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mercoledì 17 febbraio 2016

Un tempo inarrestabili, le sabbie bituminose sono al collasso

Da “Resilience”. Traduzione di MR 

Di Ed Struzik, pubblicato originariamente da Yale Environment 360


L'industria delle sabbie bituminose canadesi è in crisi a causa che i prezzi del petrolio che crollano, i progetti di oleodotti vengono cancellati e i nuovi governi dello stato di Alberta e di Ottawa promettono di affidarsi di meno a questa fonte energetica altamente inquinante. E' l'inizio della fine del colosso delle sabbie bituminose?

martedì 16 febbraio 2016

Cosa? Io preoccuparmi del picco del petrolio?

Da “artberman.com”. Traduzione di MR

Postato su The Petroleum Truth Report il 27 dicembre 2015

Di Art Berman

Il Congresso la settimana scorsa ha messo fine al divieto di esportazione di petrolio greggio degli Stati Uniti. Apparentemente non c'è più una ragione strategica per conservare il petrolio perché la produzione da scisto ha reso di nuovo grande l'America, O perlomeno questa è la storia che i politici allergici alla realtà e i loro elettori preferiscono. La legge di politica e conservazione energetica del 1975 (EPCA) che ha proibito l'esportazione di petrolio greggio è stata la cosa più prossima ad una politica energetica che gli Stati Uniti abbiano mai avuto. La legge è stata approvata dopo che il prezzo del petrolio è aumentato da 21 dollari a 51 dollari (in dollari del 2015) in un mese (il gennaio del 1974) a causa dell'embargo arabo sul petrolio.

La EPCA non ha solo proibito l'esportazione di petrolio greggio ma ha anche istituito la Riserva Petrolifera Strategica. Entrambe le misure erano intese a mantenere più petrolio internamente per rendere gli Stati Uniti meno dipendenti dalla importazioni petrolifere. E' stato stabilito un limite di velocità nazionale di 90 km/h per spingere alla conservazione ed è stata fondata la IEA per controllare meglio e prevedere la fornitura globale di petrolio e le tendenze della domanda. Soprattutto, il divieto di esportazione riconosceva il declino dell'offerta interna e l'aumento delle importazioni che avevano reso vulnerabile la nazione alla disgregazione economica. La sua abrogazione, la scorsa settimana, suggerisce che non c'è più alcun rischio associato alla dipendenza da petrolio straniero.

martedì 9 febbraio 2016

Il rumore del picco del petrolio

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



Cari lettori,

questo 2016 è stato segnato da una notizia che ha occupato una parte apprezzabile del sempre conteso spazio mediatico: la volatilità della borsa cinese. Nell'Impero di Mezzo si sono vissuti giorni di grande ribasso, fino al punto che si è dovuta sospendere la sessione per un paio di giorni, essendo il ribasso oltre il 7%. La borsa cinese aveva avuto un'evoluzione abbastanza mediocre nel 2015 e a quello che sembra tutti i problemi accumulati sono sempre più evidenti nel 2016. Le borse occidentali hanno accusato l'impatto con diminuzioni accumulate che ammontano alla metà di quelle cinesi, ma dimostrano che l'evoluzione del gigante asiatico ha molta influenza in ciò che avviene nel mondo.

Ma che succede alla Cina? Semplicemente che la Cina, la fabbrica del mondo, sta accusando con forza la diminuzione della domanda mondiale di ogni tipo di bene. Cosa logica, se si tiene conto del fatto che la riduzione della leva finanziaria del debito iniziata nel 2008 è andata a minare progressivamente la rendita disponibile delle classi medie (tramite la diminuzione delle prestazioni ed il degrado della qualità del lavoro salariato). E quella classe media, sempre più impoverita, compra meno cose e consuma di meno.

giovedì 22 gennaio 2015

Barile a 50 dollari: rischio di recessione per il settore petrolifero

L'articolo che segue è di solo due settimane fa. Ora, i prezzi sono scesi addirittura intorno ai 45 dollari al barile. (UB)
 


DaOil Man”. Traduzione di MR

Di Matthieu Auzanneau

Esistono le gare di fondo. Questa è una gara verso il fondo. I prezzi del petrolio cadono a 50 dollari questa settimana, come mai visto dai giorni successivi alla crisi del 2008. Tanto vertiginosa quanto inaspettata, la caduta del prezzo dell'oro nero ha ormai raggiunto il 55% dall'inizio di giugno.

E' la prova di un ritorno duraturo dell'abbondanza petrolifera? Non corriamo troppo.

Conseguenza del boom del petrolio “di scisto” negli Stati Uniti e della fragilità della crescita economica mondiale, questo contro-shock petrolifero sta per mettere a nudo i re del petrolio. Da Ovest a Est, da Nord a Sud, tutti i produttori petroliferi del mondo, grandi e piccoli, oggigiorno pompano il greggio a rotta di collo al fine di salvaguardare un po' il loro giro d'affari, con la speranza che la concorrenza crepi prima. Di fronte a difficoltà economiche molto gravi, la Russia di Putin, oggi prima produttrice mondiale di oro nero davanti all'Arabia Saudita, ha ampiamente contribuito a rilanciare il giro infernale in questo inizio d'anno, annunciando una produzione record per il mese di dicembre (anche se Mosca l'estate scorsa lasciava intendere che le estrazioni russe dovrebbero diminuire nel 2015, mancanza di investimenti sufficienti...). I prezzi non sono in procinto di tornare a crescere nei prossimi mesi, come prevede la maggior parte degli analisti: la crescita economica rimane debole (eccetto per gli Stati Uniti, dopati fin qui dal gas e dal petrolio “di scisto”) e dei barili in più arrivano sul mercato provenienti dall'Iraq, ma anche dall'Africa Occidentale, dal Brasile, dal Canada e dagli Stati Uniti.

venerdì 16 gennaio 2015

L'America perderà la guerra del prezzo del petrolio

DaBloomberg”. Traduzione di MR 

Di Leonid Bershidsky

La debacle finanziaria che ha colpito la Russia quando il prezzo del greggio Brent è sceso del 50% negli ultimi quattro mesi ha oscurato quella che potenzialmente attende l'industria dello scisto degli Stati Uniti nel 2015. E' il momento di prestarvi attenzione, perché è improbabile che l'Arabia Saudita ed altri grandi produttori del Medio Oriente chiudano un occhio e taglino la produzione e il prezzo ora si sta avvicinando ai livelli in cui la produzione statunitense comincerà a chiudere. I rappresentanti dell'OPEC hanno detto per settimane che non avrebbero pompato meno petrolio a prescindere da quanto scendesse il prezzo. Il ministro del petrolio saudita Ali Al-Naimi ha detto che neanche 20 dollari al barile innescherebbero un ripensamento. Le reazioni iniziali negli Stati Uniti sono state fiduciose: i produttori statunitensi erano abbastanza resilienti, avrebbero continuato a produrre anche a prezzi di vendita molto bassi perché il costo marginale del pompaggio dai pozzi esistenti era persino più basso; l'OPEC avrebbe perso perché la sicurezza sociale della rete dei suoi membri dipende dal prezzo del petrolio. E comunque, l'OPEC era morta. Quell'ottimismo ricordava la reazione cavalleresca della Russia all'inizio della scivolata del prezzo. Ad ottobre, il presidente russo Vladimir Putin ha detto che “nessuno dei protagonisti seri” era interessato ad un prezzo del petrolio al di sotto degli 80 dollari. Questa compiacenza ha portato la Russia sul baratro: venerdì, Fitch ha retrocesso il suo rating a poco più che spazzatura e probabilmente scenderà più in basso mentre il rublo continua a svalutarsi in linea col crollo del petrolio.

In genere è una cattiva idea comportarsi in modo spavaldo in una guerra di prezzi. Per definizione, tutti si faranno del male e ogni vittoria può essere soltanto relativa. Il vincitore è colui che riesce a sopportare di più il dolore. La mia scommessa finora è sui sauditi – e, anche se potrebbe sembrare controintuitivo, sui russi. Per ora, il solo segno che la produzione statunitense di petrolio greggio possa contrarsi è il crollo del numero di piattaforme petrolifere operative negli Stati Uniti. E' sceso a 175° la scorsa settimana, 61 in meno della settimana precedente e 4 in meno di un anno fa. La produzione di petrolio, tuttavia, è ancora a livelli record. Nella settimana che è terminata il 2 gennaio, quando il numero di piattaforme è a sua volta diminuito, ha raggiunto 9,13 milioni di barili al giorno, come mai prima. Le società petrolifere stanno solo fermando la produzione dei loro pozzi peggiori, che producono pochi barili al giorno – coi prezzi attuali, quei pozzi non valgono il prezzo dell'affitto delle attrezzature. Siccome nessuno sta tagliando la produzione, il prezzo continua a scendere. Oggi il Brent era a 48,27 dollari al barile e le tendenze portano ancora al ribasso. Tutto ciò alla fine avrà un impatto. Secondo una analisi fresca fresca di  Wood Mackenzie, “un prezzo del Brent di 40 dollari al barile o inferiore vedrebbe i produttori ridurre la produzione ad un livello al quale ci sarebbe una riduzione significativa della fornitura globale di petrolio. Col Brent a 40 dollari, 1,5 milioni di barili al giorno sono a bilancio negativo coi, col contributo maggiore che proviene da diversi progetti di sabbie bituminose in Canada, seguita dagli Stati Uniti e quindi dalla Colombia”. Ciò non significa che una volta che il Brent tocca i 40 dollari – e questo è il livello che si aspetta ora Goldman Sachs, dopo essersi arresa sulla sua previsione che l'OPEC avrebbe ammiccato – la produzione da scisto scenderà automaticamente di 1,5 milioni di barili al giorno. Molti fracker statunitensi continueranno a pompare in perdita perché hanno dei debiti da ripagare, circa 200 miliardi di dollari in totale di debito, paragonabile ai bisogni finanziari delle società petrolifere di stato della Russia.

Il problema dei fracker statunitensi è che è impossibile rifinanziare quei debiti se stai seminando contante. Ad un certo punto, se i prezzi restano bassi, le società più sotto pressione andranno a gambe all'aria e quelle più di successo non saranno in grado di rilevarle perché non avranno né il contante né la fiducia degli investitori che le aiuterebbero a garantire il finanziamento del debito. Le insolvenze e la mancanza di espansione alla fine porteranno a tagli della produzione. La statunitense EIA prevede ancora che la produzione statunitense di greggio avrà una media di 9,3 milioni di barili al giorno, 700.000 barili al giorno in più del 2014. Ma se il Brent va a 40 dollari, quella previsione se ne va dalla finestra. E' probabilmente troppo ottimistica persino ora. In quanto ai sauditi e agli Emirati Arabi Uniti, loro continueranno a pompare. Sono paesi, non imprese, e non possono semplicemente chiudere bottega e andare a casa – hanno ancora bilanci da finanziare e nessun sostituto del petrolio come fonte di riserve internazionali. La Russia, il terzo maggior produttore di petrolio al mondo dopo Stati Uniti ed Arabia Saudita, è molto più instabile delle monarchie petrolifere mediorientali, ma è nella stessa situazione: il petrolio è la sua linfa vitale. Questa potrebbe essere una battagli prolungata e sanguinosa con un risultato incerto. Il prezzo del petrolio è piuttosto inelastico ai cambiamenti a breve termine di domanda e offerta. Il suo corso sarà, pertanto, ampiamente dettato dalle notizie e dalla reazione del mercato ad esse. Un'ondata di fallimenti nell'industria dello scisto degli Stati Uniti probabilmente lo farebbe salire, perché sarà percepito come un fattore negativo per l'offerta.

Quanto in alto arriverà, tuttavia, è imprevedibile. Potrebbe realmente aumentare a sufficienza da permettere un consolidamento dell'industria statunitense dello scisto, dandogli una seconda possibilità  e portando i paesi dell'OPEC, la Russia, il Messico e la Norvegia in difficoltà maggiori – o potrebbe semplicemente assestarsi ad un livello che farebbe dimenticare agli Stati Uniti il suo boom dello scisto. Ciò avrebbe conseguenze terribili per la ripresa economica statunitense. Potrebbe essere ora che il governo statunitense consideri se vuole alzare la posta in questa guerra dei prezzi, entrandoci come paese sovrano. Ciò potrebbe significare il salvataggio o il sussidio temporaneo dei produttori dello scisto. Dopotutto, stanno competendo con degli stati adesso, non con imprese come loro.

mercoledì 14 gennaio 2015

La vera causa dei prezzi bassi. Intervista ad Arthur Berman

Da “Energyskeptik”. Traduzione di MR

Di James Stafford

Con tutte le teorie della cospirazione che circondano la decisione dell'OPEC di novembre di non tagliare la produzione, davvero non potrebbe essere solo di un caso di semplici fattori economici? Il boom dello scisto statunitense ha avuto un'enorme propaganda, ma i numeri parlano da soli e un tale straripante ottimismo potrebbe essere stato ingiustificato. Quando si discutono dure realtà nel campo dell'energia, non c'è settore che abbia maggiore necessità di una verifica dell'energia rinnovabile. In una terza ed esclusiva intervista di James Stafford di Oilprice.com, l'esperto di energia Arthur Berman analizza:

  • Come si è verificata la situazione petrolifera e cosa c'è realmente dietro la decisione dell'OPEC
  • Cosa ha realmente in serbo il futuro per lo scisto statunitense
  • Perché le esportazioni statunitensi di petrolio sono insensate per molte ragioni
  • Quali lezioni possono essere apprese dal boom dello scisto statunitense
  • Perché la tecnologia non ha così tanta influenza sui prezzi del petrolio come si potrebbe pensare
  • Come il mix globale di energia è probabile che cambi ma non nel modo in cui molti potrebbero aver sperato

OilPrice: L'attuale situazione del petrolio – qual è la sua valutazione?

Arthur Berman: L'attuale situazione dei prezzi del petrolio è molto semplice. La domanda è bassa a causa di un prezzo alto del petrolio per troppo tempo. L'offerta è alta a causa del petrolio di scisto statunitense e del ritorno della produzione della Libia. Diminuzione della domanda e aumento dell'offerta uguale prezzo basso. In quanto all'Arabia Saudita e a suoi motivi, è a sua volta molto semplice. I sauditi sono bravi coi soldi e l'aritmetica. Di fronte alla dolorosa scelta fra perdere soldi mantenendo l'attuale produzione a 60 dollari al barile e togliere 2 milioni di barili dal mercato perdendo molti più soldi, la scelta è facile: prendere la strada meno dolorosa. Se ci sono ragioni recondite come danneggiare i produttori statunitensi di petrolio di scisto, l'Iran o la Russia, benissimo, ma si tratta solo di una questione di soldi. L'Arabia Saudita si è incontrata con la Russia prima dell'incontro di novembre dell'OPEC ed ha proposto che se la Russia avesse tagliato la produzione, l'Arabia Saudita avrebbe a sua volta tagliato e avrebbe portato almeno il Kuwait e gli Emirati a farlo con lei. La Russia ha detto “No”, quaindi l'Arabia Saudita ha detto “Bene, forse cambierete idea fra sei mesi”. Penso che la Russia e forse Iran, Venezuela, Nigeria ed Angola cambieranno idea al prossimo incontro dell'OPEC a giugno.

Collasso del prezzo del petrolio: i sauditi hanno fatto una scelta intelligente?

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


Dati della produzione petrolifera dell'Arabia Saudita (tutti i liquidi). Fonte: EIA



Arthur Berman di recente ha scritto questo sul collasso del prezzo del petrolio:

In quanto all'Arabia Saudita e a suoi motivi, è a sua volta molto semplice. I sauditi sono bravi coi soldi e l'aritmetica. Di fronte alla dolorosa scelta fra perdere soldi mantenendo l'attuale produzione a 60 dollari al barile e togliere 2 milioni di barili dal mercato perdendo molti più soldi, la scelta è facile: prendere la strada meno dolorosa. Se ci sono ragioni recondite come danneggiare i produttori statunitensi di petrolio di scisto, l'Iran o la Russia, benissimo, ma si tratta solo di una questione di soldi.

Penso che Berman potrebbe aver ragione, i sauditi hanno ragionato in questi termini. Volevano ridurre le loro perdite e mantenere la quota di mercato.

Ma pensateci un momento: è stata davvero una mossa intelligente per i sauditi?

L'Arabia Saudita produce poco oltre al petrolio. La sua economia è pesantemente basata sul petrolio. Ed anche per il cibo, l'Arabia Saudita deve affidarsi agli introiti del petrolio per importarlo. E persino per la grande Arabia Saudita, le risorse petrolifere non sono infinite.

Quindi, ipotizzate di avere il potere di regolare la produzione di petrolio in Arabia Saudita, cosa fareste? Logicamente, pensereste che sia stupido continuare a pompare petrolio a tutta velocità se è diventato così a buon mercato. Pensereste che è una buona idea tenerne il più possibile nel sottosuolo, da usare quando sarà davvero raro e costoso. In aggiunta, i vostri concorrenti finiranno il petrolio mentre voi ne avrete un sacco; non sarebbe bello?

Logico? Certo, ma solo se pensate a lungo termine. Se pensate solo al profitto a breve termine, allora ha senso vendere ciò che avete, quando lo avete. E il futuro?, be', quello sarà il problema di qualcun altro.

Sfortunatamente, non è solo in Arabia Saudita che la pensano in questo modo.



martedì 13 gennaio 2015

La crisi del picco del petrolio

DaResilience”. Traduzione di MR

Di Tom Whipple

Lo so che è sempre più difficile credere che ci sia una “crisi del picco del petrolio” in agguato la fuori in attesa di ingolfare la nostra civiltà e creare ogni sorta di devastazione. Quasi ogni giorni ora i prezzi del petrolio e della benzina stanno crollando. Ci viene sempre detto che l'America è prossima all'indipendenza energetica dalle fonti energetiche straniere, che il mondo ha ancora decenni di roba da bruciare, di qualsiasi cosa stiamo bruciando, e il cambiamento climatico è una cosa di cui si preoccuperanno i nostri bis-bis-bisnipoti. Negli ultimi 5 mesi, i prezzi del petrolio sono crollati di 40 dollari al barile, cosicché noi americani ora abbiamo circa 800 milioni di dollari in più da spendere ogni giorno in qualcosa che non siano prodotti petroliferi. A coronamento di tutto ciò, quei popoli i cui governi non ci amano granché – Russia, Iran e Venezuela, per esempio – sono davvero nei guai mentre scivolano in problemi economici più profondi.

Lasciando da parte per il momento la possibilità che qualche fonte di energia esotica e non ancora pienamente compresa emergerà nel prossimo futuro, salvandoci dal cambiamento climatico, ravvivando l'economia globale e permettendoci di volare più lontano nello spazio, le prove che ci troviamo ancora sull'orlo di una crisi sono molto forti. Di fatto probabilmente ci siamo già dentro, semplicemente non la riconosciamo per quella che è. E' molto più facile dare la colpa dei problemi alle tasse alte o alle regole di governo che ammettere che le carenze di risorse naturali stanno facendo salire i prezzi e/o tagliando la crescita.

lunedì 12 gennaio 2015

Come la aumentata inefficienza spiega il crollo dei prezzi del petrolio

DaOur Finite World”. Traduzione di MR

Gail utilizza qui l'espressione "aumentata inefficienza", ma, come lei stessa spiega nel testo, è la stessa cosa del termine più comune "ritorni decrescenti." E' una manifestazione del fatto che il graduale esaurimento delle risorse ne rende sempre più costosa l'estrazione. (UB)


Di Gail Tverberg

Circa dal 2001, diversi settori dell'economia sono diventati sempre più inefficienti, nel senso che servono più risorse per ottenere una data produzione, come 1.000 barili di petrolio. Credo che questo aumento dell'inefficienza spieghi sia il rallentamento della crescita economica sia il netto calo recente dei prezzi di molti beni, compreso il petrolio. Il meccanismo in atto è ciò che chiamerei l'effetto di spiazzamento. Se servono più risorse per settori sempre più inefficienti dell'economia, sono disponibili meno risorse per il resto dell'economia. Di conseguenza, i salari ristagnano o declinano. Le banche centrali trovano necessario abbassare i tassi di interesse, per mantenere in piedi l'economia. Sfortunatamente, con salari stagnanti o più bassi, i consumatori trovano che i beni provenienti dai settori sempre meno efficienti siano sempre più inaccessibili, specialmente se i prezzi salgono per coprire le necessità di questi settori inefficienti. Per gran parte dei periodi passati, i prezzi dei beni sono rimasti prossimi ai costi di produzione (almeno per il “produttore marginale”). Ciò cui sembra che stiamo assistendo di recente è una diminuzione del prezzo di ciò che i consumatori possono permettersi rispetto ad alcuni di questi settori sempre più inaccessibili. A meno che la situazione non possa essere ribaltata rapidamente, l'intero sistema rischia di collassare.

Settori dell'economia sempre più inefficienti

Possiamo pensare a diversi settori dell'economia sempre più inefficienti:

Petrolio. Il problema del petrolio è che gran parte di quello facile (e quindi economico) da estrarre è finito. Sembra che ci sia molto petrolio costoso da estrarre disponibile. Una parte si trova in fondo al mare, anche sotto strati di sale. Una parte di questo petrolio è molto pesante e deve essere “vaporizzato”. Una parte richiede il “fracking”. I passi estrattivi in più richiedono l'uso di maggiore lavoro umano e di maggiori risorse fisiche (petrolio e gas, tubi di metallo, acqua dolce), ma la produzione aumenta di pochissimo. I liquidi estensioni del petrolio, come biocombustibili e operazioni di estrazione di liquidi dal carbone, tendono a loro volta ad essere forti consumatori di risorse, esacerbando ulteriormente il problema dell'aumento del costo di produzione dei combustibili liquidi. Ho descritto il problema che sta dietro ai costi come sempre maggiore inefficienza di produzione. Il nome tecnico del nostro problema è ritorni decrescenti. Questa situazione si verifica quando un aumento di investimento offre ritorni sempre minori. I ritorni decrescenti tendono a verificarsi in qualche misura ogni qualvolta risorse di ogni tipo vengono estratte dal sottosuolo. Se la portata dei ritorni decrescenti è sufficientemente piccola, i costi totali possono essere mantenuti piatti con progressi tecnologici. Il nostro problema ora è che i ritorni decrescenti sono cresciuti in misura tale che i progressi tecnologici non tengono più il passo. Di conseguenza, il costo di produzione di molti tipi di beni e servizi sta crescendo più rapidamente dei salari.

mercoledì 7 gennaio 2015

Il collasso del prezzo del petrolio del 2014

DaPost Carbon Institute”. Traduzione di MR

In due settimane da quando questo testo è stato scritto, la situazione va sempre di più verso il collasso, con i prezzi ormai scesi sotto i 50 dollari al barile (UB)

Di Richard Heinberg


Immagine delle nubi temporalesche sul petrolio via shutterstock. Riprodotta con autorizzazione.

I prezzi del petrolio sono crollati della metà dalla fine di giugno. Questo è uno sviluppo significativo per l'industria del petrolio e per l'economia globale, anche se nessuno sa esattamente come l'industria o l'economia risponderanno sul lungo termine. Visto che è quasi la fine dell'anno, forse è un buon momento per fermarsi e chiedersi. (1) Perché sta accadendo? (2) Chi vince e chi perde sul breve termine? (3) Quale sarà l'impatto sulla produzione petrolifera nel 2015?

1. Perché sta accadendo?


martedì 6 gennaio 2015

L'industria delle sabbie bituminose al collasso

DaThe Ecologist”. Traduzione di MR

Questo articolo è di circa un mese fa - la situazione attuale dei prezzi del petrolio sotto i 50 dollari al barile lo rende ancora più attuale in una situazione che si sta facendo sempre più disastrosa ogni giorno che passa. Non è più il caso di domandarsi che cosa ha causato il collasso dei prezzi del petrolio. ma che cosa sarà causato dal collasso dei prezzi del petrolio (UB)


L'industria delle sabbie bituminose affronta una perdita 'esistenziale' di 246 miliardi di dollari







La Miniera di Sabbie Bituminose Syncrude 'Aurora', a nord di Fort McMurray, Canada. Foto: Elias Schewel via Flickr. 

L'estrazione delle sabbie bituminose canadesi è più che una semplice catastrofe ambientale, scrive Gregory McGann. Si sta dimostrando anche una disastro economico, con investimenti massicci a rischio mentre il crollo dei prezzi del petrolio fa arenare le sabbie bituminose. Una delle forme più distruttive di produzione petrolifera è finanziariamente priva di senso ed affronta il collasso totale, secondo un nuovo rapporto della Carbon Tracker Initiative (CTI), Sabbie bituminose: schede informative. Il rapporto suggerisce che gli investitori sono stati fuorviati sulla fattibilità economica della produzione di sabbie bituminose, cosa che sta facendo un danno irreparabile alla foresta boreale incontaminata del Canada nord occidentale. La CTI, una società di analisi finanziaria ambientalmente consapevole, sostiene che i progetti futuri di sabbie bituminose, oltre ad essere disastrose ambientalmente, sono anche finanziariamente catastrofiche e stanno portando i loro investitori verso gravi perdite. Nonostante il recente e drammatico crollo dei prezzi del petrolio, le società non hanno tenuto conto del rischio di ulteriori crolli dei prezzi. I progetti di sabbie bituminose, coi loro alti costi di produzione, sono particolarmente vulnerabili, in quanto il prezzo del petrolio che declina può facilmente spazzare via tutta la loro redditività. “Le pressioni del costo che affronta l'industria petrolifera mostra alcuni segni di cedimento”, dichiara il rapporto – eppure le compagnie si rifiutano semplicemente di riconoscerlo.


lunedì 1 dicembre 2014

La spirale

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

durante le ultime settimane si è verificata una forte discesa del prezzo del petrolio, che si muoveva da più di due anni in una gamma relativamente stretta di prezzi abbastanza alti.


Nel post di questa settimana analizzerò in dettaglio ciò che sta succedendo col prezzo del petrolio. Si tratta di un post abbastanza lungo, quindi l'ho organizzato in sezioni: Introduzione, Volatilità e Recessione, Gli eventi del 2008 e del 2011, Fondamentali, Conseguenze e Conclusione.

Introduzione

Se ci concentriamo sul prezzo del barile di petrolio di tipo Brent (quello di riferimento in Europa), vediamo che dagli inizi del 2011 era valutato al di sopra dei 100 dollari, con un paio di picchi al di sopra dei 120 all'inizio del 2011 e del 2012 e un paio di flirt con la linea dei 100 dollari, che ha agito da prezzo di riferimento o linea da non oltrepassare verso il basso. Ora: venerdì scorso il barile di Brent era valutato 86 dollari ed era arrivato qualche dollaro in meno i giorni precedenti. La forte volatilità dei prezzi del petrolio è uno dei sintomi di problemi di fornitura di questa materia prima fondamentale. Lo abbiamo spiegato infinite volte in questo blog: quando l'attività economica è vigorosa, la domanda sale ma la produzione non riesce a tenere il ritmo, quindi il prezzo sale fino al punto di danneggiare l'attività economica. Allora si chiudono le imprese e si lasciano persone nella disoccupazione, la domanda diminuisce, il prezzo scende bruscamente e questo permette che poco dopo cominci la ripresa economica, la domanda torna a salire e torniamo al punto di partenza. Mentre la produzione di petrolio sale lentamente o addirittura ristagna c'è da aspettarsi che si riproducano periodicamente questi cicli di ripresa e caduta. Tuttavia, nella misura in cui la produzione di petrolio diminuisce (cosa che non è ancora successa se consideriamo tutti gli idrocarburi liquidi, che è già una cosa discutibile di per sé) la cosa che ci si può aspettare è che la sequenza di salite e discese acceleri, a volte con cambiamenti di enormemente bruschi che spingono il prezzo del petrolio verso l'alto o verso il basso al punto che interi paesi collassano (verso l'alto se il paese che collassa è un paese produttore o verso il basso se il paese che collassa è un paese consumatore).

Come spiegherò in questo post, l'attuale abbassamento dei prezzi è un sintomo terribile di gravi ed imminenti problemi economici e di produzione di petrolio, conseguenza di molte tensioni accumulate durante anni di fuga in avanti. E per quello risulterebbe abbastanza comico, se non fosse tanto triste e tanto sintomatico della nostra cecità come società, vedere che di fronte ad un momento tanto preoccupante e critico come quello attuale, sono emerse voci che hanno detto “questa cosa del picco del petrolio” non è certo causata da questa riduzione dei prezzi. C'è persino chi dice che questo non lo avevamo previsto e che tutte le analisi che facciamo in questo ed in altri luoghi sono pura spazzatura, perché in realtà il picco del petrolio si allontana sempre di più (sono arrivato persino a leggere un tweet di un famoso gestore di azioni collegate al petrolio che affermava che la caduta del prezzo del petrolio era segno di abbondanza di offerta).

Volatilità e recessione

Niente di più lontano dalla realtà, naturalmente. Soffermarsi esclusivamente sul prezzo del petrolio per descrivere il picco è un errore e ancora di più lo è pensare che i problemi di fornitura di petrolio generino semplicemente prezzi persistentemente più alti: in realtà, ciò che genera il picco del petrolio è un'enorme volatilità (salite e discese del prezzo selvagge). Abbiamo insistito su quest'idea dal principio, in realtà. Una delle cose che mi ha spinto a fare divulgazione del problema del picco del petrolio è stata proprio il fatto di vedere che dopo del chiaro segnale del 2008 (lo stesso anno il barile valeva 147 dollari a luglio e 36 a dicembre), non si è verificata una reazione razionale ai problemi che erano già evidenti. Mente chi dice che non lo stiamo dicendo da anni e nel mio caso proprio dall'inizio: il quinto post che ho pubblicato su questo blog, il 3 di febbraio del 2010, si chiamava “Previsione dei prezzi del petrolio per i prossimi 10 anni” e illustrava il problema della ipervolatilità del prezzo con un disegno fatto anni fa da Dave Cohen:


Un anno dopo, mi chiedevo se l'aumento repentino dei prezzi, non molto lontani dai 130 dollari al barile, indicasse che ci trovavamo in un altro di questi picchi di volatilità e se si stesse verificando l'ondata recessiva del 2011. Ed ora, nel 2014, siamo sul punto di un'altra recessione mondiale, a quanto pare. Permettete che vi citi due paragrafi del mio post “Previsione dei prezzi del petrolio per i prossimi 10 anni”, pubblicato quattro anni e mezzo fa:

“Prevedere il valore del picco è più o meno impossibile, ma possiamo invece prevedere che l'economia indebolita non potrà mantenere prezzi crescenti fino a valori tanto alti come 150 dollari, per cui probabilmente il prossimo picco sarà più basso. Mentre perdura la situazione di plateau del petrolio, l'unica cosa che possiamo azzardare è la cadenza dei picchi, ipotizzando che dopo il picco il prezzo si stabilizza ad un valore di circa 40 dollari”.

Ed anche

“Da qui si conclude anche che i tempi di ricorrenza degli shock petroliferi saranno ogni tre anni, sempre il luglio: 2008, 2011, 2014, 2017, 2020, ecc. Cioè, in questo decennio ci aspettano 4 shock petroliferi, sempre quando se ipotizziamo di essere sul plateau del petrolio”. 

Il modello che ho usato in quel post era di una banalità offensiva e la realtà è stata naturalmente molto più complessa (io stesso affermavo già nel post stesso che le cose sarebbero state molto più complicate). E' tuttavia curioso vedere che, effettivamente, i picchi successivi dei prezzi non sono stati alti come i quasi 150 dollari del luglio 2008 e che le date ipotizzate per la maggior volatilità del prezzo del petrolio (2008, 2011, 2014...) non sono state tanto lontane e sembrano segnare le date delle successive “Grandi Recessioni, ora che si comincia a riconoscere che potremmo trovarci alle porte della terza. Ma sicuramente la dinamica del prezzo e dell'offerta di petrolio si sta rivelando assai più complicata. Per la parte dei prezzi, proprio qualche mese fa qualcuno mi rinfacciava che non si sarebbe verificato con la volatilità che ho sempre definito come sintomo dei problemi di offerta di petrolio, di fronte a cui ho scritto un post in cui si toccavano diversi temi e in quanto a questo, ho indicato il seguente grafico, sovrapponendo il disegno di Cohen all'evoluzione reale del prezzo del barile di petrolio:


Il modello di Dave Cohen è questo, un modello, ma nonostante la sua semplicità si direbbe comunque che stia cogliendo qualcosa di quello che succede, specialmente se ora alla fine del 2014 il prezzo sta collassando. Prime di entrare nell'analisi in maggiore profondità cosa spieghi queste deviazioni osservate rispetto al modello semplice del comportamento del prezzo, lasciate che vi dica che questa visione secondo cui i problemi del petrolio non comportano semplicemente prezzi alti ma volatilità non la mia personale, ma è condivisa praticamente da tutta la comunità dei picchisti. In particolare, vi raccomando un eccellente articolo di Gail Tverberg perché possiate farvi un'idea più certa di cosa stia succedendo. Così quelli che criticano i picchisti per l'abbassamento repentino del prezzo del barile di greggio si allaccino le cinture, perché ora arrivano le curve e anche molto pericolose. E leggano, per esempio ciò che dice ASPO sul fenomeno.

Gli eventi del 2008 e del 2011

Telecomunista, un'eminenza nel trattamento dei dati e delle diverse agenzie pubbliche, ha pubblicato poche settimane fa su burbuja.info il seguente grafico.


Se guardate il grafico con attenzione, vedrete che ci sono state due volate della produzione di “tutti i liquidi del petrolio (petrolio greggio convenzionale + greggi non convenzionali + alcuni succedanei più o meno assimilabili) proprio dopo due plateau di produzione. La prima volata si verifica dopo la crisi del 2008 e si sostiene coi biocombustibili. Purtroppo, i biocombustibili in realtà non apportano energia netta, per cui nella realtà la cosa non richiede tempo. I governi americano ed europeo, che hanno reso obbligatorio che parte della miscela delle loro benzine e gasoli avessero una parte di biocombustibile, hanno perso interesse per questi combustibili, nel momento in cui hanno verificato che non riducono la dipendenza esterna ed hanno cominciato a ritirare i sussidi al suo consumo, cosa che ha portato alla stagnazione della loro produzione:



In pratica, ciò che è successo è che il prezzo del petrolio non è aumentato perché la mancanza di sufficiente petrolio nel mercato è stata compensata dai biocombustibili, che oltre a causare le guerre della fame non erano né energeticamente né commercialmente redditizi e che pertanto sono stati sussidiati con ulteriore debito degli Stati. Cioè, per mantenere il meccanismo mondiale in funzione è stata sfruttata una risorsa che non doveva essere prodotta e che fondamentalmente trasforma l'austerità e le sanzioni alla propria popolazione e ad altre in idrocarburi liquidi. Ma già nel 2011, essendo già ovvio il fiasco dei biocombustibili, e con una nuova recessione in marcia, era necessario cercare qualcosa di più con cui dare impulso alla produzione di petrolio ed è qui che emerge con forza il fracking, come evidenza la fascia di colore viola del grafico di Telecomunista più in alto. Senza l'apporto dei condensati e del petrolio leggero di roccia compatta (light tight oil) americano, la produzione totale di idrocarburi liquidi sarebbe diminuita di 3 milioni di barili al giorno. Sfortunatamente, qui succede una cosa simile a quella dei biocombustibili: le compagnie che estraggono queste risorse si stanno rovinando (come evidenziano i sempre più numerosi articoli che avvertono di questo sulla stampa economica) e quella montagna di debito inevitabilmente scoppierà prima o poi. E tarderà meno a scoppiare se il prezzo del barile diminuisce troppo per un periodo sufficientemente lungo. Alla fine, data l'importanza cruciale e strategica del petrolio, gli stati riscatteranno queste compagnie, addossando ancora una volta il costo ai cittadini e di nuovo trasformando sofferenza sociale in idrocarburi liquidi. Non è proprio una sciocchezza. 

Fondamentali

I movimenti coi biocombustibili e con gli idrocarburi e con i combustibili liquidi derivati dal fracking spiegano perché il prezzo si è mantenuto alto senza grandi alti e bassi (eccetto nel momento in cui si rinuncia a continuare a dare impulso ai biocombustibili come grande soluzione nel 2011, cosa che si abbina perfettamente col piccolo picco dei prezzi di quell'anno e la conseguente ondata recessiva). Ma cosa sta succedendo ora? Il prezzo si è mantenuto stabile al di sopra dei 100 dollari negli ultimi 3 anni e di colpo ha cominciato a scendere, anche al di sotto di questa barriera dei 100 dollari al barile. Se si studiano i fondamentali del mercato, si trovano tre possibili fattori nell'offerta ed uno nella domanda. I tre fattori nell'offerta sono: 


In quanto alla domanda, c'è un unico fattore che appare in tutte le analisi: la domanda mondiale è debole. Da mesi si accumulano gli indizi negativi in molti paesi (caduta delle esportazioni tedesche, scarsa creazione di impiego negli Stati Uniti, malessere in Francia e delusione nei confronti del presidente Hollande, l'Italia che non solleva la testa nonostante l'elezione come presidente del presunto riformista Renzi...), ma sono particolarmente importanti quelli che arrivano dalla Cina, poiché oggigiorno è la fabbrica del mondo e la sua evoluzione è molto segnata dall'evoluzione della domanda, soprattutto in Occidente. E dalla Cina non vengono dati buoni: l'indice PMI è piuttosto basso e molti indicatori sono in ribasso (per esempio, la forte caduta della domanda di acciaio in quel paese). Insomma, si prefigura una recessione globale, cosa che quadra bene con il concomitante crollo delle borse mondiali. Un modo per cercare di capire cosa sta succedendo è guardare i rapporti sulla congiuntura del mercato del petrolio pubblicati mensilmente dalla IEA, gli Oil Market Report. Seguendo la stessa metodologia che ho usato due anni fa nel post “Quando la domanda supera l'offerta”, ho calcolato i grafici trimestrali di offerta (in verde) e domanda (in rosso) di tutti gli idrocarburi liquidi del mondo. Ho separato due periodi: fino al 2005 e a partire dal 2005. Vediamo il primo di questi grafici. L'asse verticale rappresenta la produzione media di tutti i liquidi del petrolio durante questo trimestre ed è espressa in milioni di barili al giorno. 


Fino al 2020 si osserva un chiaro andamento stagionale, con più domanda di petrolio in inverno ed autunno e meno in primavera ed estate. L'offerta cerca di adeguarsi alla domanda in modo leggermente anticiclica: avviene nell'ambito della domanda nei mesi di maggior domanda ma viene compensata da un'offerta maggiore alla domanda nei mesi di minor domanda. Per questo vediamo incroci molteplici fra le due curve e le scorte che conserva l'industria nei propri depositi servono a compensare le fluttuazioni (sei compra di più nei momenti di minor consumo e si compra di meno in quelli di maggior consumo). A partire dal 2003 (se guardate il grafico di Telecomunista, è più o meno quando la produzione di petrolio greggio smette di crescere significativamente) comincia una corsa fra offerta e domanda, che procedono più unite, e resta resta meno spazio fra le due curve. Cosa succede a partire dal 2005? Di tutto.


Nel 2005 e 2006 la curva dell'offerta supera per la maggior parte del tempo, e ampiamente, quella della domanda. Ciò dovrebbe significare che il mercato è rifornito più che bene, ma non dimenticate che una parte sempre maggiore di quanto prodotto sono liquidi del gas naturale, che sostituiscono il petrolio per per alcune funzioni (per esempio, per la sintesi del propilene). Così probabilmente, in termini di ciò che il mercato chiedeva realmente (benzina, gasolio, kerosene), l'offerta combaciava sufficientemente e questo spiegherebbe perché in quegli anni il prezzo è aumentato con estrema rapidità. Sfortunatamente, l'introduzione dell'annotazione “tutti i liquidi del petrolio” da parte della IEA fa sì che questi dettagli non possano essere percepiti nei grafici. 

Arriva il 2008 e il consumo, che generalmente oscillava di circa 2 milioni di barili al giorno (Mb/g) ogni anno, cala di quasi 4 Mb/g. Il prezzo crolla in quell'anno e l'offerta tenta di inseguire la domanda, rimanendo sempre più alta per tutto quell'anno. Di nuovo, l'inclusione nello stesso paniere di “tutti i liquidi del petrolio” rende incomprensibile l'evoluzione del prezzo del petrolio, visto che secondo questo grafico l'offerta è sempre stata maggiore della domanda per tutto il 2008, compreso in luglio quando il prezzo è arrivato a quasi 150 dollari al barile. Verso il 2009 la domanda comincia a recuperare, anche se non recupera le sue oscillazioni annuali caratteristiche fino al 2010. E alla fine del 2011 torniamo a vedere il paradosso di avere un'offerta che eccede di molto la domanda e così il prezzo sale ancora. Presumibilmente, perché è il momento in cui si comincia a vedere che i biocombustibili non diminuiscono la dipendenza energetica del mondo. Naturalmente gli economisti non capiscono il perché, che non è altro che il suo EROEI basso, cioè, che non stanno producendo energia netta sfruttabile. E in questo momento emerge con forza il petrolio leggero di roccia compatta e i condensati di alcune piattaforme di gas di scisto degli Stati Uniti, tutti estratti col fracking. Il petrolio leggero di roccia compatta è sì petrolio, anche se essendo leggero non funziona per distillare il gasolio, ma fornisce un sollievo alla domanda di combustibili fossili del pianeta e pertanto la situazione comincia a normalizzarsi nel 2012 e nel 2013... fino ad ora. I grafici finiscono nel secondo trimestre del 2014. Le linee sottili che vengono dopo sono le proiezioni che si deducono dall'ultimo (a proposito, ho corretto un errore sciocco nelle tavole). Come vedete, la IEA sta facendo una previsione basata su qualcosa di molto semplice: semplicemente scommette che torniamo a cominciare un ciclo normale in cui l'offerta si va ad incrociare con la domanda durante l'anno: ora bisogna che la domanda comincia ad aumentare e che l'offerta lo faccia più moderatamente durante l'inverno e logicamente si spera che succederà il contrario durante la primavera e l'estate. 

Ma cosa sta succedendo in realtà? Come vedete, non c'è niente di spettacolare nell'offerta prevista e l'ultimo aumento della produzione non è niente di completamente pazzesco, soprattutto se si tiene conto che i Libia ancora si produce solo la metà del petrolio che era arrivata a produrre quotidianamente e che i problemi con lo Stato Islamico rendono qualsiasi proiezione sulle esportazioni irachene sia molto speculativa. Sembra piuttosto che il problema principale si stia originando con la domanda, che non sta seguendo il modello del 2008 e del 2011, dove l'offerta ha superato la domanda nei momenti in cui dovrebbe succedere il contrario. Il problema è che comprendere tutto ciò che assimiliamo al petrolio nello stesso grafico impedisce di distinguere con chiarezza che tutto questo è realmente ciò che chiede il mercato. La IEA dovrebbe considerare seriamente di separare il mercato del greggio dal resto dei mercati degli idrocarburi liquidi nelle sue analisi, visto che non sono assolutamente fruibili ed equivalenti (come abbiamo discusso parlando del picco del diesel). 

Conseguenze

E' ancora presto per sapere se il crollo della domanda continuerà durante i prossimi mesi, causato da una possibile interruzione dell'attività globale. Sebbene stiamo realmente entrando in un processo recessivo, i Governi possono prendere molte misure per attenuare il problema e di fatto sembra che il Governo nordamericano abbia intrapreso una nuova campagna per stampare più soldi per tentare di scongiurare questo pericolo. L'efficacia di tale misura verrà verificata nelle prossime settimane. Tuttavia, ciò che ha evidenziato la forte diminuzione del prezzo del petrolio è un gran nervosismo in molti dei paesi produttori. Alcuni analisti si sono affrettati a dichiarare che, in realtà, questa diminuzione dei prezzi è il risultato di una sporca manovra dell'Arabia Saudita, alla quale gli autoproclamati esperti attribuiscono consensualmente la capacità eterna di controllare il mercato. Secondo loro, l'Arabia Saudita starebbe inondando il mercato di petrolio per far abbassare i prezzi. La cosa in cui questi esperti non si mettono d'accordo è con quale fine il regno saudita faccia questo. Alcuni opinano che lo facciano per favorire l'affossamento della ribelle Russia, altri che vorrebbe distruggere l'affare dello scisto negli Stati Uniti, altri ancora credono che l'Arabia Saudita stia tentando di strangolare economicamente lo Stato Islamico in Iraq... 

Ma, come abbiamo visto, non è l'Arabia saudita quella che sta aumentando la propria produzione, ma principalmente la Libia e gli aumenti osservati non eccedono rispetto alle quantità più o meno abituali per questo periodo dell'anno. Inoltre, come abbiamo commentato qualche mese fa, tutto indica che la produzione di greggio abbia iniziato il proprio declino. E in quanto all'Arabia Saudita non sembra possibile che possa aumentare sensibilmente la propria produzione di petrolio, piuttosto questa comincerà presto a diminuire. Perciò è possibile negare alla grande: non si stanno producendo grandi quantità di petrolio extra nel mercato con il fine di affossare i prezzi e men che meno è l'Arabia Saudita colei che sta provocando questa abbondanza immaginaria. Quello che invece sta succedendo con tutta probabilità è che la terza recessione sta già avanzando, la domanda crolla e con essa il prezzo. La Deutsche Bank ha pubblicato recentemente un'analisi sul prezzo minimo al quale ogni paese deve vendere il barile di petrolio, onde evitare di entrare in gravi deficit fiscali che potrebbero compromettere la loro stabilità:


Come vedete, i grandi produttori (Russia e Arabia Saudita) sarebbero già adesso in deficit mentre altri paesi che si trascinano problemi da tempo risulta che si trovavano già in una situazione di deficit fiscale. Non è nulla di nuovo: un anno e mezzo fa lo abbiamo spiegato su questo stesso blog. Il problema è molto più grave di quanto alcuni “esperti” proclamano. Non si tratta, no, di garantire un appartamentino ed un lavoro ad ogni coppietta o di ostentare ricchezza: si tratta di conservare la pace sociale in paesi che soffrono gravi squilibri. L'Arabia Saudita ha certamente abbastanza soldi per mantenere questa situazione per molti mesi, ma la maggior parte degli altri produttori si troverebbero in problemi gravi solo nel giro di settimane. Il sistema globale è malamente puntellato e potrebbe sgretolarsi con una rapidità inusitata se non si reagisce in fretta. 

Non solo i paesi sono a rischio. Abbiamo già visto che le 127 maggiori compagnie di gas e petrolio del mondo si sono indebitate irrazionalmente per mantenere la finzione di un mondo in espasione (arrivando all'assurdità di richiedere credito per distribuire i dividendi, cosa che ha sicuramente fatto in Spagna la società elettrica Endesa). Queste compagnie si sono impantanate in progetti di petrolio e gas non convenzionali che hanno dimostrato di avere un rendimento nullo o negativo. Ciò include i biocombustibili, le sabbia bituminose del Canada e il resto dei petroli extra pesanti, le acque ultraprofonde e, naturalmente, gli idrocarburi estratti mediante fracking. Come abbiamo già spiegato, dagli inizi di quest'anno le compagnie più grandi hanno cominciato a disinvestire fortemente nei giacimenti meno rettitizi, concentrandosi su un volume di affari inferiore ma di maggior rendimento e la pressione per aumentare questo disinvestimento va aumentando. Se l'attuale diminuzione dei prezzi va avanti ed è sufficientemente duratura, se si abbandoneranno altri progetti e questo farà sì che nel giro di un paio di anni quel petrolio che si sarebbe dovuto cominciare a mettere in produzione semplicemente non ci sarà. 

I nervi dei produttori sono a fior di pelle, mentre i loro consumatori abituali sono esangui. Praticamente non c'è tempo per reagire. Senza dubbio l'OPEC ridurrà leggermente la produzione per tentare di contenere la caduta del prezzo del greggio, ma questa strategia ha un raggio corto: se si taglia molto l'esportazione, il prezzo al barile di cui ogni paese ha bisogno sale, per cui dovrebbero tagliare ancora di più l'esportazione ed il prezzo necessario per equilibrare i conti salirebbe ancora di più. Davvero in quel senso non c'è molto margine. Prima o poi i paesi produttori si renderanno conto che ciò cui sono interessati è che qualcuno di loro affondi perché gli altri possano sopravvivere. In questo gioco folle, in questa assurda fuga in avanti, l'Iraq è fra quelli che hanno le carte peggiori, insieme ad altri paesi come Siria e Yemen.

Conclusione

Apparentemente, siamo già alle porte della Terza Grande Recessione. Sono mesi che ci sono gli indizi del suo arrivo e il crollo in poco tempo degli indici di borsa e dei prezzi di molte materie prime sono il risultato previsto del crollo della domanda associata alla crisi economica. La diminuzione del prezzo del petrolio in particolare è molto pericolosa, poiché compromette la sostenibilità finanziaria di numerose imprese di molti paesi che dipendono dagli introiti delle proprie esportazioni petrolifere per garantire la pace sociale, impegnate in modo del tutto irrazionale nell'estrazione di idrocarburi non convenzionali. 

Al livello degli 85 dollari al barile in cui si stanno stabilizzando i prezzi in questo momento, i rischi sono minori e sarebbe sopportabile se questo livello di prezzi non durasse troppo a lungo. Tuttavia, se la diminuzione dei prezzi prosegue, si potrebbe scatenare tutta una serie di conseguenze a valanga molto sgradevoli: il fallimento delle compagnie petrolifere o l'abbandono in massa dei giacimenti e delle estrazioni meno redditizie obbligherà gli Stati (in particolare gli Stati Uniti) ad intervenire, sottraendo risorse ad altre cose e probabilmente aggravando i propri problemi economici e sociali. Dall'altra parte, nei paesi produttori più deboli ci si possono attendere rivolte e guerre civili. Tutto ciò comporterebbe un crollo repentino della produzione di petrolio, che scatenerebbe problemi di fornitura e porterebbe immediatamente a prezzi del petrolio e di altre materie prime estremamente  alti che farebbero sprofondare le economie occidentali in una recessione ancora più profonda e questa ad un crollo ancora maggiore della domanda, ricominciando tutto il ciclo in una spirale oscura: recessione – distruzione della domanda e conseguente abbassamento del prezzo – crollo della produzione per fallimenti, rivolte e guerre e di conseguenza prezzi alti – di nuovo recessione, eccetera. L'instabilità accumulata nel sistema economico e produttivo globale è tale che una volta che si innesca la spirale sarà difficile fermarla e quando alla fine si fermerà potremmo trovarci molto più in basso di quando l'abbiamo fatta partire. Ci troviamo di fronte ad un abisso che nella nostra irresponsabilità collettiva, nella nostra irrefrenabile fuga in avanti, abbiamo contribuito a scavare. Ed ora stiamo allungando la gamba, allegramente, verso il vuoto che abbiamo davanti. 

Saluti.
AMT