Visualizzazione post con etichetta internet. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta internet. Mostra tutti i post

sabato 31 agosto 2019

La Rete Sinaptica Mondiale



di Bruno Sebastiani


La potenza elaborativa del nostro cervello dipende dallo straordinario numero di neuroni che vi si sono sviluppati (circa 100 miliardi) e dall’ancor più strabiliante numero di sinapsi che li collegano l’un l’altro (circa 125 mila miliardi).
Da un articolo reperito in rete apprendo che le sinapsi sono così piccole (meno di un millesimo di millimetro di diametro) che gli esseri umani fino ad oggi non sono stati in grado di vedere la loro struttura e le loro funzioni e che alcuni ricercatori della Stanford University School of Medicine (California) hanno condotto uno studio in base al quale hanno scoperto che la complessità del cervello va al di là di quello che avevano immaginato (affermazione di Stephen Smith, professore di fisiologia molecolare e cellulare, autore principale dello studio).
Apprendo anche che «Una sinapsi, da sola, è più simile a un microprocessore, con la memoria di archiviazione ed elementi di elaborazione delle informazioni, rispetto a un altro interruttore on/off. Infatti, una sinapsi può contenere l'ordine di 1000 switch su scala molecolare. Un unico cervello umano ha più switch di tutti i computer e i router e le connessioni internet sul nostro pianeta.» (https://it.emcelettronica.com/cervello-come-microprocessore)
Tralascio di appurare se le affermazioni riportate corrispondono esattamente a realtà: appaiono sufficientemente verosimili e il mio scopo qui è solo di assumerle come punto di partenza di un ragionamento più ampio.
Intendo infatti concentrarmi su un fenomeno che in via analogica richiama a livello planetario la funzione svolta dalle connessioni inter-sinaptiche all’interno del nostro cervello.
Mi riferisco alla rete mondiale di fonia e dati (internet) e, più in particolare, ai dispositivi portatili di dimensioni ridotte che oramai ci seguono dappertutto.
Attraverso questi apparecchi siamo in grado di comunicare con ogni persona con cui entriamo in contatto esattamente come ogni neurone del nostro cervello dialoga con gli altri neuroni (mutatis mutandis).
Non solo. Attraverso questi apparecchi possiamo attingere ad ogni banca dati esistente sul pianeta (l’equivalente della nostra “memoria”), e in futuro il numero e l’ampiezza di questi “depositi di sapere” aumenteranno a dismisura.
Ma non sarà solo la mole dei dati a nostra disposizione ad accrescersi.
Massicci investimenti sono in programma (e già in parte in corso di impiego) per rendere più veloci ed efficienti i sistemi di comunicazione esistenti e per crearne di nuovi.
E questo è uno degli aspetti più preoccupanti della questione.
Citerò tre casi concreti.
1) I satelliti. SpaceX, l’azienda aerospaziale statunitense con sede a Hawthorne (California) costituita nel 2002 da Elon Musk, è stata autorizzata al collocamento in orbita bassa di migliaia di satelliti, nell'ambito di un progetto denominato “Starlink” che ha per obiettivo portare Internet ultraveloce anche nelle zone più isolate del pianeta. Ad oggi sono stati lanciati i primi 60 satelliti quale avanguardia dei 12.000 previsti a regime. Altre aziende di altri Paesi vorranno seguire l’esempio? Da notare che qui si parla solo di dispositivi satellitari per le comunicazioni, mentre esistono già sciagurati progetti per utilizzarne altri a scopi pubblicitari! In questo caso l’azienda è russa, ma con un nome americano StartRocket. Il sistema si chiama “space advertising” e si prefigge di proiettare in cielo di notte immensi cartelloni pubblicitari luminosi. C’è da augurarsi che qualcuno rinsavisca prima di autorizzare un simile oltraggio alla bellezza dell’Universo!
2) I cavi sottomarini. Per comprendere come il mondo sia collegato ad internet bisogna guardare nei fondali degli oceani: sott’acqua passano centinaia di cavi in fibra ottica che sostengono l’intera infrastruttura di connessione. La rete è stata realizzata negli ultimi decenni ad opera soprattutto di società private.
Microsoft e Facebook hanno completato nell’oceano Atlantico una dorsale in fibra ottica (denominata “Marea”) in grado di trasmettere sino a 160 terabit di dati al secondo. È un cavo lungo 6.500 chilometri collocato ad una profondità di oltre 5.000 metri sotto la superficie del mare.
Sempre Facebook ha in programma la posa di un altro cavo destinato a circumnavigare l’intero continente africano. Nome del progetto: Simba.
Google entro il 2020 poserà “Dunant” tra Francia e USA. Il volume di traffico che Google muove ogni giorno è straordinario, il 25% del totale mondiale, ma la capacità della rete non è infinita. Per questo motivo la società di Mountain View intende ampliare le sue infrastrutture di rete collegando con cavi sottomarini proprietari diverse aree del globo, come il Cile con Los Angeles, gli Stati Uniti con la Danimarca e Hong Kong con l'isola di Guam.
Anche la cinese Huawei Marine Networks, azienda nata nel 2008, sta investendo ingenti risorse per realizzare nuovi cavi sottomarini.
3) La rete 5G. Se le infrastrutture sin qui citate (satelliti e cavi sottomarini) sono destinati a sostenere il traffico dati di maggiori dimensioni, l’incombente rete 5G avrà il compito di portare l’informatica “veloce” in ogni casa e di far dialogare tra loro in tempo reale tutti i dispositivi dotati di una scheda elettronica di comunicazione.
Il 5G permetterà infatti di usare la rete mobile per tutta una serie di servizi che finora sono stati appannaggio di altri mezzi. In futuro dovrebbe soppiantare le attuali connessioni in fibra dando vita all’era degli apparati sempre connessi, senza necessità di passare continuamente da Wi-Fi a rete mobile.
Ma quali i rischi? Secondo l’appello internazionale Stop al 5G sulla Terra e nello spazio (firmato al 31 agosto 2019 da 126.962 persone e organizzazioni di 203 nazioni) «Il 5G aumenterà in modo massiccio l'esposizione alle radiazioni a radiofrequenza (RF) sulle reti 2G, 3G e 4G per le telecomunicazioni già installate».
Che influenza potrà avere un simile bombardamento di onde radio a frequenze assai elevate su piante e animali, esseri umani compresi?
Inoltre. Le alte frequenze garantiscono l’aumento della velocità, ma rendono la propagazione del segnale più difficile, perché maggiormente sensibili agli ostacoli fisici. Quanti alberi andranno abbattuti per far transitare liberamente le onde del 5G in città e in campagna? Quanti più ripetitori di segnale ci vorranno per una copertura capillare del segnale?
Obiettivo è modificare la rete da fisica a virtuale, definita da software, composta da slices definiti da algoritmi: il network slicing è la capacità di creare dinamicamente “fette” di rete per rispondere ai requisiti delle diverse applicazioni ed è una delle tecnologie chiave del 5G.
Cosa si aspetta l’essere umano da questa “rete sinaptica mondiale” che sta costruendo? Vi sono senz’altro importanti aspetti economici e commerciali che spingono a realizzare questa nuova tecnologia, ma di questi non ci occupiamo perché attengono al lato “venale” dell’uomo.
Vi è invece a mio avviso un aspetto molto, ma molto, più inquietante, sbandierato dai fautori del 5G come assai positivo: essi sostengono, a ragione, che la nuova rete consentirà livelli di interconnessione finora mai raggiunti. Ma, posto che l’uomo pur in assenza di tali livelli è riuscito a devastare ampiamente la biosfera, fin dove si spingerà questa opera distruttiva con l’avvento di una rete di collegamento tanto più efficiente?
La massima ambizione prometeica (o diabolica?) dell’uomo è di accrescere a dismisura il suo potere sulla Terra. Per realizzarla occorre una dose supplementare di intelligenza sia individuale che collettiva. Relativamente alla prima si veda il mio precedente articolo: “Verso cervelli più potenti e con più memoria”. La rete sinaptica mondiale di cui abbiamo parlato risponde al secondo tipo di intelligenza da implementare, quella collettiva.
Vi è poi la concretizzazione dell’intelligenza artificiale quale ulteriore sistema di assoggettamento e dominio della biosfera. Di questa parlerò in altro articolo.
Resta il fatto che tutti questi progetti convergono verso quella attività umana di aggressione alle cellule sane del pianeta che ricorda assai da vicino l’attività svolta dalle cellule cancerogene ai danni delle altre cellule dell’organismo ospitante.


mercoledì 5 agosto 2015

La rete e l’utopia rivoluzionaria.


Di Jacopo Simonetta

La rivoluzione non è una cosa rara nella storia.   Solitamente, quando una società si trova impantanata in difficoltà crescenti e con una classe dirigente screditata, un numero crescente di persone comincia a credere che sia possibile risolvere i problemi rovesciando il potere.  

Qualche volta è andata così, perlomeno in una certa misura; assai più spesso no.

Solitamente, una rivoluzione è uno scoppio di violenza diffuso, quindi un modo per dissipare moto rapidamente una gran quantità di energia, distruggendo nel contempo parte del capitale accumulato in precedenza.   Morti e fuggiaschi, edifici ed infrastrutture danneggiate, denaro ed oggetti d’arte perduti, biblioteche, strutture sociali ed amministrative distrutte, conoscenze e tradizioni dimenticate, eccetera: sono molte le forme sotto cui si palesa un brusco aumento di entropia.

Di conseguenza, al termine di una rivoluzione, la collettività è sempre più povera di quanto fosse all'inizio.   Di solito, il processo è quindi un evento che accelera la decadenza di una società in crisi.   La successione delle dinastie cinesi è emblematica da questo punto di vista.

In qualche caso invece, il ridimensionamento del capitale e della popolazione, nonché il drastico cambio di classe dirigente e di organizzazione, possono effettivamente invertire la tendenza “catabolica” della società.   Ma solo a condizione che sia possibile attingere a nuove risorse e scaricare ad altri l’entropia derivante dalla propria crescita.   Uno dei pochi esempi di questo genere è stata, credo, la “rivoluzione Meiji”.

Questa premessa per dire che non c’è niente di strano se le rivolte aumentano di frequenza ed intensità nelle società contemporanee.   I modi di ribellarsi sono però molto diversi a seconda del contesto.   Ad esempio, abbiamo visto scoppiare numerose rivolte in paesi arabi caratterizzati da un “bubbone giovanile”  particolarmente accentuato, regimi dispotici, risorse in rapido calo e clima in rapido peggioramento.

Nel mondo occidentale il contesto è diverso e l’utopia rivoluzionaria si concentra perlopiù intorno al web.   Molti vedono infatti internet come una tecnologia in grado di affrancare definitivamente i popoli oppressi dal giogo delle grandi multinazionali e dei loro lacchè politici.
Su questo tema la letteratura è immensa, ma mi permetto di segnalare questo articolo perché assai meglio argomentato del solito (le figure sono tratte da esso).

In estrema sintesi, vi si sostiene che, grazie ad internet, si sta sviluppando un’economia fatta principalmente di idee e conoscenze: qualcosa che sfugge ai canoni del capitalismo in seno a cui è nato il web.   L’economia capitalista è infatti basata sulla proprietà privata non solo di materia ed energia, ma anche di idee e conoscenze.   Ciò la rende vulnerabile alla nuova economia in rete che, viceversa, è basata sulla condivisione gratuita di idee e persino di tecnologie e “know how”.   In una prospettiva relativamente prossima, si sostiene, la nuova “economia della conoscenza” avrà relegato il vecchio capitalismo a settori di nicchia, realizzando la più grande e pacifica rivoluzione mai avvenuta nella storia umana.

Sul fatto che internet stia contribuendo a scalzare il capitalismo mondiale direi che l’analisi è sostanzialmente condivisibile.   Viceversa, ho molti dubbi circa la possibilità di sviluppo di una nuova economia in grado di assicurare un avvenire migliore all'umanità.

“Una volta che hai capito in questo senso la transizione, non hai più bisogno di un Piano Quinquennale super-computerizzato.   Bensì di un progetto che abbia lo scopo di espandere quelle tecnologie, modelli di business e comportamenti che dissolvono le forze del mercato, socializzano le conoscenze, eradicano il bisogno di lavorare e spingono l’economia verso l’abbondanza.   Io chiamo questo Progetto Zero perché si propone di raggiungere un sistema energetico con zero carbonio; la produzione di macchine, prodotti e servizi con zero costi marginali e la riduzione del tempo necessario al lavoro il più possibile vicino a zero.”

Un quadro decisamente utopico che vale la pena di commentare.   Ci sono diversi problemi ognuno dei quali richiederebbe un post dedicato; non potendolo fare, mi limiterò a menzionare le questioni che mi paiono principali.

Energia priva di carbonio.   Non viene spiegata la tecnologia, ma probabilmente l’idea si basa sul fatto che spostare tramite la rete idee e conoscenze comporta consumi risibili rispetto a quelli necessari per spostare persone e merci.   Di qui una drastica riduzione dei consumi globali e, quindi, la possibilità di farvi fronte con le sole fonti rinnovabili.   Lo sostengono in molti, trascurando però che la funzionalità del web dipende dall'efficienza di una rete di reti coordinate fra loro: rete telefonica, rete elettrica, reti commerciali, flusso di ricambi ed di energia e molto altro ancora.   Tutte cose che dipendono interamente dal sistema industriale e finanziario che si intende sgominare.

Se è vero che il software può diventare largamente indipendente dalle grandi imprese, non altrettanto vale per lo hardware su cui le informazioni circolano e si conservano.   In pratica, se è vero che internet presenta un’eccezionale resilienza ad alcuni tipi di minacce, è altrettanto vero che risulta estremamente vulnerabile ad altri tipi di stress.   In particolare a tutto ciò che può rendere instabili le reti ed i flussi energetici.   Cioè proprio quella parte della nostra infrastruttura che si sta rivelando più vulnerabile alla crisi energetica in arrivo.    E ricordiamoci pure che l’accesso illimitato, imparziale e quasi gratuito ad internet dipende sia dalla volontà dei governi che delle imprese che gestiscono la rete.   E’ vero che già diversi tentativi di modificare lo status quo sono naufragati, ma niente garantisce che ciò continui a verificarsi in futuro.

Inoltre, ciò che la gente utilizza per vivere è in gran parte molto materiale e non può essere condiviso in rete.    Ma se anche il flusso di informazioni condivise potesse effettivamente sostituire in gran parte il flusso di merci vendute, è molto improbabile che i consumi energetici globali diminuirebbero.

Dall'inizio della rivoluzione industriale ad oggi, l’efficienza dei processi produttivi e di trasporto è aumentata in continuazione, mentre in parallelo aumentavano i consumi globali.   In altre parole, l’esperienza dimostra che man mano che si riducono i consumi unitari, aumentano quelli complessivi (paradosso di Jevons).   Ipotizzare qualcosa di diverso richiederebbe di spiegare come si dovrebbe realizzare una così totale inversione di tendenza rispetto ad una tendenza consolidata nei secoli.

Produzione con zero costi marginali.   Non è molto chiaro cosa voglia dire, ma probabilmente intende l’azzeramento dei costi sociali ed ambientali che, indirettamente, ricadono sulla collettività (esternalità).   In effetti, questo è un punto assolutamente strategico su cui tutti i pochissimi economisti preoccupati dal suicidio collettivo in corso si sono spesi.   Ma è uno scopo perseguibile solo operando contemporaneamente sui due fronti: quello della riduzione dei costi materiali di produzione (sostanzialmente consumi di energia e materia) e su quello dell’aumento dei prezzi al consumo.   Quest’ultimo realizzato tramite una politica fiscale modulata in base agli impatti generati dai processi e dai prodotti.   Insomma qualcosa che sarebbe fattibile solamente da parte degli stati.

Riduzione degli orari di lavoro.   Non è assolutamente chiaro come questo potrebbe verificarsi senza contemporaneamente ridurre il potere d’acquisto dei lavoratori.   Certo, l’articolo ipotizza un’economia strutturata in maniera completamente diversa da quella attuale e quindi, giustamente, sottratta agli attuali meccanismi di mercato.   Ma non spiega quali meccanismi dovrebbero sostituirli. La “condivisione gratuita dell’informazione” è certo un punto importante, ma come questo si potrebbe tradurre in un aumento del benessere a fronte di un minore impegno lavorativo rimane per me misterioso.   Di fatto, i miei conoscenti che lavorano per internet hanno orari molto più massacranti degli operai in fabbrica e degli impiegati al catasto.

Concludendo, l’articolo è interessante e ne consiglio senz’altro la lettura, proprio perché esprime bene opinioni molto diverse dalle mie.   Personalmente, penso che effettivamente internet stia giocando e giocherà un ruolo importante nella decadenza della civiltà industriale attuale.   Rimango invece estremamente scettico circa la sua possibilità di diventare il pilastro di una più florida e democratica civiltà futura.



lunedì 1 giugno 2015

Internet: il grande imbroglio del rinnovo automatico (e un trucco per liberarsene)




L'altro giorno, mi arriva il messaggio che vedete qui sopra dove mi dicono che rinnoveranno automaticamente il mio abbonamento al loro software, ovviamente facendo un prelievo sulla mia carta di credito. Su questa vicenda ci ho perso una buona mattinata di arrabbiature, per cui ho pensato di raccontare tutta la storia sul blog - forse potrà essere utile a qualcuno che si viene a trovare nella stessa situazione.

Per cominciare, mi ricordo che questo software, "Stopzilla" l'avevo effettivamente comprato due anni fa per vedere di eliminare un virus assassino che mi aveva acchiappato un laptop. E mi sembra di ricordarmi che aveva anche funzionato. Ma sono anche strasicuro che NON avevo firmato nessun contratto di rinnovo automatico. Non lo faccio mai, non sono mica fesso. Eppure non basta: o c'era qualche trucco per cui mi hanno fatto cliccare su qualcosa di nascosto, oppure se lo sono inventato. Insomma, questi mi scrivono che si sentono in diritto di farmi un prelievo sulla mia carta di credito a meno che non gli dica esplicitamente di non farlo. (e meno male che questo messaggio non è finito nello spam!)

E' chiaramente un imbroglio, ma come fermarli? E' venuto fuori che non è per niente facile fermare questo tipo di truffa. 

Notate per prima cosa che nel messaggio non ti danno nessun altro modo di contattarli se non un numero di telefono negli Stati Uniti. Certo, ho l'indirizzo dal quale mi è arrivato il messaggio (is3@avangate.com), ma è ovvio che scrivergli quell'indirizzo è equivalente a scrivere a Babbo Natale; non ti puoi aspettare che ti rispondano o che ti diano retta.

Così, non mi resta che provare a telefonare. Vi dirò che ci ho provato per ben tre volte. La prima volta, mi hanno riattaccato in faccia. La seconda mi hanno chiesto il mio numero di telefono e mi hanno detto che mi richiamavano (ovviamente non l'hanno fatto). La terza, mi hanno detto "adesso siamo chiusi - richiami più tardi". La tipa che rispondeva al telefono (sempre la stessa), evidentemente, aveva studiato le tecniche della guerriglia urbana applicate al telemarketing. Insomma, niente da fare e se insistevo spendevo chissà quanto di telefono per non arrivare a nulla.

Ho provato allora a telefonare al servizio clienti della mia carta di credito. Qui, uno si aspetterebbe di avere un certo controllo su cosa paghi e a chi. E invece no. Il tizio del servizio clienti mi dice, "Se hai fatto una sottoscrizione con rinnovo automatico, loro hanno diritto di fare il prelievo" Io gli rispondo, "ma non è vero, è un imbroglio. Non ho fatto nessuna sottoscrizione del genere". Risposta (più o meno): "l'hai fatta se loro dicono che l'hai fatta." Insisto: "Ma come posso cancellarla?" "Devi dire a loro che la vuoi cancellare. Solo dopo, se ti fanno il prelievo, puoi contestare il pagamento."

Comincio a sentirmi leggermente alterato. Dico al tipo, "ma questi non mi hanno dato altro che un numero di telefono in America per contattarli. E quando gli telefono non mi danno retta." Quello mi risponde, più o meno, "non è un problema nostro."  Dico, "E se per caso non sapessi parlare in inglese?" Risposta: "è un problema tuo".

Rabbia montante: provo a vedere se ritrovo l'originale dell'ordine che avevo fatto. Ma nessuna traccia di quel nome e di quell'indirizzo e-mail. Eppure ho tutti i messaggi mandati e ricevuti da almeno cinque anni. Ma questo "avangate" non esiste nei miei record. Devono aver cambiato nome o chissà cosa hanno inventato. Un trucco anche questo, in ogni caso.

A questo punto, sto veramente fumando. Considero l'ipotesi di dichiarare lo smarrimento della mia carta di credito, così perlomeno li blocco per davvero. Ma è una cosa complicata e poi magari va a finire che mi ridanno lo stesso numero per la nuova carta. E non mi ricordo nemmeno se per caso avevo invece pagato con paypal. Ma porca miseria.....

Finalmente, mi viene un'ideuzza: guardare il "source" del messaggio che mi è arrivato, chissà che non ci fosse un'email valida? E lì succede il miracolo: eccolo qua:


Vedete? Invisibile se guardato in modo normale, c'era nel source un testo nascosto con i dati su come fare a cancellare l'opzione di "auto-renewal." Come abbiano fatto a fare in modo che non apparisse sul mio client di posta, non ho idea, ma sicuramente c'è qualche trucco per farlo. In ogni caso, è probabile che per legge fossero obbligati a mandare queste informazioni, ma in questo modo uno le riceve, ma non le può vedere.

Anche dopo aver scoperto il messaggio segreto non è stato facile cancellare l'ordine. Il loro sito sembra fatto apposta per non farti trovare la pagina giusta, quasi peggio del sito dell'INPS. Ma, con un bel po' di lavoro e tanti accidenti, alla fine sono riuscito a trovare la pagina giusta. Ho scoperto che stavano per farmi pagare 49,90 dollari e ho cliccato via la spuntatura sul "rinnovo automatico. Sembrerebbe sia andata bene e, in effetti, mi è persino arrivata una notifica di cancellazione (dopo aver cercato di imbrogliarmi in tutti i modi, ora fanno i bravi.....)

Certo però, di tutta questa vicenda ne viene fuori che effettivamente comprare qualcosa su internet può essere rischioso. Il trucco di questi qui è di portarti via piccole cifre, sperando che uno non se ne accorga; oppure che si scoraggi di fronte alla difficoltà di cancellare, che rimandi alla prossima volta e poi se ne dimentichi. Stavolta, ho trovato un trucchetto per fregarli, ma chissà quanti altri imbrogli ti possono inventare.

La cosa strana, però, è che tu non puoi dire alla tua compagnia di carta di credito che vuoi interrompere un servizio di pagamento automatico. Questa è veramente un'assurdità, considerando il gran numero di questi imbrogli che girano su internet; ci provano tutti e ci provano sempre. A me è capitato che un noto provider italiano abbia continuato ad farmi pagare per un sito che non esisteva più per almeno tre anni, senza dirmi niente.

Possibile che non si possa fare qualcosa per fermarli senza costringere un poveraccio a dover hackerare la propria posta elettronica?









giovedì 23 ottobre 2014

Perché Jeremy Rifkin sbaglia strada


Di Philippe Bihouix

Traduzione di MR

 


E' una buona decina di anni che Jeremy Rifkin parla di economia all'idrogeno e di tante altre meraviglie ma, fino ad ora, non si è visto niente di concreto. Ultimamente, si è messo a parlare di "Fine del Capitalismo" sulla base dei nuovi sviluppi della tecnologia. In questo articolo,  originariamente pubblicato su "Les Echos," Philippe Bihouix fa notare a Rifkin che le cose potrebbero non essere così semplici (UB)




Jeremy Rifkin è tornato alla carica: dopo la “Terza rivoluzione industriale”, adesso propone nientemeno che la fine del capitalismo o quasi, per via della gratuità universale delle comunicazioni, dell'energia e degli oggetti, i cui costi di produzione tenderanno allo zero. Dopo la rivoluzione tecnologica delle comunicazioni, verrà quella di un Internet dell'energia – basato sul dispiegamento massiccio delle rinnovabili, lo stoccaggio attraverso l'idrogeno e la “smart grid” - e quella di un Internet degli oggetti, collegati e prodotti a volontà da stampanti 3D.

La tesi seduce, ognuno ci trova qualcosa di proprio: vendicatori di un fordismo sfruttatore, edonisti che non ci vedono la messa in discussione del consumo o della mobilità (al contrario, tutto sarà gratuito), industriali allettati da nuovi mercati, ecologisti ingenui che fanno leva su un'energia pulita ed abbondante... Come sembra radioso il futuro! Sfortunatamente, Rifkin ha una tendenza comune presso gli economisti: in nessun caso si occupa della questione della disponibilità delle risorse fisiche, o della realtà materiale delle sue riflessioni.

E' il caso delle potenzialità delle stampanti 3D, il cui principio è quello di depositare strato dopo strato di polimeri o metalli. Una tecnologia senza dubbio rivoluzionaria e che apre delle prospettive. Da lì a farne la macchina a vapore del XXI° secolo o dichiarare la sparizione della produzione classica, ce ne corre.

Poiché le stampanti non possono sostituire gli impianti per le materie prime, gli altoforni, le raffinerie (anche bio), le vetrerie e persino le materie riciclate. Non possono fabbricare oggetti multi-materiali o assemblati: si può stampare la carrozzeria di un'automobile in resine, ma non un pianoforte o un computer. Per fondere la polvere di metallo, si usa un laser a fasci di elettroni, una tecnologia costosa, inimmaginabile per i privati, quindi le stampanti per consumatori a resina non fabbricano né chiodi né viti.

Infine, solo le materie prime che consentono la fusione sono utilizzabili: si continuerà a tessere e cucire i tessuti... Come fabbricherà Rifkin gratuitamente le bobine di rame dei motori elettrici per Google Cars, il silicio dei pannelli solari o le camicie di cotone? Ecco ciò che rende la sua prospettiva ben poco credibile. Peccato, poiché ha anche delle buone idee, come sulla condivisione ed il rapporto con la proprietà.

Ma è sulla componente energetica che Rifkin rimane di gran lunga irrealistico. La sua metafora di un Internet dell'energia sente l'odore dell'economia “dematerializzata” e gli permette di evitare le questioni troppo concrete. Sfortunatamente, non si immagazzina l'energia facilmente come i byte, non esiste una legge di Moore dell'energia. Per produrre, immagazzinare e trasportare l'elettricità, anche “verde”, servono grandi quantità di metalli: platino delle pile a idrogeno, neodimio dell'eolico e delle automobili elettriche, selenio ed indio dei pannelli solari... ed altri metalli rari già utilizzati in elettronica, quindi la domanda esploderebbe con una generalizzazione delle “smart grid”, degli oggetti in rete e di Big Data. La disponibilità mineraria, già in contrazione, non potrebbe stare al passo.

Al contrario, stiamo perdendo tempo prezioso. Poiché non stiamo affatto andando verso la gratuità e l'abbondanza, ma verso l'impoverimento e la penuria, il nostro sistema industriale è basato su uno stock di riserve limitato, specialmente minerale. Poiché siamo affascinati dalle novità high-tech, mentre queste in realtà ci allontanano dalle possibilità di un riciclaggio efficace e dovremo al contrario innovare con delle basse tecnologie, più basiche e dalle prestazioni inferiori. Bisognerà certamente passare per la sobrietà, poiché non ci sono soluzioni miracolose al vicolo cieco ambientale attuale. E di grazia, signor Rifkin, visiti uno stabilimento o una miniera!




Philippe Bihouix, ingegnere, è l'autore di “L'era del low tech” (Seuil, 2014)


Philippe Bihouix, ingegnere, è l'autore di “L'era del low tech” (Seuil, 2014)



sabato 15 marzo 2014

Maledetti Troll!!!






Da ZeroHedge. Traduzione di MR

Perché i Troll iniziano le guerre dei flame: imprecare e insultare blocca la capacità di pensare e concentrarsi

Gli studi di psicologia mostrano che imprecare ed insultare nelle discussioni su Internet bloccano la nostra capacità di pensare. Due professori di scienza della comunicazione dell'Università del Wisconsin a Madison - Dominique Brossard e Dietram A. Scheufele – hanno scritto lo scorso anno sul New York Times:

In uno studio pubblicato in rete lo scorso mese nel Journal of Computer-Mediated Communication, noi e tre altri colleghi facciamo una relazione su un esperimento progettato per misurare quello che si potrebbe chiamare “l'effetto sgradevole”.

Abbiamo chiesto ai 1.183 partecipanti di leggere attentamente un post su un blog fittizio che spiegava i potenziali rischi e vantaggi di un nuovo prodotto tecnologico chiamato nanosilver. Queste particelle infinitesimali d'argento, più piccole di 100 miliardesimi di metro in ogni dimensione, hanno diversi benefici potenziali (come le proprietà antibatteriche) e rischi (come la contaminazione dell'acqua), riportava l'articolo online. 

Poi abbiamo fatto leggere ai partecipanti i commenti al post, presumibilmente di altri lettori, e rispondere a domande riguardanti il contenuto dell'articolo stesso. 

Metà del nostro campione è stato esposto a commenti di lettori civili e l'altra metà a commenti di lettori maleducati – anche se il contenuto, la lunghezza e l'intensità reale dei commenti, che variava dal sostenere la nuova tecnologia all'essere diffidente per i rischi, erano coerenti in entrambi i gruppi. La sola differenza era che quelli maleducati contenevano epiteti e parolacce, come: “Se non vedi i benefici dell'uso della nanotecnologia in questo tipo di prodotto, sei un'idiota” e “Sei stupido se non pensi ai rischi per i pesci e per le altre piante e animali nell'acqua contaminata con l'argento”. 

I risultati sono stati sia sorprendenti sia inquietanti. I commenti incivili non solo hanno polarizzato i lettori, ma hanno spesso cambiato l'interpretazione dei partecipanti della notizia stessa

Nel gruppo civile, coloro che inizialmente supportavano o non supportavano la tecnologia – che abbiamo identificato con domande in un sondaggio preliminare – hanno continuato a sentirsi allo stesso modo dopo aver letto i commenti. Coloro che sono stati esposti ai commenti maleducati, tuttavia, hanno finito per avere una comprensione molto più polarizzata dei rischi connessi alla tecnologia

Includere anche soltanto un attacco ad personam in un commento di un lettore è stato sufficiente a far pensare ai partecipanti che il lato negativo della tecnologia di cui si parlava fosse maggiore di quanto avessero pensato in precedenza

Mentre è difficile quantificare gli effetti distorsivi di tali cattiverie online, sono destinate ad essere piuttosto consistenti, in particolare – e forse ironicamente – nel campo delle notizie scientifiche. 
Quindi, perché la gente trolla in modo maleducato?

Gli psicologi dicono che gran parte di loro sono psicopatici, sadici e narcisisti che si divertono in questo modo. E' facile sottostimare quanti di questi tipi di squilibrati ci siano là fuori: ci sono milioni di sociopatici nei soli Stati Uniti.

Ma anche le agenzie di intelligence stanno intenzionalmente disturbando la discussione politica sul web e attacchi ad personam, insulti e tattiche da 'divide et impera' sono tutte tecniche di disturbo ben conosciute e frequentemente usate.

Ora sapete perché... le guerre dei flame polarizzano il pensiero e bloccano la capacità di concentrarsi sul reale argomento e sui fatti in discussione.

Infatti, questa tattica è così efficace che lo stesso sapientone potrebbe agire su entrambi i fronti della battaglia.

Postscriptum: Fortunatamente, non è poi così difficile fermare il loro disturbo... basta indicare quello che stanno facendo.

Per esempio, ho scoperto che postare una cosa di questo genere può essere molto efficace:

Buon Numero 1!

Questo potrebbe essere meglio se il troll è un sociopatico:

Questo tipo di "intrattenimento" non è più appropriato altrove?

(includete il link, così la gente può vedere a cosa vi state riferendo).

La ragione per cui questo funziona è che gli altri lettori impareranno come funzionano le tattiche di disturbo specifiche usate... contestualmente, come vedere la natura selvaggia avendo in mano una guida, di modo che si impara quello che si vede “sul campo”. Allo stesso tempo, risulterete divertenti, scanzonati e intelligenti... anziché oppressivi e troppo intensi.

Provate... funziona.

lunedì 16 maggio 2011

I filtri della nostra mente sono gestiti da internet



Vi passo questo talk su TED di Eli Parisier. E' in inglese, ma suggerisco di fare un piccolo sforzo per vederselo tutto. E' impressionante.

Lo sapevate che i risultati delle ricerche che fate su internet; Google, Facebook, Yahoo, tutto,  sono "filtrati", senza che voi ci possiate fare niente? Ovvero, il vostro servizio di ricerca vi fornisce i dati che ritiene che voi siete interessati a vedere. Che vi piaccia o no, vivete in una "bolla di informazione" decisa da altri (ma anche da voi stessi) che esclude un po' tutte le informazioni contrarie alla visione che avete del mondo. E' un processo che si auto-rinforza; più guardate certi siti e certi canali, più i motori di ricerca filtrano le vostre richieste in quel senso.

E' un classico ciclo di feedback positivo. Non è una cosa nuova: da sempre chi è di sinistra legge "L'Unità" o equivalenti e chi è di destra legge "Il Giornale" o equivalenti. Se ci pensate un attimo, è strano che uno paghi qualcosa per sentirsi raccontare balle di un tipo o di un altro. D'altra parte è così che funziona la mente umana: il risultato sono contrapposizioni tipo Peppone e Don Camillo - ingenue e forse anche divertenti. Ma è impressionante pensare quanto del dibattito politico sia basato su queste cose.

Internet oggi ha portato a una polarizzazione ben maggiore, come si vede ultimamente quando capita di scontrarsi con opinioni diverse. Quando si parla di cambiamento climatico, per esempio, ci si trova a parlare con persone che - letteralmente - sembrano arrivare da un altro pianeta; un pianeta che non si sta riscaldando affatto o che - se si riscalda - non ci farà altro che bene. Per non parlare poi della marea di complottisti, nubiristi, duemiladodicisti, sciachimisti, torri-gemelle-demolizionisti, allunaggi-inesistenzionisti,eccetera che infestano l'internet, tutti chiusi nella loro personale bolla informativa dove le loro convinzioni si autorinforzano in continuazione.

In parte, è un risultato inevitabile delle limitazioni della mente umana - di fronte alla marea immensa di informazione che c'è su internet, è inevitabile scegliere. E la scelta implica un processo di rinforzo che si auto-alimenta.

Come uscire da questa impasse? Non è facile, ma rendersi conto di quello che ci sta succedendo è già un passo avanti. Poi, applicare il metodo scientifico è l'unico modo di avere un "filtraggio" oggettivo che non dipende dalle nostre visioni ideologiche. Forse, nel futuro, potremo avere una maggior flessibilità nella gestione delle informazioni che ci arrivano da internet, e questo ci darà almeno la possibilità di far qualcosa per evitare queste forme di distorsione. Speriamo bene....

giovedì 13 maggio 2010

Dunning–Kruger, Prologo

Io sono tra quella pattuglia di vecchi che si ricorda di internet prima che il web nascesse. Nel 1992 ho infatti avuto il mio primo approccio col Gopher e poco più in là con i newsgroup.

Sono rimasto molto affascinato da questo modo per me del tutto nuovo di comunicare. Ricordo che ho subito notato che rispetto alla comunicazione interpersonale della vita reale c'era una maggiore aggressività nel linguaggio e la tendenza a corprirsi di ridicolo.

Il primo è facile da interpretare: dal monitor non ti può arrivare un cazzotto sui denti, e in genere l'assenza di un contatto diretto abbassa i freni inibitori. Addirittura si scopre che in molti la gioia che procura il premere in tutta sicurezza i bottoncini che fanno perdere le staffe al prossimo attiva un feedback gratificante (in effetti è una forma di potere sugli altri), per cui spesso la cosa viene fatta di proposito, parliamo dei famosi Troll (da una tecnica di pesca, nulla a che vedere con JRR Tolkien).

Il secondo invece mi ha sempre lasciato perplesso. Senza sforzarmi troppo mi ricordo di aver visto gente che proclamava di aver provato il teorema di Fermat in pochi semplici passaggi (Andrew Wiles ha avuto bisogno di 200 pagine di strumenti matematici molto sofisticati per farlo), il tutto fatto davanti a seri matematici. Gente che pretendeva di curare il cancro col bicarbonato di sodio (per altro provandoci davvero, con diversi morti strada facendo) davanti a medici. Gente che pretendeva di curare l'Aids e praticamente tutte le malattie con le vitamine, gente che faceva la stessa cosa bevendo l'urina. Poi ci sono i motori gravitazionali, il moto pertpetuo ecc. Ok, mi sono detto, questi sono dei Netkook, fanno parte del bestiario di Internet, stanne alla larga e va tutto bene. Ma poi con l'esperienza ho realizzato che questi sono solo esempi estremi di una tendenza molto diffusa e non sempre così evidente. Una tendenza quindi che andrebbe compresa meglio e che invece io non capisco.

Finalmente ho trovato una spiegazione che mi ha illuminato. Devo ringraziare per questo Skeptical Science. Per i non anglofoni, dirò di che si tratta nel mio prossimo intervento su Cassandra.

mercoledì 6 gennaio 2010

Internet: non siamo ancora al picco


Immagine dal sito "netcraft"


Continua ad aumentare la popolazione di internet. Misurati in termini di "host names" siamo a circa 240 milioni. Di questi, quelli "attivi", circa 70 milioni. Il numero di siti è solo uno degli indicatori dell'espansione di internet. Secondo alcuni dati, nel 2008 c'erano oltre mille miliardi di pagine sul web (un trilione di pagine).

Non ho trovato statistiche sull'incremento storico del numero di pagine sul web, ma se prendiamo come un indicatore dell'espansione di internet il numero di host names, è comunque interessante notare come il numero degli hosti attivi, e probabilmente anche quello totale, stiano rallentando la loro crescita. Per gli host attivi, potremmo divertirci a estrapolare la curva di crescita con una logistica e non andremmo oltre gli 80 milioni. Se misurassimo la crescita in termini di numero di host names aggiunti ogni anno vedremmo un "picco di Hubbert" verso il 2007.

Sarà questo il "picco di internet"? Può anche darsi. I server che lo gesticono richiedono molta energia e molte risorse e entrambe le cose esistono in quantità limitate. L'internet, come tutte le cose umane, non può essere infinito. Almeno fintanto che rimane una cosa umana.....