sabato 14 settembre 2019

Il Potere della Biosfera: Anastassia Makarieva parla della "pompa biotica" a Firenze




https://www.bioticregulation.ru/

Tutto comincia con l'idea di un secolo e mezzo fa, quella dell'"evoluzione per selezione naturale" di Charles Darwin. Era un' "idea pericolosa" secondo Daniel Dennett, ma non c'era niente di pericoloso nel darwinismo, a meno di non capirlo male. E lo sappiamo come è stato capito male dai vari suprematisti, razzisti, bianco-superioristi, eccetera. Ma l'idea di Darwin era semplice e ovvia: la biosfera non è statica, ma si adatta ai cambiamenti dell'ecosistema. Tutto qui. Non c'è nessuna specie nella biosfera che sia superiore ad altre specie, non c'è nessun movimento collettivo verso un qualche tipo di "progresso" -- niente del genere. Tutto cambia per mantenere la biosfera viva.

Fra le altre cose, quello di Darwin è stato il primo tentativo di capire il funzionamento dei sistemi complessi -- fra i quali uno dei più complessi è l'ecosistema. Curiosamente, il cervello umano, esso stesso un sistema complesso, si trova spesso in difficoltà a capire i sistemi complessi, ci deve essere qualche ragione profonda ma non entriamo in questo argomento.

Piuttosto, i concetti proposti da Darwin si sono anche loro evoluti -- ovvero adattati -- alle conoscenze che via via si sono accumulate su come funziona l'ecosfera. E stiamo cominciando a capire che l'idea di Darwin - la biosfera si adatta ai cambiamenti -- è troppo semplice. Non è così che funzionano i sistemi complessi. Funzionano attraverso quei meccanismi che chiamiamo feedback, dove ogni elemento del sistema ne influenza altri.

Qui, il passo in avanti è arrivato da James Lovelock e Lynn Margulis con il loro concetto di Gaia. un nome che descrive il fatto che la biosfera si adatta ai cambiamenti dell'ecosistema e allo stesso tempo genera cambiamenti nell'ecosistema. L'adattamento è reciproco e biunivoco. Feedback, in sostanza.

Il concetto di Gaia è sotto certi aspetti ancora più pericoloso di quello dell'evoluzione Darwiniana, al solito se lo capisci al contrario. Lo si può usare come una facile scusa per dire che qualsiasi cosa di orribile facciamo all'ecosistema, tanto ci pensa mamma Gaia a rimettere tutto a posto. Eh, si, magari...  Ma, più che altro, sembra che l'idea sia totalmente aliena al dibattito corrente dove gli opinion leader sono del tutto incapaci di capire il concetto di autoregolazione dell'ecosistema (ovvero, Gaia). Il dibattito viene spezzettato in idee incoerenti e parzialmente (o totalmente) incompatibili l'una con l'altra. Un buon esempio è quello che si sta facendo in Toscana dichiarando l'emergenza climatica e allo stesso tempo promuovendo la costruzione di un nuovo aeroporto internazionale a Firenze. Proprio, non ce la facciamo. (Non gne a famo, usando un altro dialetto).

Ma se riuscite a capirle, queste idee sono potentissime. Se mai riusciremo a renderle parte della cultura corrente ci offrono la possibilità di manovrare l'azione umana all'interno della biosfera e dell'ecosfera, come minimo limitando i danni, se possibile in armonia reciproca. Al momento sembra totalmente impossibile, ma tutto cambia e chi non si adatta sparisce -- come ci ha insegnato Darwin per primo.

Veniamo ora al lavoro di Gorshkov, Makarieva, e altri, che nel corso di alcuni decenni hanno sviluppato il concetto che chiamano "regolazione biotica" -- è un concetto molto simile a quello proposto a suo tempo da Lovelock e Margulis, anche se Makarieva e Gorshkov ci tengono a far notare che non è la stessa cosa: certe volte (ma erroneamente) Gaia viene capita come un "superorganismo," una forma di vita biologica. Non lo è ma non entriamo in questo argomento.

Il concetto di biotic regulation è una profonda sintesi di come funziona la biosfera che enfatizza il potere di regolazione sull'ecosistema, tale da mantenere le condizioni planetari nei limiti che consentono alla vita biologica di sopravvivere. Da questo concetto arriva l'idea che lo squilibrio ecosistemico che chiamiamo "cambiamento climatico" è causato soltanto in parte dalle emissioni di CO2. Un altro fattore importante (forse anche più importante) è la deforestazione in corso.  

Questa è, ovviamente, una posizione controversa -- per non dire eretica. Giusto la settimana scorsa leggevo un commento di un climatologo italiano che diceva esplicitamente "La crisi climatica NON è causata dalla mancanza di alberi." Questa sembrerebbe essere tuttora l'opinione prevalente fra i climatologi in occidente, nonostante esistano studi (vedi per esempio questo articolo su Science del 2016) che dimostrano esattamente il contrario. Le foreste raffreddano la Terra non solo sequestrando carbonio in forma di biomassa, ma per un effetto biodinamico correlato all'evapotraspirazione. Ovvero, l'acqua evapora a bassa quota provocando raffreddamento. Restituisce il calore quando condensa in forma di nuvole, ma le emissioni in quota si disperdono più facilmente verso lo spazio perché il gas serra principale, l'acqua, esiste in concentrazioni molto ridotte.

Qui, si innesta il concetto sviluppato da Gorshkov e Makarieva nel 2012, quello della pompa biotica, ovvero che le foreste agiscono come "sistemi di pompaggio planetari" che portano l'acqua dall'atmosfera sopra gli oceani fino a migliaia di chilometri all'interno dei continenti. Il meccanismo proposto da Gorshkov e Makarieva è controverso, ma evidentemente ci deve essere per forza qualche cosa che porta l'acqua all'interno dei continenti.

Ora, tutto dipende da fattori quantitativi ancora poco noti. Ma se è vero che il clima è legato in modo importante alle foreste, e di conseguenza alla pompa biotica, deforestando, come sta succedendo in Amazzonia, stiamo distruggendo uno dei meccanismi fondamentali di autoregolazione dell'ecosistema terrestre. In altre parole, non è sufficiente tagliare le emissioni di CO2 da combustibili fossili, ma occorre anche ricostituire le foreste in una forma integra: altri tipi di piantagione non hanno lo stesso effetto.

Questo argomento preoccupa alcuni ricercatori russi che hanno prodotto un documento (completamente ignorato in Occidente) in cui raccomandano la cura e il mantenimento degli ecosistemi naturali, in particolare le foreste, come il modo principale per combattere la degradazione climatica e generalizzata dell'ecosistema terrestre dove prendono una posizione simile a quella del recente articolo di Franzen in the New Yorker, "what if we stopped pretending?" ovvero che non riusciremo a fermare l'uso dei combustibili fossili in tempo utile. I ricercatori russi sostengono invece che:

Nell'attuale situazione, è necessario un approccio complesso ai problemi climatici - quello non limitato ai tentativi di contenere le emissioni antropogeniche di anidride carbonica come una transizione verso fonti di energia rinnovabile, la rimozione dell'anidride carbonica già accumulata dall'atmosfera con mezzi tecnologici ecc. L'approccio complesso deve includere il ripristino e la protezione dei sistemi naturali come misura principale, poiché il loro degrado può portare a un collasso climatico indipendentemente dal fatto che la combustione di combustibili fossili continui o meno. Qualsiasi soluzione strategica considerevole richiederà enormi risorse all'umanità. Pertanto, tali soluzioni dovrebbero essere reciprocamente coerenti, altrimenti la situazione climatica si aggraverà (ad esempio, aumentare la produzione di biocarburanti può portare a un'intensificazione della deforestazione).

Qui c'è un problema ovvio. In questo momento, qualsiasi cosa arrivi dalla Russia viene considerata come propaganda, se non direttamente roba contaminata dal Novichok. Quindi, la prima reazione, a pelle, è di tipo ideologico: siccome ci hanno raccontato che la Russia è poco più di una stazione di servizio mascherata da stato, ne consegue che questo documento è solo un trucco per mantenere i profitti degli oligarchi petroliferi russi e del loro grande capo, l'arcicattivo Vladimir Putin.

Siamo sicuri però che non abbiano invece ragione loro? Ovvero che non è solo un problema di CO2 ma anche di altri fattori? Non è che abbiamo bisogno di un cambiamento radicale di strategia invece di insistere con le "soluzioni" proposte fino ad ora, tipo la carbon tax? Di questo, ne parliamo con Anastassia Makarieva a Firenze il 17 Settembre. E vediamo se riusciamo a capirci: ne va della sopravvivenza di un intero ecosistema planetario.





sabato 7 settembre 2019

Emergenza climatica, e poi?


di Jacopo Simonetta

Sull’onda delle proteste di piazza, un numero crescente di governi e di amministrazioni sta formalmente dichiarando la stato di “Emergenza Climatica”.  Bene, ma poi?

“Stato di Emergenza” significa che la collettività deve affrontare un pericolo troppo grande e immediato per potersi permettere di continuare a funzionare secondo le proprie consuetudini.  I normali processi decisionali ed i diritti individuali sono quindi ridotti o sospesi per permettere ad un autorità investita di poteri straordinari di prendere decisioni anche estreme senza doverle passare al vaglio degli organi istituzionali e dell’apprezzamento popolare.  Un po’ come quando nella Roma repubblicana si nominava un “dictator” che per un massimo di 6 mesi decideva il da farsi senza dover rendere conto a nessuno; nemmeno ai consoli ed ai senatori che lo avevano nominato.

Nel nostro caso, vorrebbe quindi significare che governi ed amministrazioni nominano dei commissari che dall’oggi al domani impongono provvedimenti atti a limitare il peggioramento del clima ed a ridurre le emissioni di CO2 e dintorni.  Ma non sta accadendo, anzi.   Molte delle amministrazioni che hanno formalizzato la dichiarazione di “Emergenza Climatica” stanno poi lavorando attivamente non per mitigare, ma per peggiorare il più rapidamente possibile la situazione.  Per esempio, l’ amministrazione regionale toscana sta alacremente smantellando le aree protette, sviluppando l’industria del cippato e delle cave, vuole ampliare l’aeroporto di Firenze e molto altro ancora.   In effetti, è nocivo al clima ogni sindaco che abbatta alberature invece di piantarne, che permetta di estendere la superficie urbanizzata invece di ridurla e via di seguito.

Dunque, se vogliamo evitare che l’intera faccenda si risolva in un nuovo giro di “greenwashing” analogo a quelli che, nei decenni scorsi, hanno svuotato di significato tutti gli slogan e le proposte degli ambientalisti, bisogna essere pronti a fare richieste precise agli amministratori ed a sbugiardarli pubblicamente se non le ottemperano.   Ma quali richieste si possono fare che siano ad un tempo utili e realistiche?

Ogni comune ed ogni regione ha le proprie peculiarità e priorità, ma in linea del tutto generale, suggerisco di puntare soprattutto alla salvaguardia di ciò che resta della Biosfera.   Non è una questione di “benaltrismo”, tutto è collegato ed importante, ma ci sono almeno 3 ragioni per cui il focus sulla biosfera è secondo me utile:

1 - La trama e l’ordito della Vita sono i cosiddetti “cicli bio-geo-chimici”, cioè i flussi dei vari elementi attraverso aria, acque, suoli, rocce ed organismi viventi, con questi ultimi che, in buona sostanza, svolgono il ruolo principale nel controllo di questi flussi.  Il Global Warming, per esempio, deriva sostanzialmente da un’alterazione nei cicli del carbonio e dell’acqua.   Proteggere/restaurare la Biosfera avrebbe quindi effetti indiretti e parziali, ma sicuri sul clima.  Di più:  tutte le forme di inquinamento sono, parimenti, modifiche della circolazione di elementi e molecole e,  sula Terra, esiste un unico processo in grado di ridurre la crescente entropia del pianeta: si chiama “fotosintesi”.  La Biosfera è insomma ciò che garantisce che sul pianeta vi siano condizioni compatibili con la vita.  E la biosfera è esattamente quella cosa che stiamo sistematicamente distruggendo in molti e immaginifici modi.

2 – Interventi di salvaguardia della Biosfera sono possibili a qualunque scala, dal balcone di casa propria agli accordi internazionali ed ad ogni livello è possibile registrare un miglioramento, magari minimo, ma apprezzabile.  Già smettere di fare danni (tipo demolire alberature, costruire a vanvera, tagliare boschi e manutenzionare fossi con criteri vecchi di 100 anni) sarebbe un miglioramento. Ogni singola amministrazione e governo, per quanto piccolo, può quindi fare la sua parte senza aspettare che Trump, Xi Jinping o altri “pezzi da 90” facciano la loro.  Certo parliamo di gocce nel mare, ma lo studio del passato ci insegna che molte specie, fra cui forse anche la nostra, sono sopravvissute ad immani catastrofi grazie a piccole popolazioni fortunosamente scampate in qualche posto.

3 – Sul piano politico, interventi di tutela o ripristino della biosfera possono essere relativamente
facili da far accettare alla popolazione e possono dare risultati parziali, ma visibili, anche in tempi brevi.   Per esempio la realizzazione di un’area protetta o di uno stagno sono poco costosi, sicuramente efficaci e immediatamente visibili.   Altri provvedimenti, come ad esempio un drastico cambio di rotta nelle pratiche agricole e nelle sistemazioni fondiarie,sarebbero più impegnativi, ma sempre meno di quelli che potrebbero riuscire a flettere la curva delle emissioni antropogeniche di CO2, metano, eccetera.

Dunque dovremmo abbandonare l’idea di ridurre le emissioni di CO2 e dintorni?  No, ma bisogna essere realistici su ciò che si può effettivamente ottenere dalle amministrazioni e dai governi.

Per essere minimamente efficaci, dei provvedimenti di riduzione delle emissioni dovrebbero comprendere, tanto per cominciare, il razionamento di carne, acqua, combustibili e molti altri generi di prima necessità, la sospensione di quasi tutti i cantieri pubblici in atto o previsti, la drastica riduzione dell’illuminazione pubblica e dei trasporti, eccetera.   Tutti provvedimenti che susciterebbero violente proteste che dovrebbero essere represse senza troppe discussioni perché, per l’appunto, siamo in emergenza e la sopravvivenza stessa dello stato, oltre che di molti cittadini, è in forse. (Già sento echeggiare “ecofascista” in lontananza, ne riparleremo).

Ovvio che non accadrà, al massimo vedremo qualche operazione di facciata e qualche  nuova tassa tesa non già a ridurre le emissioni, bensì  a tappare temporaneamente qualche buco negli stracciati bilanci pubblici.  Vedo almeno 4 ragioni per aspettarmi questo:

1 – I movimenti che chiedono provvedimenti drastici e rapidi in materia di clima sono una nicchia molto minoritaria, assurta agli onori della stampa solo in Occidente; nel resto del mondo sono assenti o politicamente insignificanti.  La netta maggioranza della popolazione mondiale rivuole la pacchia che aveva o vuole la pacchia che non ha mai avuto.

2-  Mentre azioni dirette sulla biosfera possono essere efficaci anche a livello locale, azioni dirette sulle emissioni climalteranti possono dare risultati solo se hanno effetti globali e, grosso modo, il 40% delle emissioni antropogeniche sono prodotte da due paesi: Cina e USA.  Circa un altro terzo collettivamente da UE (considerata nel suo insieme), Russia, India e Giappone.   Il rimanente dagli altri cento e passa paesi del mondo.  Questo significa che solo se USA e Cina si impegnassero a fondo sarebbe efficace anche un impegno da parte nostra, assieme a russi, indiani e giapponesi.  Tutti gli altri paesi potrebbero invece fare quel che gli pare o quasi (da questo specifico punto di vista). Dunque, sapremo che qualcosa si muove sul serio il giorno in cui smetteremo di perdere tempo con le “COP 21”, “22”, ecc, per fare degli accordi operativi fra 10 governi.

3 – Nessun paese ridurrà volontariamente le proprie emissioni perché ciò implicherebbe ridurre la propria dissipazione di energia, cioè rallentare il progresso tecnologico, indebolire l’industria, perdere posizioni nella scala geopolitica.   E’ una faccenda molto complicata che ci porterebbe ampiamente fuori tema, ma è un fatto che l’accumulo di ricchezza, potere ed informazione richiede di dissipare quantità crescenti di energia.

4 - Azioni di riduzione delle emissioni abbastanza incisive e rapide da avere un possibile effetto climatico provocherebbero una drastica riduzione degli standard di vita occidentali e non solo, oltre ad una crisi economica globale dagli incerti sviluppi a fronte di un risultato che, nella migliore delle ipotesi, sarebbe un peggioramento meno sensibile di quello che altrimenti avremmo di qui a 30 anni.  Non ci sarebbe nessun successo visibile per un comune cittadino sia per effetto dell’inerzia del sistema Terra, sia per le retroazioni positive che oramai abbiamo scatenato (esalazioni dallo scioglimento del permafrost, incremento delle siccità e degli incendi, riduzione dell’albedo sui poli, ecc.).

In pratica, solo la crisi economica del 2008 ha portato ad una lieve e temporanea flessione delle emissioni e solo una eventuale e molto più severa crisi ventura le potrebbe ridurre in misura maggiore.  Aspettando con timore e trepidazione che ciò accada, occupiamoci quindi di salvare il salvabile della Biosfera perché il futuro del Pianeta, con o senza di noi dipende da cosa sopravvivrà all’estinzione di massa in corso.



sabato 31 agosto 2019

La Rete Sinaptica Mondiale



di Bruno Sebastiani


La potenza elaborativa del nostro cervello dipende dallo straordinario numero di neuroni che vi si sono sviluppati (circa 100 miliardi) e dall’ancor più strabiliante numero di sinapsi che li collegano l’un l’altro (circa 125 mila miliardi).
Da un articolo reperito in rete apprendo che le sinapsi sono così piccole (meno di un millesimo di millimetro di diametro) che gli esseri umani fino ad oggi non sono stati in grado di vedere la loro struttura e le loro funzioni e che alcuni ricercatori della Stanford University School of Medicine (California) hanno condotto uno studio in base al quale hanno scoperto che la complessità del cervello va al di là di quello che avevano immaginato (affermazione di Stephen Smith, professore di fisiologia molecolare e cellulare, autore principale dello studio).
Apprendo anche che «Una sinapsi, da sola, è più simile a un microprocessore, con la memoria di archiviazione ed elementi di elaborazione delle informazioni, rispetto a un altro interruttore on/off. Infatti, una sinapsi può contenere l'ordine di 1000 switch su scala molecolare. Un unico cervello umano ha più switch di tutti i computer e i router e le connessioni internet sul nostro pianeta.» (https://it.emcelettronica.com/cervello-come-microprocessore)
Tralascio di appurare se le affermazioni riportate corrispondono esattamente a realtà: appaiono sufficientemente verosimili e il mio scopo qui è solo di assumerle come punto di partenza di un ragionamento più ampio.
Intendo infatti concentrarmi su un fenomeno che in via analogica richiama a livello planetario la funzione svolta dalle connessioni inter-sinaptiche all’interno del nostro cervello.
Mi riferisco alla rete mondiale di fonia e dati (internet) e, più in particolare, ai dispositivi portatili di dimensioni ridotte che oramai ci seguono dappertutto.
Attraverso questi apparecchi siamo in grado di comunicare con ogni persona con cui entriamo in contatto esattamente come ogni neurone del nostro cervello dialoga con gli altri neuroni (mutatis mutandis).
Non solo. Attraverso questi apparecchi possiamo attingere ad ogni banca dati esistente sul pianeta (l’equivalente della nostra “memoria”), e in futuro il numero e l’ampiezza di questi “depositi di sapere” aumenteranno a dismisura.
Ma non sarà solo la mole dei dati a nostra disposizione ad accrescersi.
Massicci investimenti sono in programma (e già in parte in corso di impiego) per rendere più veloci ed efficienti i sistemi di comunicazione esistenti e per crearne di nuovi.
E questo è uno degli aspetti più preoccupanti della questione.
Citerò tre casi concreti.
1) I satelliti. SpaceX, l’azienda aerospaziale statunitense con sede a Hawthorne (California) costituita nel 2002 da Elon Musk, è stata autorizzata al collocamento in orbita bassa di migliaia di satelliti, nell'ambito di un progetto denominato “Starlink” che ha per obiettivo portare Internet ultraveloce anche nelle zone più isolate del pianeta. Ad oggi sono stati lanciati i primi 60 satelliti quale avanguardia dei 12.000 previsti a regime. Altre aziende di altri Paesi vorranno seguire l’esempio? Da notare che qui si parla solo di dispositivi satellitari per le comunicazioni, mentre esistono già sciagurati progetti per utilizzarne altri a scopi pubblicitari! In questo caso l’azienda è russa, ma con un nome americano StartRocket. Il sistema si chiama “space advertising” e si prefigge di proiettare in cielo di notte immensi cartelloni pubblicitari luminosi. C’è da augurarsi che qualcuno rinsavisca prima di autorizzare un simile oltraggio alla bellezza dell’Universo!
2) I cavi sottomarini. Per comprendere come il mondo sia collegato ad internet bisogna guardare nei fondali degli oceani: sott’acqua passano centinaia di cavi in fibra ottica che sostengono l’intera infrastruttura di connessione. La rete è stata realizzata negli ultimi decenni ad opera soprattutto di società private.
Microsoft e Facebook hanno completato nell’oceano Atlantico una dorsale in fibra ottica (denominata “Marea”) in grado di trasmettere sino a 160 terabit di dati al secondo. È un cavo lungo 6.500 chilometri collocato ad una profondità di oltre 5.000 metri sotto la superficie del mare.
Sempre Facebook ha in programma la posa di un altro cavo destinato a circumnavigare l’intero continente africano. Nome del progetto: Simba.
Google entro il 2020 poserà “Dunant” tra Francia e USA. Il volume di traffico che Google muove ogni giorno è straordinario, il 25% del totale mondiale, ma la capacità della rete non è infinita. Per questo motivo la società di Mountain View intende ampliare le sue infrastrutture di rete collegando con cavi sottomarini proprietari diverse aree del globo, come il Cile con Los Angeles, gli Stati Uniti con la Danimarca e Hong Kong con l'isola di Guam.
Anche la cinese Huawei Marine Networks, azienda nata nel 2008, sta investendo ingenti risorse per realizzare nuovi cavi sottomarini.
3) La rete 5G. Se le infrastrutture sin qui citate (satelliti e cavi sottomarini) sono destinati a sostenere il traffico dati di maggiori dimensioni, l’incombente rete 5G avrà il compito di portare l’informatica “veloce” in ogni casa e di far dialogare tra loro in tempo reale tutti i dispositivi dotati di una scheda elettronica di comunicazione.
Il 5G permetterà infatti di usare la rete mobile per tutta una serie di servizi che finora sono stati appannaggio di altri mezzi. In futuro dovrebbe soppiantare le attuali connessioni in fibra dando vita all’era degli apparati sempre connessi, senza necessità di passare continuamente da Wi-Fi a rete mobile.
Ma quali i rischi? Secondo l’appello internazionale Stop al 5G sulla Terra e nello spazio (firmato al 31 agosto 2019 da 126.962 persone e organizzazioni di 203 nazioni) «Il 5G aumenterà in modo massiccio l'esposizione alle radiazioni a radiofrequenza (RF) sulle reti 2G, 3G e 4G per le telecomunicazioni già installate».
Che influenza potrà avere un simile bombardamento di onde radio a frequenze assai elevate su piante e animali, esseri umani compresi?
Inoltre. Le alte frequenze garantiscono l’aumento della velocità, ma rendono la propagazione del segnale più difficile, perché maggiormente sensibili agli ostacoli fisici. Quanti alberi andranno abbattuti per far transitare liberamente le onde del 5G in città e in campagna? Quanti più ripetitori di segnale ci vorranno per una copertura capillare del segnale?
Obiettivo è modificare la rete da fisica a virtuale, definita da software, composta da slices definiti da algoritmi: il network slicing è la capacità di creare dinamicamente “fette” di rete per rispondere ai requisiti delle diverse applicazioni ed è una delle tecnologie chiave del 5G.
Cosa si aspetta l’essere umano da questa “rete sinaptica mondiale” che sta costruendo? Vi sono senz’altro importanti aspetti economici e commerciali che spingono a realizzare questa nuova tecnologia, ma di questi non ci occupiamo perché attengono al lato “venale” dell’uomo.
Vi è invece a mio avviso un aspetto molto, ma molto, più inquietante, sbandierato dai fautori del 5G come assai positivo: essi sostengono, a ragione, che la nuova rete consentirà livelli di interconnessione finora mai raggiunti. Ma, posto che l’uomo pur in assenza di tali livelli è riuscito a devastare ampiamente la biosfera, fin dove si spingerà questa opera distruttiva con l’avvento di una rete di collegamento tanto più efficiente?
La massima ambizione prometeica (o diabolica?) dell’uomo è di accrescere a dismisura il suo potere sulla Terra. Per realizzarla occorre una dose supplementare di intelligenza sia individuale che collettiva. Relativamente alla prima si veda il mio precedente articolo: “Verso cervelli più potenti e con più memoria”. La rete sinaptica mondiale di cui abbiamo parlato risponde al secondo tipo di intelligenza da implementare, quella collettiva.
Vi è poi la concretizzazione dell’intelligenza artificiale quale ulteriore sistema di assoggettamento e dominio della biosfera. Di questa parlerò in altro articolo.
Resta il fatto che tutti questi progetti convergono verso quella attività umana di aggressione alle cellule sane del pianeta che ricorda assai da vicino l’attività svolta dalle cellule cancerogene ai danni delle altre cellule dell’organismo ospitante.


venerdì 23 agosto 2019

Gaia Esiste! Ecco le prove

"La nostra ospite oggi è Gaia, la dea della terra. Allora, Gaia, a proposito di questo imbroglio del riscaldamento globale, non sei contenta se fa un po' più caldo?"
"Hey, non è un problema. Sono stata calda nel passato"
"Siete voi umani che vi dovrete trovare un altro pianeta."


Gli ambientalisti sono talvolta definiti "adoratori di Gaia", un termine che si suppone sia un insulto. È un po 'strano perché la maggior parte delle persone su questo pianeta adora apertamente entità inesistenti e che normalmente non le rende bersaglio di insulti. Forse è perché c'è una differenza importante: Gaia esiste.

Ma chi o cosa è Gaia, esattamente? Il nome appartiene a un'antica dea, ma la versione moderna è qualcosa di diverso. Come probabilmente sapete, il termine è stato proposto per la prima volta da James Lovelock nel 1972 e co-sviluppato con Lynn Margulis. Come accade per molte idee innovative, è stato il risultato di una semplice osservazione: se l'intensità radiativa del Sole aumenta gradualmente nel corso degli eoni, come mai la temperatura della superficie terrestre è rimasta entro i limiti necessari per mantenere viva la biosfera? Deve esserci qualcosa che lo mantiene così. Lovelock ha proposto che il meccanismo fosse basato sulla regolazione della concentrazione di gas a effetto serra, principalmente CO2.

Chiaramente, questa idea è al centro dell'attuale dibattito sui cambiamenti climatici: si occupa dei meccanismi interni che rendono il clima della Terra quello che è e che cosa potrebbe diventare in futuro. Quindi, Gaia è potente ma non c'è ragione di pensare che sia benevola e misericordiosa, e nemmeno una Dea: potremmo dire che Lei è colei che è. Ma esiste davvero?

Non tutti sono d'accordo su questo punto. Il concetto viene spesso definito "ipotesi di Gaia" e interi libri sono stati scritti per dimostrare che non esiste un meccanismo di controllo della temperatura terrestre. In effetti, all'inizio, l'idea era per lo più qualitativa e non provata. Lovelock propose un modello intelligente chiamato "Daisyworld" che mostrava come una semplice biosfera potesse controllare la temperatura di un pianeta. Ma la biosfera terrestre non è solo fatta di margherite e qualcosa di più di questo era necessario. Ma nel tempo si sono accumulate prove per dimostrare che Gaia è molto più di un'ipotesi qualitativa (o un oggetto di adorazione da parte di persone che credono in esseri inesistenti).

Vediamo alcuni dati da un articolo del 2017 di Foster, Royer e Lunt che possono essere visti come prova dell'esistenza di Gaia anche se non menzionano mai il termine. Non si tratta di nuove scoperte, ma utilizza i dati disponibili per vedere come la concentrazione di CO2 e l'irradiazione solare variavano negli ultimi 400 milioni di anni, la maggior parte dell'eone che chiamiamo "Fanerozoico". L'articolo è abbastanza tecnico, ma scritto in modo molto chiaro. Si fa leggere anche da chi non è uno specialista in fisica dell'atmosfera. Ecco i risultati principali:





La figura in alto (a) mostra la forzante media dovuta al biossido di carbonio, CO2 (linea rossa), rispetto alla forzatura solare (linea gialla). "Forzante" indica l'effetto termico sulla Terra espresso come potenza per metro quadrato (W/m2). Si chiama forzante perché è un cambiamento di una condizione precedente. Una forzante positiva riscalda la Terra, una forzante negativa la raffredda. I valori dell'ordine di alcuni W/m2 possono sembrare piccoli, ma possono cambiare la temperatura della Terra di alcuni gradi C. Il risultato sorprendente mostrato nella figura è come le due forzanti, sole e CO2, si bilanciano quasi esattamente. Potete vederlo nel pannello inferiore della figura: la forzante netta è la linea rossa: è quasi zero. Questo è davvero impressionante. Supponendo un fattore di sensibilità di 0,3, è possibile calcolare che la forzante solare, da sola, avrebbe dovuto aumentare la temperatura media della Terra di circa 2-3 C (quasi 5 F) per 400 milioni di anni. L'aumento sarebbe stato considerevolmente maggiore prendendo in considerazione effetti di "feedback" come il vapore acqueo. Ma non vediamo questo aumento, per niente. Ecco alcuni dati recenti di Mills et al.

Date un'occhiata alla curva grigia: ci sono molte oscillazioni ma, in media, la temperatura è rimasta costante negli ultimi 400 milioni di anni. Se fosse aumentata anche solo di 2-3 gradi C, l'effetto sarebbe chiaramente rilevabile. Se spingessimo indietro il confine delle misure verso tempi più antichi, fino alle origini della vita sulla Terra, l'effetto avrebbe dovuto essere molto più grande: la Terra antica avrebbe dovuto essere almeno 20 K più fredda di quanto non sia oggi. Avrebbe dovuto essere una palla di ghiaccio. Non lo era: sappiamo che c'era acqua liquida anche in quei tempi remoti.

Quindi, i dati sono chiari: la crescente irradiazione solare sulla storia geologica della Terra è stata compensata principalmente da una diminuzione della concentrazione di CO2. Naturalmente, ci sono altri fattori che influenzano il clima: altri gas serra, cambiamenti di albedo, correnti oceaniche, nuvole, particolato atmosferico, oscillazioni orbitali e assiali. Ma sembrano giocare un ruolo minore nella scala temporale di un eone. E' possibile che questa compensazione quasi perfetta si sia verificata per caso? Certo, a volte le cose accadono per caso, ma la stessa cosa può continuare a succedere per caso per 400 milioni di anni?

Qualcuno ha detto "Gaia"? Sorridete! La signora è proprio di fronte a voi. Lei esiste e siamo fortunati che lei è ciò che è. Altrimenti, la biosfera sarebbe morta molto tempo fa, bruciata o congelata.

Ma quale meccanismo fa diminuire la concentrazione di CO2 con l'aumentare dell'irradiazione solare? E dove va a finire il CO2 rimosso? Lovelock aveva proposto che fosse proprio la biosfera a fare il lavoro, ora sembra che abbiamo bisogno di un accoppiamento stretto tra biosfera e geosfera per ottenere l'effetto che vediamo. In parte, il CO2 viene rimosso dall'atmosfera mediante fotosintesi e quindi trasformato nella sostanza inerte chiamata "kerogene" (il precursore dei combustibili fossili), quindi sepolta nella crosta. In parte, il CO2 reagisce con i silicati nella crosta formando carbonati solidi. È una lunga storia e non tutto è noto, ma le cose iniziano a dare un senso. Lovelock aveva ragione.

Ora, gli eventi che si verificano nel corso di centinaia di milioni di anni sono rilevanti per noi? Assolutamente si. La scala temporale può cambiare, ma la fisica rimane la stessa. Il punto impressionante è che qui non stiamo armeggiando con modelli misteriosi. Questi sono dati sperimentali associati a semplici principi fisici noti da almeno un secolo. Dimostrano che il CO2 influisce sul clima, cosa che molti non-adoratori di Gaia rifiutano di accettare.

Confrontando la situazione attuale con il record del Fanerozoico, possiamo vedere che la forzante che stiamo creando con le nostre emissioni di CO2 (attualmente circa 3 W/m2 e in aumento) è dello stesso ordine di grandezza delle forzanti del passato che hanno portato la Terra a aggiungere la condizione di "Terra Bagno Turco", 10-20 gradi più calda di quanto non sia oggi - e questo anche per un'irradiazione solare più piccola! Se è successo in passato, potrebbe succedere di nuovo. Ma sarebbe più facile oggi perché il sole è più caldo. Quindi, potremmo essere in grossi guai, veramente grossi.

Quanto velocemente potrebbe avvenire la transizione verso la Terra Bagno Turco? Su questo punto, i dati del Fanerozoico ci aiutano poco: non abbiamo la risoluzione che sarebbe necessaria per rilevare eventi rapidi come l'incredibile esplosione delle concentrazioni atmosferiche di CO2 che gli umani hanno creato negli ultimi secoli. C'è chi dice dicono che gli esseri umani si estingueranno tra qualche decennio a causa dell'attivazione del rilascio di metano, un altro potente gas serra, proveniente dal permafrost. Questo sarebbe coerente con le diverse estinzioni di massa avvenute durante il Fanerozoico: sappiamo che Gaia non è né benevola né misericordiosa.

Ma l'estinzione dell'umanità non è necessariamente la volontà di Gaia. Il danno che abbiamo fatto potrebbe ancora essere invertito, soprattutto se il sistema economico globale dovesse crollare. Questo fermerebbe la combustione dei combustibili fossili e la Terra potrebbe tornare alle condizioni precedenti senza la totale distruzione prevista da alcuni scenari.

Alla fine, sicuramente la Terra ritornerà a delle condizioni più simili a quelle attuali, ma questo  potrebbe richiedere alcuni milioni di anni. Gaia potrebbe non essere benevola, ma è sicuramente paziente.





giovedì 15 agosto 2019

Comincia il Collasso Climatico?








Smoke on the water




L'omaggio al classico dei Deep Purple non è del tutto causale. Fumo da incendi (vedi prima immagine sotto) e ghiaccio sempre meno esteso e spesso e quindi sempre più acqua liquida (seconda immagine sotto) sono condizioni ambientali che stanno connotando anche e soprattutto questa torrida e terribile estate artica.


Della fusione dei ghiacci marini artici e della calotta groenlandese se ne parla da tempo. Questa è un'ennesima estate da fusione accelerante. Un'ennesima estate...liquida. I grafici qui sotto sono eloquenti, in tal senso.









E un aspetto relativamente nuovo dei cambiamenti climatici, ben messo in evidenza - oltre che da un soggiorno direttamente in loco - dalle immagini satellitari raccolte dall'agenzia spaziale europea e dalla NASA, è anche l'aumento dei grandi incendi nell'area attorno e oltre il circolo polare artico. Un fenomeno che viene ricondotto all'anomalo ed estremo incremento delle temperature che anche in questa torrida estate non manca.
Nell’Artico, infatti, si batte un record climatico dopo l’altro. Per es. in Alaska a inizio luglio sono stati raggiunti 32 gradi, 13 gradi sopra la media, tre in più del primato precedente.
Sul mare di Bering non c’era mai stato così poco ghiaccio e giugno 2019 è stato il più caldo da oltre un secolo. Come si vede sopra dai grafici, siamo ai livelli del record negativo del 2012, per quanto concerne estensione totale, volume e spessore della banchisa artica.



Con temperature che hanno oltrepassato i 20°C, dallo scorso mese di luglio i ghiacciai della Groenlandia hanno perso circa 250 miliardi di tonnellate di ghiaccio, il che corrisponde all’acqua contenuta in circa 1300 miliardi delle nostre comuni vasche da bagno! Nella sola giornata di martedì 30 luglio la Groenlandia ha perso 12,5 miliardi di tonnellate di ghiaccio, in altri termini s’è riversata in mare una quantità di acqua pari al contenuto di 5 milioni di piscine olimpioniche (una piscina olimpionica contiene 2500 tonnellate o m^3 di acqua, ossia l’equivalente di 16'000 vasche da bagno). Il record precedente datava del 2012, quando si sciolsero in un sol giorno 10 miliardi di tonnellate di ghiaccio.

L'acqua gocciola dal ghiaccio nel fiordo di Ilulissat durante il periodo insolitamente ed estremamente caldo lo scorso fine luglio

L’ondata di calore estremo che ha messo in ginocchio l’Europa nel mese di luglio s’è infatti spostata nelle regioni artiche, dove le temperature hanno superato di 10-15 gradi quelle normali di stagione, causando, appunto, uno scioglimento di ghiacciai senza precedenti.
E, come detto, vasti incendi.




Stiamo parlando di qualcosa che non ha precedenti (vedi tweet sopra): si tratta del numero più alto di incendi in questa regione nordica da 16 anni a questa parte, quando è iniziato un monitoraggio preciso.

Alaska, Canada, Groenlandia (!) e Siberia: oltre 100 quelli fotografati dallo spazio da due mesi a questa parte. La loro causa è evidente: l'aumento rapido e massiccio delle temperature nella zona, da anni soggetta al cosiddetto fenomeno dell'amplificazione artica. Solo in Siberia, lo scorso giugno è stato di 10 gradi più caldo della media delle temperature del trentennio 1981-2010.


Ad oggi, gli incendi che da due mesi devastano la Siberia non sono stati ancora domati (vedi video sopra). Secondo le autorità forestali russe, le fiamme interessano ancora 2,5 milioni di ettari di territorio. Una grandezza che diverge, però, dalle stime di Greenpeace Russia: l'organizzazione ambientalista parla di 4,3 milioni di ettari e sostiene che gli incendi hanno generato una quantità di CO2 pari a quella prodotta da 36 milioni di automobili l'anno. Alcuni degli incendi nella regione di Irkutsk, in particolare, sono stati causati dal disboscamento illegale, secondo gli inquirenti russi. Gli incendi estivi in Siberia fanno parte di un ciclo naturale, ma l'estensione, l'intensità e la durata di quest'anno sono senza precedenti.




In Alaska (vedi tweet sopra) nei primi 7 mesi del 2019 gli incendi hanno bruciato già il doppio dell'area che di solito viene bruciata in un intero anno normale e rilasciato il triplo dell'inquinamento carbonico che l'Alaska emette dalla combustione annua dei fossili.

Oltre che numerosi, i roghi sono anche persistenti perché intaccano un tipico terreno artico che - come spiegano gli esperti - è particolarmente favorevole alla propagazione e alla persistenza del fuoco.
A bruciare non è solo il bosco, dove le fiamme si esauriscono in 1-2 giorni, ma il terreno sottostante - la torba -  che può ardere anche per diverse settimane. Contrariamente agli incendi di boschi che si registrano nelle zone temperate, quelli dell’Artico si propagano infatti anche al sottosuolo, dove si nutrono degli spessi strati di torba. Bruciando in profondità possono durare settimane o addirittura mesi, anziché poche ore o giorni come per la maggior parte degli incendi boschivi alle nostre latitudini. Tutto ciò innesca un circolo vizioso perché vengono rilasciate grandi quantità di CO2, quella generata dalla combustione degli alberi ma anche quella generata dalla torba, una delle più grandi riserve di carbonio organico del mondo. E la CO2 alimenta il riscaldamento
afferma il glaciologo ed esperto di Artico Koni Steffen (vedi anche qui).



Nel corso degli ultimi due mesi gli incendi artici hanno mandato in fumo oltre 8 miliardi di metri quadrati di foreste liberando 129 milioni di tonnellate di CO2 (50 in giugno + 79 in luglio), ben oltre il doppio della quantità emessa dall'intera Svizzera in un singolo anno.



Il fumo, poi - essendo composto da particolato carbonioso, fuliggine e residui della combustione -, provoca un annerimento dei ghiacci artici, che in questo modo assorbono maggior radiazione solare accelerando ulteriormente la loro fusione.


Secondo il ricercatore Santiago Gassó della NASA (vedi tweet sopra), la coltre generata dai soli roghi siberiani si estende per oltre 4,5 milioni di kmq, una superficie più grande dell'intera Unione Europea.

To be continued...

mercoledì 7 agosto 2019

Forza Greta! Fagli Vedere chi Sei!


Con Greta Thumberg in partenza per New York per partecipare ai negoziati sul clima, ripropongo un mio articolo di qualche mese fa sul "Fatto Quotidiano". Come diciamo a Firenze, "Greta, dagnene sode!!" (o anche, "dagnene secche!"). Alla faccia di tutti quelli che continuano a insultarti: sono vecchi in fondo all'anima. E a proposito della dea Gaia, ecco il link al mio ultimo post su "Cassandra's Legacy".



Greta Thunberg è una ragazza svedese di 16 anni con un messaggio chiaro: dobbiamo far qualcosa contro il cambiamento climatico, e farlo subito. Il successo che ha avuto è stato al di là di ogni aspettativa. In Italia, i politici che si danno anche vagamente una verniciatina da “progressisti” hanno fatto a gara per lodarla, sperando di guadagnarsi un po’ di visibilità.

Certamente, Greta Thumberg è stata aiutata da una campagna pubblicitaria intelligente, ma la ragione del suo successo è stata che c’era bisogno di un messaggio più efficace. Fino ad ora, il tentativo di far qualcosa di serio sul clima non aveva avuto gran successo, più che altro perché quando i politici si sono accorti che richiedeva sacrifici, tipo aumentare le tasse sui carburanti, si sono defilati (a parte qualche grande discorso). Ed è rimasta agli scienziati la bega di spiegare al pubblico come stanno le cose.

E qui sta uno dei problemi principali. Diciamocelo francamente: gli scienziati sono antipatici. Boriosi, supponenti, e vogliono sempre aver ragione. Ve lo posso dire per esperienza personale: all’università sono circondato da scienziati tutti i giorni e me ne trovo uno di fronte anche quando mi guardo allo specchio.

Ora, questo potrebbe non avere grande importanza. Come diceva Deng Xiaoping, non importa se il gatto è bianco o nero, basta che acchiappi i topi. Quindi, gli scienziati saranno anche antipatici, ma vanno bene a tutti finché fanno il loro mestiere di inventare cose utili. Il problema viene fuori quando cominciano a minaccare disastri climatici spaventosi e a dirti che devi fare dei sacrifici tipo buttar via la tua vecchia automobile diesel. Questo non va bene per niente: è un po’ come se Babbo Natale, invece di portarti i regali, ti lasciasse sotto l’albero la fattura della pulizia della canna fumaria.

Non che gli scienziati non abbiano fatto del loro meglio, ma i risultati sono stati scarsi, se non controproducenti. In primo luogo, non sono bravi a comunicare le cose. Anzi, ci si aspetta che uno scienziato parli ponderosamente di cose astruse e che nessuno capisca niente. Ma il problema vero è un altro: gli scienziati sono poco credibili come messaggeri di un disastro imminente. Se è vero che moriremo tutti per colpa del cambiamento climatico, come ci raccontano, come sta che loro continuano a occuparsi delle loro beghe accademiche, pubblicare cose che nessuno legge e andare in aereo ai loro convegni? Qualcosa non torna e non c’è da stupirsi se c’è stata una campagna denigratoria contro la scienza che è riuscita convincere molta gente che il cambiamento climatico è una cospirazione creata dagli scienziati per instaurare il socialismo a livello planetario.

Chiaramente, non si poteva andare avanti così: bisogna essere più efficaci di fronte a un disastro climatico in corso che ormai rischia di travolgerci tutti quanti. E il cambiamento lo vediamo con Greta Thunberg: non più i noiosi e supponenti scienziati ma una ragazza che non solo parla con chiarezza, ma è un messaggero credibile.

In queste cose, si sa che il messaggero viene creduto quando il suo comportamento è consistente con il messaggio. Ovvero, se qualcuno cerca di convincerti che la povertà è una cosa buona, è bene che sia povero lui stesso: nessuno avrebbe dato retta a San Francesco se non fosse andato in giro a piedi nudi e vestendo un saio. Greta Thunberg e i ragazzi che fanno sciopero per il clima stanno portando un messaggio consistente con la loro situazione. Sono loro quelli che avranno i maggiori danni dal cambiamento climatico: alluvioni, siccità, ondate di calore, e tutto il resto. Stanno lottando per il loro futuro ed è per questo che sono credibili.

Basterà Greta Thunberg a cambiare il mondo? O sarà assorbita anche lei dai poteri forti? Per il momento, è chiaro che ha fatto e detto tutto nel modo giusto per farsi sentire. Non sarà facile ottenere qualcosa di concreto, ma speriamo che Greta abbia successo e diamole una mano se possiamo.

sabato 3 agosto 2019

È MEGLIO ESSERE NATI O SAREBBE STATO MEGLIO NON ESSERE MAI NATI? Un Post di Bruno Sebastiani



La mia seconda nipotina, Beatrice, compie in questi giorni il suo primo mese di vita. L'altra, Aurora, è nata un mese prima. Nonostante tutto il nostro catastrofismo, la vita continua ed è bene che sia così. Ma, certo, viene da pensare a che razza di mondo questi bambini vedranno da adulti. Nel seguito, Bruno Sebastiani ci ragiona sopra in termini molto filosofici. Ma viene anche da pensare in termini molto concreti a quelli che per puro egoismo e imbecillità stanno facendo di tutto per rendere la vita ancora più difficile ai nostri discendenti. E mi vengono in mente cose che è meglio che non dica qui. (UB)




di Bruno Sebastiani

Alcuni autori, non molti, sostengono che nascere sia un triste evento.
Tra i più espliciti Emil Cioran e David Benatar.
Il primo nel 1973 ha scritto “De l’inconveniént d’être né” (“L’inconveniente di essere nati”).
Il secondo nel 2006 ha scritto “Better Never to Have Been: the Harm of Coming into Existence” (“Meglio non essere mai nati – Il dolore di venire al mondo”).
Emil Cioran ha un suo caratteristico stile aforistico. Non elabora complessi ragionamenti, ma punge l’interesse del lettore con aguzze stilettate. “Noi non corriamo verso la morta, fuggiamo la catastrofe della nascita …” “Mi piacerebbe essere libero, perdutamente libero. Libero come un nato morto.” ecc. ecc.
David Benatar è un filosofo e argomenta ampiamente le sue idee che, in estrema sintesi, ruotano intorno al concetto di bene e male: se non fossimo nati non avremmo sperimentato il male, né rimpiangeremmo di non aver sperimentato il bene, in quanto il non essere non esiste e quindi non possiede né pensiero né autocoscienza.
Pochi altri pensatori, fortemente misantropi e pessimisti, hanno sostenuto tesi analoghe.
Perché occuparsi di loro se, come detto in premessa, rappresentano una sparuta minoranza nel panorama storico – letterario – filosofico mondiale?
Per due motivi.
Innanzitutto perché non è detto che la maggioranza abbia ragione e la minoranza torto. La Verità non è democratica, e neppure la Natura: non chiedono ad alcuno cosa desideri e procedono entrambe per vie estranee alla logica umana.
In secondo luogo, e questa è la motivazione più importante, perché Cioran, Benatar e consimili portano alle estreme conseguenze un tipo di ragionamento che, con una necessaria correzione, potrebbe essere condiviso da una grande platea, assai più ampia di quella che attualmente segue questi “antinatalisti estremi”. E la corretta diffusione di questo messaggio “revisionato” potrebbe essere assai utile al pianeta Terra.
In questo mio articolo cercherò di individuare il lato debole delle idee descritte e la correzione che potrebbe renderle ben più condivisibili.
Il punto è l’autocoscienza.
Solo la meditazione del cervello umano su se medesimo, alias l’autoriflessione, consente a Cioran, Benatar ecc. di pensare al male passato, a quello presente e a quello futuro, inducendoli ad argomentare che, se non fossimo mai nati, non lo avremmo sperimentato in passato e non lo potremmo sperimentare in futuro.
Proviamo ora a considerare come vivremmo la medesima realtà che stiamo vivendo in assenza del pensiero “auto – riflettente”, ovvero come la vivono gli animali, anche i più evoluti, che dalla memorizzazione degli eventi passati non estrapolano pensieri astratti, ma solo esperienze concrete.
Gli animali, ma anche le piante, hanno la vita e la sperimentano senza interrogarsi né sulla sua origine, né sul suo significato, né, soprattutto, sul suo futuro (il dolore e la morte). Non lo fanno perché non possono, non ne hanno le capacità cerebrali.
Vivono e basta, così come Madre Natura vuole. Essi si sono evoluti dalle cellule primordiali ed hanno assunto forme diverse. Hanno conseguito la loro individualità di esseri e di specie relazionando la propria vita con quella degli altri viventi circonvicini. E nel caos della foresta, o della prateria o del deserto, hanno stabilito quell’equilibrio che la selezione naturale e la lotta per la vita hanno consentito loro di raggiungere.
Avrebbero preferito non essere mai nati? Tentano di limitare le nascite con adeguati accorgimenti? Procurano l’aborto per evitare che i loro piccoli vengano al mondo?
Non lo pensano e non lo fanno in quanto ogni loro attività fisica e mentale è guidata solo dall’istinto, ovvero da quel codice di comportamento che milioni e milioni di anni di selezione naturale hanno elaborato ed impresso nell'intimo dei loro organi di comando quali il cervello e il sistema nervoso.
E così è stato per tutti gli esseri viventi sino all’avvento di Homo sapiens e del suo encefalo abnormemente evoluto che ha consentito a questa nuova specie dominante di contravvenire a istinti e leggi di natura, permettendole di pensare se stessa, di avere autocoscienza di sé.
Se Benatar e consimili riflettessero su questa realtà (Cioran è morto nel 1995) comprenderebbero come il male per l’essere umano non è l’essere nato (evento che sfugge al volere di ogni nascituro), ma l’averne coscienza, l’avere un organo di comando che si rifiuta di eseguire gli ordini di Madre Natura e che intende trasformare tutta la biosfera in una realtà artificiale a “misura d’uomo”.
E, a seguire, comprenderebbero come l’evoluzione della mente di Homo sapiens sia stata straordinaria rispetto a quella di ogni altro animale, ma sia ben poca cosa in termini assoluti, ovvero relativamente alla possibilità di rendere permanenti le modifiche introdotte nella biosfera.
Un ulteriore passo avanti e comprenderebbero come quel processo evolutivo di tipo straordinario possa assimilarsi alla mutazione che le cellule sane subiscono quando si trasformano in cellule maligne aggressive e distruttrici dell’organismo che le ospita.
Cioran in realtà questo passo lo fece, nel suo famoso aforisma: “Alberi massacrati. Sorgono case. Facce, facce dappertutto. L’uomo si estende. L’uomo è il cancro della terra”. Ma non andò al di là dell’intuizione. Non reinterpretò tutta la realtà alla luce di questa sua folgorante illuminazione (cosa che molto immodestamente sto cercando di fare io con i miei scritti).
Proviamo allora a pensare come le opere di Cioran e di Benatar avrebbero potuto essere assai più incisive se fossero state titolate “L’inconveniente di essere intelligenti” e “Meglio non essere autocoscienti”, e anziché recriminare l’essere vivi avessero recriminato l’essere dotati di autocoscienza.
Anche tutto l’importante dibattito su natalismo e antinatalismo andrebbe reimpostato in questa ottica, perché è ovvio che il problema della sovrappopolazione nasce dal nostro essere “intelligenti”, o, meglio, dall’aver superato quella soglia di capacità cerebrali oltre la quale abbiamo potuto svincolarci dai limiti imposti dall’istinto.
Potranno queste accresciute capacità cerebrali consentirci ora di invertire la rotta? E come? A quale prezzo?
Temi fondamentali, che richiedono adeguati approfondimenti. Ma ogni analisi più dettagliata dovrà prendere avvio dalla consapevolezza che tutti i problemi attuali discendono da quell’abnorme sviluppo subìto dal nostro cervello, evento parafrasato in tanti miti dell’antichità, dal peccato di Eva ed Adamo ai furti di Prometeo, solo per citarne due tra i più famosi.