mercoledì 7 gennaio 2015

Il collasso del prezzo del petrolio del 2014

DaPost Carbon Institute”. Traduzione di MR

In due settimane da quando questo testo è stato scritto, la situazione va sempre di più verso il collasso, con i prezzi ormai scesi sotto i 50 dollari al barile (UB)

Di Richard Heinberg


Immagine delle nubi temporalesche sul petrolio via shutterstock. Riprodotta con autorizzazione.

I prezzi del petrolio sono crollati della metà dalla fine di giugno. Questo è uno sviluppo significativo per l'industria del petrolio e per l'economia globale, anche se nessuno sa esattamente come l'industria o l'economia risponderanno sul lungo termine. Visto che è quasi la fine dell'anno, forse è un buon momento per fermarsi e chiedersi. (1) Perché sta accadendo? (2) Chi vince e chi perde sul breve termine? (3) Quale sarà l'impatto sulla produzione petrolifera nel 2015?

1. Perché sta accadendo?


 

Euan Mearns fa un buon lavoro di spiegazione del collasso del prezzo del petrolio qui. Brevemente, la domanda di petrolio si sta indebolento (notevolmente in Cina, Giappone ed Europa) perché la crescita economica vacilla. Nel frattempo, gli Stati Uniti stanno importando meno petrolio perché le forniture interne stanno aumentando – quasi interamente a causa del ritmo frenetico di trivellazioni nei giacimenti di “tight oil” in Nord Dakota e Texas, usando la fratturazione idraulica e le tecnologie di trivellazione orizzontale – mentre la domanda si è livellata. Normalmente quando c'è una discrepanza fra l'offerta e la domanda nel mercato globale di greggio, sta all'Arabia saudita – il maggior esportatore del mondo – aumentare la produzione o diminuirla per stabilizzare i prezzi. Ma stavolta i sauditi si sono rifiutati di ridurre la produzione ed hanno invece unilateralmente tagliato i prezzi ai clienti in Asia, evidentemente perché i reali arabi vogliono i prezzi bassi. Ci sono speculazioni sul fatto che i sauditi vogliano punire la Russia e l'Iran per il loro coinvolgimento in Siria ed Iraq. I prezzi bassi hanno dato il vantaggio (a Riyadh) di  spingere fuori mercato alcuni produttori di tight oil, di alto mare e di sabbie bituminose in Nord America, aumentando così la quota di mercato dei sauditi. I media inquadrano questa situazione come una “sovrabbondanza” di petrolio, ma è importante ricordare il quadro più ampio: la produzione mondiale di petrolio convenzionale (esclusi i liquidi del gas naturale, le sabbie bituminose, il petrolio d'alto mare e il tight oil) ha smesso di crescere nel 2005 ed è in realtà declinata un po' da allora.

Quasi tutta la crescita dell'offerta è venuta da risorse più costose (e più rovinose ambientalmente) come il tight oil e le sabbie bituminose. Di conseguenza, i prezzi del petrolio sono stati molto alti durante questo periodo (con l'eccezione dei mesi più profondi e neri della Grande Recessione). Persino al loro attuale livello depresso di 55-60 dollari al barile, i prezzi del petrolio sono ancora al di sopra di quanto ipotizzato nello scenario di prezzi alti della IEA per questo periodo nelle previsioni pubblicate un decennio fa. Parte della ragione ha a che fare col fatto che i costi di esplorazione e produzione all'interno dell'industria sono aumentati drammaticamente (all'inizio dell'anno, Steve Kopits dell'azienda di analisi del mercato energetico Douglas-Westwood stimava che i costi stavano crescendo di quasi l'11% all'anno). In breve, durante gli ultimi decenni l'industria petrolifera è entrata in un nuovo regime di costi di produzione più alti, di crescita dell'offerta più lente, di declino della qualità delle risorse e di prezzi più alti. Questo importantissimo contesto è ampiamente assente da gran parte delle storie mediatiche sul crollo del prezzo, ma senza questo gli eventi recenti sono inintelligibili. Se l'attuale mercato petrolifero può essere descritto come in uno stato di “sovrabbondanza”, ciò significa semplicemente che in questo momento, e a questo prezzo, sono disponibili più venditori che compratori. Non dovrebbe essere presa come un'indicazione fondamentale o a lungo termine dell'abbondanza di risorse.

2. Ci vince e chi perde a breve termine?

Gail Tverberg fa un lavoro eccellente di presa in giro delle probabili conseguenze del crollo del prezzo del petrolio qui. Per gli Stati Uniti, ci saranno benefici tangibili dal crollo del prezzo della benzina: i motoristi ora hanno più soldi nelle loro tasche da spendere nei regali di Natale. Tuttavia, ci sono anche pericoli provenienti dal crollo del prezzo e più a lungo i prezzi rimangono bassi, più alto è il rischio. Negli ultimi 5 anni, il tight oil e il gas di scisto sono stati motori significativi della crescita dell'economia americana, aggiungendo da 300 a 400 miliardi di dollari all'anno al PIL. Gli stati con giacimenti attivi di scisto hanno visto un aumento significativo di posti di lavoro, mentre il resto della nazione si è arrabattata. Il boom dello scisto sembra essere il risultato di una combinazione di alti prezzi del petrolio e finanza facile: con la Fed che mantiene gli interessi vicini allo zero, il bilancio delle piccole società di petrolio e gas sono state in grado di prendersi una quantità enorme di debito per poter pagare l'acquisto dei leasing per le trivellazioni, l'affitto delle piattaforme e del costoso processo del fracking. Questo era un affare inconsistente persino in tempi positivi, con molte società che sussistono sulla rivendita di leasing e finanza creativa, mentre non riescono a mostrare un profitto chiaro sulle vendite di prodotto.

Ora, se i prezzi rimangono bassi, gran parte di queste società ridurranno le trivellazioni ed alcune spariranno del tutto. La disfatta del prezzo sta colpendo la Russia forse più rapidamente e più duramente di qualsiasi altra nazione. Quel paese è (nella maggior parte dei mesi) il più grande produttore del mondo e il petrolio e il gas costituiscono la sua maggiore fonte di introiti. In conseguenza del collasso dei prezzi e delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti, il rublo è sprofondato. Sul breve termine, le società di petrolio e gas russe sono in qualche modo protette dall'impatto: guadagnano dollari di alto valore dalle vendite dei loro prodotti mentre pagano le spese in rubli che hanno perso circa la metà del loro valore (in confronto al dollaro) negli ultimi cinque mesi. Ma per i russi medi e per il governo nazionale, questi sono tempi difficili. C'è almeno una possibilità che il collasso del prezzo del petrolio abbia un significato geopolitico importante. Gli Stati Uniti e la Russia sono impegnati in ciò che non si può definire nient'altro che una guerra di basso livello per l'Ucraina: Mosca è risentita per quelli che vede come sforzi di strappare quel paese dalla sua orbita e di circondare la Russia di basi NATO. A Washington, nel frattempo, piacerebbe alienare l'Europa dalla Russia, scongiurando così un'integrazione economica in Eurasia (che, se dovesse accadere, minerebbe lo stato di “unica superpotenza” dell'America – vedete questa discussione). Washington vede anche l'annessione della Crimea da parte della Russia come violazione degli accordi internazionali.

Alcuni sostengono che la disfatta del prezzo del petrolio sia il risultato della richiesta di Washington all'Arabia saudita di inondare il mercato di modo da colpire l'economia russa, neutralizzando così la resistenza di Mosca all'accerchiamento della NATO (anche se al prezzo di perdite a breve termine per l'industria del tight oil statunitense). La Russia ha recentemente cementato legami energetici ed economici più stretti con la Cina, forse in parte in risposta, in vista del secondo sviluppo, la decisione saudita di vendere petrolio alla Cina con lo sconto potrebbe essere spiegata come un altro tentativo di Washington (attraverso il suo mandatario dell'OPEC) di evitare un'integrazione economica eurasiatica. Altre nazioni esportatrici di petrolio con un prezzo di pareggio alto – in particolare Venezuela ed Iran, a loro volta nell'elenco dei nemici di Washington – sono ugualmente vivendo il collasso del prezzo come una catastrofe economica. Ma il dolore è ampiamente diffuso: la Nigeria ha dovuto riscrivere il proprio bilancio per il prossimo anno e la produzione del Mare del Nord si sta avvicinando al punto di collasso. Gli eventi si stanno dispiegando molto rapidamente e le pressioni economiche e geopolitiche si stanno accumulando. Storicamente, circostanze come queste hanno a volte portato a grandi conflitti aperti, anche se una guerra aperta fra Stati Uniti e Russia rimane impensabile a causa dei deterrenti nucleari che entrambe le nazioni possiedono. Se di fatto qui ci sono all'opera elementi di un intrigo geopolitico condotto dagli Stati Uniti (e certamente su questo c'è molta speculazione), questi rischiano seriamente un ritorno di fiamma: il crollo del prezzo del petrolio sembra che stia facendo scoppiare la bolla delle obbligazioni spazzatura ad alto rendimento legate all'energia che, insieme con l'aumento della produzione, hanno aiutato ad alimentare la “ripresa” dell'economia americana e potrebbe risultare non solo in licenziamenti in tutta l'industria energetica, ma in un contagio di paura nel settore bancario. Quindi le conseguenze finali del collasso del prezzo potrebbero contemplare un panico finanziario globale (John Michael Greer pone questa possibilità in modo persuasivo e, come sempre, in modo molto accattivante), anche se è presto per considerare questo come un qualcosa di più di una possibilità.

3. Quali saranno gli impatti per la produzione di petrolio?

In realtà ci sono buone notizie per l'industria petrolifera in tutto questo: i costi di produzione diminuiranno quasi certamente durante i prossimi mesi. Le società taglieranno le spese ovunque sia possibile (attenti, manager di medio livello!). Essendo gli impianti di trivellazione inattivi, i costi degli stessi diminuiranno. Visto che il prezzo del petrolio è un ingrediente nel prezzo come tutto il resto, il petrolio più a buon mercato ridurrà i costi della logistica e del trasporto di petrolio col treno e con le autobotti. I produttori rinvieranno gli investimenti. Le società si concentreranno solo sulle aree di trivellazione più produttive e a costo minore e ciò diminuirà ancora i costi medi dell'industria. In breve, l'industria si farà pubblicità verso gli investitori come di nuovo pronta all'impegno. Ma la principale ragione sottostante per la quale i costi stavano aumentando durante lo scorso decennio – declino della qualità delle risorse mentre le riserve di petrolio convenzionale più vecchie si prosciugano – non è scomparsa. E quelle aree di trivellazione più produttive e a costo minore (conosciute anche come “sweet spots”) sono limitate in dimensione e numero. L'industria sta facendo buon viso a cattivo gioco, per una buona ragione. Le società coinvolte nel rattoppo dello scisto hanno bisogno di sembrare redditizie per impedire che il valore delle loro obbligazioni evapori. La grandi società petrolifere si sono tenute ben alla larga dall'impegnarsi nel boom del tight oil. Ciononostante, i prezzi bassi le costringeranno a loro volta a ridurre gli investimenti “upstream” (a monte) .

Le trivellazioni non cesseranno, si limiteranno a contrarsi (il numero di permessi per di nuovi pozzi di petrolio e gas statunitensi pubblicato a novembre è crollato del 40% dal mese precedente). Molte società non hanno scelta se non quella di continuare a perseguire progetti per i quali hanno già impegnato dei finanziamenti, così non vedremo un declino sostanziale della produzione per diversi mesi. La produzione delle sabbie bituminose del Canada probabilmente continuerà al suo ritmo attuale, ma non si espanderà, visto che i nuovi progetti richiederanno un prezzo del petrolio al livello attuale o più alto per il pareggio. Come mostra l'analisi di David Hughes del Post Carbon Institute, anche senza il collasso del prezzo la produzione nei giacimenti di Bakken ed Eagle Ford era prevista raggiungere il picco e ad iniziare un netto declino entro due o tre anni. Il collasso del prezzo può solo inasprire l'inevitabile punto di inflessione. Quanto e quanto rapidamente diminuirà la produzione mondiale di petrolio? Euan Mearns offre tre scenari. Nel più probabile dei tre (a suo modo di vedere), la capacità mondiale di produzione si contrarrà di circa due milioni di barili al giorno nei prossimi due anni in conseguenza al collasso del prezzo. Potremmo essere testimoni di una delle piccole ironie della storia: l'inizio storico di un declino inevitabile, generalizzato e persistente della produzione mondiale di combustibili liquidi potrebbe essere inaugurato non dai prezzi del petrolio alle stelle come quello cui abbiamo assistito negli anni 70 o nel 2008, ma da un collasso del prezzo che alcuni sapientoni stanno rigirando come la morte del "picco del petrolio". Nel frattempo, i pericoli economici e geopolitici del dispiegamento della disfatta del prezzo del petrolio fa risuonare le aspettative di business as usual per il 2015 piuttosto vuote.