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lunedì 6 luglio 2020

Energia e infrastrutture: chi ha diritto di parlare?

L'impianto eolico di Montemigniaio, sull'appennino toscano


In questo testo, il professor Andrea Pase dell'università di Padova ha magistralmente identificato un elemento chiave di un dibattito in corso sull'opportunità di costruire un impianto eolico sull'Appennino. E' una questione che vale per tante altre infrastrutture di utilità pubblica. Chi ha diritto di parlare in proposito? Succede spesso che gli abitanti dei territori interessati si impegnano in una difesa a oltranza di quello che vedono come il "loro" territorio. Ma questo vuol dire che gli altri cittadin italiani, impegnati nella difesa della società che ritengono "civile" non devono avere voce in capitolo? Qui, Pase allarga la sua visione a includere anche quelli che non sono ancora nati, come pure gli orsi polari, i rapaci, e le salamandre, minacciati dal riscaldamento globale che li spazzerà via, come spazzerà via tutti noi se non troviamo il modo di smettere di bruciare i combustibili fossili. Un bellissimo intervento, buona lettura! (UB)




Buonasera Presidente, buonasera a tutte e a tutti.

MI chiamo Andrea Pase. Sono un geografo dell’università di Padova. Mi occupo soprattutto di Africa subsahariana, faccio ricerca nel Sahel: dal Senegal al Sudan, passando per il Mali, il Burkina Faso, il Niger, la Nigeria, il Ciad.

Vi chiederete giustamente perché partecipo a questa inchiesta pubblica, cosa c’entro io con il monte Giogo.

Sono qui per provare a spiegarvelo.

Inizio esprimendo un parere discorde rispetto a quanto affermato nella scorsa seduta, sempre se ho ben capito, dalla collega politologa, professore Donatella Della Porta, quando ha detto che la modalità telematica inficia questa inchiesta pubblica perché permette a tanti, forse a troppi, che non sono abitanti dell’area, di dire la loro. Questo fatto costituirebbe una distorsione profonda del dibattito. Il vero problema è stato così messo sul tavolo: chi veramente ha diritto di esprimersi su questo progetto?

Concordo pienamente invece su un’altra cosa che la collega ha detto: il crinale è un bene comune. Ma che confine ha quel “comune”? Fin dove si estende la comunità di cui stiamo parlando? Riguarda solo chi abita il Mugello, o i due comuni di Vicchio e Dicomano, o addirittura si identifica con gli abitanti di Villore e Corella?

Di chi è il vento che passa sul crinale? A chi appartiene l’acqua che cade sui versanti appenninici?

C’è un problema e il problema è quello della scala: un classico tema geografico.

La scala in realtà crea i fenomeni: la scelta della scala, prima di tutto quella spaziale, è fondamentale nel poter individuare aspetti diversi di una questione, nell’includere o nell’escludere dal computo costi e benefici. Un conto è se si pensa alla scala locale, un altro a quella nazionale e un altro ancora a quella globale.

Le comunità convocate cambiano a seconda della scala scelta. E si tratta di una scelta politica ed etica, oltre che cognitiva.

Poi c’è anche la scala temporale da prendere in considerazione: a chi ci rivolgiamo? Solo a chi vive oggi o anche a chi vivrà domani?

Un capo nigeriano interrogato nel 1912 affermò che la terra appartiene ad una comunità della quale molti membri sono morti, pochi sono vivi e infiniti devono ancora nascere.

Io vorrei convocare in questa inchiesta molte voci che non sono state ancora ascoltate, a scale spaziali e temporali diverse.

Vorrei convocare gli abitanti delle piccole isole oceaniche che l’innalzamento del mare dovuto al riscaldamento climatico rischia di far sparire. Poche persone, mi direte. Bene, allora convoco gli abitanti dei grandi delta fluviali del mondo: del Nilo, del Gange, del Mississippi, dello Yangtse, centinaia di milioni di persone, anch’esse esposte ad inondazioni sempre più frequenti. Poi chiamo a testimoniare le genti del Sahel, i cui volti ho incontrato tante volte. Il cambiamento climatico moltiplica gli eventi atmosferici estremi, le piogge violente e gli intervalli di siccità, complicando la loro già non semplice vita.

Ma poi convoco anche i non umani, e non solo i rapaci e le salamandre degli appennini, convoco gli orsi polari, convoco le centinaia di specie animali e vegetali a rischio di estinzione, per l’impatto del cambiamento climatico. Chiamo a testimoniare anche il mondo inanimato, i ghiacciai che stanno sparendo.

Vorrei, ancora, convocare i nostri nipoti, chi è piccolo e chi non è ancora nato, per chiedergli cosa si aspettano da noi.

Tutto è correlato, non possiamo ritagliare un singolo luogo dal mondo in cui è inserito, dal tempo che attraversa: dobbiamo assumere consapevolezza e responsabilità che ogni scelta, per quanto piccola, ha ripercussioni ad altre scale. Anche la scelta di cui stiamo parlando oggi: vi prego di tenere presente tutti coloro che abbiamo chiamato a testimoniare stasera. Di tener presente le diverse scale spaziali e temporali implicate.

I “conflitti di scala”, come afferma l’antropologo Eriksen, sono inevitabili in un mondo globalizzato: ogni soluzione ha esiti diversi a scale diverse. Non è semplice, ma è indispensabile provare a far dialogare le diverse scale: le emergenze globali e le situazioni locali, i diritti dei viventi e di coloro che ancora devono arrivare su questa nostra terra.

Chiudo dicendovi da dove parlo, ovvero spiegandovi che a un chilometro e mezzo dalla mia abitazione c’è uno dei più grandi impianti di trattamento della parte umida dei rifiuti di tutta la pianura padana. Vi assicuro che, soprattutto d’estate, non è piacevole. Ma gestire i rifiuti è un’altra delle grandi sfide ambientali. Non è comodo avere questo impianto a portata di naso. Devo dirvi che preferirei avere un impianto eolico. Ognuno, però, non può che fare la sua parte.

Sono disponibile ad ogni approfondimento, volentieri venendo di persona a Vicchio e Dicomano, o ancor meglio a Villore e Corella, magari ospite di qualcuno degli abitanti. Come geografo, amo il territorio.

Grazie, buon proseguimento dei lavori.