Da “Bloomberg”. Traduzione di MR
Di Leonid Bershidsky
La debacle finanziaria che ha colpito la Russia quando il prezzo del greggio Brent è sceso del 50% negli ultimi quattro mesi ha oscurato quella che potenzialmente attende l'industria dello scisto degli Stati Uniti nel 2015. E' il momento di prestarvi attenzione, perché è improbabile che l'Arabia Saudita ed altri grandi produttori del Medio Oriente chiudano un occhio e taglino la produzione e il prezzo ora si sta avvicinando ai livelli in cui la produzione statunitense comincerà a chiudere. I rappresentanti dell'OPEC hanno detto per settimane che non avrebbero pompato meno petrolio a prescindere da quanto scendesse il prezzo. Il ministro del petrolio saudita Ali Al-Naimi ha detto che neanche 20 dollari al barile innescherebbero un ripensamento. Le reazioni iniziali negli Stati Uniti sono state fiduciose: i produttori statunitensi erano abbastanza resilienti, avrebbero continuato a produrre anche a prezzi di vendita molto bassi perché il costo marginale del pompaggio dai pozzi esistenti era persino più basso; l'OPEC avrebbe perso perché la sicurezza sociale della rete dei suoi membri dipende dal prezzo del petrolio. E comunque, l'OPEC era morta. Quell'ottimismo ricordava la reazione cavalleresca della Russia all'inizio della scivolata del prezzo. Ad ottobre, il presidente russo Vladimir Putin ha detto che “nessuno dei protagonisti seri” era interessato ad un prezzo del petrolio al di sotto degli 80 dollari. Questa compiacenza ha portato la Russia sul baratro: venerdì, Fitch ha retrocesso il suo rating a poco più che spazzatura e probabilmente scenderà più in basso mentre il rublo continua a svalutarsi in linea col crollo del petrolio.
In genere è una cattiva idea comportarsi in modo spavaldo in una guerra di prezzi. Per definizione, tutti si faranno del male e ogni vittoria può essere soltanto relativa. Il vincitore è colui che riesce a sopportare di più il dolore. La mia scommessa finora è sui sauditi – e, anche se potrebbe sembrare controintuitivo, sui russi. Per ora, il solo segno che la produzione statunitense di petrolio greggio possa contrarsi è il crollo del numero di piattaforme petrolifere operative negli Stati Uniti. E' sceso a 175° la scorsa settimana, 61 in meno della settimana precedente e 4 in meno di un anno fa. La produzione di petrolio, tuttavia, è ancora a livelli record. Nella settimana che è terminata il 2 gennaio, quando il numero di piattaforme è a sua volta diminuito, ha raggiunto 9,13 milioni di barili al giorno, come mai prima. Le società petrolifere stanno solo fermando la produzione dei loro pozzi peggiori, che producono pochi barili al giorno – coi prezzi attuali, quei pozzi non valgono il prezzo dell'affitto delle attrezzature. Siccome nessuno sta tagliando la produzione, il prezzo continua a scendere. Oggi il Brent era a 48,27 dollari al barile e le tendenze portano ancora al ribasso. Tutto ciò alla fine avrà un impatto. Secondo una analisi fresca fresca di Wood Mackenzie, “un prezzo del Brent di 40 dollari al barile o inferiore vedrebbe i produttori ridurre la produzione ad un livello al quale ci sarebbe una riduzione significativa della fornitura globale di petrolio. Col Brent a 40 dollari, 1,5 milioni di barili al giorno sono a bilancio negativo coi, col contributo maggiore che proviene da diversi progetti di sabbie bituminose in Canada, seguita dagli Stati Uniti e quindi dalla Colombia”. Ciò non significa che una volta che il Brent tocca i 40 dollari – e questo è il livello che si aspetta ora Goldman Sachs, dopo essersi arresa sulla sua previsione che l'OPEC avrebbe ammiccato – la produzione da scisto scenderà automaticamente di 1,5 milioni di barili al giorno. Molti fracker statunitensi continueranno a pompare in perdita perché hanno dei debiti da ripagare, circa 200 miliardi di dollari in totale di debito, paragonabile ai bisogni finanziari delle società petrolifere di stato della Russia.
Il problema dei fracker statunitensi è che è impossibile rifinanziare quei debiti se stai seminando contante. Ad un certo punto, se i prezzi restano bassi, le società più sotto pressione andranno a gambe all'aria e quelle più di successo non saranno in grado di rilevarle perché non avranno né il contante né la fiducia degli investitori che le aiuterebbero a garantire il finanziamento del debito. Le insolvenze e la mancanza di espansione alla fine porteranno a tagli della produzione. La statunitense EIA prevede ancora che la produzione statunitense di greggio avrà una media di 9,3 milioni di barili al giorno, 700.000 barili al giorno in più del 2014. Ma se il Brent va a 40 dollari, quella previsione se ne va dalla finestra. E' probabilmente troppo ottimistica persino ora. In quanto ai sauditi e agli Emirati Arabi Uniti, loro continueranno a pompare. Sono paesi, non imprese, e non possono semplicemente chiudere bottega e andare a casa – hanno ancora bilanci da finanziare e nessun sostituto del petrolio come fonte di riserve internazionali. La Russia, il terzo maggior produttore di petrolio al mondo dopo Stati Uniti ed Arabia Saudita, è molto più instabile delle monarchie petrolifere mediorientali, ma è nella stessa situazione: il petrolio è la sua linfa vitale. Questa potrebbe essere una battagli prolungata e sanguinosa con un risultato incerto. Il prezzo del petrolio è piuttosto inelastico ai cambiamenti a breve termine di domanda e offerta. Il suo corso sarà, pertanto, ampiamente dettato dalle notizie e dalla reazione del mercato ad esse. Un'ondata di fallimenti nell'industria dello scisto degli Stati Uniti probabilmente lo farebbe salire, perché sarà percepito come un fattore negativo per l'offerta.
Quanto in alto arriverà, tuttavia, è imprevedibile. Potrebbe realmente aumentare a sufficienza da permettere un consolidamento dell'industria statunitense dello scisto, dandogli una seconda possibilità e portando i paesi dell'OPEC, la Russia, il Messico e la Norvegia in difficoltà maggiori – o potrebbe semplicemente assestarsi ad un livello che farebbe dimenticare agli Stati Uniti il suo boom dello scisto. Ciò avrebbe conseguenze terribili per la ripresa economica statunitense. Potrebbe essere ora che il governo statunitense consideri se vuole alzare la posta in questa guerra dei prezzi, entrandoci come paese sovrano. Ciò potrebbe significare il salvataggio o il sussidio temporaneo dei produttori dello scisto. Dopotutto, stanno competendo con degli stati adesso, non con imprese come loro.
Di Leonid Bershidsky
La debacle finanziaria che ha colpito la Russia quando il prezzo del greggio Brent è sceso del 50% negli ultimi quattro mesi ha oscurato quella che potenzialmente attende l'industria dello scisto degli Stati Uniti nel 2015. E' il momento di prestarvi attenzione, perché è improbabile che l'Arabia Saudita ed altri grandi produttori del Medio Oriente chiudano un occhio e taglino la produzione e il prezzo ora si sta avvicinando ai livelli in cui la produzione statunitense comincerà a chiudere. I rappresentanti dell'OPEC hanno detto per settimane che non avrebbero pompato meno petrolio a prescindere da quanto scendesse il prezzo. Il ministro del petrolio saudita Ali Al-Naimi ha detto che neanche 20 dollari al barile innescherebbero un ripensamento. Le reazioni iniziali negli Stati Uniti sono state fiduciose: i produttori statunitensi erano abbastanza resilienti, avrebbero continuato a produrre anche a prezzi di vendita molto bassi perché il costo marginale del pompaggio dai pozzi esistenti era persino più basso; l'OPEC avrebbe perso perché la sicurezza sociale della rete dei suoi membri dipende dal prezzo del petrolio. E comunque, l'OPEC era morta. Quell'ottimismo ricordava la reazione cavalleresca della Russia all'inizio della scivolata del prezzo. Ad ottobre, il presidente russo Vladimir Putin ha detto che “nessuno dei protagonisti seri” era interessato ad un prezzo del petrolio al di sotto degli 80 dollari. Questa compiacenza ha portato la Russia sul baratro: venerdì, Fitch ha retrocesso il suo rating a poco più che spazzatura e probabilmente scenderà più in basso mentre il rublo continua a svalutarsi in linea col crollo del petrolio.
In genere è una cattiva idea comportarsi in modo spavaldo in una guerra di prezzi. Per definizione, tutti si faranno del male e ogni vittoria può essere soltanto relativa. Il vincitore è colui che riesce a sopportare di più il dolore. La mia scommessa finora è sui sauditi – e, anche se potrebbe sembrare controintuitivo, sui russi. Per ora, il solo segno che la produzione statunitense di petrolio greggio possa contrarsi è il crollo del numero di piattaforme petrolifere operative negli Stati Uniti. E' sceso a 175° la scorsa settimana, 61 in meno della settimana precedente e 4 in meno di un anno fa. La produzione di petrolio, tuttavia, è ancora a livelli record. Nella settimana che è terminata il 2 gennaio, quando il numero di piattaforme è a sua volta diminuito, ha raggiunto 9,13 milioni di barili al giorno, come mai prima. Le società petrolifere stanno solo fermando la produzione dei loro pozzi peggiori, che producono pochi barili al giorno – coi prezzi attuali, quei pozzi non valgono il prezzo dell'affitto delle attrezzature. Siccome nessuno sta tagliando la produzione, il prezzo continua a scendere. Oggi il Brent era a 48,27 dollari al barile e le tendenze portano ancora al ribasso. Tutto ciò alla fine avrà un impatto. Secondo una analisi fresca fresca di Wood Mackenzie, “un prezzo del Brent di 40 dollari al barile o inferiore vedrebbe i produttori ridurre la produzione ad un livello al quale ci sarebbe una riduzione significativa della fornitura globale di petrolio. Col Brent a 40 dollari, 1,5 milioni di barili al giorno sono a bilancio negativo coi, col contributo maggiore che proviene da diversi progetti di sabbie bituminose in Canada, seguita dagli Stati Uniti e quindi dalla Colombia”. Ciò non significa che una volta che il Brent tocca i 40 dollari – e questo è il livello che si aspetta ora Goldman Sachs, dopo essersi arresa sulla sua previsione che l'OPEC avrebbe ammiccato – la produzione da scisto scenderà automaticamente di 1,5 milioni di barili al giorno. Molti fracker statunitensi continueranno a pompare in perdita perché hanno dei debiti da ripagare, circa 200 miliardi di dollari in totale di debito, paragonabile ai bisogni finanziari delle società petrolifere di stato della Russia.
Il problema dei fracker statunitensi è che è impossibile rifinanziare quei debiti se stai seminando contante. Ad un certo punto, se i prezzi restano bassi, le società più sotto pressione andranno a gambe all'aria e quelle più di successo non saranno in grado di rilevarle perché non avranno né il contante né la fiducia degli investitori che le aiuterebbero a garantire il finanziamento del debito. Le insolvenze e la mancanza di espansione alla fine porteranno a tagli della produzione. La statunitense EIA prevede ancora che la produzione statunitense di greggio avrà una media di 9,3 milioni di barili al giorno, 700.000 barili al giorno in più del 2014. Ma se il Brent va a 40 dollari, quella previsione se ne va dalla finestra. E' probabilmente troppo ottimistica persino ora. In quanto ai sauditi e agli Emirati Arabi Uniti, loro continueranno a pompare. Sono paesi, non imprese, e non possono semplicemente chiudere bottega e andare a casa – hanno ancora bilanci da finanziare e nessun sostituto del petrolio come fonte di riserve internazionali. La Russia, il terzo maggior produttore di petrolio al mondo dopo Stati Uniti ed Arabia Saudita, è molto più instabile delle monarchie petrolifere mediorientali, ma è nella stessa situazione: il petrolio è la sua linfa vitale. Questa potrebbe essere una battagli prolungata e sanguinosa con un risultato incerto. Il prezzo del petrolio è piuttosto inelastico ai cambiamenti a breve termine di domanda e offerta. Il suo corso sarà, pertanto, ampiamente dettato dalle notizie e dalla reazione del mercato ad esse. Un'ondata di fallimenti nell'industria dello scisto degli Stati Uniti probabilmente lo farebbe salire, perché sarà percepito come un fattore negativo per l'offerta.
Quanto in alto arriverà, tuttavia, è imprevedibile. Potrebbe realmente aumentare a sufficienza da permettere un consolidamento dell'industria statunitense dello scisto, dandogli una seconda possibilità e portando i paesi dell'OPEC, la Russia, il Messico e la Norvegia in difficoltà maggiori – o potrebbe semplicemente assestarsi ad un livello che farebbe dimenticare agli Stati Uniti il suo boom dello scisto. Ciò avrebbe conseguenze terribili per la ripresa economica statunitense. Potrebbe essere ora che il governo statunitense consideri se vuole alzare la posta in questa guerra dei prezzi, entrandoci come paese sovrano. Ciò potrebbe significare il salvataggio o il sussidio temporaneo dei produttori dello scisto. Dopotutto, stanno competendo con degli stati adesso, non con imprese come loro.