci bugie. Ma quest storia ci fa vedere come c'è ancora spazio per raccontare le cose come stanno. C'è ancora gente in grado di recepire un messaggio anche complesso quando capiscono che gli autori (le autrici, in questo caso) hanno lavorato seriamente per fare un servizio di informazione pubblica. (UB)



Covid-19: cosa è successo ai bambini e ai ragazzi?


Da "Pillole di Ottimismo", 8 Luglio 2020

Alessandra Basso (TINT, Università di Helsinki), Valentina Flamini (Biologa molecolare) Eleonora Franchini (docente di scuola secondaria di secondo grado), Sara Gandini (IEO, SEMM)

I bambini non sono i più colpiti da questa pandemia, ma rischiano di essere le sue più grandi vittime”. Così apre il report delle nazioni unite dedicato all’impatto del Covid-19 sui bambini (1).
Effetti della chiusura delle scuole

La chiusura delle scuole e il confinamento domestico hanno rappresentato un grosso sacrificio per le categorie più giovani che hanno subito un cambiamento repentino e prolungato della loro quotidianità. Bambini e ragazzi sono stati costretti a rinunciare alla scuola, luogo insostituibile non solo per il loro bisogno di apprendimento, ma anche di crescita sociale ed emotiva. Questa rinuncia ha generato una sofferenza che è stata comunicata in modi diversi, spesso con segnali di iperattività e irrequietezza, oppure, al contrario, con la comparsa di abulia, stanchezza, disturbi del sonno (2).

Numerosi studi hanno dimostrato che il confinamento domestico e la chiusura delle scuole hanno avuto conseguenze negative gravi e di lunga durata sulla salute fisica e psicologica dei bambini. Gli effetti sulla salute fisica sono legati soprattutto ad una alimentazione meno sana, una diminuita attività fisica e all’aumento dell’uso di dispositivi elettronici: televisione, cellulare e video-giochi (3).

Gli effetti sul benessere psicologico ed emotivo erano già stati ampiamente documentati durante le epidemie di SARS e Ebola, e sono stati confermati dalle indagini condotte nei mesi scorsi. Il confinamento domestico, infatti, ha causato un aumento del livello di stress che può avere effetti a lungo termine sul benessere di bambini e ragazzi e aumenta il rischio di sviluppo di malattie mentali nell’età adulta. Uno studio del 2013, per esempio, ha evidenziato un livello di stress-post traumatico quattro volte superiore nei bambini sottoposti a misure di confinamento domestico rispetto a quelli non sottoposti alla quarantena (4). Tra i sintomi più diffusi, ci sono l’insorgenza di nuove paure (come la paura di essere contagiati), l’ansia da separazione, segnali di regressione, disturbi del sonno, irritabilità e comportamento oppositivo.

Una recente indagine condotta dal Gaslini di Genova rileva problematiche comportamentali e sintomi di regressione nel 65% dei bambini minori 6 anni, e nel 71% di bambini e ragazzi compresi tra i 7 e i 18 anni (5). Sempre in Italia, lo studio osservazionale condotto da Pisano, Galimi e Cerniglia ha fatto emergere una prevalenza di comportamenti oppositivi (il 53% dei bambini mostra segni di irritabilità e intolleranza alle regole), e anche di comportamenti adattivi (il 49% è apparso capace di adattarsi alle regole del confinamento), ma ammonisce che questi indizi di resilienza possano in realtà nascondere un maggiore disagio psicologico (6). La chiusura delle scuole, inoltre, causa un ritardo nel conseguimento degli obiettivi scolastici e più in generale dello sviluppo socio-emotivo nell’età evolutiva. Un mese di vita pesa in modo molto differente nell’età dello sviluppo rispetto all’età adulta.

Non si tratta solo delle opportunità di apprendimento andate perdute, ma anche del rischio di dimenticare quello che è stato acquisito fino a quel momento con il risultato di un regresso duraturo che difficilmente potrà essere recuperato. In passato, studi sulla chiusura estiva e sull’interruzione dei servizi scolastici causata da eventi metereologici hanno dimostrato effetti duraturi nell’apprendimento scolastico: ogni 10 giorni di chiusura straordinaria provocano una diminuzione del 5% del numero di studenti che raggiungono gli obiettivi di fine anno (7, 8).

Un recente articolo di Guido Neidhöfer, inoltre, mette in luce come la pandemia e le misure restrittive abbiano effetti differenziati sui bambini, colpendo più gravemente quelli provenienti da contesti svantaggiati, e di conseguenza possano inasprire le disuguaglianze sociali nel lungo periodo (9).

L’articolo rileva che la pandemia e le conseguenti misure restrittive possono ingrandire le disuguaglianze economiche e sociali agendo su più livelli. Da una parte, la riduzione del rendimento scolastico associata alla chiusura delle scuole incide sulle future competenze professionali e sui redditi una volta entrati nel mondo del lavoro. Negli Stati Uniti, il costo della chiusura delle scuole in termini di mancati rendimenti futuri è stato stimato al 12,7% del PIL. Gli studenti provenienti da contesti svantaggiati hanno minori opportunità educative oltre alla scuola e pertanto sono più esposti a questo effetto collaterale. Un secondo veicolo di inasprimento delle disuguaglianze sociali è legato agli effetti del lockdown sul lavoro dei genitori. I lavoratori meno qualificati, e ancora di più quelli del settore informale, sono i più vulnerabili alla riduzione dei salari e alla perdita del lavoro. Di conseguenza, le famiglie in fondo alla distribuzione reddituale affrontano una riduzione più accentuata delle risorse economiche e questo ha un impatto profondo sulle opportunità dei figli.

Un documento firmato da 9 reti di associazioni (circa duecento in tutto) che lavorano con bambini e ragazzi in Italia sottolinea le disuguaglianze nelle opportunità di crescita, di apprendimento e di sviluppo nel nostro paese: secondo dati Istat 2018/2019, il 12,3% dei ragazzi di 6-17 anni vive in case prive di pc o tablet; secondo dati Eurostat 2019, il 10,7% dei giovani di 15-19 anni non sono occupati e non sono in formazione. Il documento evidenzia inoltre che l’educazione è cruciale per ridurre le disuguaglianze: secondo l’ONU e un’ampia letteratura scientifica nazionale e internazionale, l’investimento in educazione, in particolare quella dei bambini in età 0-2, è quello maggiormente in grado di prevenire le ineguaglianze nel corso della vita.

Che ruolo hanno i bambini nella trasmissione del virus?


Stanti gli studi scientifici e le evidenze dagli altri paesi ad oggi disponibili sul ruolo dei bambini nella trasmissione del virus, l’apertura delle scuole non dovrebbe creare paure perché i dati sono rassicuranti: i bambini e i ragazzi si ammalano meno e hanno meno probabilità di trasmettere il virus alle persone con cui entrano in contatto. Mentre è noto che i bambini siano veicolo di infezione per malattie come l’influenza stagionale, gli studi finora condotti mostrano che ciò non sia vero nel caso del COVID-19 (10, 11, 12).

Una indagine condotta nella regione francese Crépy-en-Valois, a nord-est di Parigi, recentemente pubblicata, ha analizzato l’andamento dell’epidemia su un campione di 1.340 persone, di cui 510 bambini di sei diverse scuole elementari. Prima che le scuole chiudessero per le vacanze di febbraio e per il successivo lockdown, sono stati riportati solo tre casi di infezione riconducibile al Sars-Cov-2 nei bambini i quali, peraltro, hanno manifestato sintomi lievi della malattia (11). La bassa percentuale degli infettati tra il personale docente (7,1%) e non docente (3,6%), contrapposta all’alta percentuale degli infetti tra i genitori dei bambini (61,0%) ha portato alla conclusione che i bambini non siano stati il veicolo per la trasmissione del virus. I ricercatori ipotizzano che, al contrario, possano essere stati i genitori ad infettare i figli e non viceversa.

Un altro studio condotto tra aprile e maggio a Parigi, la regione più colpita dall’epidemia in Francia, su 605 bambini e ragazzi di età compresa fra gli zero e i 15 anni conferma i risultati dell’indagine preliminare appena descritta: i bambini sembrano essere meno suscettibili alla malattia e sono probabilmente anche poco contagiosi (10). I ricercatori hanno combinato i risultati di tamponi e test sierologici con lo scopo di valutare la diffusione del virus tra i più giovani. Si è visto che fratelli e sorelle all’interno di famiglie con almeno un membro affetto non risultavano più facilmente positivi al tampone né all’esame sierologico e questo conferma che il contagio dei bambini avvenga attraverso i genitori.

Anche un recente studio condotto da Andrea Crisanti a Vò Euganeo, che uscirà a breve su Nature, conferma che i bambini non si ammalano anche in presenza di una forte esposizione: dei 234 bambini sotto i 10 anni presi in considerazione, nessuno è risultato positivo al virus, nemmeno i 13 che hanno vissuto a contatto con positivi in grado di trasmettere l’infezione (13).

Le scuole hanno ricominciato la didattica in presenza in diversi stati europei. In Germania la spinta alla riapertura è seguita ai risultati di uno studio preliminare di quattro università tedesche (Heidelberg, Friburgo, Tubinga e Ulm) su 2.500 bambini di età compresa fra uno e dieci anni e i loro genitori. Dai test effettuati è emerso che nel periodo preso in esame, tra aprile e maggio, un bambino e un genitore si sono ammalati, mentre 64 sono risultati positivi al test sugli anticorpi, dunque avevano contratto il virus senza accorgersene. Meno di un terzo dei contagiati erano bambini. Nella maggioranza di casi di genitori contagiati, poi, non si osservava l’infezione nei figli, confermando che i bambini sono meno suscettibili al virus Sars-Cov-2 (14).

In Olanda alla riapertura delle scuole, avvenuta gradualmente fra l’11 maggio e l’8 giugno, senza misure di distanziamento sociale stringenti, non è conseguita l’insorgenza di focolai e i test condotti sul personale scolastico dal 6 maggio in poi non ha mostrato un aumento dei casi in percentuale positivi al Sars-Cov-2 (12). L’esperienza olandese conferma, ancora una volta, l’impatto minimo della riapertura delle scuole sull’evoluzione della pandemia.

Conclusioni

Alla luce delle recenti evidenze scientifiche rispetto ai rischi di contagio da parte dei bambini e ragazzi, possiamo concludere che la riapertura delle scuole non sembra influire in maniera determinante sull’andamento della pandemia da Sars-Cov-2 mentre la chiusura rischia di minare la salute psico-fisica, l’apprendimento scolastico e la socialità delle future generazioni, soprattutto per i bambini e ragazzi provenienti da contesti più difficili. Resta aperta la riflessione sulle “modalità di apertura” che auspichiamo tengano conto dei dati scientifici prodotti, oltre che delle esperienze già in atto nei paesi citati, e mirino a ristabilire in bambini e ragazzi la serenità e spontaneità nell’incontro con l’altro.

Referenze


(1) UN Policy Brief: The Impact of COVID-19 on children, 15 April 2020
(2) Pellai, Alberto (2020) Il distanziamento fisico e i bisogni evolutivi del bambino.
(3) Pietrobelli A, Pecoraro L, Ferruzzi A, et al. Effects of COVID-19 Lockdown on Lifestyle Behaviors in Children with Obesity Living in Verona, Italy: A Longitudinal Study [published online ahead of print, 2020 Apr 30]. Obesity (Silver Spring). 2020;10.1002/oby.22861. doi:10.1002/oby.22861
(4) Sprang G, Silman M. Posttraumatic stress disorder in parents and youth after health-related disasters. Disaster Med Public Health Prep. 2013;7(1):105-110. doi:10.1017/dmp.2013.22
(5) Uccella, Sara, Fabrizio De Carli, Lino Nobili et al. Impatto Psicologico e Comportamentale sui Bambini delle Famiglie in Italia. Gaslini, Università degli Studi di Genova.
(6) Pisano, Luca, Domenico Galimi e Luca Cerniglia (2020) A qualitative report on exploratory data on the possible emotional/behavioral correlates of Covid-19 lockdown in 4-10 years children in Italy.
(7) Marcotte, Unscheduled School Closings and Student Performance
(8) Cooper, H., Nye, B., Charlton, K., Lindsay, J., & Greathouse, S. (1996). The Effects of Summer Vacation on Achievement Test Scores: A Narrative and Meta-Analytic Review. Review of Educational Research, 66(3), 227–268. https://doi.org/10.3102/00346543066003227
(9) Long run consequences of the COVID-19 pandemic on social inequality
Portrait of Guido Neidhöfer di Guido Neidhöfer
https://www.latinamerica.undp.org/…/consecuencias-de-la-pan…
(10) Assessment of spread of SARS-CoV-2 by RT-PCR and concomitant serology in children
in a region heavily affected by COVID-19 pandemic.
Robert Cohen, Camille Jung,, Naim Ouldali, Aurélie Sellam, Christophe
Batard, Fabienne Cahn-Sellem, Annie Elbez, Alain Wollner, Olivier Romain,
François Corrard, Said Aberrane, Nathalie Soismier, Rita Creidy, Mounira Smati
Lafarge, Odile Launay, Stéphane Béchet, Emmanuelle Varon, Corinne Levy
(11) SARS-CoV-2 infection in primary schools in northern France: A retrospective cohort study in an area of high transmission, 23 juin 2020.
Arnaud Fontanet, MD, DrPH, Rebecca Grant, Laura Tondeur, MSc, Yoann Madec, PhD, Ludivine Grzelak, Isabelle Cailleau, MSc, Marie-Noëlle Ungeheuer, MD, PhD, Charlotte Renaudat, MD, Sandrine Fernandes Pellerin, PhD, Lucie Kuhmel, MD, Isabelle Staropoli, François Anna, Pierre Charneau, Caroline Demeret, Timothée Bruel, PhD, Olivier Schwartz, PhD, Bruno Hoen, MD, PhD
(12) Children and COVID-19, National Institute for Public Health and Environment
https://www.rivm.nl/…/novel-coronavi…/children-and-covid-19…
(13) https://www.adnkronos.com/…/coronavirus-crisanti-bambini-fi…
(14) Prevalence of COVID-19 in children in Baden-Württemberg Preliminary study report Klaus-Michael Debatin et al.
https://www.klinikum.uni-heidelberg.de/…/Prevalence_of_COVI…