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sabato 7 settembre 2019

Emergenza climatica, e poi?


di Jacopo Simonetta

Sull’onda delle proteste di piazza, un numero crescente di governi e di amministrazioni sta formalmente dichiarando la stato di “Emergenza Climatica”.  Bene, ma poi?

“Stato di Emergenza” significa che la collettività deve affrontare un pericolo troppo grande e immediato per potersi permettere di continuare a funzionare secondo le proprie consuetudini.  I normali processi decisionali ed i diritti individuali sono quindi ridotti o sospesi per permettere ad un autorità investita di poteri straordinari di prendere decisioni anche estreme senza doverle passare al vaglio degli organi istituzionali e dell’apprezzamento popolare.  Un po’ come quando nella Roma repubblicana si nominava un “dictator” che per un massimo di 6 mesi decideva il da farsi senza dover rendere conto a nessuno; nemmeno ai consoli ed ai senatori che lo avevano nominato.

Nel nostro caso, vorrebbe quindi significare che governi ed amministrazioni nominano dei commissari che dall’oggi al domani impongono provvedimenti atti a limitare il peggioramento del clima ed a ridurre le emissioni di CO2 e dintorni.  Ma non sta accadendo, anzi.   Molte delle amministrazioni che hanno formalizzato la dichiarazione di “Emergenza Climatica” stanno poi lavorando attivamente non per mitigare, ma per peggiorare il più rapidamente possibile la situazione.  Per esempio, l’ amministrazione regionale toscana sta alacremente smantellando le aree protette, sviluppando l’industria del cippato e delle cave, vuole ampliare l’aeroporto di Firenze e molto altro ancora.   In effetti, è nocivo al clima ogni sindaco che abbatta alberature invece di piantarne, che permetta di estendere la superficie urbanizzata invece di ridurla e via di seguito.

Dunque, se vogliamo evitare che l’intera faccenda si risolva in un nuovo giro di “greenwashing” analogo a quelli che, nei decenni scorsi, hanno svuotato di significato tutti gli slogan e le proposte degli ambientalisti, bisogna essere pronti a fare richieste precise agli amministratori ed a sbugiardarli pubblicamente se non le ottemperano.   Ma quali richieste si possono fare che siano ad un tempo utili e realistiche?

Ogni comune ed ogni regione ha le proprie peculiarità e priorità, ma in linea del tutto generale, suggerisco di puntare soprattutto alla salvaguardia di ciò che resta della Biosfera.   Non è una questione di “benaltrismo”, tutto è collegato ed importante, ma ci sono almeno 3 ragioni per cui il focus sulla biosfera è secondo me utile:

1 - La trama e l’ordito della Vita sono i cosiddetti “cicli bio-geo-chimici”, cioè i flussi dei vari elementi attraverso aria, acque, suoli, rocce ed organismi viventi, con questi ultimi che, in buona sostanza, svolgono il ruolo principale nel controllo di questi flussi.  Il Global Warming, per esempio, deriva sostanzialmente da un’alterazione nei cicli del carbonio e dell’acqua.   Proteggere/restaurare la Biosfera avrebbe quindi effetti indiretti e parziali, ma sicuri sul clima.  Di più:  tutte le forme di inquinamento sono, parimenti, modifiche della circolazione di elementi e molecole e,  sula Terra, esiste un unico processo in grado di ridurre la crescente entropia del pianeta: si chiama “fotosintesi”.  La Biosfera è insomma ciò che garantisce che sul pianeta vi siano condizioni compatibili con la vita.  E la biosfera è esattamente quella cosa che stiamo sistematicamente distruggendo in molti e immaginifici modi.

2 – Interventi di salvaguardia della Biosfera sono possibili a qualunque scala, dal balcone di casa propria agli accordi internazionali ed ad ogni livello è possibile registrare un miglioramento, magari minimo, ma apprezzabile.  Già smettere di fare danni (tipo demolire alberature, costruire a vanvera, tagliare boschi e manutenzionare fossi con criteri vecchi di 100 anni) sarebbe un miglioramento. Ogni singola amministrazione e governo, per quanto piccolo, può quindi fare la sua parte senza aspettare che Trump, Xi Jinping o altri “pezzi da 90” facciano la loro.  Certo parliamo di gocce nel mare, ma lo studio del passato ci insegna che molte specie, fra cui forse anche la nostra, sono sopravvissute ad immani catastrofi grazie a piccole popolazioni fortunosamente scampate in qualche posto.

3 – Sul piano politico, interventi di tutela o ripristino della biosfera possono essere relativamente
facili da far accettare alla popolazione e possono dare risultati parziali, ma visibili, anche in tempi brevi.   Per esempio la realizzazione di un’area protetta o di uno stagno sono poco costosi, sicuramente efficaci e immediatamente visibili.   Altri provvedimenti, come ad esempio un drastico cambio di rotta nelle pratiche agricole e nelle sistemazioni fondiarie,sarebbero più impegnativi, ma sempre meno di quelli che potrebbero riuscire a flettere la curva delle emissioni antropogeniche di CO2, metano, eccetera.

Dunque dovremmo abbandonare l’idea di ridurre le emissioni di CO2 e dintorni?  No, ma bisogna essere realistici su ciò che si può effettivamente ottenere dalle amministrazioni e dai governi.

Per essere minimamente efficaci, dei provvedimenti di riduzione delle emissioni dovrebbero comprendere, tanto per cominciare, il razionamento di carne, acqua, combustibili e molti altri generi di prima necessità, la sospensione di quasi tutti i cantieri pubblici in atto o previsti, la drastica riduzione dell’illuminazione pubblica e dei trasporti, eccetera.   Tutti provvedimenti che susciterebbero violente proteste che dovrebbero essere represse senza troppe discussioni perché, per l’appunto, siamo in emergenza e la sopravvivenza stessa dello stato, oltre che di molti cittadini, è in forse. (Già sento echeggiare “ecofascista” in lontananza, ne riparleremo).

Ovvio che non accadrà, al massimo vedremo qualche operazione di facciata e qualche  nuova tassa tesa non già a ridurre le emissioni, bensì  a tappare temporaneamente qualche buco negli stracciati bilanci pubblici.  Vedo almeno 4 ragioni per aspettarmi questo:

1 – I movimenti che chiedono provvedimenti drastici e rapidi in materia di clima sono una nicchia molto minoritaria, assurta agli onori della stampa solo in Occidente; nel resto del mondo sono assenti o politicamente insignificanti.  La netta maggioranza della popolazione mondiale rivuole la pacchia che aveva o vuole la pacchia che non ha mai avuto.

2-  Mentre azioni dirette sulla biosfera possono essere efficaci anche a livello locale, azioni dirette sulle emissioni climalteranti possono dare risultati solo se hanno effetti globali e, grosso modo, il 40% delle emissioni antropogeniche sono prodotte da due paesi: Cina e USA.  Circa un altro terzo collettivamente da UE (considerata nel suo insieme), Russia, India e Giappone.   Il rimanente dagli altri cento e passa paesi del mondo.  Questo significa che solo se USA e Cina si impegnassero a fondo sarebbe efficace anche un impegno da parte nostra, assieme a russi, indiani e giapponesi.  Tutti gli altri paesi potrebbero invece fare quel che gli pare o quasi (da questo specifico punto di vista). Dunque, sapremo che qualcosa si muove sul serio il giorno in cui smetteremo di perdere tempo con le “COP 21”, “22”, ecc, per fare degli accordi operativi fra 10 governi.

3 – Nessun paese ridurrà volontariamente le proprie emissioni perché ciò implicherebbe ridurre la propria dissipazione di energia, cioè rallentare il progresso tecnologico, indebolire l’industria, perdere posizioni nella scala geopolitica.   E’ una faccenda molto complicata che ci porterebbe ampiamente fuori tema, ma è un fatto che l’accumulo di ricchezza, potere ed informazione richiede di dissipare quantità crescenti di energia.

4 - Azioni di riduzione delle emissioni abbastanza incisive e rapide da avere un possibile effetto climatico provocherebbero una drastica riduzione degli standard di vita occidentali e non solo, oltre ad una crisi economica globale dagli incerti sviluppi a fronte di un risultato che, nella migliore delle ipotesi, sarebbe un peggioramento meno sensibile di quello che altrimenti avremmo di qui a 30 anni.  Non ci sarebbe nessun successo visibile per un comune cittadino sia per effetto dell’inerzia del sistema Terra, sia per le retroazioni positive che oramai abbiamo scatenato (esalazioni dallo scioglimento del permafrost, incremento delle siccità e degli incendi, riduzione dell’albedo sui poli, ecc.).

In pratica, solo la crisi economica del 2008 ha portato ad una lieve e temporanea flessione delle emissioni e solo una eventuale e molto più severa crisi ventura le potrebbe ridurre in misura maggiore.  Aspettando con timore e trepidazione che ciò accada, occupiamoci quindi di salvare il salvabile della Biosfera perché il futuro del Pianeta, con o senza di noi dipende da cosa sopravvivrà all’estinzione di massa in corso.



domenica 28 maggio 2017

Non si combatte il cambiamento climatico con la Pepsi Cola

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR




Da "powertechnology.com", Un articolo di Julian Turner. Non è sbagliato, ma è possibile che non possiamo discutere più di niente senza trasformarlo in un “fatto rivoluzionario”, una “grande scoperta” e tutto il resto? Un po' meno clamore in questi rapporti aiuterebbe molto. 

Di Ugo Bardi

Qualche tempo fa, mi sono ritrovato a spiegare ad un giornalista il perché mi oppongo all'estrazione di CO2 in Toscana. Ho detto una cosa tipo “non ha senso che la regione spenda soldi per ridurre le emissioni di CO2 e, allo stesso tempo, permetta a questa azienda di estrarre CO2 che, altrimenti, rimarrebbe sottoterra”. “Ma”, ha detto il giornalista, “ho intervistato quelli dell'azienda e dicono che il CO2 che estraggono non viene disperso in atmosfera – viene immagazzinato”. “E dove viene immagazzinato?” ho chiesto. “Lo vendono alle società che fanno bibite gasate”. Ho cercato di spiegargli che produrre Coca Cola o Pepsi non è il modo di combattere il cambiamento climatico, ma non credo che abbia capito.

Questo è un esempio tipico di quanto sia difficile fare passare alcuni messaggi nel dibattito pubblico. Fra i tanti modi possibili di mitigare il riscaldamento globale, il carbon capture and sequestration (Cattura e sequestro del carbonio), o stoccaggio – CCS – è il meno compreso, più complicato ed è quello che più probabilmente porterà a pseudo soluzioni. Non sorprende, visto che è una storia complessa che coinvolge chimica, geologia, ingegneria ed economia.

Circa un mese fa, è apparso un post di Julian Turner su “Power Technology” dal titolo piuttosto ambizioso di “Finalmente ottenuta la cattura del carbonio”. Il post è pieno di enfasi su una grande scoperta nel processo che purifica il CO2 in uscita da un impianto a carbone – un processo chiamato “lavaggio del CO2”. Il nuovo processo, viene detto, è migliore, meno costoso, più rapido, efficiente e “cambia le regole del gioco”. Sharma, amministratore delegato della società che ha sviluppato il processo, ha dichiarato:

“Il TACL sarà in grado di catturare il CO2 dalle emissioni delle loro caldaie e quindi riusarlo”, conferma Sharma. “per l'utente finale, l'elettricità prodotta catturando il biossido di carbonio sarà elettricità pulita a il vapore prodotto sarà energia pulita. Per questa ragione, possiamo dire che è 'senza emissioni'”.

Non ho dubbi che ci sia qualcosa di buono nel nuovo processo. Pulire il CO2 usando solventi è una tecnologia nota e può certamente essere migliorata. La tecnologia è buona nel fare esattamente questo: migliorare processi noti. Il problema è un altro: si tratta davvero di un processo “senza emissioni”? E la risposta è, sfortunatamente, “niente affatto”, perlomeno nella forma in cui viene presentata l'idea. Il problema, qui, è che tutta l'enfasi è sulla cattura del carbonio, ma non c'è nulla in queste affermazioni sul sequestro del carbonio. Infatti l'articolo discute di “cattura ed utilizzo del carbonio” (CCU) e non di “cattura e sequestro del carbonio” (CCS). Ora, è la CCS che deve mitigare il riscaldamento globale, la CCU NON lo fa.

Torniamo ai concetti fondamentali: se si vuol capire cosa sia la CCS, un buon punto di partenza è il rapporto speciale del IPCC sulla materia (un documento massiccio di 443 pagine). Più di dieci anni dopo la sua pubblicazione, la situazione non è cambiata granché, come confermato da un rapporto più recente. L'idea di fondo rimane la stessa: trasformare il CO2 in qualcosa che sia stabile e non inquinante. E quando diciamo “stabile”, intendiamo qualcosa che rimanga stabile nell'ordine delle migliaia di anni, almeno. E' questo che chiamiamo “sequestro” o “stoccaggio”.

Un compito difficile, se ce ne è mai stato uno, ma non impossibile e, come è spesso il caso, il problema non è la fattibilità, ma il costo. Il modo più sicuro di stoccare il CO2 per tempi molto lunghi è quello di imitare il processo naturale di “degradazione dei silicati” e trasformare il CO2 in carbonati stabili di calcio e magnesio, per esempio. E' quello che fa un ecosistema per regolare la temperatura del pianeta. Ma il processo naturale è estremamente lento; parliamo di tempi nell'ordine delle centinaia di migliaia di anni, non proprio ciò di cui abbiamo bisogno ora. Possiamo, naturalmente, accelerare il processo di degradazione, ma ci vuole un sacco di energia, principalmente per schiacciare e polverizzare i silicati. Un metodo meno costoso è lo “stoccaggio geologico”, cioè pompare CO2 dentro un bacino sotterraneo. E sperare che se ne starà lì per decine di migliaia di anni. Ma è l'obbiettivo principale della CCS, oggigiorno.

Detto questo, il modo per valutare la fattibilità e l'opportunità dell'intero concetto di CCS è di esaminare il ciclo di vita di tutto il processo; vedere quanta energia richiede (il suo ritorno energetico sull'investimento, EROEI) e quindi confrontarlo coi dati di processi alternativi – per esempio investire le stesse risorse in energia rinnovabili piuttosto che in CCS (e l'energia rinnovabile potrebbe già essere meno costosa dell'elettricità prodotta col carbone). Ma sembra che questa analisi comparativa non sia stata fatta, finora, nonostante le diverse analisi dei costi delle CCS. Una cosa che possiamo desumere dal rapporto del 2005 (a pagina 338) è che, anche senza lavaggio, l'energia necessaria per l'intero processo potrebbe essere non lontana da valori che potrebbero renderlo un esercizio simile allo scavare buche per poi riempirle di nuovo, come pare abbia detto John Maynard Keynes. La situazione è migliore se consideriamo lo stoccaggio geologico, ma anche in questo caso il lavaggio è solo una frazione del costo totale.

A questo punto, potete capire cosa c'è di sbagliato nel definire il nuovo processo di lavaggio un “fatto rivoluzionario”. Non lo è. E' un processo che migliora una delle fasi della catena che porta allo stoccaggio del carbonio, ma che potrebbe avere poco valore per la CCS, a meno che uesta non sia valutata all'interno dell'intero ciclo di vita del processo.

Poi, in tutto l'articolo di Turner non c'è menzione alla CCS/stoccaggio. Parlano soltanto di cattura ed utilizzo del carbonio (CCU) e dicono che il CO2 verrà venduto ad un'altra azienda che lo trasformerà in carbonato di sodio (Na2CO3). Questo composto potrebbe quindi venire usato per fare il vetro, l'urea e scopi simili. Ma quasi tutti questi processi alla fine dei conti riporteranno il CO2 catturato nell'atmosfera!. Nessuno stoccaggio, nessuna mitigazione del riscaldamento globale. Potrebbero altrettanto bene vendere il CO2 all'industria delle bevande gassate. Non è questa la grande scoperta di cui abbiamo bisogno.

Così, che senso ha fare tutto questo baccano su “energia pulita”, “elettricità pulita” ed energia “senza emissioni”, quando il nuovo processo non mira a niente di quel genere? Non sorprende, fa tutto parte del dibattito “privo di fatti” in corso.

Per concludere, lasciatemi osservare che questo nuovo processo di lavaggio potrebbe essere solo uno di quei modi di “tirare le leve dalla parte sbagliata”, secondo la definizione di Jay Forrester. Cioè, potrebbe essere controproduttivo per gli stessi scopi per i quali è stato sviluppato. Il problema è che il CO2 puro è un prodotto industriale che ha un certo valore di mercato, come sanno molto bene le persone che lo estraggono dal sottosuolo in Toscana. Finora, il costo del lavaggio ha impedito che lo scarto delle centrali alimentate a combustibili fossili avesse un valore di mercato, ma un nuovo processo efficiente potrebbe rendere fattibile la sua trasformazione in un prodotto vendibile. Ciò renderebbe gli le centrali a carbone più redditizie ed incoraggerebbe le persone ad investire nella costruzione di altre centrali e questo non genererebbe riduzioni di emissioni di CO2! Sarebbe anche peggio se l'industria del carbone dovesse vendere ai governi il loro processo di lavaggio per sfuggire alle tasse sul carbonio. Vedete? Ancora una volta, il ruolo delle conseguenze impreviste si manifesta.

mercoledì 23 marzo 2016

Male, molto male, sempre peggio. Temperature planetarie oltre la soglia dei 2°C

Da “Usted no se lo cree”. Traduzione di MR (via Ugo Bardi)


Stato di allarme climatico: sono stati superati i 2°C



Di Ferran P. Vilar

Non avrei mai voluto pubblicare questo post. Non avrei mai pensato che, dovendolo fare, sarebbe successo così presto. Sono del tutto costernato.

Prima di tutto, una notizia in qualche modo “buona”. Negli ultimi due anni le emissioni non sono aumentate. Alcuni credono che le emissioni siano giunte al massimo, che stiamo superando il “picco delle emissioni”. E' possibile che stiamo entrando in un territorio sconosciuto: nemmeno un economista aveva previsto questa situazione negli scenari di futuro l'IPCC aveva loro richiesto ai suoi tempi. Tranquilli, le emissioni, ossia la crescita economica, non avrebbero smesso di aumentare... dicevano. Ora le cattive notizie. Le concentrazioni di CO2 nell'atmosfera hanno visto l'aumento più grande mai registrato: 3,76 ppm da febbraio 2015 a febbraio 2016. Su questo punto bisogna essere cauti nel non confondere i flussi con gli accumuli e credere che una riduzione delle emissioni equivalga ad una minore forzante climatica. Non è così. Ciò che forza il clima è la concentrazione, non le emissioni. Ed è logico che la concentrazione atmosferica di CO2 continui ad aumentare a questo livello di emissioni. Per quanto le emissioni diminuiscano, la concentrazione continuerà ad aumentare, a meno che non siano tanto infime che la biosfera e gli oceani possano assorbirle tutte. Per questo si dice che dovrebbero essere zero... nel 2050!

mercoledì 23 settembre 2015

Cosa possiamo imparare dal "caso Volkswagen? Principalmente, che il motore a scoppio è obsoleto

Da "Cassandra Legacy", traduzione di UB


Credo che a questo punto non sia rimasto più nessuno sull'intero pianeta che non ha sentito dire che la Volkswagen ha imbrogliato i suoi clienti falsificando i dati dei test di emissione dei suoi motori diesel. Forse ci sono delle buone ragioni per questa caccia alle streghe, ma credo che andrebbe anche presa con una certa cautela. In effetti, con molta cautela.

Ho lavorato per circa vent'anni in progetti in collaborazione con l'industria automobilistica e credo di sapere come funzionano queste ditte. E vi posso dire che non sono attrezzate per "imbrogliare", nel senso di infrangere la legge o ignorarla. Non lo fanno, capiscono benissimo che il risultato potrebbe essere qualcosa tipo quello che sta succedendo oggi alla Volskwagen, che corre seriamente il rischio di scomparire come industria automobilistica. Al contrario, le industrie automobilistiche tendono a un approccio estremamente legalistico e ad applicare alla lettera le regole e le leggi.

Ciò detto, è chiaro anche che le industrie automobilistiche lavorano per il profitto e che i loro manager devono "ottenere risultati". Ne consegue che, se le leggi e le regolazioni non sono chiare, o se non dicono esplicitamente che una certa cosa è proibita, se quella cosa porta un vantaggio all'industria, è possible che la si metta in pratica.

Questo è, credo, quello che è successo in questo caso. E' ben noto che i risultati dei test di emissione fatti in laboratorio sono sempre molto migliori di quelli su strada. Ed è ben noto che le prestazioni dei veicoli sotto test in condizioni standardizzate sono sempre molto migliori di quelli dei veicoli normali. Lo si sa bene, per esempio potete guardare quiqui. (h/t G.Meneghello).

Allora, se tutti imbrogliano (oppure, più gentilmente "interpretano" la legge), perché prendersela in particolare con la Volkswagen? Forse hanno fatto qualcosa di particolarmente orribile, ma non sarei sorpreso se venisse fuori che non erano i soli a usare il trucco di cui sono accusati per nascondere le emissioni di ossidi di azoto. In ogni caso, sono sicuro che, prima di fare quello che hanno fatto, hanno sentito il loro ufficio legale e ne hanno avuto un qualche tipo di autorizzazione a procedere, probabilmente basata sul ragionamento che tutto quello che non è esplicitamente proibito è legale. Lascio comunque ai complottisti di ragionare sulle ovvie implicazioni di questa faccenda.

Piuttosto, vorrei concentrarmi su qualcosa che ho imparato nel mio lavoro con l'industria automobilistica; ovvero che la riduzione dell'inquinamento nei motori a scoppio è un buon esempio dei ritorni decrescenti della tecnologia. E non solo questo; illustra anche come le buone intenzioni sono spesso in conflitto con la realtà, e alle volte danno risultati opposti a quelli sperati.

E' una storia lunga e affascinante che, qui, posso solo riassumere nelle sue linee principali (*). Comunque, il concetto di "inquinamento" era diventato popolare negli anni 1970 e divenne rapidamente chiaro che una delle maggiori sorgenti di inquinamento erano le emissioni dai motori autobobilistici. Questo ha portato a un esteso dibattito: secondo alcuni, bisognava liberarsi dai motori a scoppio e rimpiazzarli con motori elettrici. Secondo altri, era possibile ridurre a livelli accettabili l'inquinamento prodotto dai motori tradizionali. La seconda posizione si è imposta, non senza una dura lotta (vi ricordate il film "chi ha ucciso l'auto elettrica"?). Questo ha portato a promulgare un gran numero di leggi che miravano a produrre motori più efficienti e meno inquinanti. Nel complesso, i risultati sembrano essere stati buoni (vedi, per esempio,qui).

Tuttavia, lo scandalo Volkswagen ci dice che, probabilmente, i miglioramenti degli ultimi anni tempi sono stati ottenuti, se non proprio imbrogliando, perlomeno mediante un'interpretazione creativa delle leggi. Un punto particolarmente importante qui ha a che vedere con lo specifico inquinante che ha condotto all'incriminazione di VOlkswagen: l'abbattimento degli ossidi di azoto. E' un problema particolarmente rognoso perché deriva da esigenze contrastanti. Una è di avere un basso livello di inquinamento, l'altro bassi consumi. Per avere bassi consumi, bisogna migliorare l'efficienza del motore e questo si può fare con il motore diesel, invece di quello convenzionale a benzina. I motori diesel lavorano a più alte temperature e pressioni e questo li rende più efficienti. Ma questo fa anche si che producano più ossidi di azoto. E' un problema che ha a che vedere con la termodinamica della combustione, e tutti sanno (o dovrebbero sapere) che se uno prova a far la guerra alla termodinamica, la termodinamica vince sempre. Il problema è sostanzialmente irrisolvibile, perlomeno a costi compatibili con il prezzo di un veicolo ordinario. E quando uno si trova di fronte a un problema irrisolvibile, la tentazione è spesso quella di imbrogliare. Questo è, evidentemente, quello che è successo con l'industria automobilistica e i risultati ci appaiono evidenti oggi con lo scandalo  Volkswagen.

Tuttavia, se è vero che non possiamo vincere contro la termodinamica, è anche vero che non dobbiamo necessariamente combatterla. Una battaglia contro il motore a scoppio è stata persa negli anni 1970, ma possiamo ancora vincere la guerra. L'auto elettrica sta avendo un ritorno spettacolare. I motori elettrici non producono alcun tipo di inquinamento gassoso, sono molto più efficienti dei motori a scoppio e, in più, sono compatibili con l'energia rinnovabile. Che cosa possiamo chiedere di più? Questa volta, vediamo di evitare gli errori del passato!




 (*) E' una storia che spero di poter raccontare in un nuovo libro sul quale sto lavorando.

martedì 28 luglio 2015

L'enciclica del papa è il “punto di non ritorno” in arrivo della percezione del cambiamento climatico: sarà abbastanza per risolvere il problema?

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


Il problema della fame nel mondo non è stato riconosciuto fino a relativamente poco tempo fa, come mostrato nella ricerca “Ngram”. Tuttavia, l'interesse per il problema ha preso rapidamente velocità negli anni 60 e questo ha portato a sforzi considerevoli per risolvere il problema aumentando i rendimenti agricoli (la “Rivoluzione Verde”). Questi sforzi in generale hanno avuto successo, ma il problema è stato davvero risolto? O è stato soltanto spostato in avanti – o persino peggiorato – come risultato del fatto che l'agricoltura è diventata completamente dipendente dai combustibili fossili? Qualcosa di simile potrebbe succedere in futuro col problema del cambiamento climatico, che potrebbe essere riconosciuto, ma non necessariamente risolto.


A parte un piccolo manipolo persone con posizioni anti-scientifiche, la maggior parte delle persone sono perfettamente consapevoli che abbiamo un problema grave di cambiamento climatico. Sono solo confuse da un bombardamento di dichiarazioni contraddittorie fomentate nei media in una persistente campagna di propaganda contro la scienza. In queste condizioni è probabile che tutto ciò che serve per rendere l'opinione pubblica più consapevole della gravità del problema è una “spinta” nella giusta direzione e l'enciclica del Papa sul clima – attesa per questa settimana – potrebbe fare proprio questo.

Di conseguenza, potremmo arrivare al punto in cui l'idea che il cambiamento climatico non esista o che non sia causato dall'attività umana sarà considerata non solo sbagliata, ma positivamente pericolosa per la società. Qualcosa di paragonabile a idee, diciamo, come quella per cui non ci sono prove che il fumo provoca il cancro, che mettersi la cintura di sicurezza mentre si va in macchina sia inutile o che la cocaina non sia più pericolosa del caffè come droga.

Naturalmente, non possiamo essere sicuri del fatto che l'enciclica del papa avrà questo effetto. Ma supponiamo che sia così, cosa succede poi? Ottimisticamente, potremmo pensare che gran parte del lavoro sia fatto e che, da quel momento in avanti, verrà fatto qualcosa di serio ed efficace per fermare il riscaldamento globale. Sfortunatamente, le cose non saranno così semplici. Quanto è probabile che rimanga difficile agire sul cambiamento climatico potrebbe essere compreso considerando un altro grande e grave problema che affligge l'umanità: la fame nel mondo. Non è stata sempre riconosciuta ed è solo con gli anni 60 che è diventata un argomento standard del nostro orizzonte intellettuale. A quel punto, nessuno si sarebbe sognato di dire che la fame nel mondo era una truffa progettata da degli scienziati cospiratori che volevano conservare le loro grasse sovvenzioni per studiare un problema che non esiste. Il dibatto era effettivamente terminato ma questo, di per sé, non ha risolto il problema.

Principalmente, il tentativo di eliminare la fame nel mondo è stato fondato sulla forza bruta, vale a dire sull'aumento dei rendimenti agricoli. E' stata quella che oggi chiamiamo la “Rivoluzione Verde”. Come sapete, i risultati di questi sforzi sono spesso descritti in termini entusiastici, un trionfo dell'ingegno umano sui limiti della natura. E' vero anche, tuttavia, che il problema della fame nel mondo non è mai stato del tutto risolto, non poteva esserlo se ogni aumento dei rendimenti agricoli veniva compensato da un corrispondente aumento della popolazione umana. E potrebbe anche essere che la Rivoluzione Verde non sia stata soltanto una “non soluzione”, ma qualcosa che ha peggiorato il problema trasformando l'agricoltura in un'attività industriale completamente dipendente dai combustibili fossili e dai fertilizzanti artificiali.

Qualcosa di analogo potrebbe accadere se superiamo il punto di non ritorno della percezione del cambiamento climatico. I dati di Google Ngram, sotto, indicano che l'interesse per il problema sta crescendo rapidamente e che potremmo essere vicini al raggiungimento del punto di non ritorno nella percezione che la fame nel mondo ha raggiunto negli anni 60.


I risultati, tuttavia, potrebbero non essere tanto buoni quanto si potrebbe sperare. L'apparizione improvvisa della drammatica realtà del cambiamento climatico nella mediasfera potrebbe portare a dimenticare che il modo migliore (e probabilmente l'unico) per sbarazzarsi dei combustibili fossili abbastanza rapidamente per evitare un disastro climatico è quello di renderli obsoleti attraverso le energie rinnovabili. Quindi potremmo assistere ad una folle corsa verso soluzioni rapide e sporche. Di fatto delle non soluzioni o soluzioni che peggiorano il problema.

Una di queste non soluzioni è la “geoingegneria” come viene normalmente descritta, per esempio distribuire uno strato riflettente nell'alta atmosfera. Questo farebbe qualcosa per ridurre il riscaldamento globale, ma niente per evitare l'acidificazione degli oceani e i suoi effetti climatici regionali (vedi siccità) sono ancora tutti da scoprire. O pensare alla cattura e stoccaggio del carbonio: un tentativo disperato e costoso di continuare ad usare combustibili fossili (“mangiarsi la torta ed averla ancora”) spazzando letteralmente il problema sotto al tappeto – dove nessuno può garantire per quanto a lungo ci può restare. E i biocombustibili? Un eccellente modo per affamare una gran quantità di persone perché una piccola élite possa continuare ad usare i propri costosi giocattoli di metallo chiamati “automobili”.

Sappiamo tutti che il cambiamento climatico è un problema tremendo. Probabilmente, nel prossimo futuro, scopriremo quanto esattamente si tremendo. Forse il papa stesso ci dirà di non aspettarci dei miracoli. Solo di continuare a lavorare duro che forse ce la possiamo fare. Forse.



sabato 11 aprile 2015

Livelli di metano inizio 2015

Da “Arctic News”. Traduzione di MR

Di Sam Carana

L'immagine sotto mostra le letture medie più alte di metano nello stesso giorno, in questo caso il 10 marzo, in tre anni diversi, 2013, 2014 e 2015, ad altitudini prestabilite. Il confronto indica che l'aumento di metano in atmosfera sta accelerando, specialmente ad altitudini maggiori.


venerdì 15 aprile 2011

Fracking gas: un'altra tegola che ci arriva sulla testa


e fai ancora più danni all'atmosfera......



Del "fracking gas" detto anche "non convenzionale" oppure "shale gas" avrete certamente sentito nominare. E' descritto come l'ultima meraviglia che la tecnologia di estrazione ci regala - un vero oceano di gas che ci farà nuotare nell'abbondanza per decenni.

Come sempre, un certo scetticismo è di rigore di fronte ai grandi proclami di abbondanza. Lo faceva correttamente notare, fra gli altri, Massimo Nicolazzi su ASPO-Italia. Il gas non convenzionale potrebbe non essere così abbondante come ci raccontano e, soprattutto, la sua estrazione è costosa.

Ma non c'è dubbio che lo "shale gas" esiste e, se uno è in grado di pagare i costi di estrazione, ne può ricavare una boccata di energia in un momento di necessità quasi disperata. E' quello che sta succedendo negli Stati Uniti, dove la produzione di gas naturale ha ripreso fiato dopo un periodo di declino ed è attualmente ai massimi storici.

Il problema è un altro: è un problema ambientale. Ed è qui che ci arriva la classica tegola sulla testa. Un recente studio della Cornell University, descritto in dettaglio sul sito della BBC, è arrivato a delle conclusioni agghiaccianti in termini di effetti sul clima. ("agghiaccianti" forse non è la parola appropriata parlando di riscaldamento globale; qui sarebbe il caso di dire "ustionanti")

Estrarre lo shale gas richiede processi complessi di fratturazione della roccia mediante iniezioni di acqua ad alta pressione e di altre sostanze. Questo non è soltanto costoso, ma anche inefficiente nel senso che l'operazione rilascia quantità di gas metano importanti nell'atmosfera. Ne rilascia molto di più di quanto non faccia l'estrazione del gas "convenzionale" dove si va semplicemente a estrarre da un deposito sotto pressione.

Il metano, come si sa, è un gas serra molto più potente del biossido di carbonio. Col tempo si trasforma in biossido di carbonio  e come risultato la sua azione di "forcing" climatico scende col tempo; ma non va mai a zero. Secondo i ricercatori di Cornell, tenendo conto delle perdite nell'operazione di estrazione, il danno climatico fatto dal fracking gas è superiore a quello fatto dal carbone a parità di energia generata su una scala di tempo anche fino a 100 anni.

Si sta avverando la previsione peggiore, ovvero che la carenza di combustibili fossili non riduce le emissioni di gas serra. Al contrario, può anche peggiorare le cose, dato che ci stiamo riducendo ad attaccarci a risorse difficili e costose che fanno più danni all'atmosfera a parità di energia generata. (vedi anche questo articolo di Luca Chiari e Antonio Zecca)

In sostanza, un'altra bella tegola sulla testa che ci arriva in un momento diffficilissimo in cui la propaganda anti-scienza è ancora in grado di bloccare ogni iniziativa per ridurre le emissioni. L'unica speranza è premere al massimo sulle rinnovabili. Ci potremo liberare di questa robaccia soltanto se riusciamo a renderla non economica sul mercato.

Nota: l'articolo originale di Robert Howarth non sembra essere accessibile sul sito della rivista "Climatic Change" ma lo si può trovare qui (ringrazio Hydraulics per la segnalazione). Per una discussione più approfondita sulla questione dello shale gas, vedi il mio articolo sul blog Cassandra's legacy