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lunedì 1 marzo 2021

La Morte di Zaki Yamani, lo "Sceicco del Petrolio"

 


Zaki Yamani, ministro del petrolio dell'Arabia Saudita fino al 1986, è morto a Londra la settimana scorsa. In ricordo dello "sceicco del petrolio," riproduco qui un commento che era apparso sul blog di ASPO-Italia nel 2006. L'intervista che gli fece Oriana Fallaci in 1976 è un buon esempio delle tante bugie dette su di lui ma, nonostante tutte le accuse che gli arrivavano addosso, Yamani fu sempre un moderato che cercava il compromesso. Riuscì a evitare al suo paese, l'Arabia Saudita, i disastri che si abbatterono su tutti i paesi produttori di petrolio nel Medio Oriente.  Purtroppo, la sua eredità si è un po' persa negli anni, come tutti sappiamo. Adesso, l'Arabia Saudita fronteggia un periodo terribilmente difficile e si può solo sperare che riesca a trovare le risorse per superarlo.

 

http://aspoitalia.blogspot.com/2006/11/fallaci-intervista-yamani.html

Fallaci intervista Yamani: trenta anni dopo
Di Ugo Bardi - Settembre 2006

Circa trenta anni fa, Oriana Fallaci intervistava l'allora Ministro del Petrolio dell'Arabia Saudita, lo sceicco Ahmed Zaki Yamani. Il testo dell'intervista apparve sui giornali e lo si può trovare oggi nel libro "intervista con la storia" (BUR 2001). E' un testo interessante perché ripropone gli elementi che hanno caratterizzato il dibattito da allora fino ad oggi. Da una parte, l'interpretazione "politica" della crisi, come dovuta a un complotto, in questo caso interpretata dalla Fallaci. Dall'altra parte l'interpretazione pragmatica della crisi, come dovuta all'impossibilità della produzione di soddisfare la domanda, in questo caso interpretata da Yamani. Purtroppo, il testo dell'intervista non si trova su internet, ma provo a riassumervelo con qualche commento da parte mia.

Questa con Yamani è soltanto una delle molte interviste che Oriana Fallaci aveva ottenuto dai vari potenti della terra (fra di loro Henri Kissinger) degli anni 1970. In qualche modo, essere intervistati da lei era qualcosa che i potenti dell'epoca apprezzavano, o forse non riuscivano a evitare. Secondo quanto la Fallaci stessa ci racconta, Ahmed Yamani ci ha pensato sopra parecchio prima di accettare di essere intervistato. Alla fine, però, ha invitato la Fallaci a casa sua a Gedda, l'ha ricevuta con grande cortesia, ospitata, e le ha fatto conoscere sua moglie Taman e le sue figlie.

Da quello che scrive, non sembra che la Fallaci sia stata particolarmente grata a Yamani per queste cose. Anzi, il testo della sua intervista è tutta una serie di offese contro di lui. Lo definisce, per esempio, "L'uomo che può riportarci ai tempi in cui si viaggiava a cavallo, che può far chiudere le le nostre fabbriche, far fallire le nostre banche..." . L'antipatia della Fallaci verso Yamani è evidentissima e si manifesta in domande e commenti tipo "volevate il denaro e l'avete avuto, rovinandoci"; lo accusa di ricatto, di volersi comprare una bomba atomica, di essere "diabolico" e cose del genere. Più tardi, la Fallaci avrebbe accusato Yamani anche di aver tentato di sedurla, un' accusa che però non appare nell'intervista.

Ma non è tanto questione di offese o accuse. Quello che colpisce di questa intervista è il fatto che la Fallaci non si è minimamente preparata sull'argomento "petrolio" e non è in grado di fare domande che non siano semplicemente basate sulle varie leggende del tempo (le stesse di oggi). Per dare un'idea del tono della faccenda, stile tipo cronaca rosa da rotocalco, ecco alcune delle domande che la Fallaci ha posto a Yamani

Volevate il denaro e l'avete avuto: rovinandoci. Ma dove finiscono quelle migliaia di miliardi? Dove? Io vedo molti orologi d'oro nelle vostre vetrine e accendini d'oro, anelli d'oro, vedo grosse automobili per le vostre strade, ma non vedo case, non vedo vere città.

Più avanti, sostterrà a proposito dei petrodollari.

"sappiamo bene che gli emiri se ne servono per comprare water-closet d'oro"

A un certo punto, ritira fuori addirittura la famosa leggenda che

"in Arabia Saudita si scava per cercare acqua e si trovava petrolio."

Per tutta l'intervista, la Fallaci gira intorno al concetto che gli Arabi complottavano contro l'Occidente usando il petrolio come arma. Più volte cerca di fare ammettere a Yamani che, si, esiste un complotto contro l'occidente per rovinarci e per instaurare la dittatura islamica mondiale. Se possibile, vorrebbe fargli ammettere che è proprio lui, Ahmed Zaki Yamani, il capo del complotto. A parziale discolpa della Fallaci, va detto che in Occidente in quegli anni quasi tutti credevano che la crisi degli anni '70 avesse origini politiche. Oggi, vediamo chiaramente dai dati che la crisi fu causata invece dal picco di produzione degli Stati Uniti che ebbe luogo nel 1970. Ma la veemenza con cui la Fallaci attacca Yamani nell'intervista non sembra basarsi su nessun dato o nessun riferimento preciso. La Fallaci, semplicemente, riversa su Yamani tutte le leggende che si leggevano sulla stampa a quell'epoca.

Yamani, da parte sua, ribatte sempre senza perdere le staffe. E' chiaro da quello che la Fallaci ci racconta che la considerava come una specie di bomba a orologeria, da trattare con cautela e con i guanti. Ci deve essere voluta veramente molta pazienza per Yamani per rispondere alla serie di domande che gli sono arrivate: molte erano semplicemente sciocche, alcune offensive e altre indiscrete come quella sulle sensazioni che aveva provato assistendo all'esecuzione dell'assassino del re Feisal. Ma Yamani è sempre cortese e risponde senza mai schivare la domanda anche se in cuor suo deve essersi domandato più di una volta chi glie lo aveva fatto fare. La Fallaci, invece di apprezzare, lo accusa in risposta dicendo che "si era proibita la spontaneità".

Ma, alla fine dei conti, quello che rende interessante l'intervista è che non è veramente la Fallaci a condurla, ma piuttosto Yamani. Nonostante l'impreparazione di chi gli sta facendo le domande, Yamani riesce a dare un quadro completo e organico della situazione petrolifera dell'epoca, che già prefigurava esattamente il mondo di oggi. A quei tempi, l'Arabia Saudita produceva tre milioni e mezzo di barili al giorno, ma Yamani dice che ne avrebbe potuto produrre 11. In effetti l'Arabia Saudita è riuscita a produrne quasi 11, in certi periodi. Yamani aveva perfettamente chiara la strategia che sarebbe stata dell'Arabia Saudita negli anni a venire; quella di "swing producer" ovvero ago della bilancia che avrebbe stabilizzato la produzione e evitato ulteriori crisi nel futuro. Yamani aveva perfettamente inquadrato la situazione petrolifera mondiale come sarebbe stata per almeno tre decenni a venire. La Fallaci non era in grado di apprezzare il valore di quello che le veniva detto, ma leggendo l'intervista, si rimane impressionati dalla chiarezza con la quale Yamani aveva previsto gli eventi dei successivi trent'anni.

Valgono ancora oggi le considerazioni di Yamani? Complessivamente, si, ma non continueranno a essere valide molto a lungo. Oggi, l'Arabia Saudita come ago della bilancia ha di fronte un futuro molto difficile. Si dice che potrà ancora aumentare la produzione, ma si dice anche che i giacimenti attuali hanno raggiunto i loro limiti e che il declino sta per iniziare. Prima o poi, l'Arabia Saudita non potrà più essere l'ago della bilancia che è stata a partire dai tempi di Yamani. L'esaurimento delle risorse è il vero problema e non quello degli "emiri che si comprano i water closet d'oro" come diceva la Fallaci, forse credendoci veramente.

Oriana Fallaci oggi non c'è più. Yamani non è più ministro del petrolio dal 1986, oggi è un anziano signore che vive a Londra e si occupa di studi islamici. Il mondo va avanti, gli eventi di una volta si ripropongono sempre uguali ma in forme sempre diverse. Una cosa cambia, però: di petrolio ce n'è sempre meno.

domenica 27 dicembre 2015

Uccidete gli scienziati! (Il trionfo del negazionismo)

Da “The great change”. Traduzione di MR

"Ci siamo abituati allo spettacolo bizzarro di un mondo intero di 190 paesi tenuto in ostaggio da 60 o 70 milionari repubblicani del Senato degli Stati Uniti”


Di Albert Bates

Ci viene in mente la formulazione classica di Elisabeth Kübler-Ross dei cinque stadi dell'afflizione – negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione – che sono trasferibili su varie gradazioni in modi diversi al cambiamento personale e allo sconvolgimento emotivo risultanti da fattori che non siano la morte o il morire, come l'angoscia da “solastalgia” prodotta dal cambiamento del proprio ambiente casalingo.


lunedì 21 dicembre 2015

La “Malattia siriana”: ciò che il petrolio greggio dà, il petrolio greggio toglie

Da “Cassandra's Legacy” (She's back!). Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Qui di seguito sostengo che le origini del collasso siriano si devono cercare nel collasso economico generato dal graduale esaurimento delle riserve petrolifere siriane. Il petrolio greggio ha creato la Siria moderna, il petrolio greggio l'ha distrutta. Questo fenomeno può essere definito “Malattia siriana” e la domanda è: “qual è il prossimo paese che verrà contagiato?” 


Il petrolio greggio è una grande fonte di ricchezza per i paesi che lo posseggono. Ma è anche una ricchezza che si manifesta come un ciclo. Di solito, il ciclo copre diversi decenni, persino più di un secolo, quindi coloro che ci vivono potrebbero non cogliere per niente il fatto di essere diretti verso la fine della loro ricchezza. Ma il ciclo è più rapido e particolarmente visibile in quelle aree in cui la quantità di petrolio è modesta. Qui, ricchezza e miseria appaiono una di seguito all'altra in una drammatica serie di eventi.

lunedì 4 maggio 2015

Arabia Saudita: il grande gioco del petrolio

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




L'Arabia Saudita ha appena aumentato la produzione petrolifera a un livello record, mai raggiunto nella storia. Lo stanno facendo in un momento di prezzi del petrolio da record negativo. Cosa hanno in mente? (Immagine da Arthur Berman). 

Quando è cominciato il collasso dei prezzi del petrolio, nell'estate 2014, tutti hanno notato che l'Arabia Saudita non stava giocando il suo ruolo tradizionale di “produttrice tampone”, cioè di variare la propria produzione in modo tale da mantenere prezzi ragionevolmente costanti. Di fronte ad un crollo della domanda, dovrebbe ridurre la produzione, ma non lo ha fatto, almeno non abbastanza.

Inizialmente, ho pensato che i sauditi fossero stati presi semplicemente di sorpresa e che fossero lenti a reagire. Ma ora, col recente aumento della produzione saudita, è chiaro che hanno qualcosa in mente. Forse non hanno progettato il collasso del mercato, ma in qualche modo lo stanno cavalcando.

In questa pazzia, c'è del metodo. Ma quale metodo potrebbe esserci nell'aumentare la produzione proprio mentre i prezzi sono i più bassi? Qualsiasi testo di economia vi dirà che il mercato si deve adattare ai cambiamenti della domanda e dell'offerta in modi esattamente opposti: di fronte ad una riduzione della domanda, la produzione deve scendere a sua volta.

Naturalmente, come sappiamo tutti, ciò che si legge nei libri di testo di economia ha poco a che fare col mondo reale. E nel mondo reale c'è una strategia di mercato ben conosciuta che consiste nel far fallire i tuoi concorrenti vendendo sotto costo. L'idea è di creare un monopolio e ricuperare dopo ciò che il vincitore della lotta ha perso all'inizio. Naturalmente, è illegale, ma il fatto stesso che ci siano leggi per impedirlo significa che si fa.

Tuttavia, c'è un piccolo problema nell'applicazione di questa strategia al mercato del petrolio. Ha a che fare col fatto che il petrolio è una risorsa finita. Quindi, se i produttori riescono ad ottenere un monopolio, ciò significa che finiranno la risorsa prima degli altri. Immaginate di essere dei mercanti d'arte: vendereste i vostri Picasso a basso costo per tagliare fuori gli altri mercanti d'arte e ottenere un monopolio? Naturalmente no, ciò che otterreste è semplicemente di finire in fretta i vostri preziosi quadri di Picasso e poi di lasciare il mercato completamente aperto ad altri.

Per cui, cosa stanno facendo esattamente i sauditi? Art Berman suggerisce che stiano combattendo contro le banche che hanno reso possibile la bolla del tight oil. Dopo l'eliminazione della bolla, il mercato potrebbe ritornare a prezzi relativamente alti e massimizzare gli introiti della saudita Aramco.

L'interpretazione di Berman è certamente possibile ma, come in tutti questi casi, stiamo guardando i governi come se fossero delle “scatole nere” intenti a capire i meccanismi interni che li fanno muovere. Questo è molto rischioso: proprio come vediamo nelle nuvole delle facce che non esistono, potremmo vedere in un atto di governo un'intelligenza che non c'è. I sauditi stanno realmente pianificando un profitto a lungo termine? O stanno semplicemente valutando male l'estensione delle loro risorse?

Dopotutto, abbiamo diversi esempi di risorse non rinnovabili che sono state gestite come se fossero infinite. Considerate solo a come le risorse petrolifere del Mare del Nord sono state estratte al tasso più alto possibile quando il mercato petrolifero stava sperimentando prezzi bassi storici. Ciò ha lasciato i produttori con campi petroliferi in declino quando i prezzi di mercato hanno cominciato ad aumentare. Non è stata una strategia molto intelligente, a dir poco.

Nel caso del Mare del Nord, non c'è stata pianificazione a lungo termine, è stato solo che il problema dell'esaurimento a lungo termine non è stato capito. I sauditi sono quindi ciechi al concetto stesso di “esaurimento”? (*) E' impossibile dirlo al momento. Il solo fatto certo è che l'era dei combustibili fossili a buon mercato è finita, anche se qualche oscillazione selvaggia potrebbe farci credere che sono tornati i bei tempi – ma solo per un attimo.

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(*) Sul fatto di essere incapaci di percepire che una risorsa minerale è finita, un caso particolarmente tragico è quello dello Yemen. Per alcuni anni, ho seguito lo “Yemen Times” e, in tutto quel tempo, non sono stato in grado di leggere nessuna dichiarazione che indicasse che il problema dell'esaurimento del petrolio fosse stato capito. Ogni qualvolta veniva menzionato il declino della produzione, veniva attribuito al terrorismo, ai disordini sociali e ad altri problemi temporanei. Da ciò che ho potuto leggere, mi pare che la società yemenita fosse (ed è ancora) completamente e totalmente cieca rispetto al fatto che hanno gradualmente finito il petrolio e che l'esaurimento del petrolio è la causa principale di tutti i guai che hanno avuto e che stanno avendo ora (grafico da “our finite world”)


venerdì 16 gennaio 2015

L'America perderà la guerra del prezzo del petrolio

DaBloomberg”. Traduzione di MR 

Di Leonid Bershidsky

La debacle finanziaria che ha colpito la Russia quando il prezzo del greggio Brent è sceso del 50% negli ultimi quattro mesi ha oscurato quella che potenzialmente attende l'industria dello scisto degli Stati Uniti nel 2015. E' il momento di prestarvi attenzione, perché è improbabile che l'Arabia Saudita ed altri grandi produttori del Medio Oriente chiudano un occhio e taglino la produzione e il prezzo ora si sta avvicinando ai livelli in cui la produzione statunitense comincerà a chiudere. I rappresentanti dell'OPEC hanno detto per settimane che non avrebbero pompato meno petrolio a prescindere da quanto scendesse il prezzo. Il ministro del petrolio saudita Ali Al-Naimi ha detto che neanche 20 dollari al barile innescherebbero un ripensamento. Le reazioni iniziali negli Stati Uniti sono state fiduciose: i produttori statunitensi erano abbastanza resilienti, avrebbero continuato a produrre anche a prezzi di vendita molto bassi perché il costo marginale del pompaggio dai pozzi esistenti era persino più basso; l'OPEC avrebbe perso perché la sicurezza sociale della rete dei suoi membri dipende dal prezzo del petrolio. E comunque, l'OPEC era morta. Quell'ottimismo ricordava la reazione cavalleresca della Russia all'inizio della scivolata del prezzo. Ad ottobre, il presidente russo Vladimir Putin ha detto che “nessuno dei protagonisti seri” era interessato ad un prezzo del petrolio al di sotto degli 80 dollari. Questa compiacenza ha portato la Russia sul baratro: venerdì, Fitch ha retrocesso il suo rating a poco più che spazzatura e probabilmente scenderà più in basso mentre il rublo continua a svalutarsi in linea col crollo del petrolio.

In genere è una cattiva idea comportarsi in modo spavaldo in una guerra di prezzi. Per definizione, tutti si faranno del male e ogni vittoria può essere soltanto relativa. Il vincitore è colui che riesce a sopportare di più il dolore. La mia scommessa finora è sui sauditi – e, anche se potrebbe sembrare controintuitivo, sui russi. Per ora, il solo segno che la produzione statunitense di petrolio greggio possa contrarsi è il crollo del numero di piattaforme petrolifere operative negli Stati Uniti. E' sceso a 175° la scorsa settimana, 61 in meno della settimana precedente e 4 in meno di un anno fa. La produzione di petrolio, tuttavia, è ancora a livelli record. Nella settimana che è terminata il 2 gennaio, quando il numero di piattaforme è a sua volta diminuito, ha raggiunto 9,13 milioni di barili al giorno, come mai prima. Le società petrolifere stanno solo fermando la produzione dei loro pozzi peggiori, che producono pochi barili al giorno – coi prezzi attuali, quei pozzi non valgono il prezzo dell'affitto delle attrezzature. Siccome nessuno sta tagliando la produzione, il prezzo continua a scendere. Oggi il Brent era a 48,27 dollari al barile e le tendenze portano ancora al ribasso. Tutto ciò alla fine avrà un impatto. Secondo una analisi fresca fresca di  Wood Mackenzie, “un prezzo del Brent di 40 dollari al barile o inferiore vedrebbe i produttori ridurre la produzione ad un livello al quale ci sarebbe una riduzione significativa della fornitura globale di petrolio. Col Brent a 40 dollari, 1,5 milioni di barili al giorno sono a bilancio negativo coi, col contributo maggiore che proviene da diversi progetti di sabbie bituminose in Canada, seguita dagli Stati Uniti e quindi dalla Colombia”. Ciò non significa che una volta che il Brent tocca i 40 dollari – e questo è il livello che si aspetta ora Goldman Sachs, dopo essersi arresa sulla sua previsione che l'OPEC avrebbe ammiccato – la produzione da scisto scenderà automaticamente di 1,5 milioni di barili al giorno. Molti fracker statunitensi continueranno a pompare in perdita perché hanno dei debiti da ripagare, circa 200 miliardi di dollari in totale di debito, paragonabile ai bisogni finanziari delle società petrolifere di stato della Russia.

Il problema dei fracker statunitensi è che è impossibile rifinanziare quei debiti se stai seminando contante. Ad un certo punto, se i prezzi restano bassi, le società più sotto pressione andranno a gambe all'aria e quelle più di successo non saranno in grado di rilevarle perché non avranno né il contante né la fiducia degli investitori che le aiuterebbero a garantire il finanziamento del debito. Le insolvenze e la mancanza di espansione alla fine porteranno a tagli della produzione. La statunitense EIA prevede ancora che la produzione statunitense di greggio avrà una media di 9,3 milioni di barili al giorno, 700.000 barili al giorno in più del 2014. Ma se il Brent va a 40 dollari, quella previsione se ne va dalla finestra. E' probabilmente troppo ottimistica persino ora. In quanto ai sauditi e agli Emirati Arabi Uniti, loro continueranno a pompare. Sono paesi, non imprese, e non possono semplicemente chiudere bottega e andare a casa – hanno ancora bilanci da finanziare e nessun sostituto del petrolio come fonte di riserve internazionali. La Russia, il terzo maggior produttore di petrolio al mondo dopo Stati Uniti ed Arabia Saudita, è molto più instabile delle monarchie petrolifere mediorientali, ma è nella stessa situazione: il petrolio è la sua linfa vitale. Questa potrebbe essere una battagli prolungata e sanguinosa con un risultato incerto. Il prezzo del petrolio è piuttosto inelastico ai cambiamenti a breve termine di domanda e offerta. Il suo corso sarà, pertanto, ampiamente dettato dalle notizie e dalla reazione del mercato ad esse. Un'ondata di fallimenti nell'industria dello scisto degli Stati Uniti probabilmente lo farebbe salire, perché sarà percepito come un fattore negativo per l'offerta.

Quanto in alto arriverà, tuttavia, è imprevedibile. Potrebbe realmente aumentare a sufficienza da permettere un consolidamento dell'industria statunitense dello scisto, dandogli una seconda possibilità  e portando i paesi dell'OPEC, la Russia, il Messico e la Norvegia in difficoltà maggiori – o potrebbe semplicemente assestarsi ad un livello che farebbe dimenticare agli Stati Uniti il suo boom dello scisto. Ciò avrebbe conseguenze terribili per la ripresa economica statunitense. Potrebbe essere ora che il governo statunitense consideri se vuole alzare la posta in questa guerra dei prezzi, entrandoci come paese sovrano. Ciò potrebbe significare il salvataggio o il sussidio temporaneo dei produttori dello scisto. Dopotutto, stanno competendo con degli stati adesso, non con imprese come loro.

mercoledì 14 gennaio 2015

Collasso del prezzo del petrolio: i sauditi hanno fatto una scelta intelligente?

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


Dati della produzione petrolifera dell'Arabia Saudita (tutti i liquidi). Fonte: EIA



Arthur Berman di recente ha scritto questo sul collasso del prezzo del petrolio:

In quanto all'Arabia Saudita e a suoi motivi, è a sua volta molto semplice. I sauditi sono bravi coi soldi e l'aritmetica. Di fronte alla dolorosa scelta fra perdere soldi mantenendo l'attuale produzione a 60 dollari al barile e togliere 2 milioni di barili dal mercato perdendo molti più soldi, la scelta è facile: prendere la strada meno dolorosa. Se ci sono ragioni recondite come danneggiare i produttori statunitensi di petrolio di scisto, l'Iran o la Russia, benissimo, ma si tratta solo di una questione di soldi.

Penso che Berman potrebbe aver ragione, i sauditi hanno ragionato in questi termini. Volevano ridurre le loro perdite e mantenere la quota di mercato.

Ma pensateci un momento: è stata davvero una mossa intelligente per i sauditi?

L'Arabia Saudita produce poco oltre al petrolio. La sua economia è pesantemente basata sul petrolio. Ed anche per il cibo, l'Arabia Saudita deve affidarsi agli introiti del petrolio per importarlo. E persino per la grande Arabia Saudita, le risorse petrolifere non sono infinite.

Quindi, ipotizzate di avere il potere di regolare la produzione di petrolio in Arabia Saudita, cosa fareste? Logicamente, pensereste che sia stupido continuare a pompare petrolio a tutta velocità se è diventato così a buon mercato. Pensereste che è una buona idea tenerne il più possibile nel sottosuolo, da usare quando sarà davvero raro e costoso. In aggiunta, i vostri concorrenti finiranno il petrolio mentre voi ne avrete un sacco; non sarebbe bello?

Logico? Certo, ma solo se pensate a lungo termine. Se pensate solo al profitto a breve termine, allora ha senso vendere ciò che avete, quando lo avete. E il futuro?, be', quello sarà il problema di qualcun altro.

Sfortunatamente, non è solo in Arabia Saudita che la pensano in questo modo.



martedì 2 dicembre 2014

Inversione di tendenza: l'OPEC mostra ai produttori degli Stati Uniti chi è il boss

DaResource insight”. Traduzione di MR

Di Kurt Cobb

Parafrasando Mark Twain: le voci della morte dell'OPEC sono state ampiamente esagerate. La copertura mediatica asfissiante dell'ascesa della produzione petrolifera statunitense negli ultimi anni ha portato alcuni a dichiarare che il potere dell'OPEC nel mercato del petrolio ora stia diventando irrilevante in quanto l'America probabilmente si sta avviando verso l'indipendenza energetica. Questa copertura mediatica, tuttavia, ha oscurato il fatto che quasi tutto l'aumento della produzione è venuto da tight oil ad alto costo trovato in profondi depositi di scisto. L'ipotesi piuttosto stupida è stata che i prezzi del petrolio avrebbero continuato ad aggirarsi al di sopra dei 100 dollari al barile a tempo indeterminato, rendendo l'estrazione di quel tight oil redditizia a tempo indeterminato. Chiunque abbia capito l'economia di questo tipo di produzione e le dinamiche del mercato del petrolio ne aveva una migliore percezione. Ed ora, la narrazione super pubblicizzata dell'autosufficienza petrolifera americana sta per ricevere un duro colpo. Dopo settimane di speculazione sui veri motivi che stanno dietro alla decisione dell'OPEC di mantenere la produzione di fronte al declino della domanda mondiale – che ha portato ad un grande calo dei prezzi del petrolio – il cartello petrolifero ha dichiarato, durante il suo recente incontro, che sta cercando di distruggere la produzione di tight oil statunitense rendendolo non redditizio.

Una delle cose che può fare un cartello – se controlla una fetta sufficiente di mercato – è distruggere la competizione attraverso una guerra dei prezzi. In qualche modo il pubblico e  i decisori politici si sono fissati sulla capacità dell'OPEC di ridurre la produzione in modo da aumentare i prezzi ed ha dimenticato la sua capacità di inondare il mercato mondiale di petrolio, non solo di stabilizzare i prezzi, ma di causarne il crollo. L'industria sostiene che gran parte dei giacimenti di tight oil statunitense siano redditizi al di sotto degli 80 dollari. E i trivellatori dicono che stanno abbassando i costi e che possono sostenere prezzi inferiori. La mossa dell'OPEC ora metterà alla prova queste dichiarazioni. L'attuale riferimento americano dei prezzi di circa 65 dollari al barile suggerisce che l'OPEC ha preso in considerazione i punti di pareggio citati nell'articolo linkato sopra. E' in gran parte l'Arabia Saudita che permette all'OPEC di avere una flessibilità di produzione, visto che il suo regno conserva una significativa capacità di riserva, che si dichara sia fra gli 1,5 e i 2 milioni di barili al giorno (Mb/g). L'OPEC dice, ne suo “World Oil Outlook 2014” che tutta l'OPEC ha circa 4 MB7g di capacità di riserva, anche se un analista di recente a fissato la cifra a 3,3 Mb/g. Qualsiasi sia il numero preciso, in termini pratici l'Arabia Saudita è la Walmart del mercato mondiale del petrolio, capace di condizionare un calo del prezzo girando qualche valvola o non chiudendole di fronte al calo della domanda. In questo caso, il paese non ha chiuso nessuna delle proprie produzioni in risposta all'indebolimento della domanda mondiale. Né lo hanno fatto gli altri membri dell'OPEC. Avendo incrociato braccia sufficienti nel recente incontro dell'OPEC, l'Arabia Saudita l'ha avuta vinta con un impegno dei membri dell'OPEC a mantenere la produzione stabile, mettendo così ulteriore pressione sul prezzo del petrolio sull'onda del calo della domanda. Entrambi i principali contratti future sono scesi del 7% dopo l'annuncio.

L'effetto in Nord Dakota è stato di gran lunga maggiore di quanto l'attuale calo dei prezzi dei future del petrolio indichi. Quello stato, che è al centro del boom del tight oil statunitense, è lontano da raffinerie ed oleodotti. I produttori di petrolio usano trasporti ferroviari costosi per portare il loro petrolio sul mercato. Il risultato è che i produttori del Nord Dakota sono di fronte ad una diminuzione significativa alla bocca di pozzo. In ottobre, la diminuzione media è stata di 15,40 dollari a barile al di sotto del riferimento statunitense dei prezzi dei future del greggio leggero. Se prendiamo quella diminuzione e la applichiamo alla chiusura dello scorso venerdì, ciò implicherebbe che i produttori del Nord Dakota ora ricevono 50,59 dollari a barile – un livello che è improbabile che sia redditizio eccetto che per i pozzi più prolifici. Se i prezzi rimangono bassi, l'OPEC raggiungerà quasi sicuramente il proprio obbiettivo di impedire un investimento significativo in nuova produzione nello stato. Un'altra grande produzione di tight oil si trova in Texas, vicino agli oleodotti e quindi non soggetta a diminuzioni di questa grandezza. Tuttavia, con il petrolio intorno ai 65 dollari al barile, è probabile che la produzione aumenterà pochissimo in Texas nei giacimenti di tight oil, sempre che aumenti. I i depositi che non siano “sweet spots” che vengono attualmente trivellati sono quasi sicuramente antieconomici con dei prezzi del genere. Se un prolungato prezzo basso del petrolio porta a perdite dolorose e permanenti per i possessori di azioni ed obbligazioni dei trivellatori del tight oil – e per quelli investiti direttamente in pozzi veri e propri – ci sarà meno appetito fra gli investitori a gettarsi nella mischia anche quando il prezzo del petrolio recupera. E' esattamente ciò su cui conta l'OPEC. Sa che il flusso libero di contanti (il contante guadagnato da operazioni meno le spese di capitale) dei trivellatori indipendenti è stato fortemente negativo dal 2010. Le trivellazioni forsennate degli ultimi anni sono state finanziate in gran parte da emissione di titoli e debito, piuttosto che dai guadagni dei pozzi precedenti.

Con questi nuovi prezzi bassi del petrolio, è improbabile che molti investitori saranno disposti a mettere più soldi per lavorare nei depositi di tight oil americani. Ciò renderò arduo per i trivellatori finanziare nuove trivellazioni, visto che non hanno contante sufficiente generato dalle attuali operazioni. In aggiunta, coi prezzi del petrolio significativamente bassi, molti trivellatori indipendenti potrebbero avere difficoltà a ripagare i loro debiti, a parte pagare i costi di trivellare un gran numero di nuovi pozzi. E coi tassi di declino annuali della produzione nelle aree di tight oil di circa il 40% - che significa semplicemente che non trivellare per un anno avrebbe come conseguenza un declino del 40% - i trivellatori devono trivellare un gran numero di pozzi solo per compensare i declini di produzione dei pozzi esistenti PRIMA che ottengano nuovi pozzi che si aggiungano realmente al tasso generale di produzione. Un calo significativo del tasso di trivellazioni nei giacimenti di tight oil statunitensi potrebbe in effetti risultare in una produzione complessiva generale più bassa. Prezzi del petrolio più bassi tendono ad aumentare la domanda di petrolio, in quanto le persone si possono permettere più energia a scopo industriale e di consumo. Così, l'OPEC  si aspetta in pieno l'aumento della domanda e quindi l'aumento dei prezzi sul medio termine – ma no, spera, sufficientemente presto da salvare i trivellatori di petrolio. Se le cose restano come sono, prezzi del petrolio bassi tendono ad aumentare l'attività economica e potrebbero aiutare l'Europa e l'Asia ad evitare la recessione abbassandone i costi energetici in modo significativo. Ma le cose potrebbero non rimanere come sono, visto che almeno un analista crede che rotta nei mercati petroliferi potrebbe portare a dei default a cascata che cominciano con i titoli spazzatura del debito dei trivellatori e passano attraverso le banche pesantemente coinvolte nel debito delle compagnie petrolifere. Questo, a sua volta, potrebbe causare un collasso generale delle borse. Così, anziché promuovere la crescita economica, i bassi prezzi del petrolio sarebbero la causa del prossimo crollo in borsa e della prossima recessione mondiale. Una tale recessione farebbe ulteriormente sprofondare i prezzi del petrolio, mettendo un'estrema pressione finanziaria sui membri dell'OPEC meno ben forniti dell'Arabia Saudita. E sconvolgerebbe il programma dell'OPEC per il ritorno a prezzi e profitti più alti – ritardandolo forse per anni. Metterebbe anche un altro chiodo sulla bara della storia dell'indipendenza economica americana – di quelli che persino il sempre ottimista Dipartimento per l'Energia degli Stati Uniti non avrebbe mai pensato coi prezzi alti – spostando molti dei giacimenti di petrolio statunitensi precedentemente ritenuti praticabili nella categoria degli antieconomici.