mercoledì 5 agosto 2015

La rete e l’utopia rivoluzionaria.


Di Jacopo Simonetta

La rivoluzione non è una cosa rara nella storia.   Solitamente, quando una società si trova impantanata in difficoltà crescenti e con una classe dirigente screditata, un numero crescente di persone comincia a credere che sia possibile risolvere i problemi rovesciando il potere.  

Qualche volta è andata così, perlomeno in una certa misura; assai più spesso no.

Solitamente, una rivoluzione è uno scoppio di violenza diffuso, quindi un modo per dissipare moto rapidamente una gran quantità di energia, distruggendo nel contempo parte del capitale accumulato in precedenza.   Morti e fuggiaschi, edifici ed infrastrutture danneggiate, denaro ed oggetti d’arte perduti, biblioteche, strutture sociali ed amministrative distrutte, conoscenze e tradizioni dimenticate, eccetera: sono molte le forme sotto cui si palesa un brusco aumento di entropia.

Di conseguenza, al termine di una rivoluzione, la collettività è sempre più povera di quanto fosse all'inizio.   Di solito, il processo è quindi un evento che accelera la decadenza di una società in crisi.   La successione delle dinastie cinesi è emblematica da questo punto di vista.

In qualche caso invece, il ridimensionamento del capitale e della popolazione, nonché il drastico cambio di classe dirigente e di organizzazione, possono effettivamente invertire la tendenza “catabolica” della società.   Ma solo a condizione che sia possibile attingere a nuove risorse e scaricare ad altri l’entropia derivante dalla propria crescita.   Uno dei pochi esempi di questo genere è stata, credo, la “rivoluzione Meiji”.

Questa premessa per dire che non c’è niente di strano se le rivolte aumentano di frequenza ed intensità nelle società contemporanee.   I modi di ribellarsi sono però molto diversi a seconda del contesto.   Ad esempio, abbiamo visto scoppiare numerose rivolte in paesi arabi caratterizzati da un “bubbone giovanile”  particolarmente accentuato, regimi dispotici, risorse in rapido calo e clima in rapido peggioramento.

Nel mondo occidentale il contesto è diverso e l’utopia rivoluzionaria si concentra perlopiù intorno al web.   Molti vedono infatti internet come una tecnologia in grado di affrancare definitivamente i popoli oppressi dal giogo delle grandi multinazionali e dei loro lacchè politici.
Su questo tema la letteratura è immensa, ma mi permetto di segnalare questo articolo perché assai meglio argomentato del solito (le figure sono tratte da esso).

In estrema sintesi, vi si sostiene che, grazie ad internet, si sta sviluppando un’economia fatta principalmente di idee e conoscenze: qualcosa che sfugge ai canoni del capitalismo in seno a cui è nato il web.   L’economia capitalista è infatti basata sulla proprietà privata non solo di materia ed energia, ma anche di idee e conoscenze.   Ciò la rende vulnerabile alla nuova economia in rete che, viceversa, è basata sulla condivisione gratuita di idee e persino di tecnologie e “know how”.   In una prospettiva relativamente prossima, si sostiene, la nuova “economia della conoscenza” avrà relegato il vecchio capitalismo a settori di nicchia, realizzando la più grande e pacifica rivoluzione mai avvenuta nella storia umana.

Sul fatto che internet stia contribuendo a scalzare il capitalismo mondiale direi che l’analisi è sostanzialmente condivisibile.   Viceversa, ho molti dubbi circa la possibilità di sviluppo di una nuova economia in grado di assicurare un avvenire migliore all'umanità.

“Una volta che hai capito in questo senso la transizione, non hai più bisogno di un Piano Quinquennale super-computerizzato.   Bensì di un progetto che abbia lo scopo di espandere quelle tecnologie, modelli di business e comportamenti che dissolvono le forze del mercato, socializzano le conoscenze, eradicano il bisogno di lavorare e spingono l’economia verso l’abbondanza.   Io chiamo questo Progetto Zero perché si propone di raggiungere un sistema energetico con zero carbonio; la produzione di macchine, prodotti e servizi con zero costi marginali e la riduzione del tempo necessario al lavoro il più possibile vicino a zero.”

Un quadro decisamente utopico che vale la pena di commentare.   Ci sono diversi problemi ognuno dei quali richiederebbe un post dedicato; non potendolo fare, mi limiterò a menzionare le questioni che mi paiono principali.

Energia priva di carbonio.   Non viene spiegata la tecnologia, ma probabilmente l’idea si basa sul fatto che spostare tramite la rete idee e conoscenze comporta consumi risibili rispetto a quelli necessari per spostare persone e merci.   Di qui una drastica riduzione dei consumi globali e, quindi, la possibilità di farvi fronte con le sole fonti rinnovabili.   Lo sostengono in molti, trascurando però che la funzionalità del web dipende dall'efficienza di una rete di reti coordinate fra loro: rete telefonica, rete elettrica, reti commerciali, flusso di ricambi ed di energia e molto altro ancora.   Tutte cose che dipendono interamente dal sistema industriale e finanziario che si intende sgominare.

Se è vero che il software può diventare largamente indipendente dalle grandi imprese, non altrettanto vale per lo hardware su cui le informazioni circolano e si conservano.   In pratica, se è vero che internet presenta un’eccezionale resilienza ad alcuni tipi di minacce, è altrettanto vero che risulta estremamente vulnerabile ad altri tipi di stress.   In particolare a tutto ciò che può rendere instabili le reti ed i flussi energetici.   Cioè proprio quella parte della nostra infrastruttura che si sta rivelando più vulnerabile alla crisi energetica in arrivo.    E ricordiamoci pure che l’accesso illimitato, imparziale e quasi gratuito ad internet dipende sia dalla volontà dei governi che delle imprese che gestiscono la rete.   E’ vero che già diversi tentativi di modificare lo status quo sono naufragati, ma niente garantisce che ciò continui a verificarsi in futuro.

Inoltre, ciò che la gente utilizza per vivere è in gran parte molto materiale e non può essere condiviso in rete.    Ma se anche il flusso di informazioni condivise potesse effettivamente sostituire in gran parte il flusso di merci vendute, è molto improbabile che i consumi energetici globali diminuirebbero.

Dall'inizio della rivoluzione industriale ad oggi, l’efficienza dei processi produttivi e di trasporto è aumentata in continuazione, mentre in parallelo aumentavano i consumi globali.   In altre parole, l’esperienza dimostra che man mano che si riducono i consumi unitari, aumentano quelli complessivi (paradosso di Jevons).   Ipotizzare qualcosa di diverso richiederebbe di spiegare come si dovrebbe realizzare una così totale inversione di tendenza rispetto ad una tendenza consolidata nei secoli.

Produzione con zero costi marginali.   Non è molto chiaro cosa voglia dire, ma probabilmente intende l’azzeramento dei costi sociali ed ambientali che, indirettamente, ricadono sulla collettività (esternalità).   In effetti, questo è un punto assolutamente strategico su cui tutti i pochissimi economisti preoccupati dal suicidio collettivo in corso si sono spesi.   Ma è uno scopo perseguibile solo operando contemporaneamente sui due fronti: quello della riduzione dei costi materiali di produzione (sostanzialmente consumi di energia e materia) e su quello dell’aumento dei prezzi al consumo.   Quest’ultimo realizzato tramite una politica fiscale modulata in base agli impatti generati dai processi e dai prodotti.   Insomma qualcosa che sarebbe fattibile solamente da parte degli stati.

Riduzione degli orari di lavoro.   Non è assolutamente chiaro come questo potrebbe verificarsi senza contemporaneamente ridurre il potere d’acquisto dei lavoratori.   Certo, l’articolo ipotizza un’economia strutturata in maniera completamente diversa da quella attuale e quindi, giustamente, sottratta agli attuali meccanismi di mercato.   Ma non spiega quali meccanismi dovrebbero sostituirli. La “condivisione gratuita dell’informazione” è certo un punto importante, ma come questo si potrebbe tradurre in un aumento del benessere a fronte di un minore impegno lavorativo rimane per me misterioso.   Di fatto, i miei conoscenti che lavorano per internet hanno orari molto più massacranti degli operai in fabbrica e degli impiegati al catasto.

Concludendo, l’articolo è interessante e ne consiglio senz’altro la lettura, proprio perché esprime bene opinioni molto diverse dalle mie.   Personalmente, penso che effettivamente internet stia giocando e giocherà un ruolo importante nella decadenza della civiltà industriale attuale.   Rimango invece estremamente scettico circa la sua possibilità di diventare il pilastro di una più florida e democratica civiltà futura.



13 commenti:

  1. Due punti mi vengono in mente leggendo il tuo interessante (come sempre) articolo:

    1. Le rivoluzioni non servono e non sono mai realmente servite a cambiare le cose se non su un livello molto superficiale. Sono invece un acceleratore di entropia ed un freno all'analisi della complessità, dando così modo alle pulsioni profonde (la pancia) di prevalere. Di solito nelle situazioni di crisi, specie in quella attuale, ciò che serve invece è una capacità di attenzione ed analisi al di fuori dell'ordinario, se si vuole ottenere un qualche risultato significativo in termini di risoluzione dei problemi di fondo della crisi. Ergo, come amiamo dire in nella Transizione, meglio l'Evoluzione che la Rivoluzione.

    2. Internet e tutta la rete che ne consegue è del tutto dipendente non solo dal sistema capitalistico/finanziario, ma anche da un sistema energetico fortemente basato sui combustibili fossili. Inoltre, l'altissimo livello di complessità del sistema e il suo grande fabbisogno di energia per il proprio mantenimento confliggono fortemente con una disponibilità di energia ed una complessità del suo sistema inevitabilmente destinata a diminuire in modo molto significativo. In un mondo che dovrà decidere dove impiegare l'energia residua, personalmente credo che ci siano priorità maggiori (agricoltura, riscaldamento, trasporti strategici, illuminazione, ecc) rispetto alla rete. Inoltre, le infrastrutture di cui accenni sono estremamente difficili da mantenere in buone condizioni in un mondo con pochi o nessun combustibile fossile a disposizione. Ergo, magari non è una cosa per domani e forse nemmeno per il 2030, ma secondo me sarebbe saggio cominciare sin da ora a pensare ad un mondo post rete, perché in un modo o nell'altro è quello che ci aspetta (non dimentichiamo che gran parte della rete Internet dipende anche dal proseguimento dei programmi spaziali e dalla manutenzione/sostituzione dei satelliti).

    Per cui, credo che dovremmo considerare la rete un elemento straordinario di transizione (in tutti i sensi), ma di non renderla, come siamo soliti fare noi umani, un feticcio. Come tutte le cose, la rete ha una sua fine. E, visto come si stanno mettendo le cose, potrebbe non essere così lontana quanto crediamo.

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    1. Penso che Internet sia il metodo più efficiente che conosciamo per scambiarci informazioni, che possano anche essere quelle su come coltivare meglio alcuni terreni in date circostanze ambientali e climatiche.

      Io direi che è il penultimo settore dove converrebbe tagliare (l'ultimo è l'alimentazione).

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    2. Penso anche io che la rete si disintegrerà gradualmente, ma anche che sarà una delle ultime fortezze del mondo attuale. Non solo perché e "il metodo più efficiente che conosciamo per scambiarci informazioni". Ma anche perché è uno straordinario strumento di potere. Non c'è più bisogno di spiare i cittadini, sono loro che ti raccontano tutto.
      Poi non dimentichiamo che praticamente tutti i servizi vitali dello stato oggi passano da internet: dalle tasse al catasto. Il giorno che la rete comincerà ad arrancare sul serio cambieranno molte cose nella nostra vita.

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    3. I componenti elettronici hanno vita breve, la loro produzione non è certo roba da artigiani in cantina.
      Dell'odierna civiltà ciò che più rimpiangerò sarà internet e wikipedia.
      (Oltre ovviamente a questo Blog :D )

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    4. Concordo con la visione di Simonetta (grazie per il post).
      Solo 3/4 anni fa ad esempio, era dato per morto il settore automobilistico italiano..oggi è ridimensionato ma probabilmente supereremo il milione e mezzo di vendite (come dice un mio amico l'Italia è il paese dove le due e quattro ruote le puoi vendere anche a morti e disoccupati).
      La rete cadrà come tutte le cose ma potrebbe subire solo un ridimensionamento notevole prima di spirare..
      Tra l'altro i servers potrebbero funzionare anche con sistemi fotovoltaici ma ovviamente si terrà in vita l'essenziale..e non so quanta roba possa essere eliminata dalla rete senza che nessuno si strappi i capelli..ma immagino molta..
      Ovvio poi che esistano soluzioni molto meno energivore..un pc necessita di componentistica valida ma anche ridotta all'osso.
      E può già funzionare con alimentatori da poche decine di watt (e lo sa bene chi usa il portatile avendo in impianto fotovoltaico sul tetto).

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  2. (Sorry to write in English).
    I have been intrigued by Paul Mason's article too. He is pointing out some important trends, but he perhaps under-estimates the opposing, more traditional trends.
    I have been struck how prices of certain goods/services are going to zero: software, books, how-to information, videos, music. Much that we have valued and paid for is now available free on the Internet. I used to pay several dollars for a copy of the Guardian newspaperr, and now I can read as much as I want from their website for nothing. When I was learning Italian, I had to travel all over the San Francisco Bay Area to find good reading material. The only Italian language I could hear regularly was the weekly radio broadcasts from an old (Catholic priest (with strong opinions) in San Francisco. Health and legal information is readily available. The plumber who fixed our water problems told me that he watches YouTube regular to learn about repair techniques.

    It's true that certain material goods have not gone down in price the same way. But even there, improved design (made possible by computers/networks) mean that at it *possible* to spend less. For example, computer hardware is now a fraction of the price it was 30 years ago. I can get a used computer for $40 now that would have cost more than $4000 in 1985.

    So I believe that it is possible to spend less, use less energy than before for a higher quality of life. But advertising and consumerism keep pushing us to spend more, waste more.

    In the last analysis, it is *social factors* that will determine our fate. A dozen charismatic leaders like Pope Francis may be what it will require to reverse our madness.

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    1. Il progresso sposta sempre più in là, il limite dei servizi di cui possiamo disporre.

      Un mio articolo sui limiti della crescita (che quasi non ci sono):
      http://www.climaeambiente.eu/sez_ambiente/crescita.aspx

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    2. You are welcome, I apologize for my poor English.. In fact exactly this trend to zero price is one of the killers of the market economy. The price of stuff is lowering, so consumptions are growing, but people with good salary is less and less. At a certain moment the two curves must cross and consumptions will go down, even if prices are very low, because not enough people still have earnings. With oil we are yet at this point.
      More than that, internet is reshaping commerce. When it will be gone, how to buy without the complex nest of actual shops and supermarkets?

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  3. Above comment was from Bart Anderson at Resilience.org

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  4. Vorrei distinguere tra Internet e filosofia Open-Source. Se ci puo' essere qualche dubbio che Internet sia effettivamente in grado di scalzare il Capitalismo con una Rivoluzione Non-violenta io sono un grande sostenitore del modello Open-Source da non relegare allo sviluppo di software ma da interpretare come filosofia collaborativa sostanzialmente gratuita da estendere a tutte le manifestazioni sociali. Piramide e gerarchia contro rete, predazione e dominio contro collaborazione: io sostengo la rete e la collaborazione.

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  5. ribellioni violente e rivoluzioni hanno due detonatori: fame e violenza. La rivoluzione può essere mantenuta solo continuando a sopprimere i nemici delle rivoluzione,anche quando non ne esistono più. Stalin e Robespierre ne sono un lucido esempio, quindi se possibile, le rivoluzioni sono da evitare. Purtroppo il clima di terrore, classico delle rivoluzioni, mi sembra si stia alzando in modo palese nella società con l'aumento della delinquenza. Questo fenomeno può essere arginato solo in due modi: il primo è la distribuzione gratuita di ricchezza, come è avvenuto e avviene nel meridione, il secondo con la militarizzazione della società, che avverrà senz'altro, con le relative impiccagioni di massa, come nelle rivoluzioni passate, allorquando non ci saranno più le risorse per regalare alle masse. Dare di rivoluzione alle modifiche di costume e società, come lo sono state la TV, l'auto e ora internet, mi sembra un tantino esagerato; in fondo rivoluzione significa rovesciamento dell'ordine costituito e TV, auto e internet mi sembrano invece dei rafforzativi di esso, come appunto le regalie di sopra.

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  6. "L’economia capitalista è infatti basata sulla proprietà privata non solo di materia ed energia, ma anche di idee e conoscenze"

    Questa mi pare un po' una monata da Guardian, il capitalismo comincia a svilupparsi, al contrario, con la diffusione illuministica ed enciclopedica della conoscenza, in opposizione all'oscurantismo corporativo medioevale, che spesso vedeva morire i segreti di un processo produttivo con la morte dell'unico che li conosceva e li custodiva gelosissimamente per il potere che questi gli davano.

    Capisco che sono inglesi all'oscuro delle cose francesi, e inoltre potenzialmente molto ignoranti in quanto contemporanei, ma almeno questa la dovrebbero conoscere: "L'Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri (Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers nel titolo originale) - Diderot - D'Alembert"

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  7. Quello che succede con l'inizio del capitalismo e' eventualmente la protezione di legge, per un periodo di tempo limitato (di solito 10 o 20 anni), dello sfruttamento dell'idea di qualcuno tramite il "brevetto", trascorso il quale lo sfruttamento dell'idea diventa di dominio pubblico, invenzione settecentesca dell'illuminista Beniamino Franklin.

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