Visualizzazione post con etichetta negazionismo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta negazionismo. Mostra tutti i post

domenica 28 giugno 2020

Negazionismo del Virus: siamo alla caccia alle streghe.



Di Ugo Bardi


Vi ricordate la storia del tempo della "caccia alle streghe" negli Stati Uniti negli anni 1950, quello che chiamiamo "Maccartismo"? A quel tempo, Kenneth Galbraith raccontava che qualunque cosa scrivesse stava sempre attento a evitare che qualcuno potesse estrarre una frase fuori contesto per accusarlo di simpatie per il comunismo.

Bene: non è che le cose siano cambiate molto da allora. Ti fanno ancora lo stesso scherzetto, ma ora per accusarti di "negazionismo del virus."

Vi racconto cosa mi è successo. In un post su Facebook di qualche giorno fa, avevo fatto vedere l'andamento della mortalità in Italia sulla base dei dati dell "European Mortality Monitor" (Euromomo) . I dati fanno vedere come il numero di vittime causato dal cornavirus sia stato considerevole, ma non molto più grande di quello di altre epidemie stagionali.

Bene, nella discussione qualcuno mi ha domandato la ragione del picco di mortalità del 2016 che si vedeva nei dati. Io gli ho risposto che era "una normale influenza stagionale" -- cosa che in effetti era.

Avrei dovuto ricordarmi del consiglio di Galbraith. Ti pareva che qualcuno non avrebbe estratto quella frase dal contesto per accusarmi di aver detto che il coronavirus era "una banale influenza"? E, in effetti, qualcuno ha letto la discussione e lo ha fatto.

Ho cercato di spiegare che mi riferivo all'influenza del 2016, non a quella del 2020, come del resto era evidente nel contesto. Ma non c'è stato niente da fare. Puntuale, mi è arrivata indietro l'accusa di "arrampicarmi sugli specchi".

Insomma, siamo rimasti a questi trucchetti retorici basati sull'idea di accusare una persona delle peggiori nefandezza sulla base di una singola frase che ha detto (o che, non ha nemmeno detto, tipo quella di Berlusconi sul fascino discreto di Angela Merkel).

Stateci attenti anche voi, che basta nulla per finire additati al pubblico ludibrio per aver detto qualcosa di politicamente scorretto, anche se uno non l'ha né detto né pensato. E andiamo avanti, però mamma mia che la vita è difficile....






mercoledì 30 novembre 2016

Malthus, il profeta di sventura: perché scomodarsi a leggere l'originale quando si può semplicemente fare copia-incolla da Internet?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Un estratto dal libro che sto scrivendo, “L'Effetto Seneca”, che contiene un capitolo dedicato alle carestie irlandesi. Sopra, il reverendo Thomas Malthus (1766 - 1834)

La demolizione del lavoro di Thomas Malthus ai giorni nostri è spesso basata sul fatto di accusarlo di avere previsto che si sarebbe verificata una qualche orribile catastrofe nel prossimo futuro, a volte con una data specifica. Poi, siccome la catastrofe non è avvenuta, ne consegue che Malthus aveva completamente sbagliato e niente del suo lavoro può essere salvato. E' un metodo ben rodato che è stato usato con grande successo contro “I Limiti dello Sviluppo”, il rapporto al Club di Roma apparso nel 1972.

venerdì 10 giugno 2016

Mai gridare al lupo! La peggior previsione climatica mai fatta

Da “Cassandra's Legacy”. 9 Giugno 2016, Traduzione di MR

Se ti metti a gridare "al lupo!" e il lupo non viene, fai una gran figuraccia. Ma ne farai una ben peggiore se non gridi "al lupo!" e poi il lupo arriva.



Il professor Nicola Scafetta mostra le sue previsioni del 2010 delle temperature globali (da Meteo Live News) ). Queste previsioni si sono rivelate sbagliate in modo spettacolare. 


di Ugo Bardi

Il dibattito su qualsiasi cosa abbia a che fare col futuro spesso diventa una versione particolare della storia di “gridare al lupo”. Immaginate che qualcuno gridi al lupo a che il lupo non arrivi. Qualcun'altro concluderà sempre che il lupo non esiste (o che è una cosa di cui non ci dovremmo preoccupare). Una cosa simile avviene in aree come la scienza del clima quando le incertezze del passato vengono prese come indicazione che il cambiamento climatico non esiste (o che è una cosa di cui non ci dovremmo preoccupare).

Davvero, è una perversione della logica, ma ha le sue ragioni. Supponete che l'apparizione dei lupi sia un fenomeno relativamente raro. A questo punto, anche se non sapete quasi niente sui lupi, è una scommessa facile: sarete molto più popolari coi pastori se dite loro che il lupo non verrà. E, di solito, sarete in grado di affermare che avevate ragione, eccetto quando il lupo arriva, ovviamente. Ma, in quel caso, è probabile che i pastori saranno molto più occupati a salvare le loro pecore che a castigare voi per la vostra incompetenza in materia di lupi.

Una cosa simile sembra accadere con la scienza del clima, dove un sacco di gente, che di solito sa molto poco sulla scienza del clima, tende a rassicurare la gente che il cambiamento climatico non esiste o che non è niente di cui preoccuparsi. Nella misura in cui le case sul lungomare di solito non vengono spazzate via ogni settimana da uragani e dal livello del mare che aumenta, questi previsori rassicuranti possono affermare di aver avuto ragione.

Ma a volte anche i castigatori di Cassandre potrebbero avere un momentaccio quando cercano di fare previsioni quantitative. Un caso rimarchevole è quello di Nicola Scafetta, che ha cercato di usare un sofisticato trattamento statistico (vale a dire: torturiamo i dati finché non confessano) per provare che il riscaldamento globale è causato principalmente dai cicli planetari a lungo termine. Sulla base dei suoi modelli, nel 2010, ha previsto che le temperature globali avrebbero dovuto rimanere costanti o avrebbero dovuto diminuire. Mentre nel 2012 avva previsto che le temperature avrebbero dovuto aumentare ad un tasso molto più lento di quello previsto dai modelli climatici standard. Su queste previsioni, aveva ottenuto una certa notorietà in rete.

Be', se esistesse un premio per le peggiori previsioni climatiche, penso che queste di Scafetta potrebbero legittimamente concorrervi. Le temperature globali hanno rifiutato di seguire le sue previsioni ed hanno di fatto superato il risultato dei modelli del IPCC che Scafetta aveva criticato.

Giudicate voi stessi. Sotto potete vedere i risultati presentati da Scafetta nel 2010 (N. Scafetta. I cicli climatici e le loro implicazioni. Periodico semestrale dell’Associazione Normalisti. n.2 dicembre 2010) (vedete anche questo link; le temperature recenti sono state aggiunte in rosso):



Alcune previsioni più recenti di Scafetta sono un po' meglio, ma ancora ampiamente fuori bersaglio (le temperature recenti sono state aggiunte in rosso):


Quindi ecco la conclusione: visto che abbiamo prove fisiche solide che i lupi esistono (a differenza dei draghi e degli unicorni), è meglio dare ascolto a coloro che vi dicono che le vostre pecore potrebbero essere in pericolo. Allo stesso modo, visto che abbiamo prove fisiche solide che i gas serra provocano riscaldamento e che la loro concentrazione sta aumentando, è meglio dare ascolto a coloro che vi dicono che la vostra proprietà in riva al mare è in pericolo (e non solo quella!). 

Riconoscimento: Stefano Caserini ha preparato le figure mostrate in questo articolo.

Nota: questo articolo è stato indotto da un dibattito che ho avuto oggi con Nicola Scafetta alla conferenza AIGE-IIETA 2016 di Napoli. Nel suo discorso, Scafetta ha passato gran parte del suo tempo a criticare i modelli climatologici standard, dicendo che non riproducono bene i dati storici e che sono affetti da grandi incertezze. Ha detto che questi modelli in gran parte esagerano la sensitività climatica al CO2, anche se ha affermato di non negare che i gas serra abbiano un effetto sulle temperature. Poi, ha mostrato i risultati dei suoi modelli confrontati coi dati storici, ma sempre fermando il confronto al 2012 o al 2013. ha anche detto che secondo alcuni nuovi lavori che ha fatto, lui crede che Giove abbia un forte effetto sulle temperature terrestri. 

Nel mio commento, ho mostrato al pubblico i dati che pubblico in questo post ed ho chiesto a Scafetta come può giustificare tali errori lampanti. Scafetta ha detto che sono dati vecchi e che ora ha modelli nuovi. Ho risposto dicendo che non può cambiare le sue ipotesi ogni anno ed ogni anno fingere di fare previsioni affidabili. Lui ha ripetuto che il suo modello ora funziona. Poi, il moderatore ha detto che dovevamo fermarci ed ha raccomandato a tutti cautela nel credere ai modelli. Ed è finita lì!

domenica 13 marzo 2016

La scoperta più deprimente della storia: più sai, meno ragioni

Da “Alternet”. Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)

Dite addio al sogno per cui educazione, giornalismo, prove scientifiche o ragione possano fornire gli strumenti di cui le persone hanno bisogno per prendere le giuste decisioni.

Di Marty Kaplan 

Il nuovo articolo di ricerca del professore di giurisprudenza di Yale Dan Kahan si chiama “La capacità di calcolo motivata e l'autogoverno illuminato”, ma per me il titolo del pezzo del divulgatore scientifico Chris Mooney su questo stesso tema su Grist è migliore: “La scienza conferma: la politica distrugge la tua capacità di far di conto”. Kahan ha condotto alcuni esperimenti ingegnosi sull'impatto della passione politica sulla capacità delle persone di pensare in modo chiaro. La sua conclusione, nelle parole di Mooney: la partigianeria “può anche minare le nostre stesse capacità fondamentali di ragionamento... [Le persone] che sono molto brave in matematica potrebbero cannare totalmente un problema che sarebbero stati in grado di risolvere semplicemente perché dare la risposta giusta va contro le loro credenze politiche”.

martedì 26 gennaio 2016

Il cambiamento climatico e la catastrofe della cacca di cavallo

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Ripensando a questo post, scritto due settimane fa per il mio blog in inglese, mi viene in mente che se gli "scettici" si sono ridotti a criticare la scienza del clima sulla base della cacca di cavallo di un secolo fa, veramente non hanno più argomenti


Una delle ragioni del successo delle automobili nel sostituire i cavalli è stata che le automobili non si lasciavano dietro rifiuti solidi. Ci è voluto quasi un secolo per capire che i gas di scarico dei veicoli a motore sono di gran lunga più tossici ed inquinanti di qualsiasi cosa che il di dietro di un cavallo possa produrre (Sopra, una pubblicità di una automobile del 1898).


Il successo della conferenza sul clima di Parigi potrebbe essere stata solo parziale, ma ha sicuramente gettato in un certo scompiglio il partito anti-scienza. Per esempio, alla National Review, non sono stati in grado di criticare l'accordo di Parigi con qualcosa di meglio della vecchia storiella della “catastrofe del letame di cavallo”, (vedete qui per l'origine della storia). Il loro recente articolo su questo tema si intitola “Perché il cambiamento climatico non conterà niente fra 20 anni” ed è scritto da Josh Gelernter. Non contiene nulla di nuovo, ma è un pezzo astuto e ben scritto che merita un po' di attenzione.

L'argomentazione centrale del testo deriva dal problema dell'inquinamento da letame di cavallo nel XIX secolo. Gelernter cita Michael Crichton e dice:
Che problemi ambientali avrebbero previsto gli uomini nel 1900 per il 2000? Dove prendere abbastanza cavalli e cosa fare con tutto quel letame. “L'inquinamento da cavalli era così forte nel 1900”, ha detto Crichton."e quanto ci si aspettava che diventasse un secolo dopo nel 1900 con così tante persone in più che andavano a cavallo?” 
Da qui, il testo prosegue elencando i molti cambiamenti che abbiamo visto da allora sostenendo che oggi è impossibile prevedere come sarà la tecnologia fra 100 anni da adesso e che fra 20 anni il cambiamento climatico non sarà più un problema.

Nel modo in cui è scritto il testo, la tesi di Gelernter sembra reggere, ma se si esamina in dettaglio, diventa un castello di sabbia di fronte all'alta marea. Fondamentalmente, l'esempio del letame di cavallo è portato ben oltre la sua importanza. Chricton probabilmente aveva ragione quando ha detto che “l'inquinamento da cavalli era forte nel 1900”, ma non ci sono prove del fatto che qualcuno lo considerasse una catastrofe in divenire o che l'abbia estrapolato in un futuro remoto: non esisteva niente di analogo al nostro IPCC, diciamo un IPMC (International Panel on the Manure Catastrophe).

Poi, il letame di cavallo potrebbe essere stato sgradevole per i nasi delicati degli abitanti di città, ma non è mai stato tossico, non ha mai distrutto l'ecosistema e poteva essere sempre tolto di mezzo da un numero sufficiente di persone armate di scopa. L'importanza esagerata data a questa storia potrebbe derivare da un fattoide che si può facilmente trovare nel web che sostiene (in varie versioni) che “Scrivendo sul Times di Londra nel 1894, uno scrittore ha stimato che fra 50 anni ogni strada di Londra sarà sepolta sotto 2 metri e mezzo di letame”. Ho cercato di trovare la fonte di questa affermazione, ma non sembra che esista. Si tratta, molto probabilmente, solo di una leggenda, come indicato dalla genericità dell'attribuzione ad “uno scrittore” come autore.

A parte l'esagerazione dell'importanza dell'inquinamento da letame, tutta la tesi dell'articolo della National Review si regge su una logica molto traballante. Il primo problema è che, anche se le automobili sembravano molto più pulite dei cavalli, più tardi si sarebbe scoperto che le emissioni dei tubi di scarico di un'automobile sono di gran lunga più pericolosi di qualsiasi cosa possa fuorisuscire dal di dietro di un cavallo. E persone armate di scope non possono fare niente contro l'inquinamento gassoso. Visto in questi termini, le automobili sono un classico caso di una soluzione che peggiora il problema: si può soltanto rabbrividire al pensiero di cosa ci potrebbe portare la prossima “soluzione” tecnologica all'inquinamento delle automobili (e ci sono già delle preoccupazioni riguardo al fatto che in convertitori catalitici delle automobili potrebbero fare un danno inaspettato alla salute umana).

L'altro problema della tesi di Gelernter è una fallacia logica fondamentale. Questa logica sostiene, “c'erano problemi di inquinamento in passato. Questi problemi non ci sono più oggi. Pertanto, il problema del cambiamento climatico di oggi non esisterà più in futuro”. Questa è una fallacia di eccesso di estrapolazione a volte conosciuto come “la fallacia del tacchino (turkey fallacy)”. “Immaginate di essere un tacchino, poi osservate gli esseri umani che vi hanno dato da mangiare tutti i giorni dal giorno in cui siete nati. Quindi estrapolate nel futuro e concludete che gli esseri umani continueranno a darvi da mangiare per sempre. Poi arriva il giorno del Ringraziamento..." Così, il fatto che siamo stati in grado di risolvere alcuni problemi di inquinamento in passato (o, perlomeno, che crediamo di essere stati in grado di risolvere) non significa che saremo sempre in grado di risolverli tutti.

A parte la logica ballerina, la caratteristica interessante del pezzo di Gelernter è quanto sia estremo. E' basato sulla fede dall'inizio alla fine: tutta la tesi è un inno alla tecnologia che risolverà tutti i problemi come ha sempre fatto in passato. Nello spettro delle attuali visioni del futuro, questa si trova all'estremo opposto di quella della “estinzione umana a breve termine” di Guy McPherson. Entrambe implicano di non dover far nulla per prepararsi al futuro. Entrambe non permettono alcun “piano B” in caso il futuro dovesse rivelarsi diverso da quanto ipotizzato.

Tutto questo è veramente sconsiderato, a dir poco. Ci sono sicuramente modi che possono rendere il cambiamento climatico generato dall'uomo un problema obsoleto (comprese grandi innovazioni tecnologiche, ma anche, per esempio, una guerra nucleare). Ma ci sono anche un sacco di possibilità che il cambiamento climatico possa rivelarsi essere un grande disastro non mitigato, come è già. Così, se non si vuole affrontare il destino dei tacchini nel giorno del ringraziamento, è meglio abbracciare una posizione flessibile ed evitare di cadere nella trappola generata da estremi opposti. Il futuro spesso ci sorprende, ma è meglio se ci prepariamo ad accoglierlo.

(h/t Alex Sorokin)

domenica 27 dicembre 2015

Uccidete gli scienziati! (Il trionfo del negazionismo)

Da “The great change”. Traduzione di MR

"Ci siamo abituati allo spettacolo bizzarro di un mondo intero di 190 paesi tenuto in ostaggio da 60 o 70 milionari repubblicani del Senato degli Stati Uniti”


Di Albert Bates

Ci viene in mente la formulazione classica di Elisabeth Kübler-Ross dei cinque stadi dell'afflizione – negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione – che sono trasferibili su varie gradazioni in modi diversi al cambiamento personale e allo sconvolgimento emotivo risultanti da fattori che non siano la morte o il morire, come l'angoscia da “solastalgia” prodotta dal cambiamento del proprio ambiente casalingo.


sabato 10 ottobre 2015

Quello che la Exxon sapeva del cambiamento climatico

Da  “The New Yorker”. Traduzione di MR (via Skeptical Science)

Di Bill McKibben



Pompe di benzina Exxon e Mobil, New York 1979. Due anni prima, secondo un nuovo rapporto, gli scienziati della Exxon hanno detto alla società che il loro prodotto principale contribuiva al riscaldamento globale. Foto di Brian Alpert/Keystone/Hulton Archive/Getty

Mercoledì mattina, i giornalisti di InsideClimate News (ICN), un sito Web che ha vinto il Premio Pulitzer per i suoi servizi sulle perdite di petrolio, ha pubblicato la prima dispensa di una denuncia i più parti che apparirà nei prossimi mesi. I documenti che hanno raccolto e le interviste che hanno fatto agli impiegati in pensione ed ai funzionari mostrano che, già nel 1977, la Exxon (ora ExxonMobil, una delle società più grandi del pianeta) sapeva che il proprio prodotto principale avrebbe scaldato disastrosamente il pianeta. Ciò non ha impedito alla società di passare da allora decenni a organizzare le campagne di disinformazione e negazione che hanno rallentato  - forse fatalmente – la risposta del pianeta al riscaldamento globale.

domenica 20 settembre 2015

La fine annunciata della civiltà

Da “bastamag.net” Traduzione di MR (via Luca Pardi)

Di Ivan Du Roy


Dei nove limiti vitali al funzionamento del “sistema Terra”, almeno quattro sono già stati superati dalle nostre società industriali, con il riscaldamento globale, il declino della biodiversità o il tasso insostenibile di deforestazione. Superare questi limiti significa prendersi il rischio che il nostro ambiente e le nostre società reagiscano “in modo improvviso ed imprevedibile”,avvertono Pablo Servigne e Raphaël Stevens nel loro libro “Come tutto può collassare”. Ricordando tutti i dati e gli avvertimenti scientifici sempre più allarmanti, i due autori fanno appello ad uscire dalla negazione. “Essere catastrofisti non significa né essere pessimisti né ottimisti, significa essere lucidi”. Un'intervista.

venerdì 24 luglio 2015

Mini Era Glaciale nel 2030: il nuovo meme anti scienza?

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Nell'ultimo decennio abbiamo assistito  parecchi trucchi usatidai media  contro la scienza del clima. Quello più riuscito è stato il cosiddetto scandalo “Climategate” del 2009. Ne potete vedere gli effetti nel sondaggio di Gallup sopra.

Il Climategate è stato un “meme” di grande successo, un termine creato da Richard Dawkins in analogia con “gene” - un meme è un'unità riproduttiva nello spazio mediatico. Funziona come un virus e, come un virus, tende a perdere potenza quando il sistema sviluppa le modalità per combatterlo. Per cui, il meme del climategate ha perso potenza a pochi anni dalla sua introduzione e la curva di Gallup ha ricominciato a salire.

giovedì 14 maggio 2015

Le lacrime dell'Artico

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR



Vento sulla superficie isobarica di 250 hectoPascal (approssimativamente 10 km, l'altitudine del Jet Stream), il 27 marzo del 2015 alle 15:00

di Antonio Turiel

Ho letto svogliatamente del programma di lavoro del biennio 2016-2017 dell'area del programma-quadro Orizzonte 2020 che comprende le attività marine. Il documento, ancora confidenziale (visto che ancora potrebbero verificarsi alcuni cambiamenti nel suo contenuto) contiene le linee di ricerca che la Commissione Europea vuole stimolare nei prossimi anni e che pertanto finanzierà. Il finanziamento della ricerca europea funziona così: un ampio gruppo di esperti ed alcune lobby molto potenti decidono quali sono i temi che sui quali bisogna fare ricerca, si elaborano questi programmi di lavoro e finalmente escono le convocazioni per le proposte di progetti di ricerca, che dovranno attenersi a qualcuna delle linee proposte. Il piano di lavoro è molto dettagliato e vengono fuori letteralmente centinaia di linee diverse, ma con un po' di esperienza si sa come andare direttamente a cercare quelle che interessano. Idealmente, se si hanno delle buone relazioni e si è capaci di muoversi in questi ambienti, è possibile ottenere che le proprie idee vengano riconosciute direttamente in una delle linee e così è più facile (anche se non garantito)ottenere uno di quei progetti. Io, che ho pretese e capacità più modeste, leggo semplicemente tutte le linee della bozza, cercando quelle che corrispondono al lavoro che so e che voglio fare, filtrando da queste linee che so già essere fortemente sponsorizzate e che quindi non meritano che ci perda tempo perché non ne tirerò fuori niente.

lunedì 13 aprile 2015

Lo strano caso dei conciatori climatologi

Vero cuoio? Probabilmente si, ma sarà vera la lettera sul cambiamento climatico che è arrivata dall'unione nazionale industrie conciarie (UNIC)?



Che ne pensereste se un'associazione di climatologi si mettesse a spiegare ai conciatori come si conciano le pelli? Se per caso avvenisse una cosa del genere, come minimo i climatologi che ci si fossero impegnati andrebbero gentilmente indirizzati a uno psichiatra.

Altrettanto strano sarebbe che un'associazione di conciatori di pelli tirasse fuori un comunicato dove si spiega ai climatologi che hanno sbagliato tutto fino ad ora e che la vera scienza del clima la sanno loro, i conciatori!

Bene, sembra che sia avvenuta proprio una cosa del genere con l'Unione Nazionale Industria Conciaria (UNIC) che ha inviato ai propri associati delle lettere sul clima completamente assurde.

Nella prima lettera, datata il 20 Marzo 2015, si spiega, fra le altre cose, che il riscaldamento globale non esiste, che comunque è causato dal sole e che stiamo andando verso una nuova era glaciale. La lettera arrivava dal "Servizio Ambiente" dell'UNIC, con firma illeggibile. Qualche giorno dopo, in data 1 Aprile, è arrivata un'altra lettera sull'argomento, ancora più assurda e piena di errori (fra le altre cose, sbagliando l'IPCC con l'IPPC - che è tutta un'altra cosa). Questa seconda lettera è firmata da S. Mercogliano, Direttore Generale di UNIC.

Ora, queste due lettere avevano tutta l'aria di un pesce d'Aprile, specialmente la seconda. Ma non era chiaro e, comunque, come pesce d'Aprile sembrava alquanto di cattivo gusto. Perciò mi è parso il caso di scrivere a UNIC sul loro sito, chiedendo gentilmente se era opera loro (e, nel qual caso, come la si dovesse intendere) oppure se qualcuno avesse scritto questo documento per metterli in cattiva luce.

Due settimane dopo, nessuna risposta da UNIC.

A questo punto, dobbiamo veramente credere che il direttore Generale dell'Unione Nazionale Industria Conciaria si sia improvvisamente scoperto climatologo e abbia scritto delle lettere del genere? Lettere, poi, spedite a nome di un'associazione teoricamente seria e che dovrebbe rappresentare un'intera categoria di industrie italiane? E' possibile che le industrie italiane del cuoio accetino di essere rappresentate da persone che si lanciano pubblicamente a scrivere colossali sciocchezze sul clima terrestre?

Non vi so che dire, l'unica cosa che posso commentare al momento è che non siamo ancora in Estate, per cui l'ipotesi di un colpo di sole sembrerebbe da scartare, almeno per ora.

Se qualcuno dell'UNIC, o lo stesso Sig. Mercogliano, vogliono smentire la provenienza di questi documenti, sarò lieto di pubblicare la loro smentita su questo blog. Altrimenti, mettiamo questa strana storia in archivio come "lo strano caso dei conciatori climatologi;" una delle tante assurdità del dibattito sul clima.


Di questa curiosa storia ha parlato anche Ocasapiens sul blog di Repubblica, come pure Daniele Pernigotti, qui, e qui (che ringrazio per avermi i documenti  dell'UNIC)

Ecco le due lettere

___________________________________________________________________

La circolare n. 43 dell'UNIC (??)

Milano, 20 marzo 2015
 

CIRCOLARE N. 43 ALLE AZIENDE ASSOCIATE
RISCALDAMENTO GLOBALE?
 

La teoria del riscaldamento globale di origine antropica, propagandata da media e governi, risulta sempre più lontana dalla realtà. I fatti dicono che i ghiacci dell’Artico non stanno scomparendo, che dal 2000 al 2014 la temperatura media globale non è aumentata e le aree desertiche sono in diminuzione. Secondo alcuni studi scientifici, l’aumento della temperatura media del globo riscontrato nel secolo scorso è spiegabile sulla base dell’andamento dell’attività del Sole, deducibile dall’analisi delle macchie solari.

In base alle recenti rilevazioni compiute dai ricercatori, dal 1938 al 2000 l’attività delle macchie solari ha manifestato un periodo di forte intensità, indice di una maggiore radiazione solare (energia) trasmessa nello spazio circostante e quindi verso la Terra. Le variazioni di energia solare hanno un impatto sul clima terrestre sia diretto, tramite il calore che influisce direttamente sulla temperatura, che indiretto, attraverso la formazione delle nuvole (effetto raffreddante).

Dal 2000 l’analisi dei cicli di macchie solari mostra una diminuzione dell’attività solare e l’inizio di un “ciclo” freddo, che porterà nei prossimi anni ad un sensibile raffreddamento ed a maggiori precipitazioni. 

SERVIZIO AMBIENTE Prot. n. 123.436 SM/FO 


__________________________________________________________________________


UNIONE NAZIONALE INDUSTRIA CONCIARIA
Aderente a Confindustria
20123 Milano, Via Brisa, 3 – Italy
Tel. 02 880771.1 Fax 02 860032
e-mail unic@unic.it
www.unic.it
Milano, 1 aprile 2015
Prot. n. 123.452 SM/FO
 

ALLE AZIENDE INTERESSATE
RISCALDAMENTO GLOBALE
 

Steve Cohen, direttore dell’Earth Institute della Columbia University di New York, uno dei maggiori centri internazionali di studi ambientali, ha ammesso che il catastrofismo ha stancato.
 

Il filosofo francese Pascal Bruckner ha contestato le comunicazioni verdi “alla Al Gore”, tese a spaventare per estorcere sacrifici (e finanziamenti).
 

Naomi Klein, famosa no-global anti-capitalista, ha riconosciuto che il movimento ha fallito, sia per essersi affidato a testimoni messianici (Obama) sia per aver rifiutato sistematicamente senza alcuno spirito costruttivo.
 

I dati sul surriscaldamento terrestre oggi sono controversi.
 

L’Hadley Centre dell’ufficio meteorologico britannico ed il Climatic Research Unit dell’Università East Anglia hanno rilevato che l’aumento delle temperature si è fermato da un quindicennio.
 

Gli si contrappone, spinto da potenti lobby, l’IPPC, organismo ONU, che da decenni addossa ogni colpa alle emissioni di anidride carbonica provocate dall’uomo.
 

Nel frattempo multinazionali ed industrie private hanno adottato autonomamente processi ed impatti sostenibili, per risparmiare e per maggiore efficienza, come è avvenuto per la conceria italiana.
 

Chicco Testa, ex leader ambientalista e parlamentare di sinistra, ha constatato che la furia anti-capitalista di gran parte degli schieramenti ecologisti ha sbagliato; anzi, proprio gli imprenditori hanno saputo fare propri i temi e trasformarli in mode di consumo. Ha inoltre dichiarato che Greenpeace è diventata una società di comunicazione, che raccoglie soldi dai donatori attraverso la “spettacolarizzazione” continua dei problemi: balene, carbone, pozzi petroliferi. Gridando all’emergenza avrebbero racimolato l’anno scorso 200 milioni di dollari.
 

Il prof. Maurizio Masi, Direttore del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica del Politecnico di Milano, che collabora con noi, condivide l’approccio pragmatico verso l’uso razionale delle risorse, attestato da: report di sostenibilità, redazione di capitolati sostenibili, efficienza energetica. I calcoli attualmente in discussione sull’impronta ambientale (carbon footprint), che ci vedono penalizzati a causa degli atteggiamenti di burocrazia comunitaria e lobby di terzi (macellatori francesi), dovranno pertanto essere rivisti in chiave più favorevole alla concia.
 

Cordialità
 

S.Mercogliano

domenica 15 marzo 2015

Pentagono e Cambiamento Climatico: in che modo i negazionisti mettono a rischio la sicurezza nazionale

DaRolling Stone”. Traduzione di MR (h/t Paul Chefurka)

I capi delle nostre forze armate sanno cosa sta per succedere – ma i negazionisti al Congresso stanno ignorando gli avvertimenti

Di Jeff Goodell




Matt Mahurin 

La stazione navale di Norfolk è il quartier generale della flotta della Marina statunitense nell'Atlantico, una straordinaria raccolta di potere militare, ovvero, in un modo terribile, il culmine della gloria della civiltà americana. 75.000 marinai e civili ci lavorano, il loro l'affare quotidiano di mantenere la flotta lucida e pronta per il dispiegamento in qualsiasi momento. Quando l'ho visitata in dicembre, la portaerei USS Theodore Roosevelt era in porto, una macchina da guerra galleggiante di 1000 piedi di lunghezza che è stata centrale per le operazioni militari in Iraq e Afghanistan. Attrezzature caricate sul ponte dalle gru, marinai che si affrettavano su e giù lungo le passerelle. Elicotteri della marina ci sorvolavano. La sicurezza era stretta ovunque. Mentre stavo osservando uno dei nuovi piloni massicci di cemento a due piani della base che sono grandi quasi come un parcheggio di un ipermercato, mi sono avvicinato per dare un'occhiata più da vicino al USS Gravely, un cacciatorpediniere con missili teleguidati che ha passato molte ore di guardia nel Mediterraneo. Uomini armati sul ponte mi guardavano con circospezione – anche il mio ufficiale di scorta sembrava nervoso (“Penso che dovremmo fare un passo indietro”, ha detto, afferrandomi il braccio).

Non si possono passare 10 minuti in questa parte della Virginia senza percepire il senso profondo della storia: La Battaglia di Hampton Roads, una famosa battaglia decisiva fra due corazzate della Guerra Civile è avvenuta poco al largo. La base è stata un punto di partenza chiave per migliaia di marinai durante la Seconda Guerra Mondiale, molti dei quali non sono mai ritornati. I loro fantasmi sono ancora presenti. La zia o lo zio di chiunque ha una storia da raccontare su una notte in un porto a Brisbane o Barcellona, o sul modo in cui rimbombavano le loro orecchie la prima volta che hanno sentito un cannone sparare dal ponte di una nave.

Ma entro la durata di vita di un bambino nato adesso, tutto ciò potrebbe svanire nell'Oceano Atlantico. La terra su cui è costruita la base sta letteralmente sprofondando, il che significa che i livelli del mare in Norfolk stanno aumentando circa il doppio più velocemente della media globale. Non c'è nessuna altura, nessun luogo in cui ritirarsi. Sembra una palude che è stata dragata ed asfaltata – ed è praticamente così. Basta un temporale o una grande mareggiata e l'Atlantico invade la base – le  strade vengono sommerse, i cancelli d'ingresso invalicabili. Il giorno prima della mia visita, nell'area era passato il grecale. Sull'Isola di Craney, il principale deposito per il rifornimento della base, i veicoli militari erano sotto l'acqua di mare fino agli assi. L'acqua ha invaso una lunga area erbosa vicino ad Admiral's Row, dove i comandanti delle navi vivono in case sontuose costruite per l'Esposizione di Jamestown del 1907. “E' la più grande base navale del mondo e dovrà essere spostata”, dice l'ex vice presidente Al Gore. “E' solo questione di quando”.

Ci sono 29 basi militari, cantieri navali ed installazioni nell'area e molti di loro hanno gli stessi guai. Nella vicina base dell'Aeronautica di Langley, sede di due squadroni di caccia e quartier generale del Air Combat Command, i comandanti della base tengono 30.000 sacchetti di sabbia pronti da posizionare intorno agli edifici quando arriva una grande tempesta. Al Wallops Flight Facility della NASA, l'agenzia ha corazzato la linea costiera con 3 milioni di iarde cubiche di sabbia per proteggere le proprie rampe di lancio dai sollevamenti del mare. “La prontezza militare è già stata condizionata dall'aumento del livello del mare”, dice Virginia Sen. Tim Kaine, dice che con tutti gli allagamenti sta diventando difficile vendere una casa in alcuna parti di Norfolk. Se la fusione della Groenlandia e dell'Antartide Occidentale continua ad accelerare ai tassi attuali, gli scienziati dicono che Norfolk potrebbe avre più di sette piedi di aumento del livello del mare per il 2100. In 25 anni, le operazioni in gran parte di queste basi è probabile che verranno seriamente compromesse. Entro 50 anni, gran parte di esse potrebbero essere spacciate.

Se la regione venisse colpita da un grande uragano, la resa dei conti potrebbe arrivare anche prima. “Si potrebbero spostare alcune navi in altre basi o costruire nuove basi più piccole in posti più protetti”, dice il Capitano della Marina in pensione Joe Bouchard, un ex comandante della Stazione Navale di Norfolk. “Ma i costi sarebbero enormi. Parliamo di centinaia di miliardi di dollari”.

Il Contrammiraglio Jonathan White, l'oceanografo capo della Marina e capo della sua task force sul cambiamento climatico, è una delle persone più ben informate fra i militari su cosa stia veramente accadendo nel nostro pianeta in rapido riscaldamento. Ogni qualvolta un altro ufficiale o un deputato mette all'angolo White e lo incalza sul perché passi tanto tempo a pensare al cambiamento climatico, lui non cerca nemmeno di spiegare l'espansione termica degli oceani o le dinamiche del ghiaccio nell'Artico. “Li porto semplicemente a Norfolk”, dice White. “Quando vedi cosa sta succedendo laggiù, ti da un'idea di cosa significhi il cambiamento climatico per la Marina – e per l'America. E si può capire perché siamo preoccupati”.

Coloro che parlano prevalentemente di cambiamento climatico – scienziati, politici, attivisti ambientali – tendono ad inquadrare la discussione in termini economici e morali. Ma il mese scorso, con una svolta drammatica, il presidente Obama ha parlato di cambiamento climatico in un contesto esplicitamente militare: “Il Pentagono dice che il cambiamento climatico pone rischi immediati alla nostra sicurezza nazionale”, ha detto nel suo Discorso sullo Stato dell'Unione. “Ci dovremmmo comportare di conseguenza”.

Da un lato, questa è solo politica scaltra, un modo per parlare del cambiamento climatico a persone alle quali non importa dei tassi di estinzione fra i rettili o dei prezzi del cibo in Africa Orientale. Ma è anche un modo di colpire tutti i negazionisti del Congresso che hanno bloccato l'azione climatica – molti dei quali risultano essere grandi sostenitori dei militari. La Commissione per i Servizi Armati del Senato è costituita da personaggi come James Inhofe dell'Oklahoma, Ted cruz del Texas e Jeff Sessions dell'Alabama ed è condotto da John MacCain dell'Arizona che, prima di correre per la presidenza nel 2008, era stato un esplicito sostenitore dell'azione climatica, ma negli ultimi anni è rimasto in silenzio riguardo al problema. La Commissione per i Servizi Armati  ora è presieduta dal repubblicano Mac Thornberry del Texas, che nel 2011 in un editoriale ha sostenuto che la preghiera è una risposta migliore del taglio dell'inquinamento da carbonio alle ondate di calore e alla siccità.

A qualsiasi ufficiale che abbozzi un collegamento fra cambiamento climatico e sicurezza nazionale è garantita una reazione rabbiosa da parte della destra. Il Segretario alla Difesa uscente Chuck Hagel di recente ha definito il cambiamento climatico “un moltiplicatore di minacce” che “ha il potenziale di esasperare molte delle sfide che stiamo affrontando oggi – dalle malattie infettive al terrorismo”. In risposta, l'editoriale del Wall Street Journal ha trattato Hagel come un delirante 'abbraccia alberi': “Agli americani che potrebbero morire per mano dello Stato Islamico non importerà del fatto che il signor Hagel si mobiliti contro la fusione dei ghiacciai”. In un discorso a Jakarta dello scorso anno – una città di quasi 30 milioni di abitanti che sta rapidamente sprofondando – il Segretario di Stato John Kerry a definito il cambiamento climatico “forse la più spaventosa arma di distruzione di massa del mondo” e lo ha paragonato al terrorismo, alle epidemie e alla povertà. McCain ha immediatamente respinto le preoccupazioni di Kerry e lo ha accusato di “svolazzare per il mondo dicendo qualsiasi cosa”; l'ex leader repubblicano Newt Gingrich ha twittato, “Ogni americano a cui importi della sicurezza nazionale deve richiedere le dim issioni di kerry. Un segretario di stato delirante è pericoloso per la nostra sicurezza”.


Prima che il cambiamento climatico diventasse un tabù per i repubblicani, era possibile anche per i politici conservatori avere discussioni razionali sul tema. Nel 2003, sotto Donald Rumsfeld, l'ex segretario alla difesa del presidente George W. Bush, il Pentagono ha pubblicato un rapporto intitolato “Uno scenario di cambiamento climatico improvviso e le sue implicazioni per la sicurezza nazionale degli stati uniti”. Commissionato da  Andrew Marshall, che a volte all'interno del Pentagono viene scherzosamente chiamato Yoda – e che era un favorito di Rumsfeld – il rapporto avvertiva che le minacce alla stabilità globale poste da un rapido riscaldamento eclissavano ampiamente quelle del terrorismo. Parte della scienza climatica del rapporto era sbagliata, ma le conclusioni più ampie non lo erano. “Distruzione e conflitto saranno caratteristiche endemiche della vita”, affermava il rapporto. “La guerra definirà di nuovo la vita umana”.



Un tempo voce autorevole sul cambiamento climatico, il senatore John McCaine, presidente dellla Commissione per i Servizi Armati del Senato, ora parla raramente dei problemi. Andrew Harper/Bloomberg/Getty

Anche McCain, ora fermamente nel campo negazionista, non esitava a delineare la connessione fra cambiamento climatico e sicurezza nazionale. “Se gli scienziati hanno ragione e le temperature continuano a salire”, ha detto al Senato nel 2007, “potremmo essere di fronte a conseguenze ambientali, economiche e di sicurezza nazionale ben al di là della nostra capacità di immaginazione”.

Questo tipo di discorso è svanito dal partito dopo il 2008, quando il Partito Repubblicano si è trasformato in una succursale delle Industrie Koch. Da allora, i Repubblicani hanno lavorato duramente per minare qualsiasi connessione fra clima e sicurezza nazionale. Caso in questione: nel 2009 l'allora direttore della CIA Leon Pennetta ha silenziosamente fatto partire il Centro per il Cambiamento Climatico e la Sicurezza Nazionale. E' stato un tentativo diretto da parte della comunità dell'intelligence di mettere insieme una migliore conoscenza dei cambiamenti in arrivo. Fra le altre cose, il Centro ha finanziato un grande studio sulla relazione fra cambiamento climatico e stress sociale, con il patrocinio dell'Accademia Nazionale delle Scienze, una delle organizzazioni scientifiche più rispettate del paese. I negazionisti climatici del Congresso non hanno gradito, specialmente il repubblicano John Barrasso del Wyoming, uno stato Big Coal. Quando il rapporto è stato completato, Panetta aveva lasciato la CIA e il suo successore, il generale David Petraeus, lo ha lasciato in un cassetto. “Abbiamo percepito una pressione costante ad annacquare le nostre conclusioni”, dice uno dei coautori del rapporto dell'Accademia Nazionale. Il giorno in cui è stato pubblicato il rapporto, la conferenza stampa è stata improvvisamente cancellata e il rapporto è stato sepolto. Poche settimane dopo, il Centro per il Cambiamento Climatico e la Sicurezza Nazionale è stato sciolto.

Barrasso è stata anche una figura chiave nel far deragliare le audizioni al Senato sulla connessione fra clima e sicurezza nazionale. Lo scorso anno Daniel Chiu, uno dei maggiori strateghi del Pentagono, ha intelligentemente testimoniato sulle implicazioni di sicurezza nazionale del cambiamento climatico. Ma nelle domande e risposte che sono seguite, Barasso è finito in un mondo di fantasia, facendo a Chiu domande sui “sindacati criminali internazionali globali” che stanno manipolando le politiche ambientali europee “per aiutare e sostenere le organizzazioni terroriste e i cartelli della droga che vogliono danneggiare noi e i nostri alleati”.

I negazionisti del Congresso hanno incalzato il Pentagono dove gli ufficiali militari sono più sensibili: il loro bilancio. Lo scorso anno, i repubblicani hanno presentato un emendamento sul disegno di legge per gli stanziamenti alla difesa che ha proibito al Pentagono di spendere soldi nell'implementazione delle raccomandazioni dell'ultimo rapporto dell'IPCC dell'ONU. “L'emendamento non ha avuto effetti sul bilancio della difesa, visto visto che le raccomandazioni dell'IPCC in realtà a noi non si applicano”, mi ha detto un interno del Pentagono. “Ma l'intento era chiaro: questa sarà una guerra”.

La scala delle risorse militari che sono a rischio a causa del clima che cambia rapidamente è sbalorditiva. Il Pentagono gestisce più di 555.000 strutture e 28 milioni di acri di terreno – virtualmente tutti subiranno l'impatto del cambiamento climatico in qualche modo.

Quasi ogni base navale o aeronautica nella costa orientale è vulnerabile all'aumento del livello del mare e alle tempeste, compresa la base dell'aeronautica di Eglin, la più grande base aerea degli Stati Uniti, che si trova nel bassopiano di Panhandle in Florida e la base aeronautica di Patrick sulla costa atlantica della Florida. Ad occidente, il problema spesso sono le siccità e le alluvioni improvvise. Fort Irwin, una base dell'esercito di sette miglia quadrate nel sud della California, sul margine del deserto del Mojave, ha problemi con entrambi. L'epica siccità della California ha messo in discussione le forniture idriche a lungo termine della base. Fort Irwin è una delle sole basi negli Stati Uniti con lo spazio e l'isolamento da permettere la simulazione di una guerra di carri armati in scala. Allo stesso tempo, la base è stata colpita da eventi piovosi estremi. Nell'agosto del 2013, quando l'equivalente di un anno di pioggia è caduto in 80 minuti, l'alluvione ha causato alla base 64 milioni di dollari di danni.

Su in Alaska, il problema è lo scongelamento del permafrost e l'erosione costiera causata da tempeste più forti e maree più alte. E installazioni radar di primo avvistamento dell'aeronautica, che aiutano gli Stati Uniti a mantenere una stretta sorveglianza da qualsiasi cosa possa essere lanciata verso di noi dalla Corea del Nord o dalla Russia, sono state colpite in modo particolarmente duro. In un'installazione, sono stati persi 40 piedi di spiaggia, mettendo in pericolo l'affidabilità del radar. Presso altre installazioni, il permafrost che si scongela ha causato l'inclinazione e il disallineamento dei radar.

In alcuni luoghi, questi impatti sono poco più che costosi fastidi. Ma in alti, il futuro di intere installazioni, molte delle quali virtualmente insostituibili a causa del loro posizionamento geografico e strategico, è messo a repentaglio. La base navale statunitense Diego Garcia, un piccolo atollo corallino nell'Oceano Indiano, come le vicine Maldive, è sicuro che scompaia. Costruita durante la Guerra Fredda, la Diego Garcia ha dato ai militari statunitensi appoggio per contrastare l'influenza sovietica nella regione, così come per proteggere le linee navali al di fuori del Medio oriente. In anni più recenti, questo raro bene strategico è diventato un nodo logistico cruciale per mandare approvvigionamenti alle forze alleate in Medio Oriente, nel mediterraneo e nell'Europa Meridionale. La base ospita anche l'attrezzatura della Rete di Controllo Satellitare dell'aeronautica usata per controllare il GPS. Le navi e l'attrezzatura possono essere spostate abbastanza agevolmente, ma abbandonare un punto d'appoggio militare in una parte vitale ma infiammabile del mondo non è una cosa che i militari amano fare. “Per la Marina, la presenza conta”, dice il Contrammiraglio in pensione David Titley.

Il Pentagono sta esaminando le sue 704 installazioni e siti costieri in un grande studio per cercare di capire quali basi siano più a rischio. Alla fine dovranno essere prese alcune decisioni difficili su quali chiudere, spostare o proteggere. Anche speculando sul numero di possibili chiusure, è un argomento troppo caldo da toccare per chiunque al pentagono in questo momento. Ma il processo non può essere rimandato a lungo. Il prossimo incontro della Commissione per il Riallineamento e la Chiusura delle Basi (BRAC) potrebbe tenersi nel 2017. “Nel BRAC, tutte le decisioni sono basate sul valore militare”, dice John Conger, il vice sottosegretario della difesa, che è responsabile del BRAC. “Il cambiamento climatico condizionerà il valore militare dell'installazione?. Be', certo che lo condizionerà. La domanda è: dominerà l'equazione? E non credo che lo farà – ancora”.

Proprio come ci sono punti caldi del cambiamento climatico, ci sono anche punti caldi del negazionismo climatico – e la Virginia è uno di questi. L'Assemblea Generale della Virginia dominata dai repubblicani è stata ostile alla discussione del cambiamento climatico – un legislatore ha chiamato l'aumento del livello del mare “un termine di sinistra”. La frase politicamente accettabile in Virginia è invece “alluvione ricorrente”.


Man mano che i livelli del mare si alzano, le alluvioni sono diventate più comuni nella base. Michael Pendergrass/U.S. Navy

Ciò rende difficile per la Marina affrontare il problema più immediato che ha Norfolk: mantenere aperte le proprie strade. Uno studio dell'Istituto per la Scienza Marina della Virginia ha identificato quasi 300 miglia di strade vulnerabili alle alluvioni nell'area di Norfolk. “Se le persone non possono andare al lavoro alla base perché le strade vengono allagate, abbiamo un grande problema”, dice il Capitano J. Pat Rios, che è il responsabile delle strutture della Marina nella regione dell'Atlantico centrale. Ma le strade a Norfolk sono responsabilità dello stato e ricostruirle ora non è una priorità. Siccome molti degli uomini e donne della legislatura della Virginia non credono che il cambiamento climatico sia un problema urgente, non vogliono spendere troppi soldi nell'affrontare le minacce che pone. “Trovano strade da sistemare in altre parti dello stato”, dice Joe Bouchard.

Per ora, la strategia della Marina è quella di guadagnare tempo. Alla fine degli anni 90, gli ingegneri della Marina si sono resi conto che 13 moli della base, alcuni dei quali risalgono alla Seconda Guerra Mondiale, stavano raggiungendo la fine del loro ciclo di vita. Siccome erano stati costruiti in un periodo in cui nessuno pensava all'aumento del livello del mare, i moli erano relativamente bassi rispetto al livello dell'acqua. Con l'alta marea, le strutture presenti lungo il lato inferiore delle piattaforme dei moli – elettriche, di vapore, telefoniche, Internet – venivano spesso sommerse dall'acqua, rendendole inutilizzabili. “Non era un problema da poco – non era un problema operativo minore”, dice Bouchard. “L'aumento del livello del mare stava interferendo con la prontezza al combattimento della flotta atlantica”.

Finora, sono stati costruiti 4 nuovi moli, che sono più alti, più forti e meglio progettati di quelli vecchi. Bouchard, che è stato comandante mentre i primi moli nuovi venivano costruiti, dice “sono stati costruiti con l'aumento del livello del mare in mente”. Ma sulla base nessuno vuole parlare direttamente di spendere soldi per affrontare l'aumento del livello del mare, principalmente perché sono preoccupati di attrarre il giudizio da parte dei negazionisti climatici del Congresso, che sono felici di sottolineare qualsiasi spesa che abbia la parola “clima” dentro. Piuttosto, molte persone fra i militari finiscono per parlare di clima come gli adolescenti parlano di sesso – con parole in codice e un linguaggio suggestivo. “Non abbiamo alzato i moli a causa del cambiamento climatico”, mi dice il Capitano Rios durante la mia visita alla base. Non è che mi faccia l'occhiolino, ma quasi.
“Allora perché li avete alzati?” Chiedo.

"Perché ci servono nuovi moli. E visto che li stavamo costruendo, non costava tanto di più farli più alti”.

Ma costruire moli più alti non salverà la base di Norfolk. A prescindere da quanti soldi spenda il Pentagono, non importerà se le persone non possono raggiungere la base perché le strade sono sott'acqua o nessuno vuole vivere nell'area perché il valore delle loro case cola a picco. “Per salvare la base, bisogna salvare la regione”, dice Bouchard. Con l'aiuto della Casa Bianca, lo stato e i funzionari locali di recente approntato di recente un progetto pilota biennale con la Marina per cominciare ad affrontare questi problemi. Ma al momento le soluzioni sono molto lontane.

L'aumento del livello del mare è solo una delle minacce alimentate dal clima che stanno rendendo il mondo più pericoloso e volatile. Le siccità hanno contribuito all'aumento del prezzo del cibo che ha innescato la rivolta della Primavera Araba in Egitto nel 2011; ha anche aiutato ad innescare la guerra civile in Siria. Nelle Nigeria settentrionale, una regione destabilizzata da cicli di siccità e alluvioni estremi, Boko Haram sta terrorizzando i villaggi e uccidendo migliaia di nigeriani.

Il cambiamento climatico sta anche rimodellando i confini dei continenti. In nessun luogo più che nell'Artico, che è probabile che diventi un grande punto critico nelle dispute territoriali e nelle guerre per le risorse del futuro. “La fusione del ghiaccio sta aprendo un nuovo oceano”, dice l'Ammiraglio Gary Roughead, che è stato capo delle operazioni navali statunitensi dal 2007 al 2011. “E' un evento che si verifica una volta ogni millennio”. Il 13% del petrolio non scoperto del mondo si trova al di sotto dell'Artico, così come il 30% del gas naturale non scoperto e più di un trilione di dollari di ricchezza in minerali. “Il modo migliore in cui l'ho sentito spiegare”, dice il Contrammiraglio Daniel Abel della Guardia Costiera statunitense, è questo: “immaginate se aveste un canale di Panama e un'Arabia Saudita in energia che si manifestano nello stesso posto in un'area sotto la vostra responsabilità. Come la prendereste?”

Si possono già intravedere i segni di un futuro militarizzato nell'Artico. Nel 2007, i soldati russi si sono immersi a 17.000 piedi sotto il Polo Nord in un mini sottomarino ed hanno piantato la bandiera russa nel fondo del mare, marcandolo come loro territorio. “Non siamo nel 15° secolo – non si può andare in giro a piantare bandiere” per rivendicare dei territori, ha detto sprezzante il ministro per gli Affari Esteri canadese Peter MacKay. Lo scorso settembre, sei jet da combattimento russi sono stati individuati vicino all'Alaska; quando i jet statunitensi e canadesi hanno intercettato gli aerei russi a circa 55 miglia dalla costa – ancora al di fuori dello spazio aereo americano, ma più vicino di quanto non volino normalmente – i russi hanno girato e si sono diretti verso casa, ma è stato un incontro ravvicinato, un incontro che si sta verificando con frequenza crescente negli ultimi mesi. A novembre, un sottomarino russo nel mare di Barents, vicino alla Groenlandia, ha testato un missile intercontinentale Bulava – il Bulava è l'ultima mortale arma nucleare russa. Il missile ha una gittata di circa 5.000 miglia e può essere caricato con 10 testate nucleari, ognuna delle quali può essere manovrata individualmente. Un Bulava lanciato da un sottomarino nell'Artico potrebbe facilmente raggiungere Boston, New York o Washington D.C.

All'interno del Pentagono, queste provocazioni sono state viste come qualcosa di più dei vecchi giochi della Guerra Fredda. Agli occhi di alcuni pianificatori, Putin stava mandando un messaggio neanche tanto nascosto del fatto che pensa che all'Artico allo stesso modo in cui gli americani un tempo pensavano al Far West: un territorio vasto e non civilizzato di risorse che sarà dominato da chiunque lo rivendichi per primo.

Dopo la Guerra Fredda, i militari statunitensi hanno ampiamente dimenticato l'Artico. Era troppo ostile, troppo proibitivo, troppo costoso operare lassù e senza i sovietici di cui preoccuparsi, c'erano poche ragioni per farlo. Negli anni 90, man mano che Big Oil ha sviluppato progetti per esplorare la regione per il petrolio e il gas, la preoccupazione della Marina è cresciuta - Roughead dice che una grande esplosione di una piattaforma di trivellazione nell'Artico “farebbe sembrare la Deepwater Horizon una passeggiata”. Ma date le complessità della trivellazione nell'Artico, questa sembrava una minaccia lontana nel futuro.


Nel 2007 un sottomarino russo ha piantato la bandiera del suo paese sul fondo del mare dell'Artico. La fusione delle calotte glaciali hanno aperto un nuovo oceano nella regione ricca di risorse che gli Stati Uniti sono mal equipaggiati a proteggere. RTR Russian Channel/AP Images

I capi della Marina hanno cominciato a pensare alla regione in modo diverso nel 2007 che, quando la storia del cambiamento climatico sarà scritta, risulterà uno dei punti di svolta. Quell'estate, gli scienziati erano sorpresi della sparizione inattesa del ghiaccio marino che ha liberato 1 milioni di miglia quadrate di acqua – 6 California – oltre della media, da quando i satelliti hanno cominciato le misurazioni nel 1979. Roughead ha messo insieme una task force della Marina per capire cosa stesse succedendo. “Volevo capire realmente le tendenze a lungo termine così potevamo cominciare a pensare strategicamente alle sfide che avremmo potuto affrontare nell'Artico e cosa avremmo dovuto fare lassù”, dice Roughead. “L'idea era di approfondire questo aspetto anziché seguire le grida del Pentagono, 'Hey ragazzi, il cambiamento climatico è una cosa grossa'”.

Gli scienziati della Marina stimano che per l'estate del 2025 la fusione dl ghiaccio marino estivo nell'Artico sarà abbastanza grande da permettere che i trasporti transpolari si espandano sulla Rotta del Mare del Nord, che passa attraverso il Mare di Barents lungo la costa russa e riduce il tempo di transito fra Asia ed Europa di un terzo. Man mano che il ghiaccio si scioglie, ci saranno più turisti che navigano nel Passaggio a Nordovest lungo la costa canadese. Ci saranno più trivellazioni nel Mare di Chukchi Sea a ovest  dell'Alaska. Ci sarà più traffico verso la Groenlandia, dove le società minerarie si stanno già mettendo in coda per estrarre i minerali che verranno resi accessibili dal ritiro delle calotte polari. Con tutto questo nuovo traffico marittimo, è inevitabile che la Marina dovrà rispondere a sempre più incidenti lassù, dalle missioni di ricerca e salvataggio al probabile contrasto delle azioni aggressive della Marina russa. O, allo stesso modo probabile, da parte dei cinesi, che sono desiderosi di attingere dalle ricche riserve di petrolio e gas dell'Artico. “La Marina degli Stati Uniti non cede un oceano a nessuno”, sostiene Titley. “Siamo una grande potenza”.

Ma la Marina degli Stati Uniti è anche, secondo Roughead, “tristemente impreparata” ad operare nel ghiacciato e spietato Artico. La Marina non ha buone capacità di previsione meteo lassù; le comunicazioni satellitari sono inaffidabili; solo circa il 10% del fondo del mare è stato scandagliato, quindi i naviganti sono inconsapevoli degli ostacoli sottomarini. Le missioni sottomarine sono diventate anche più pericolose a causa dell'imprevedibilità dei cicli di congelamento del ghiaccio marino .La cosa più importante, siccome nessuno nella Marina aveva dato priorità alla necessità di operare nell'Artico, poche navi della Marina sono preparate al freddo. I loro sistemi di idraulici e di ventilazione non funzionano appropriatamente a temperature di congelamento, i loro scafi non sono rinforzati per il ghiaccio. Come dice Titley, “L'incubo di ogni comandante della Marina è che succeda qualcosa nell'Artico – una nave piena di turisti che affonda, un attacco terroristico, un incontro coi militari russi – e di dovere prendere il telefono e dire, 'Mi dispiace, signor Presidente. Vorremmo fare qualcosa per questo, ma non abbiamo proprio l'equipaggiamento che ci permette di rispondere a questa situazione'”.

Quando si tratta di sicurezza nell'Artico, nessun equipaggiamento è importante quanto un rompighiaccio. Virtualmente ogni nazione che rivendica l'Artico sa questo: la Russia ha 43 rompighiaccio (sei dei quali sono alimentati da propulsori nucleari); il Canada ne ha 13; la Finlandia ne ha 9. Gli Stati Uniti ne hanno uno, il Polar Star, che è gestito dalla Guardia Costiera statunitense. Ha quasi 40 anni. Entro un decennio, verrà rottamato e non ci sono progetti per costruirne un altro. “Non finanziandoli”, dice Titley, “mandiamo un telegramma al resto del mondo dicendogli che l'Artico non ci interessa”.

Il cartellino del prezzo di un nuovo rompighiaccio è di un miliardo di dollari – non economico, ma circa un terzo del prezzo di un cacciatorpediniere. E non è una cosa che il repubblicano Duncan Hunter, il negazionista climatico di San Diego che presiede il sottocomitato della Casa che sovrintende agli affari della Guardia Costiera, voglia sentirsi dire. (Anche se sembra essere a favore di un Artico libero dal ghiaccio: “Migliaia di persone muoiono ogni anno di freddo, quindi se avessimo un riscaldamento globale salverebbe delle vite”, ha detto a un gruppo di californiani nel 2009). Dal punto dell'osservatore del Pentagono, il problema non  è solo che i negazionisti come Hunter non vedono la necessità di rompighiaccio, “non vedono la necessità di nessuno pensiero strategico riguardo all'Artico”. Senza rompighiaccio in attività, il californiano John Garamendi, il rappresentante democratico nel subcomitato di Hunter, ha detto alla Associated Press che “il controllo dell'Artico è nelle mani della Russia”.

L'altro problema è la mancanza di leggi del nuovo oceano, specialmente quando si tratta di esplorazione per petrolio e gas sotto il ghiaccio in ritirata. Ogni nazione gode dei diritti di sovranità fino a 200 miglia al largo della proprie coste – ma oltre a quel limite? Come dovrebbe essere suddiviso?Nel 2010, un Ammiraglio cinese ha dichiarato che siccome la Cina ha il 20% della popolazione mondiale, dovrebbe avere il 20% delle risorse dell'Artico. Giusto o meno, questo non è certamente un punto di vista che la Russia – o gli stati Uniti, per quello che vale – è improbabile che approvi.

Per risolvere questo tipo di rivendicazioni, così come per dare una struttura legale ai diritti e alle responsabilità dei paesi rispetto agli oceani, i membri delle Nazioni Unite hanno passato decenni a negoziare un accordo, formalmente conosciuto come Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS). Fra le altre cose, la UNCLOS riconosce che le nazioni hanno il diritto di rivendicare le risorse lungo quello che è conosciuto come “estensione della loro piattaforma continentale”, che fondamentalmente significa qualsiasi caratteristica del terreno che si estende al di là del confine delle 200 miglia. L'accordo è stato portato a termine nel 1982 ed ora è stato firmato da altri 60 paesi, compresa la Russia e tutte le altre nazioni artiche – eccetto gli Stati Uniti. Anche se l'accordo è ampiamente sostenuto da Big Oil, dai capi  militari statunitensi e da tutti i presidenti americani da Reagan in poi, i contrari come il senatore Inhofe, decano dei negazionisti climatici al Congresso, e il repubblicano dell'Ohio Jim Jordan sono stati capaci di bloccare la partecipazione degli Stati Uniti affermando che l'accordo contrasta con la libertà americana e che la distribuzione delle royalty dell'accordo favorirebbero un “una burocrazia corrotta in stile ONU” per deviare miliardi di dollari dall'economia statunitense “tassando” i profitti delle multinazionali.

Le risorse che gli Stati Uniti potrebbero giustificabilmente rivendicare se riconoscessero il Diritto del Mare sono ampie. Nella sola Alaska, la piattaforma continentale si estende a 600 miglia dalla costa, con 73 miliardi di barili di petrolio stimati e di gas naturale equivalente al petrolio. I sostenitori dell'accordo stimano che queste risorse potrebbero generare 193 miliardi di dollari di introiti federali, statali e locali in un periodo di 50 anni.

Mettendo da parte le conseguenze economiche, da un punto di vista della sicurezza nazionale, è folle rimanere fuori dal solo accordo internazionale che può risolvere dispute sulle rivendicazioni territoriali prima che crescano. “Credo che la nostra presenza nel trattato costituirebbe una maggiore stabilità e sicurezza e non solo nell'Artico”, sostiene Roughead. “Favorirebbe anche che le nostre rivendicazioni sulla piattaforma continentale estesa vengano riconosciute a livello internazionale”. In quanto all'argomentazione avanzata da Inhofe ed altri per cui aderendo al trattato indeboliremmo i poteri della marina statunitense e della Guardia Costiera e passeremmo l'autorità alle Nazioni Unite, Roughead è immediatamente liquidatorio: “Non è per niente così”.

Man mano che il mondo si scalda, i militari statunitensi verranno inevitabilmente evocati per condurre più missioni per catastrofi e per aiuto umanitario. I militari statunitensi, naturalmente, non sono un'operazione di salvataggio dell'orso polare. “I militari hanno molti ruoli importanti, dice Sharon Burke, una ex assistente della segreteria alla difesa. “Ma il lavoro principale è quello di combattere guerre. Questo significa distruggere cose e uccidere persone”. Ma i militari sono anche fieri della loro mentalità pratica, sia in tempo di guerra sia in tempo di pace. I capi militari hanno abbracciato l'abolizione della segregazione razziale molto prima del resto della nazione, in parte perché volevano le persone migliori che potevano trovare, a prescindere dal colore. “E' il nostro lavoro avere a che fare col mondo com'è, non come vogliamo che sia”, dice Robert Freeman, un meteorologo e membro della task force sul cambiamento climatico della Marina.

L'Ammiraglio Samuel Locklear III, responsabile della forze armate statunitensi nel Pacifico, è uno degli uomini più rispettati fra i militari statunitensi – e quello col lavoro più difficile, con la Cina e la Corea del Nord da controllare. “L'agitazione politica e sociale che è probabile che vedremo a causa del nostro pianeta in rapido riscaldamento” ha detto Locklear al Boston Globe nel 2013, “probabilmente è la cosa più probabile che... paralizzerà l'ambiente della sicurezza, forse più probabile degli altri scenari a cui spesso pensiamo”.

Poco dopo, Locklear è stato convocato dalla Commissione per i Servizi Armati del Senato, dove Inhofe gli ha chiesto di “chiarire” le sue osservazioni. E lui lo ha fatto, con calma e forza, insegnando ai senatori come le popolazioni costantemente in crescita dell'Asia metterebbero solo più persone a rischio di tempeste ed altri disastri collegati al clima. “OK, la interromperò qui”, ha detto Inhofe, rendendosi conto che stava perdendo la battaglia. Ed ha rapidamente cambiato discorso.



Il senatore James Inhofe in convenevoli con l'Ammiraglio Samuel Locklear III. J. Scott Applewhite/AP Images

Ciò che Locklear prevede correttamente è che un mondo di caos generato dal clima è già qui e peggiorerà soltanto. E dobbiamo cominciare a parlarne adesso, perché non solo le minacce si moltiplicheranno, ma lo faranno anche le questioni che dovremo affrontare. Una cosa è pianificare l'invasione della spiaggia della Normandia o l'assedio di Falluja, tutt'altra cosa è pianificare di essere la squadra di salvataggio dell'intero pianeta. Abbiamo già speso più di un trilione di dollari in Iraq e Afghanistan senza nessun successo misurabile. Quanto possiamo ancora permetterci di fare? “Penso che dobbiamo fare delle scelte strategiche”, dice Roughead. “Di quali parti del mondo ci importa di più? Quali sono i punti critici strategici? Vogliamo essere in grado di operare nell'Artico o no? Per quale tipo di mondo ci stiamo preparando?” Alcuni analisti di intelligence sostengono che la superiorità militare statunitense sarà il vantaggio meno significativo in futuro perché nessuno ci attaccherà con massicce forze convenzionali. Piuttosto, verremo tirati sempre più dentro a piccoli conflitti alimentati del terrorismo, dagli stati falliti e dai disastri naturali.

“Quando gli oceani salgono, l'instabilità fluisce”, dice il Segretario della Marina Ray Mabus. Ashton Carter, la scelta di Obama come Segretario alla Difesa, non è conosciuto dagli insider del Pentagono per il suo focus sulle minacce del cambiamento climatico. E le possibilità di qualsiasi azione significativa al Congresso prima del 2016 sono pari a zero. Ma il caos aumenta, è inevitabile che chiederemo ai nostri militari di fare di più. Ad un certo punto, il negazionismo climatico si trasformerà in panico climatico e la richiesta di legge, ordine e stabilità prevarrà (così come prevarranno le richieste di soluzioni tecnologiche rapide e pericolose come la geoingegneria per raffreddare il pianeta e fermare l'aumento del livello dei mari). Come ha sottolineato un analista militare, i militari statunitensi sono la sola forza sul pianeta con capacità di fare da poliziotti, trattare, alloggiare, nutrire e spostare i rifugiati in massa. Ma si può capire quanto questo quadro possa farsi oscuro in fretta – una delle minacce a lungo termine più grandi che pone il cambiamento climatico potrebbe essere alle libertà civili e alla libertà in generale. “Non è questione di cosa i militari possano fare per il cambiamento climatico”, dice un ex funzionario del Pentagono. “E' cosa farà il cambiamento climatico ai militari ed alle loro missioni”. E' un'idea spaventosa, ma è lì che siamo diretti. Alla fine, non importa quante road map di adattamento climatico il Pentagono presenti. Ora siamo impegnati in un futuro di disordine e conflitto – un futuro in cui le emergenze di oggi interromperanno sempre i piani per domani.

Un membro della Casa Bianca ricorda di essere entrato nell'ufficio di un generale dell'esercito non molto tempo fa. “Vorrei parlarle del cambiamento climatico” gli ha detto. Il generale non si è nemmeno disturbato a guardarlo. “Vorrei”, ha detto. “Ma devo scrivere una lettera ad una famiglia alla quale è morto un figlio”.