Cercando le tracce della nascita della nostra civiltà, mi sono fatto l’idea che questa sia stata concepita sostanzialmente in casa di Bacone e sia poi stata portata in grembo da Galileo e Descartes, fra gli altri. Nacque, direi, a cavallo della manica, nella seconda metà del XVIII secolo con l’aiuto di molte levatrici, fra cui le più importanti furono, forse, Adam Smith, Diderot e Condorcet. Nel frattempo, Voltaire e l’intera fratellanza massonica si impegnavano a diffondere la nuova utopia del Progresso. Un concetto del tutto nuovo per quei tempi e foriero di immense conseguenze.
Appena battezzato da Condorcet, il bimbo ebbe però una grave malattia che rischiò di spacciarlo: il romanticismo. Tuttavia sopravvisse, dimostrando quella straordinaria resilienza e plasticità che sono necessarie affinché un concetto possa divenire il mito fondante di un’intera civiltà.
Uno che lo aiutò moltissimo in questo periodo particolare fu un altro aristocratico francese: Claude-Henri de Rouvroy, conte di Saint-Simon (1760 – 1825). Un personaggio singolare che merita di essere conosciuto.
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Potrebbe essere il ritratto di un qualunque furbo, ed invece stiamo parlando di uno dei grandi idealisti del XIX secolo ispiratore, fra gli altri, di nientedimeno che Karl Marx. Qui mi interessa perché fu anche il padre (o forse meglio dire nonno) di un passaggio cruciale della nostra civiltà: la nascita del Positivismo.
Già durante la Rivoluzione Francese un nutrito gruppo di illuministi “d’assalto” avevano inteso tributare un culto religioso alla “Dea Ragione”: divinizzazione dell’intelletto umano. Una vera e propria funzione si svolse a Notre Dame di Parigi, con tanto di ragazza in costume da Pallade Atena. Una carnevalata che non fu replicata, ma l’idea che la mente umana fosse la vera divinità cui fare riferimento rimase e trovò altri modi per affermarsi. Uno che fece molto in questo senso fu proprio il conte di Saint-Simon.
Dotato di una cultura scientifica eclettica, ancorché superficiale, Saint-Simon era infatti un autentico “fan” della scienza moderna, fino a vagheggiare apertamente di tributarle un vero culto. La legge di gravitazione Universale di Newton per lui era l’equivalente della Sacra Scrittura per i cristiani. Anzi di più: era Dio stesso. Saint-Simon fu il primo a dire chiaro e tondo che ogni decisione politica doveva essere presa sulla base di una rigorosa analisi scientifica e che, su questa base, lo Stato doveva unicamente sviluppare l’economia, l’industria e la meccanizzazione. Tre aspetti di un unico processo che avrebbe immancabilmente portato al benessere per tutti, all’eliminazione delle ingiustizie, eccetera. In pratica rilanciando in stile romantico lo stesso copione utopico che era stato degli illuministi e che fu poi fatto proprio tanto dai liberali, quanto dai socialisti. Non a caso, questo “aristò” riciclatosi industriale fu l’unico personaggio a ricevere onori postumi contemporaneamente in USA ed URSS.
Sul piano scientifico, il conte ebbe un’intuizione importante, che ancora oggi sta alla base di molte realizzazioni rilevanti. Da imprenditore intelligente qual’era, capì che per garantire lo sviluppo dell’economia e dell’industria era necessario che strade, ferrovie e canali costituissero un sistema integrato, analogo al sistema circolatorio in un organismo. Un concetto che è andato molto lontano. Non solo i canali di Suez e di Panama (fra gli altri) furono opera di suoi seguaci, ma la teoria delle reti è oggi un settore di ricerca vivacissimo. Credo proprio che se Saint-Simon potesse vedere internet penserebbe di aver raggiunto il paradiso.
Un altro punto cardinale per lui era l’eliminazione dei parassiti sociali, identificati con i redditieri, i preti ed i militari. Un altro dei punti su cui il nostro gode tuttora di un ampio seguito. Secondo il suo modo di vedere, il vertice della società spettava agli scienziati che dovevano costituire una sorta di clero laico, incaricato di compulsare costantemente la natura alla ricerca di nuove scoperte per spingere la gioiosa macchina del progresso verso sempre più elevate vette. Viceversa, l’amministrazione doveva essere appannaggio degli industriali, dei mercanti e dei banchieri i quali avrebbero sicuramente provveduto ad evitare la dilapidazione di risorse in attività inutili, così come avrebbero evitato accuratamente ogni guerra e scontro sociale per il semplice fatto che queste cose non convengono a nessuno.
Oggi è facile sorridere di queste idee e, a dire il vero, nell'ultimo periodo della sua vita anche Saint Simon si rese conto che l’interesse privato non era sufficiente a garantire la prosperità e la pace comune. Andò quindi alla ricerca di un’etica più profonda che trovò, o pensò di trovare, in una versione profondamente rimaneggiata del cristianesimo. Riforma che teorizzo e descrisse nelle sue ultime opere.
Saint-Simon ebbe un enorme seguito e la sua influenza, più o meno diretta, risulta evidente ancora oggi in moti ambienti. Ma ancor più di lui ebbe influenza un altro augusto conte, stavolta per nome e non per tutolo. Intendo Auguste Comte (1798 - 1856), che per circa sei anni fu segretario personale del conte.
Ancor più di Saint Simon, Comte spinse agli estremi la concezione romantica della scienza come valore assoluto; strumento di riscatto e sublimazione definitiva dell’Uomo. Ma se la scienza voleva essere degna di tanto onore, doveva evitare accuratamente alcune tendenze che, già allora, si manifestavano. Non doveva infatti suddividersi in specializzazioni: sei e solo sei dovevano essere le scienze e nessuna contaminazione fra queste doveva essere ammessa.
La sociologia era la scienza suprema, articolata in “statica” e “dinamica” sulla falsariga della meccanica newtoniana. La Sociologia statica era fondata sul concetto di “Ordine” e doveva studiare le cause del disordine sociale e, dunque, i modi per prevenirlo. La Sociologia dinamica doveva invece dare attuazione al concetto di “Progresso”, inteso come destino ineluttabile e ragion d’essere di un’umanità divinizzata.
A tal fine, gli scienziati non dovevano sprecare tempo e risorse a ricercare il “PERCHÉ” avvengono i fenomeni in quanto dietro ogni causa se ne cela sempre un altra, all’infinito. In uno spirito di sobria economia, Il compito della scienza era solo quello di capire “COME” avvengono i fenomeni che ci riguardano e, dunque, come si possono manipolare a nostro vantaggio.
Nelle sue opere più mature, pensò anche che una fede religiosa fosse necessaria per il buon ordine della società positiva. Si inventò dunque a tavolino una vera e propria dottrina religiosa devoluta all'Umanità, chiamata “Grande Essere”. Una sorta del Leviatano di Hobbes, ma dotato di una dimensione storica e sacrale del tutto nuova.
Al di la dei dettagli del culto immaginato da Comte, il Positivismo ebbe un’importanza determinante sul successivo sviluppo della civiltà europea prima, e mondiale poi. In particolare, ebbe grande seguito la tripartizione della storia del pensiero umano in fasi: teologica (ovvero fittizia), metafisica (o astratta) e scientifica (o positiva). La prima sarebbe caratteristica dei popoli primitivi che, non capendo niente di quello che gli succede intorno, si immaginano degli esseri sovrannaturali che fanno e disfano. Nella fase metafisica la gente, già un po’ più sveglia, sostituisce gli Dei con dei concetti astratti come l’Essere o la Natura. Nella fase scientifica, finalmente, la realtà si schiude all’occhio umano per quello che è e l’umanità apprende a dominare la natura.
L’idea che la civiltà industriale europea fosse superiore a tutte le altre in quanto più “avanzata” ha radice soprattutto negli scritti polemici di Voltaire, ma Comte portò l’idea a sistema. E come sistema è ancora alla radice del nostro modo di vedere noi stessi. Di qui, ad esempio, la nostra classificazione dei popoli in “sviluppati”, “in via di sviluppo” o “sotto-sviluppati” in rapporto a quanto distano da noi: astro fulgente cui tutti, necessariamente, tendono.
Difficile immaginare qualcosa di più lontano dal “Noi moderni siamo nani assisi sulle spalle di giganti” di uno scienziato del calibro di Blaise Pascal. Va detto, del resto, che Comte non era uno scienziato e che, per sua stessa dichiarazione, praticava una rigida “igiene mentale”. Vale a dire che leggeva pochissimo di ciò che non era in linea con le sue idee. Evidentemente neanche i classici, visto che per cambiare idea gli sarebbe bastato leggere un qualunque autore antico. Magari solo “nuvole”, in cui Aristofane si fa beffe, fra gli altri, di un sempliciotto che crede che “a far piovere sia Zeus pisciando nel crivello”.
Ciò nondimeno, le idee basilari di Comte ebbero un’immensa eco e si concrezionarono nei manuali scolastici, così come in molte ideologie politiche. Ancora i miei figli, pochi lustri addietro, tornavano da scuola raccontando, assai poco convinti, che i maestri gli avevano spiegato di come gli antichi, nella loro ignoranza, pesassero che la pioggia fosse l’urina di Zeus e simili amenità. Che in tempi più moderni i filosofi avevano cercato di spiegare razionalmente il mondo, ma che solo la scienza moderna era stata in grado di svelare ogni segreto e porre finalmente la natura al servizio dell’uomo.
Insomma, anche se la scienza non cessa di smentire il Positivismo, questo continua ad informare di sé gran parte della scienza odierna e l'intera nostra civiltà. Tanto che quando gli scienziati dicono cosa NON si deve fare e perché vengono perlopiù ignorati (o marginalizzati). Compito della scienza, si sa, è scoprire come dominare sempre meglio e sempre più i fenomeni naturali, non certo quello di porre dei limiti al Progresso!
Ma spesso un eccesso ne provoca un altro di segno opposto. E, difatti, proprio negli stessi anni in cui si esaltava il ruolo sommamente “positivo” della scienza, nasceva dalla penna di una donna, Mary Shelley, la figura dello “scienziato pazzo”. Una contro-narrativa non meno fantasiosa e potente di quella di Comte e, come quella, destinata ad avere un peso nella nostra civiltà.