Tutti abbiamo sentito
parlare degli Amish, per lo più come di una comunità folcloristica che vive in
America rispettando usi e tradizioni di alcuni secoli fa.
Sappiamo che rifiutano il
progresso, che si spostano usando calessi trainati da cavalli e che si vestono
in modo eccentrico.
In genere le nostre
conoscenze di questo popolo non vanno molto più in là.
Credo invece che la loro
stessa esistenza e resistenza in pieno XXI secolo meritino un doveroso approfondimento,
non fosse altro come testimonianza del fatto che è possibile vivere consumando
poco e rispettando la natura nel bel mezzo degli Stati Uniti d’America, e non
in una remota landa della foresta pluviale brasiliana.
A chi volesse effettuare
questo approfondimento consiglierei di leggere il libro di Jacques Légeret “Amish,
una comunità fuori dal tempo” (Claudiana Editrice) e quello di Andrea
Borella “Amish” (Xenia Edizioni). Nel web sono disponibili anche numerosi
siti sull’argomento e qualche film (tra cui il famoso “Witness” del 1985).
Il quadro risultante è di
estremo interesse.
Innanzitutto, i numeri.
Stiamo parlando di una popolazione di oltre 300 mila individui, distribuita in
decine di Stati USA. La gran parte in Indiana, Ohio e Pennsylvania (qui si
trova uno dei nuclei più consistenti, nella contea di Lancaster, a soli 250 km.
da New York).
Non sono numeri eclatanti,
ma sufficienti a far ritenere gli Amish qualcosa di ben diverso da un semplice fenomeno
di costume. Il loro tasso di crescita demografica, oltretutto, è assai elevato,
uno dei maggiori in assoluto: ogni coppia Amish mette al mondo una media di 7 –
8 figli.
Ma che non si tratti di un
semplice fenomeno di costume lo testimonia anche tutta la storia degli Amish
che affonda le sue origini nell’Europa di fine XVII secolo e, ancor prima, nel
movimento anabattista del XVI secolo.
Non è il caso qui di
scendere nei dettagli di queste origini, basti dire che l’anabattismo nacque
dal rifiuto di elargire il battesimo ai neonati, riservando la celebrazione di
questo sacramento ai soli adulti consenzienti.
Al giorno d’oggi, nella
nostra società secolarizzata, questa controversia può apparire banale, ma all’epoca
fu sufficiente a scatenare una vera e propria persecuzione contro i sostenitori
di questa tesi (e di altre, tra cui l’egualitarismo e il disconoscimento delle
autorità ecclesiastiche) e contro i vari movimenti che nacquero dalle scissioni
prodottesi in seno all’anabattismo.
Una di queste, promossa da
un vescovo svizzero di nome Jacob Ammann, diede vita al movimento Amish.
I seguaci Ammann, come
quelli di Menno Simons (i Mennoniti), per sfuggire alle persecuzioni emigrarono
a partire dal 1720 nel Nuovo Mondo, quell’America che era ancora una colonia
inglese, ma nella quale vi erano enormi spazi in cui insediarsi.
Negli anni successivi l’ondata
migratoria proseguì, al punto che in Europa non rimase nessun Amish.
Nelle nuove terre, il
movimento si mantenne coeso, conservando tutta una serie di tradizioni
religiose e sociali, a partire da una particolare lingua, il Pennsyilvania Dutch,
sviluppatasi nell’America del XVIII secolo a seguito dell’immigrazione di
decine di migliaia di persone di lingua tedesca.
La fonte principale di
sostentamento di questo popolo è sempre stata l’agricoltura, attività nella
quale gli Amish eccellono; nel praticarla utilizzano attrezzi e tecniche di
secoli addietro e questa particolarità mi consente di introdurre l’argomento
che vorrei maggiormente approfondire nel limitato spazio di un articolo, e cioè
il rifiuto della modernità e del consumismo da parte degli Amish.
Per dissodare i campi
usano un aratro trainato da un cavallo. “Per gli Amish soltanto il lavoro
con il cavallo permette all’uomo di “rispettare” la terra, perché il trattore “schiaccia”
troppo il suolo e non rispetta l’equilibrio divino.” (Jacques Légeret,
cit., p. 129) Anche l’uso di fertilizzanti e pesticidi è ridotto al minimo.
Ovunque possibile sono privilegiati i rimedi naturali.
Analogo discorso vale per
tutte le altre attività produttive, relativamente alle quali gli attrezzi e le
procedure manuali sono preferiti a quelli automatici.
Ma il rifiuto della
modernità e della mondanità è ben più radicale, giunge a rigettare l’uso dell’elettricità
pubblica. Per illuminare le case usano candele o lampade a olio o altri combustibili,
per riscaldarsi accendono camini e stufe.
Se devono utilizzare per motivi
particolari e inderogabili una fonte di energia elettrica, fanno ricorso a piccoli
generatori autonomi che installano a una certa distanza dalla casa.
La mancanza del collegamento
alla rete elettrica comporta il non utilizzo di televisione, radio e computer.
Ma la rinuncia a questi strumenti
non è una questione puramente tecnica. In una delle periodiche riunioni per
valutare l’impatto delle nuove tecnologie sulla vita della comunità, i
maggiorenti Amish con potere decisionale tanti anni fa stabilirono che portare
nelle case dei fedeli i messaggi della radio (e poi quelli della televisione, e
poi ancora quelli di internet) avrebbe costituito un grave pericolo per la saldezza
dei principi religiosi e morali del popolo Amish.
Essi temono i contatti con
il mondo esterno, vedono come la vita degli “inglesi” (così chiamano gli
americani e tutti gli altri stranieri) sia stressante, piena di preoccupazioni,
banale, e cercano il più possibile di restarne lontani.
Non usano tutti quegli
elettrodomestici e strumenti che funzionano con la corrente elettrica, dalla
lavatrice alla lavapiatti, dall’aspirapolvere al frullatore, né quelli che
funzionano con motore a scoppio, a iniziare dall’automobile fino alla gran
parte degli strumenti agricoli.
La rinuncia all’automobile
ha tanti significati: il non volersi allontanare dalla propria comunità, il dispregio
per il mito della velocità, il non voler competere con chicchessia relativamente
al modello di veicolo posseduto e così via.
Laddove vi sia una grave
necessità di raggiungere luoghi lontani, gli Amish possono prendere il treno, l’autobus
o un’auto a noleggio con conducente.
Conoscono le tecnologie
più moderne e non escludono, in casi eccezionali, di farvi ricorso, ma non
intendono utilizzarle nella quotidianità, ritenendosi soddisfatti di ciò che
hanno e della vita che conducono.
Potrei elencare tante altre
particolarità interessanti del popolo Amish, ma lo scopo di questo articolo è un
altro, rispondere alla seguente domanda: è possibile esportare il modello
sociale e comportamentale degli Amish in altri contesti, in modo da rallentare
la folle corsa verso il disastro che contraddistingue la nostra era?
Gli Amish sono l’esempio di
come sia possibile vivere bene consumando poco (e avendo quindi un’impronta
ecologica assai leggera) nel bel mezzo del Paese più consumista del mondo.
Da noi e in tanti altri
Paesi esistono movimenti che predicano la cosiddetta decrescita, ma hanno scarso
seguito nonostante propongano uno stile di vita ben meno rigoroso di quello
degli Amish.
Perché questa illogicità?
A mio avviso i motivi sono due.
1) Il fattore religioso.
Tutta la vita degli Amish ruota intorno alla fede in Dio, al rispetto delle
tradizioni religiose ereditate dagli antenati e alla lettura e interpretazione
della Bibbia condivise dalla comunità;
2) Il fattore sociologico.
La rinuncia alle comodità offerte dal progresso tecnologico affrontata all’interno
di un gruppo omogeneo di persone che parlano la stessa lingua, vestono i
medesimi abiti e condividono le stesse abitudini, è più facilmente sostenibile
di altre rinunce, magari più blande, ma da affrontare individualmente all’interno
di una società che non le condivide.
Come fare dunque per
convincere l’uomo contemporaneo a consumare meno e ad assumere uno stile di
vita analogo a quello del popolo Amish?
Riportare in auge il
vecchio Dio è impresa impossibile. Una volta che la ragione ha scalzato la
fede, a quest’ultima rimane ben poca voce in capitolo e viene ascoltata da un
numero sempre più ristretto di persone. Per mantenersi in vita, la fede deve
scendere a compromessi continui, accettando le novità tecnologiche imposta
dalla società dei consumi (con la solita scusa che non è lo strumento in sé a
essere cattivo, ma l’uso che se ne fa …).
Dunque la ragione ha
prevalso e l’“isola” Amish può sopravvivere proprio in quanto “isola”.
Ma l’assunzione di stili
di vita meno consumistici non è un “optional”. Se vogliamo che la nostra specie
(insieme alle altre) viva un po' più a lungo su questo pianeta, volenti o
nolenti dovremo rinunciare a tanti gingilli tecnologici che oggi ci
appassionano.
E se la riflessione
individuale non è sufficiente a portarci in questa direzione, allora forse una
teoria come il Cancrismo può aiutarci nell’intento.
Avere la consapevolezza di
rappresentare per la biosfera una sorta di malattia, di disfunzione, può essere
la molla in grado di far scattare in noi il desiderio di devastare meno l’ambiente
e di preservare un po' di più la natura.
Ma questo è un altro
discorso, da sviluppare in altra sede.