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lunedì 5 marzo 2012

L'Heartland Institute a nudo: documenti interni smascherano il cuore della macchina del negazionismo climatico






C'è stata pochissima risonanza sulla stampa e sui blog in Italia a proposito della storia del "denialgate" o "fakegate" in cui sono stati diffusi documenti interni dell'istituto Heartland che mettono in luce le strategie e i finanziamenti usati per negare i risultati della scienza del clima. Pubblichiamo qui, grazie alla traduzione di Massimiliano Rupalti, l'annuncio e la prima discussione di questi documenti del 14 Febbraio 2012 sul blog "DeSmogBlog"


da DeSmogBlog. 

Testo di Brendan Demelle

La strategia interna dell'Heartland Institute e i documenti di finanziamento di cui DeSmogBlog è venuto in possesso mostrano il cuore della macchina del nagazionismo climatico – i suoi piani attuali, molti dei suoi finanziatori e dettagli che confermano quello che DeSmogBlog ed altri hanno scritto per anni. Il cuore della macchina del negazionismo climatico sta nel gigantesco finanziamento da parte di imprese multinazionali e fondazioni degli Stati Uniti, comprese Microsoft, Koch Industries, Altria (che controlla la Philip Morris) RJR Tobacco ed altre.
Stiamo pubblicando l'intero malloppo di documenti per favorire l'accesso al materiale. Qui ci sono pochi brevi spunti, rimanete sintonizzati per il resto.
-Conferma che la Charles G. Koch Foundation sta ancora finanziando la campagna di disinformazione dell'Heartland Institute. Il rapporto Koch di Greenpeace mostra che l'ultima volta che Heartland ha ricevuto fondi da Koch è stato nel 1999.

Il rapporto confidenziale del gennaio 2012: la strategia climatica di Heartland nel 2012 dichiara:

“Potremo anche perseguire un sostegno ulteriore dalla fondazione Charles G. Koch. Sono tornati ad essere donatori della Heartland nel 2011 con un contributo di 200.000 dollari. Ci aspettiamo di aumentare il loro livello di sostegno nel 2012 e di guadagnarci l'accesso al loro network di filantropi , se il nostro intento continua d essere allineato ai loro interessi. Altri contributi saranno perseguiti per questo lavoro, specialmente da multinazionali i cui interessi sono minacciati dalle politiche del clima.”

-La macchina del negazionismo climatico dell'Heartland Institute è principalmente – e forse per intero – finanziata da un donatore anonimo:

Il nostro lavoro sul clima è attraente per i finanziatori, specialmente per il nostro Finanziatore Anonimo chiave (il cui contributo è diminuito da 1.664.150 dollari nel 2010. a 979.000 nel 2011 – circa il 20% dei nostri introiti totali del 2011). Ha promesso un aumento nel 2012...”

-Conferma delle quantità esatte che fluiscono a certi negazionisti climatici.

“finanziare soggetti di alto profilo che regolarmente e pubblicamente contrastano il messaggio del riscaldamento globale antropico. Al momento, questi finanziamenti vanno principalmente a Craig Idso (11.600 dollari al mese), a Fred Singer (5.000 dollari al mese, più le spese), Robert Carter (1.667 al mese) e ad alcuni altri soggetti, ma considereremo di estenderli, se riusciamo a trovare i fondi.”

-Come ha scritto oggi Brad Johnson su ThinkProgress, la conferma che Heartland lavora con David Wojick, un lavoratore a contratto della U.S. Energy Department e consulente per l'industria del carbone per sviluppare un “piano di studi sul Global Warming per le scuole primarie e secondarie”.
-Forbes ed altre imprese editoriali sono gli sbocchi favoriti per la disseminazione dei messaggi negazionisti sul clima di Hearthland e il gruppo è preoccupato riguardo al mantenimento di questo spazio esclusivo. Essi notano in particolare il lavoro del Dr. Peter Gleick:

“Gli sforzi riguardo a spazi come Forbes sono particolarmente importanti ora che hanno iniziato a consentire a scienziati di alto profilo (tipo Gleick) di pubblicare saggi di scienza del riscaldamento che contrastano i nostri. Questo pubblico influente è stato solitamente anti-clima ed è importante mantenere voci in opposizione” (grassetto aggiunto).


Notate l'ironia del fatto che l'Heartland Institute – uno dei più importanti portavoce dietro al caso smontato del furto di email noto come ‘Climategate’, che se la menavano sulla soppressione delle voci negazioniste nella letteratura delle revisioni alla pari, ora difendono il loro orticello nel regno delle riviste economiche antiscientifiche.

- Interessanti citazioni di Andrew Revkin come potenziale degno alleato da “coltivare”, insieme a Judith Curry.
“Gli sforzi dovrebbero anche comprendere la coltura di voci neutrali con un pubblico esteso (come Revkin del DotEarth/NYTimes, che ha una ben nota antipatia per alcuni dei comunicatori più estremi del riscaldamento globale antropico come Romm, Tenberth e Hansen) o Curry, che è diventata popolare presso i nostri sostenitori”.

-Conferma che il blogger scettico Anthony Watts fa parte del network di disinformatori finanziato da Heartland.

“Ci siamo anche impegnati a raccogliere circa 90.000 dollari nel 2012 per Anthony Watts, per aiutarlo a creare un nuovo sito Web e per tracciare le stazioni di rilevamento delle temperature”.

Rimanete sintonizzati per ulteriori dettagli mentre DeSmogBlog ed altri scavano in questa miniera di documenti dell'Heartland Institute. Il lascito di frode dell'Heartland Institute a questo livello di trasparenza e responsabilità è ormai stato distrutto.


Leggi i documenti[tutti PDF]:


Restate sintonizzati… vedete anche su DeSmogBlog la copertura di Richard Littlemore.
Profili collegati:




Allegati
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2012 Climate Strategy.pdf 96.54 KB
Minutes of January 17 meeting.doc 50.84 KB
Board Meeting Package January 17.pdf 7.47 KB
Board Directory 01-18-12.pdf 12.51 KB
Agenda for January 17 Meeting.pdf 8.49 KB
Binder1.pdf 67.68 KB
(1-15-2012) 2012 Heartland Budget.pdf 126.68 KB
(1-15-2012) 2012 Fundraising Plan.pdf 91.32 KB
2010_IRS_Form_990.pdf 2.7 MB


Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti da DeSmogBlog.
Lo stesso blog ha in seguito pubblicato altro materiale sul caso.

domenica 26 febbraio 2012

Libero accesso alla Scienza

Traduzione dall'originale in inglese su Cassandra's Legacy di Massimiliano Rupalti

Di Ugo Bardi


Lungi dall'essere una torre d'avorio, oggigiorno la scienza sembra piuttosto una cittadella malconcia assediata da un esercito di orchi. Non aiuta il fatto che gli scienziati non sembrano capire che il pubblico ha il diritto di avere accesso ai risultati del lavoro di ricerca realizzato coi soldi delle loro tasse. Abbiamo bisogno di rendere più aperta la scienza se vogliamo agire sulla base della conoscenza che la scienza produce. (immagine da "crossbow and catapults


Negli anni 90, quando internet era giovane, mi era venuta in mente l'idea di fare una “rivista ad accesso libero” su quello che a quel tempo era il mio campo scientifico: la scienza della superficie. L'idea era che la ricerca scientifica è pagata dal pubblico e che, per questo motivo, i risultati della ricerca scientifica devono essere liberamente accessibili al pubblico. Quindi, insieme ad alcuni colleghi, abbiamo fatto partire un sito internet chiamato "The Surface Science Forum" che pubblicava articoli sulla scienza delle superfici liberamente accessibili sul Web, aggirando le tradizionali riviste scientifiche.

Non è stato un successo. Il “Surface science forum” è sopravvissuto per alcuni anni e non ha mai avuto un impatto reale. Nel 2000 mi stavo spostando in un campo diverso ed ho deciso di chiudere il forum. Se siete curiosi, lo potete ancora trovare qui. Ma i problemi con gli articoli scientifici che il forum aveva provato ad affrontare ci sono ancora e, col tempo, diventano sempre più seri. Non molto tempo fa, George Monbiot ha dato una buona descrizione di questi problemi in un articolo sul "The Guardian" dice:

La sfiducia (nella scienza) è stata moltiplicata dagli editori di riviste scientifiche, le cui pratiche monopolistiche fanno sembrare le aree dominate dalla camorra un paradiso e che sono da lungo tempo in attesa di un rinvio alla Competition Commission. Non pagano nulla per la maggior parte del materiale che pubblicano, inoltre, anche se siete collegati ad un istituto accademico, vi chiederanno 20 sterline o più per un singolo articolo. In alcuni casi ne chiedono decine di migliaia per un abbonamento attuale. Se gli scienziati vogliono che la gente cerchi almeno di capire il loro lavoro, dovrebbero mettere in piedi un rivolta su scala globale contro le riviste che li pubblicano. Non è più accettabile che i custodi del sapere si comportino come dele guardie che cacciano i proletari dalle grandi tenute.

Ciò che Monbiot dice è vero: nel dare il risultato del proprio lavoro agli editori gratuitamente, gli scienziati vengono sfruttati come se fossero dei raccoglitori stagionali di frutta. Naturalmente, non ci sarebbe niente di sbagliato in questo modo di fare se il denaro pagato per avere accesso ai saggi scientifici andasse a finanziare la ricerca o a pagare servizi utili alla ricerca. Ma non è così che funziona. Gli editori commerciali non finanziano la ricerca ed hanno dei costi molto modesti per la loro attività. Il "peer review", per esempio, è fatto dagli scienziati gratuitamente (ancora!).

Gli scienziati non dovrebbero starsene zitti ma, di solito, non protestano. Questo loro comportamento è il risultato di un fattore specifico: il fatto che i saggi scientifici sono una specie di “valuta” nel mondo scientifico. I soldi, come si sa bene, non sono altro che credito, e, per gli scienziati, ogni articolo o pubblicazione è una forma di credito che può essere riscattato in seguito, in termini di avanzamento di carriera, contributi, posizioni accademiche e cose simili. E' “denaro”, per farla breve.

Gli editori scientifici sono riusciti ad accreditarsi come delle “banche” della conoscenza scientifica. In quanto banche, garantiscono il valore della valuta che gestiscono; di fatto la creano sotto forma di saggi pubblicati. Quindi è comprensibile che gli scienziati non vogliano vedere svalutata la loro valuta. Pubblicare fuori dal sistema, per uno scienziato, è l'equivalente di stampare banconote false. Non è solo senza valore, potrebbe avere un valore negativo, danneggiando la reputazione dello scienziato. Ad esempio, in certi ambienti, avere un blog è considerato una macchia sulla reputazione di uno scienziato. Questo è stato l'atteggiamento che ha condannato il “Surface Science Forum” e che è ancora quello prevalente nella scienza.

Ma i tempi cambiano rapidamente. Una volta la scienza poteva essere vista come una torre d'avorio, in grado di mantenere la propria valuta. Ora, somiglia di più ad una cittadella malconcia assediata da un esercito di orchi con le catapulte. La situazione è particolarmente pesante per la scienza del clima, oggetto di campagne politiche progettate per distruggere la reputazione di singoli scienziati così come dell'intero settore. Il pubblico tende a chiedere alla scienza soluzioni miracolose ai nostri problemi e la gente è delusa quando gli si dice che non ve ne sono. La gente delusa tende ad essere aggressiva, come potete vedere, a mo' di esempio, in alcuni commenti sul recente imbroglio dell'E-Cat. In questa situazione, i tradizionali metodi di pubblicazione scientifica non andranno ad accrescere il prestigio della scienza.

Fortunatamente, sembra che gli scienziati stiano scoprendo che non si possono più basare sui vecchi metodi. Tendono a pubblicare sempre di più su "riviste ad accesso libero", che non esistevano fino a poco tempo fa. Ora esiste un "movimento per la scienza aperta" ed uno per boicottare Elsevier, individuata, fra i molti editori scientifici, come uno il cui comportamento è particolarmente negativo.

Tutto ciò e sufficiente? Di sicuro è uno sviluppo positivo, ma dobbiamo fare di più. La scienza non è una torre d'avorio e nemmeno una cittadella assediata. E' un'impresa progettata per produrre conoscenza ed abbiamo un gran bisogno di questa conoscenza in questo momento difficile. Non è abbastanza rendere accessibile questa conoscenza a coloro che l'hanno pagata, dobbiamo anche batterci per renderla comprensibile a coloro che possono basare le proprie azioni di di essa. Come farlo? Be', ci sono molti modi. Tanto per cominciare, perché non tenete un blog anche voi?

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giovedì 23 febbraio 2012

Il destino delle nuove verità: il picco del petrolio compare su “Nature”

Da Cassandra's Legacy. Traduzione di Massimiliano Rupalti


"E' il destino abituale delle nuove verità quello di cominciare come eresie e finire come superstizioni" (Thomas Henry Huxley, 1880) Sopra: un grafico dall'articolo di James Murray e David King pubblicato su Nature, 26.01.2012, vol 481, p. 435


Con la pubblicazione di un importante articolo su “Nature” nel gennaio 2012, il concetto di “Picco del Petrolio” ha fatto un altro passo avanti nel dibattito sull'esaurimento delle risorse. Questo articolo mi ha fatto ripensare agli ultimi dieci anni di lavoro che ho svolto come membro di ASPO,, the association for the study of peak oil. Avevamo ragione con la nostra previsione di un picco del petrolio incombente? In un certo senso sì, ma la sfera di cristallo è sempre nebbiosa e non potrebbe essere altrimenti. Le previsioni di ASPO erano fondamentalmente giuste ma, come tutte le previsioni, erano approssimate.

Lavorando con un modello semplificato basato sul primo lavoro di Hubbert degli anni 50, il fondatore di ASPO, Colin Campbell e Jean Laherrere, hanno proposto nel 1998 che il futuro della produzione petrolifera avrebbe seguito una curva che avrebbe raggiunto il suo picco in qualche momento fra il 2005 ed il 2010, per poi declinare. All'interno del modello di Hubbert c'era integrato il concetto che i costi di estrazione in graduale crescita avrebbero ridotto i profitti dell'industria e l'avrebbero costretta a ridurre gli investimenti.

Come modello di “primo livello”, quello di Hubbert non è male ed i modelli di ASPO hanno colto molto bene i problemi che l'industria petrolifera stava per affrontare. Dal 2004 in poi, i prezzi sono schizzati a livelli che hanno cambiato tutto nel mercato del petrolio. Ma la produzione di petrolio, intesa come “tutti i liquidi” (cioè, incluso il petrolio da sabbie bituminose, biocarburanti, ecc.) non ha mostrato un picco ben definito e non si è visto nemmeno, per ora, il declino che aveva previsto il modello di Hubbert. Ostinatamente, la produzione ha rifiutato di scendere e potrebbe anche mostrare un modesto aumento in tempi recenti. Questo non invalida il modello: come tutti i modelli, è un'approssimazione della realtà. Di certo, i livelli di produzione attuali si possono mantenere soltanto con i prezzi altissimi degli ultimi tempi. Se i prezzi non si fossero alzati, avremmo molto probabilmente visto il picco già da un pezzo.

Il “picco del petrolio” è stato spesso criticato sulla base di un'idea classica nella scienza economica, cioè che i prezzi fanno da mediatori fra domanda e offerta. Quindi, i prezzi del petrolio dovrebbero definire cosa si deve essere annoverato come “riserve”, intese come qualcosa che può essere, e sarà, estratto. I prezzi più alti dovrebbero generare nuove riserve e così non saremmo mai a corto di nulla. I dati recenti mostrano che questa critica non era sbagliata, anche se non proprio giusta, ma anche che le sue conseguenze erano forse inattese persino per chi le proponeva. Quando nel mercato del petrolio si è cominciata a percepire la scarsità, il meccanismo di correzione dei prezzi ha avuto effetto. I prezzi sono saliti e, secondo la teoria economica standard, questo doveva stimolare la produzione. Lo ha fatto, in parte, ma con il petrolio greggio l'effetto è stato di mettere l'industria in un vicolo cieco. Più i prezzi alti rendevano la produzione redditizia, più i costi di produzione aumentavano. Chiaramente, era una cosa che non poteva continuare all'infinito: a un certo punto dovevamo arrivare a un limite.


Questo meccanismo è colto molto bene da Murray e King nel loro articolo su Nature. Il grafico mostrato all'inizio di questo post lo mostra molto chiaramente. Oltre un certo prezzo, la produzione non risponde più. Diventa “inelastica”. Il grafico dev'essere letto tenendo in considerazione l'evoluzione temporale sia dei prezzi sia della produzione: prezzi molto alti sono un fenomeno recente e quello che vediamo è ciò che io chiamo una corsa al successo. Anche con i prezzi del petrolio in aumento, il meglio che possa fare l'industria è di tenere la produzione costante la produzione di combustibili liquidi.

Così, stiamo vedendo che il meccanismo dei prezzi potrebbe rallentare il declino previsto della produzione, ma al costo di causare altri problemi, forse anche peggiori. Con prezzi alti, l'economia mondiale deve stanziare sempre più risorse per l'estrazione del petrolio e queste risorse devono venire da qualche parte. Siccome l'economia non cresce più, tenere la produzione di petrolio costante significa che alcuni settori devono contrarsi e questo non avviene in modo indolore. Molta dell'attuale agitazione politica nelle nazioni povere, per esempio, è dovuta agli alti prezzi del cibo, a loro volta legati agli alti costi del petrolio. E, con prezzi così alti, vediamo l'effetto perverso per cui i produttori si possono permettere consumi più alti, ma, di conseguenza, rimane meno petrolio per gli importatori. In un certo senso, molte nazioni importatrici hanno già superato il loro picco del petrolio.

Come ha detto Thomas Huxley molto tempo fa, è il destino abituale delle nuove realtà di cominciare come eresie e finire come superstizioni. Il picco del petrolio è sicuramente iniziato come superstizione ed è ancora considerato tale in alcuni circoli. Ma, dopo gli eventi degli anni scorsi sta anche ottenendo lo status di verità, come mostrato dall'articolo di Murray e King, che hanno capito chiaramente cosa ci sia alla base dell'idea. In qualche modo, tuttavia, il picco del petrolio sta anche assumendo alcuni elementi di superstizione, da che ha mancato di tenere conto del meccanismo dei prezzi. Alla fine, la realtà potrebbe essere meglio descritta da qualcosa come il “modello di Seneca” che tiene conto di effetti di second'ordine e che prevede un plateau di produzione seguito da un brusco declino. Anche questo modello potrebbe essere un'eresia, adesso, ma un giorno potrebbe diventare una realtà e poi un superstizione. Come sempre, il futuro non è mai quello di una volta.






Riferimenti

Il saggio di Murray and King su Nature è qui (a pagamento)
Una sintesi si può trovare su Scientific American qui.
Un commento New York Times è qui.
Una critica di Michael Levi può essere trovata qui.
Ed una difesa dia parte di Mason Inman, qui.

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Nota 1. Sono completamente d'accordo con l'approccio di Murray e King riguardo alla relazione fra il picco del petrolio ed il cambiamento climatico. E' vero che i due problemi sono strettamente legati e che dovrebbero essere affrontati insieme. Tuttavia, penso anche che gli autori dovrebbero essere più attenti al modo in cui presentano questo problema. All'inizio dell'articolo dicono. “... i continui dibattiti sulla qualità della scienza del cambiamento climatico e dubbi sulla scala degli impatti ambientali negativi hanno ostacolato l'azione politica contro le crescenti emissioni di gas serra. Ma qui c'è un argomento potenzialmente più persuasivo per ridurre le emissioni globali: l'impatto del declino delle forniture di petrolio sull'economia”. Considerato il numero di cospirazionisti che ci sono in giro, questo paragrafo potrebbe essere sicuramente visto come la “prova” che il picco del petrolio è una truffa creata dalla perfide compagnie petrolifere in modo da forzare i clienti a pagare più cara la benzina. Inoltre non ha senso, secondo me, dire che la scarsità è un buon argomento per convincere la gente a consumare meno. Lo sarebbe, se la gente si comportasse razionalmente, ma la maggior parte della gente non lo fa. Questo mi ricorda un'esperienza che ho avuto qualche tempo fa, quando ho presentato il caso del picco del petrolio ad un ricco  magnate. Mi ha risposto qualcosa tipo, “penso che tu abbia ragione. Allora immagino che mi dovrei comprare una nuova Ferrari e consumare più che posso, finché posso”.

Nota 2. I lettori italiani di questo blog potrebbero essere interessati a questo paragrafo del saggio di Murray e King. Credo che sia assai azzeccato. “Un altro esempio dell'effetto dell'aumento dei prezzi del petrolio si può vedere in Italia. Nel 1999, quando l'Italia ha adottato l'Euro, il surplus annuale del commercio era di 22 miliardi di dollari. Da quel momento, il bilancio del commercio italiano si è drammaticamente modificato e il paese ora ha un deficit di 36 miliardi di dollari. Anche se questo spostamento ha molti motivi, compreso l'aumento delle importazioni dalla Cina, l'aumento del prezzo del petrolio è stato il più importante. Nonostante una diminuzione delle importazioni di 338.000 barili al giorno rispetto al 1999, l'Italia ora spende 55 miliardi di dollari all'anno per importare petrolio, rispetto ai 12 miliardi del 1999. Questa differenza è prossima all'attuale deficit annuale del commercio. Il prezzo del petrolio è probabilmente stato un forte contributo alla crisi dell'Euro nel sud dell'Europa, dove le nazioni sono completamente dipendenti dal petrolio estero”.

Nota 3. David King è una mia vecchia conoscenza e per molti anni abbiamo lavorato in parallelo in studi di scienza della superficie. Non sono sicuro se ci sono delle ragioni profonde che fanno passare le persone impegnate nella scienza delle superfici allo studio del picco del petrolio ma, evidentemente, ne esistono almeno due casi!



mercoledì 15 febbraio 2012

Grazie a Dio non sono paranoico! Diffusi i documenti dei propagandisti anti-scienza dello Heartland Institute




Come si suol dire, chi la fa l'aspetti. Dopo il "climategate," che aveva messo in piazza la posta privata dei climatologi; viene fuori adesso il "denialgate", ovvero sono stati diffusi i documenti interni dello Heartland Institute, organizzazione dedicata a fare propaganda anti-scientifica diretta in particolare contro la scienza del clima. Ne ha parlato per primo "desmog blog" a questo link, ma la faccenda sta rimbalzando in giro per il Web un po' dovunque

Per il momento, questa storia è ancora a uno stadio preliminare e la veridicità dei documenti diffusi su internet è da verificare. Comunque, hanno tutto l'aspetto di essere veri. Fanno vedere come esista un'organizzazione ben finanziata che si dedica a screditare la scienza. E' quello che ho sempre detto (anche nel post precedente a questo). Grazie a Dio, non sono paranoico!!!

domenica 12 febbraio 2012

Grazie a Dio, non sono paranoico! Continua la propaganda contro la scienza del clima


Come si cerca di screditare una ricerca climatica scomoda. Antonello Pasini ce lo racconta in un suo recente articolo.


Più di una volta, mi è capitato di essere tacciato di complottismo, se non di paranoia, per aver sostenuto che i denigratori della scienza del clima usano trucchi di tipo propagandistico e politico. Per esempio, ho sostenuto che alcuni commentatori che sostengono tesi anti-scientifiche sono false identità create apposta per sviare la discussione. Almeno in un caso, sono riuscito a smascherarne uno.

Ma questo delle false identità è solo uno dei metodi usati dai denigratori della scienza. Un altro metodo è un classico della politica e in italiano si chiama schedatura o "dossieraggio". Consiste nel tenere a portata di mano un dossier di informazioni sui tuoi avversari politici da usare per attaccarli al momento opportuno. Il dossieraggio viene spesso usato per diffondere informazioni riservate o private, a volte ottenute illegalmente.  Anche quando non è così, comunque, viene usato scegliendo le informazioni da diffondere con lo scopo di dare un'impressione distorta sulle idee e sul comportamento della persona attaccata.

Ora, ho sempre avuto l'impressione di soffrire di paranoia nel pensare che si usino certi metodi in un dibattito che vorrebbe essere scientifico, come quello sul clima. E invece, grazie a Dio, non sono paranoico! Gli avversari della scienza usano davvero il dossieraggio!

Questo ce lo racconta Antonello Pasini in un suo recente articolo sul Sole 24 ore. Ci riferisce di un commento molto critico a un suo recente studio, dove troviamo, fra le altre cose, che per criticare Pasini sono andati a ripescare, e rinfacciargli, le sue parole a un intervento tenuto a Riccione nel 2008. Il punto è che il testo di quel particolare intervento non si trova con Google (si trova solo l'annuncio del convegno). Sembrerebbe che esista solo in forma cartacea e una rivista pubblicata nel 2008 non è che si trova schioccando le dita. Questo vuol dire che qualcuno aveva raccolto documentazione su Pasini, pronta da usare alla prima occasione per screditarlo.

Quindi, dossieraggio contro Antonello Pasini. E' un dossieraggio, diciamo, "moderato" in quanto non usa informazioni private o delicate. Niente di illegale, ma è comunque utilizzato per distorcere il pensiero di Pasini e presentarlo come un estremista climatico, un catastrofista e un allarmista. Dossieraggio o no, questa gente si qualifica per quello che sono. Non hanno argomenti e quindi gli rimangono solo le offese. Pretendono di fare scienza, ma fanno solo propaganda politica

Lascio la parola a Antonello Pasini. Anche lui forse pensava di essere paranoico; grazie a Dio non lo è. Ma quanti di noi sono "schedati" da questa gente?

Dall' articolo di Antonelo Pasini).

P.S.: vorrei concludere con una sensazione. Ho la sensazione che questi signori abbiano un dossier su di me, che in qualche modo mi abbiano schedato. Avrebbero una copia del 2008 di questo oscuro settimanale diocesano; un mio amico ex-scettico mi ha detto che sanno addirittura qual è stato il mio compenso per la conferenza cui si riferisce questo settimanale - dato che pare sia comparso online sul sito del Comune di Riccione; raccolgono i comunicati stampa dell'ANSA che mi riguardano (ad esempio sulla presentazione del libro del dicembre 2010)... Mi aveva detto Guido Guidi (deus ex machina del suddetto blog) che voleva passare ai servizi segreti: evidentemente lui e i suoi amici si stanno preparando...

Un caro amico mi ha anche detto: chiaramente ti temono e tu per loro sei pericoloso. Grazie comunque a Climate Monitor. Io non ho scheletri nell'armadio, ma tutta questa attenzione nei miei riguardi non fa altro che convincermi di più che agire correttamente e secondo coscienza è sempre la cosa migliore! 


Da leggere su questo argomento anche l'articolo di Sylvie Coyaud, "L'inquisizione degli Yahoo"

mercoledì 14 dicembre 2011

Riconoscere la scienza seria quando la vedi: il cambiamento climatico visto dagli studiosi dell'esaurimento delle risorse.


Il tavolo dei relatori alla prima sessione di ASPO-9 a Brussels. Da sinistra a destra, Pierre Mauriaud (Total); Jean-Pascal van Ypersele (IPCC); Kjell Alecklett (ASPO); Colin Campbell (ASPO); Paul Hohen (Greenpeace). Durante la discussione, Colin Campbell, fondatore e presidente onorario di ASPO, ha detto “sono convinto”, riferendosi all'intervento sul cambiamento climatico di Van Ypersele. Un buono scienziato può sempre riconoscere la buona scienza quando la vede, Sfortunatamente, sembra che molta gente coinvolta nello studio del Picco del Petrolio spesso non interagisca con la scienza del clima e la loro visione rimane legata alle distorsioni presentate dai media mainstream.


Una delle conferenze più interessanti al recente meeting sull'Energia organizzato dal Club di Roma a Basilea, è stata quella fatta da Ian Dunlop, di ASPO Australia (foto a destra). E' stato un intervento centrato più che altro sulla connessione fra energia e cambiamento climatico. Era aggiornato e diceva le cose che avevano bisogno di essere dette. Ossia, Ian Dunlop non si è vergognato di dire che il cambiamento climatico sta minacciando l'esistenza stessa della nostra civiltà e che dobbiamo fare rapidamente qualcosa in proposito. E' stata una conferenza eccellente, date un'occhiata alle slide, se avete un momento, ecco il link.

Ciò che ho trovato sorprendente sono stati i diversi commenti che ho sentito più tardi da quelli che assistevano all'incontro. Alcuni di coloro che non avevano una preparazione specifica sulla scienza del clima sembravano essere scioccati. Non sapevano, pare, che la situazione del clima è così grave e che è così urgente agire – ma ora riconoscevano il problema. Questa mia esperienza a Basilea si affianca molto bene a quella avuta a Brussels per la conferenza di ASPO-9, quando il climatologo Jean-Pascal van Ypersele ha fatto una buona relazione sul cambiamento climatico. Anche lì, la reazione di alcune delle persone che assistevano alla conferenza è stata di sorpresa: non avevano mai avuto occasione, apparentemente, di ascoltare un rapporto integrale sulla situazione del clima.

Naturalmente, non ho statistiche, ma la competenza media in scienza climatica della gente che lavora sul Picco del Petrolio e temi simili (chiamiamoli "scienziati del picco" o “scienziati dell'esaurimento” - che in italiano suona anche più sinistro, ndT). Ma la mia esperienza con questo problema è stata spesso scoraggiante: molti scienziati del picco sono gravemente indietro in quanto alle loro conoscenze circa la scienza del clima ed alcuni (solo alcuni, per fortuna!) della loro ignoranza ne fanno una bandiera, e cadono nei più ovvii trucchi della propaganda dei negazionisti o si fanno beffe dell'idea nel suo complesso con la dichiarazione semplicistica “non c'è abbastanza petrolio per il cambiamento climatico”. Ahimè, le cose sono molto più complesse di così!

Questo non significa che gli scienziati del Picco non siano gente intelligente; lo sono, assolutamente. E questo non significa che non ci sia un pregiudizio parallelo da parte degli scienziati del clima che, spesso, sembrano essere completamente ignari della situazione in termini di esaurimento delle risorse. Il punto è che tutti soffriamo di una visione ristretta. Internet è vasto ma noi tendiamo ad andare in profondità solo negli argomenti che conosciamo bene; il resto della nostra informazione proviene spesso da un misto casuale di ciò che leggiamo nei media. In questo, noi tutti soffriamo del “pregiudizio di conferma” (vedete sotto).

Quindi, quello che vi arriva dai media sul cambiamento climatico è che è tutta questione di piccoli dettagli: abbiamo assistito ad un riscaldamento durante i dieci anni passati? Qual è il significato di “nascondi il declino”? Gli scienziati non avevano paura del “raffreddamento globale” negli anni 70? E così via. Anche la gente che sta dalla parte della scienza del clima spesso sembra impegnarsi nel dibattito preoccupandosi di piccoli dettagli. Quante tonnellate di CO2 possiamo risparmiare se installiamo dei vetri doppi negli edifici pubblici? Dovremmo usare il trasporto pubblico al posto dell'auto privata per gli spostamenti? Così, l'impressione generale che ti puoi fare è che il cambiamento climatico è un problema minore affetto da grandi incertezze.

Che il risultato di più di mezzo secolo di lavoro della scienza del clima sia stato ridotto a termini così ristretti sui media, è una vittoria per la negazione: è un modo per tenere la gente nell'oscurità circa ciò che sta realmente accadendo. Ma il clima non è qualcosa che possa essere fermato da finestre a doppio vetro. E' un grande sconvolgimento dell'intero ecosistema terrestre ed ha il potenziale di causarci danni enormi. Il problema deve essere affrontato per quello che è, nella sua complessità, e con il rischio che ne viene. L'incertezza non è una scusa per non fare nulla: quello che non sappiamo è ciò che è più pericoloso per noi.

Perciò, è molto bello vedere che uno scienziato di valore può sempre riconoscere la scienza seria quando la vede. Questo è stato il caso di Colin Campbell (a sinistra), fondatore e presidente onorario di ASPO, che ha dichiarato al pubblico “sono convinto” dopo aver ascoltato la relazione di Van Ypersele alla conferenza di ASPO-9 a Brussels. E' stato lo stesso risultato visto per diversi colleghi all'incontro di Basilea dopo aver ascoltato l'intevento di Ian Dunlop. Ho notato anche in altre occasioni che gli scienziati del clima possono comprendere il messaggio dell'esaurimento delle risorse quando se lo vedono presentare per ciò che è. Sono buoni scienziati anche loro.

Quindi, è tempo di riconoscere la scienza seria quando la vediamo. Ed è tempo di dire a tutti come stanno le cose, proprio come ha fatto Ian Dunlop a Basilea.


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Sul pregiudizio di conferma:
Dal the Washington Post, di Ramesh Srinivasan

Abbiamo a lungo sentito dire che internet avrebbe dovuto unire le persone di diversi credi politici e culturali. Invece, nonostante l'esplosione delle voci in rete, gli utilizzatori dei social media raramente accedono ad opinioni che differiscono dalle proprie, e molti siti di social media – con la loro etica polarizzata mi piace/non mi piace o mi unisco/non mi unisco – perpetuano soltanto la cultura delle frasi fatte dei vecchi media.

Non solo i nostri amici di Facebook sono simili a noi (ci connettiamo normalmente tramite amici comuni ed interessi condivisi), ma, come ha mostrato il ricercatore Ethan Zuckerman, i siti che visitiamo riaffermano i nostri preconcetti politici e culturali. Questa omogeneizzazione arriva al meccanismo stesso del social media – ai suoi algoritmi – che misura i risultati di ricerca o i feed di Facebook secondo quello che il sistema “pensa” che l'utente troverà più interessante.

Avvicinare esperienze politiche e culturali disparate rimane una sfida per i social media. Per imparare da punti di vista divergenti, le tecnologie e le culture dei social media devono evolvere in modo da avvicinare la gente, piuttosto che tenerci in silos digitali.

Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti da un articolo pubblicato su “Cassandra's legacy”.

domenica 11 dicembre 2011

Durban: vince la scienza



Ci vorrà un certo tempo prima di poter capire esattamente il significato degli accordi di Durban. Come sempre, ci sarà chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi lo vede mezzo vuoto. Ma c'è un elemento in questa storia che ci da speranza: gli sforzi per fermare il cambiamento climatico continuano.

Continuano nonostante l'opposizione delle lobby dei combustibili fossili. Continuano nonostante la campagna propagandistica del "Climategate 2.0", nonostante i continui attacchi contro la scienza sui media, nonostante il fatto che negli Stati Uniti tutti i candidati Repubblicani alla presidenza hanno preso una posizione anti-scientifica.  A Durban c'era un'intera alleanza di potenti forze che stavano facendo tutto il possibile per sabotare la la conferenza. Non ci sono riusciti, e non perché non ci abbiano provato. Christopher Monckton, il visconte arrapanato, arci-nemico della scienza del clima, era così disperatamente alla ricerca di attenzione che non ha trovato di meglio che farsi paracadutare su Durban. E' stato ignorato, comunque.

Considerando la coalizione anti-scienza che si era formata, possiamo prendere come un successo quasi incredibile il fatto che la conferenza di Durban è terminata con un accordo strutturato che prevede la continuazione dei negoziati. Evidentemente, si comincia a percepire un po' ovunque la gravità della situazione: il messaggio sta passando. Come ho detto in precedenza, la scienza del clima è  scienza valida e la scienza valida finisce sempre per vincere.

Questo post è una traduzione del post in Inglese apparso su "Cassandra's Legacy"

venerdì 21 ottobre 2011

Lo scandalo dell'editoria accademica



Con la "open access week" la settimana del libero accesso, che comincia la prossima settimana, Cassandra traduce (grazie a Massimiliano Rupalti) un recente articolo di George Monbiot, apparso sul "Guardian." In questo momento estremamente difficile per la scienza, sembra che gli scienziati stiano continuando a fare di tutto per spararsi nelle gambe da soli. Una di queste cose è di regalare il loro lavoro - pagato con fondi pubblici - agli editori scientifici che sono dei privati che ci fanno soldi sopra. E' uno scandalo sotto tutti gli aspetti che priva il pubblico della possibilità di capire e giudicare il lavoro fatto per loro (e con i loro soldi) dagli scienziati. Tutto questo da ampi spazi a chi è pagato dalle lobby anti-scienza per fare disinformazione e per la caccia allo scienziato scomodo. Considerando l'urgenza di prendere provvedimenti contro il riscaldamento globale e l'esaurimento delle risorse, se continuiamo così ci stiamo tutti quanti sparando nelle gambe da soli. Allora, dobbiamo liberare la comunicazione scientifica e renderla accessibile a tutti. Come dice Monbiot, "Abbasso il racket del monopolio della conoscenza"



Gli editori accademici fanno sembrare Murdoch un socialista

Di George Monbiot (Traduzione di Massimiliano Rupalti)


Gli editori accademici addebitano elevate commissioni per accedere alla ricerca pagata da noi. Abbasso il racket del monopolio della conoscenza.'


 Sebbene le biblioteche universitarie abbiano freneticamente tagliato gli abbonamenti per sbarcare il lunario, le riviste oggi consumano il 65% dei loro bilanci ': Foto: Peter M Fisher/Corbis

Chi sono i capitalisti più spietati del mondo occidentale? Le cui pratiche monopolistiche fanno di Walmart il negozietto sotto casa e di Rupert Murdoch un socialista? Non indovinereste la risposta neanche in un mese. Benché ci siano moltissimi candidati, il mio voto non va alle banche, alle compagnie petrolifere o a quelle di assicurazioni sanitarie, ma - aspettatevelo – agli editori accademici. 

Il loro sembra essere un settore stantio e insignificante. Tutt'altro. Di tutte le frodi aziendali, il racket che gestiscono è quello che ha più urgente bisogno di essere rinviato alle autorità garanti della concorrenza.

Tutti dichiarano che la gente dovrebbe essere incoraggiata a capire la scienza e le altre ricerche accademiche. Ma gli editori hanno messo un lucchetto e la scritta “Vietato entrare” ai cancelli. Vi dovreste indignare per la politica di accesso a pagamento di Murdoch, con la quale applica una tariffa di una sterlina per 24 ore per accedere al Times e al Sunday Times. Ma almeno in quel periodo puoi leggere e scaricare quello che vuoi. Leggere un singolo articolo pubblicato dalle riviste di Elsevier's ti costerà 31,50 dollari. Springer chiede 34,95€, Wiley-Blackwell 42 dollari. Ne leggi 10 e paghi 10 volte. E le riviste conservano il copyright per sempre. Vuoi leggere una lettera stampata nel 1981? Pagherai 31.50 dollari.



Illustrazione di Daniel Pudles


Naturalmente, puoi andare in biblioteca (se esiste ancora). Ma anche quelle sono state colpite da tasse cosmiche. Il costo medio di un abbonamento annuale ad una rivista di chimica è di 3.792 dollari. Alcune riviste costano 10.000 dollari l'anno o più a magazzino. La più cara che abbia visto è Elsevier's Biochimica et Biophysica Acta, che costa 20.930 dollari. Sebbene le biblioteche universitarie abbiano freneticamente tagliato gli abbonamenti per sbarcare il lunario le riviste oggi consumano il 65% dei loro bilanci, e ciò significa che devono ridurre il numero di libri che comprano. Le tasse delle riviste influiscono in quanto componente significativa dei costi universitari, che vengono passati ai loro studenti.

Murdoch paga i suoi giornalisti ed i suoi editori e le sue compagnie generano gran parte dei contenuti che usano. Ma gli editori accademici ottengono i loro articoli, le loro revisioni tra pari (approvate da altri ricercatori) e persino la maggior parte della loro redazione, gratuitamente. Il materiale che pubblicano è stato commissionato e finanziato non da loro, ma da noi, attraverso finanziamenti alla ricerca e stipendi accademici.
Ma per visionarlo dobbiamo pagare ancora ed in maniera esosa. I ritorni sono astronomici: nel passato anno finanziario, il margine di profitto operativo di Elsevier è stato del  36% (£724 su ricavi di £2 miliardi). Sono il risultato di una morsa sul mercato. Elsevier, Springer e Wiley, che hanno acquisito molti dei loro competitori, ora pubblicano il 42% degli articoli scientifici.

Ancora più importante, le università sono costrette a comprare i loro prodotti. I saggi accademici vengono pubblicati solo in un luogo e devono essere letti da ricercatori che cercano di tenere il passo con il loro tema di ricerca. La domanda è rigida e la competizione inesistente perché riviste diverse non possono pubblicare lo stesso materiale. In molti casi gli editori obbligano le biblioteche a comprare una gran quantità di riviste, che le vogliano in così grande quantità o meno. Forse non sorprende che uno dei più grandi truffatori che abbia mai truffato questo paese – Robert Maxwell – ha fatto gran parte dei suoi soldi attraverso le pubblicazioni accademiche.

Gli editori dichiarano di dovere addebitare tali commissioni a causa del costo di produzione e distribuzione e che loro aggiungono valore (nelle parole di Springer) perché “sviluppano i marchi delle riviste e mantengono e migliorano l'infrastruttura digitale che ha rivoluzionato la comunicazione scientifica negli ultimi 15 anni”. Ma un'analisi della Deutsche Bank giunge a conclusioni differenti. “Crediamo che gli editori aggiungano un valore relativamente piccolo al processo editoriale... se il processo fosse veramente complesso, costoso e di valore aggiunto, come contestano gli editori, il 40% di margine non sarebbe disponibile”. Lontani dall'assistere la divulgazione della ricerca, i grandi editori la impediscono, così come i loro lunghi tempi di consegna possono ritardare l'uscita delle scoperte di un anno o più.

Quello che vediamo è puro capitalismo di rendita: monopolizzare una risorsa pubblica per poi addebitare commissioni esorbitanti per usarla. Un altro termine per questo fenomeno è parassitismo economico. Per ottenere il sapere per il quale abbiamo già pagato dobbiamo cedere le armi ai proprietari terrieri dell'apprendimento. Ciò è abbastanza negativo per gli accademici, è peggio per gli altri. Mi riferisco ai lettori e revisori, sul principio che le dichiarazioni debbano essere seguite dalle fonti. I lettori mi raccontano di non essere in grado di permettersi di giudicare da soli se ho rappresentato o no la ricerca onestamente. I ricercatori indipendenti che cercano di informarsi riguardo a importanti problemi scientifici devono esibirne migliaia. Questa è una tassa sull'educazione, un ostacolo allo spirito pubblico. Sembra violare la dichiarazione universale dei diritti umani, che dice che “tutti hanno il diritto di essere liberi di....condividere i progressi scientifici ed i loro benefici”.

L'editoria ad accesso libero, nonostante le sue promesse e qualche eccellente risorsa come la biblioteca Pubblica della Scienza ed il database fisico arxiv.org, ha fallito nel rimpiazzare i monopolisti. Nel 1998 l'Economist, rilevando le opportunità offerte dall'editoria elettronica, predisse che "i giorni dei margini di profitto del 40% saranno presto defunti come Robert Maxwell".Ma nel 2010 i margini operativi di profitto di Elsevier erano gli stessi (36%) di quelli del 1998.

La ragione è che i grandi editori si sono impadroniti delle riviste con i fattori di impatto accademico più elevato, nelle cui pubblicazioni è essenziale per i ricercatori provare ad ottenere sovvenzioni e progredire nella loro carriera. Puoi cominciare leggendo riviste ad accesso aperto, ma non puoi fare a meno di leggere quelle chiuse.

I governi, con poche eccezioni, hanno fallito nei loro confronti. Gli Istituti Nazionali per la Salute negli Stati Uniti obbligano tutti a prendere le loro sovvenzioni per mettere i loro saggi in un archivio ad accesso libero. Ma il Consiglio della Ricerca inglese, la cui dichiarazione sul libero accesso è un capolavoro di chiacchiera insignificante, si basa “sull'assunto che gli editori manterranno lo spirito delle loro politiche correnti”. Puoi scommetterci. A breve termine, i governi dovrebbero riferire sugli editori ai loro cani da guardia della concorrenza ed insistere che tutti i saggi provenienti da ricerche finanziate pubblicamente vengano inserite in un database pubblico ad accesso libero. A lungo termine, dovrebbero lavorare con i ricercatori per tagliare fuori completamente gli intermediari, creando - seguendo le linee proposte da Björn Brembs della Freie Universität di Berlino - un unico archivio globale della letteratura e dei dati accademici. La revisione tra pari sarebbe supervisionata da un corpo indipendente. Potrebbe essere finanziato dai bilanci delle biblioteche che sono al momento dirottati nelle mani dei privati.

Il monopolio del sapere è così ingiustificato ed anacronistico quanto le leggi sulla bardatura dei cavalli da guerra. Buttiamo fuori questi feudatari parassiti e liberiamo la ricerca, che ci appartiene.

martedì 18 ottobre 2011

Credo perché è assurdo



Il climatologo Hans Schellnhuber viene minacciato con un nodo scorsoio mentre sta tenendo una conferenza (link al video). Sono gli scienziati i nuovi nemici, l'obbiettivo di una nuova crociata? (traduzione dall'inglese di Massimiliano Rupalti, da Cassandra's legacy)


All'inizio del terzo secolo D.C., Tertulliano, campione della Cristianità contro il Paganesimo, ci ha fatto una sorprendente rivelazione sulla rottura fra la vecchia e la nuova visione culturale. Dei sui scritti ricordiamo le parole "Credo quia absurdum” che significa “Io credo perché è assurdo”. Queste non sono le parole esatte di Tertulliano, ma la frase riassume bene il suo pensiero. Tertulliano usava l'assurdità come arma contro il vecchio paradigma. Era un apostata, un rivoluzionario, un sovversivo.

Ripensando a quei tempi antichi, è impressionante notare quanto siano simili alla rottura del paradigma dei nostri tempi che è spesso espresso nei termini di ciò che chiamiamo”le teorie del complotto”. Fino a poco tempo fa, la rottura contro la vecchia visione culturale era espressa in forme ideologiche complesse e strutturate: comunismo o socialismo, per esempio. Ma quello che stiamo vedendo ora non è nulla di strutturato o complesso. E' semplicemente la negazione di qualsiasi cosa possa dare l'impressione di essere “dimostrata scientificamente”. Dalle scie chimiche al climategate, vediamo la diffusione di un atteggiamento basato sul concetto che “se è scienza, deve essere una truffa”. Se Tertulliano fosse vivo oggi, la sua ricerca di assurdità creative sarebbe espressa, forse, sostenendo che gli aerei che ci volano sopra stiano diffondendo veleni terribili su di noi o che l'idea che la CO2 prodotta dagli esseri umani stia riscaldando il pianeta sia un elaborato inganno per spaventarci.

E' grottesco, sicuro. Ma per qualsiasi cosa esista, c'è una ragione per la sua esistenza. Questo è vero anche per le teorie del complotto, ora e nei tempi antichi. Ai tempi di Tertulliano, la prosperità materiale di Roma e dei Romani era spesso vista come il risultato del favore degli Dei Pagani. Quando questa prosperità è scomparsa è stato uno shock: Roma non era più nei favori dei vecchi Dei. Il risultato è stato un movimento di idee che vedeva gli antichi Dei come “il male” proprio come quelle persone che continuavano ad adorarli. Ricordiamo la storia della filosofa pagana Ipazia, uccisa e fatta a pezzi da una folla inferocita. Ciò è accaduto solo un paio di secoli dopo Tertulliano, quando la frattura fra nuovo e vecchio paradigma non era più il dominio di sovversivi isolati; era diventato un'onda di furore, un vero tsunami.

Oggi, vediamo i sintomi dello stesso tipo di rottura, di uno tsunami di furore montante nella nostra società. Pensate alla nostra prosperità: tendiamo ad attribuirla non agli Dei pagani, ma alla nostra abilità tecnologica. Adoriamo la capacità degli scienziati di creare macchinari nuovi e migliori. Ci diciamo che qualsiasi problema può essere risolto dagli scienziati che possono inventare un modo intelligente per uscirne. Non c'è abbastanza petrolio? Perforiamo più in profondità, inventiamoci biocarburanti, creiamo la fusione nucleare in bottiglia. Non c'è abbastanza cibo? Qualcuno inventerà nuovi fertilizzanti, organismi geneticamente modificati, nuovi pesticidi. Inquinamento? Dotiamoci di nuovi e migliori filtri per gli scarichi delle automobili e per le ciminiere degli inceneritori. Cancro? Presto avremo la pillola magica che lo cura.

Ma ora sta accadendo qualcosa di diverso, qualcosa di mai sentito. Gli scienziati ci stanno dicendo che non ci sono soluzioni rapide per problemi come l'esaurimento delle risorse ed i gas serra nell'atmosfera. Che più cresciamo, più i problemi diventano seri. Che rischiamo spazzare via la razza umana dal pianeta facendo esattamente le stesse cose che siamo stati orgogliosi di saper fare, finora. Che abbiamo bisogno di cambiare i nostri modi prima che sia troppo tardi.

E' la rottura completa del vecchio paradigma. Per la maggior parte di noi è totalmente disorientante sentirci dire che abbiamo sbagliato tutto e sentirlo dalle stesse persone, gli scienziati, che ci hanno mostrato come fare quello stavamo facendo. Questo può essere visto solamente come un tradimento e non è un strano che il furore monti contro quegli infidi e infedeli scienziati del male. Storie come quella del “Climategate” sono segni di questo furore. E' un furore terribile, qualcosa che non può essere spiegato se non con la perdita di un quadro comune di pensiero. E' una società che sta perdendo il rapporto maestro-alunno. Questo significa perdere saggezza, sapienza e auctoritas.

Quando la gente perde la saggezza, la via d'uscita più facile sembra essere trovare un nemico. I nostri nuovi nemici sembrano essere gli scienziati. Non abbiamo ancora assistito al linciaggio di climatologi da parte di una folla inferocita, come è accaduto a Ipazia molto tempo fa, ma sembra che ci stiamo avvicinando a qualcosa di simile. Il furore di quella gente che chiamiamo i “teorici del complotto” è ancora ad una stadio informe di negazione di tutto, ma potrebbe svilupparsi in forme che potremmo descrivere come una specie di nuova crociata in cui, questa volta, i nemici sono gli scienziati. Non sarebbe la prima volta che gli scienziati diventano l'obbiettivo di movimenti politici, dai tempi del MaCarthysmo negli Stati Uniti alla “Rivoluzione Culturale” in Cina. Questi movimenti alla fine si sono placati, ma forse non abbiamo ancora visto il furore anti-scienza apparire con tutta la sua forza.

La trasformazione della Società Romana dal Paganesimo alla Cristianità è durata secoli ed ha implicato ogni sorta di lotte violente fino a che non si è insediato un nuovo paradigma ed una nuova saggezza. Mille anni dopo Tertulliano, il mondo ha visto quel fiorire di pensiero che chiamiamo filosofia scolastica che comportava la riscoperta della vecchia saggezza e la sua fusione con la nuova. Oggi stiamo vedendo l'inizio di un nuovo ciclo e, nel tempo, dovremo riscoprire una nuova saggezza ed una nuova auctoritas. Quello che vediamo oggi in modo oscuro, come in uno specchio, lo vedremo faccia a faccia.


Questo post è una sintesi di un post più lungo intitolato "Tertulliano non credeva agli allunaggi" pubblicato su "Effetto Cassandra" nel Marzo 2011. Ringrazio Ludovico Pernazza per una correzione al testo



lunedì 28 marzo 2011

I burattini del clima



E dopo che viene fuori che hanno pagato 300 euro a una tizia per far finta di essere una terremotata dell'Aquila, qualcuno pensa ancora che certe persone che scrivono sui commenti dei blog non siano pagati per dir male della scienza del clima e degli scienziati?

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Da "La Repubblica" del 28 Marzo 2011

"Terremoto, ricostruzione perfetta"
finta aquilana in tv, bufera su Forum

Figurante reclutata per raccontare il miracolo del governo. Subito smascherata in rete. "Pagata trecento euro per leggere un copione". Protesta il Comune

di GIUSEPPE CAPORALE
 
L'AQUILA - Mediaset manda in onda una finta terremotata pagata 300 euro. Pagata per leggere un copione scritto dagli autori del programma Forum, condotto da Rita Dalla Chiesa su Canale 5. "L'Aquila è ricostruita"; "Ci sono case con giardini e garage"; "La vita è ricominciata"; chi si lamenta "lo fa per mangiare e dormire gratis". Per questo "ringraziamo il presidente..." . "Il governo... ", precisa la conduttrice.

Marina Villa, 50 anni, nella trasmissione di venerdì si dichiara "terremotata aquilana e commerciante di abiti da sposa" in separazione dal marito Gualtiero. Ed è lì in tv con il coniuge a discutere della separazione davanti al giudice del tribunale televisivo. Ma è tutto finto: lei non è dell'Aquila, non è commerciante, il vero marito è a casa a Popoli, il paesino abruzzese nel quale la coppia vive: si chiama Antonio Di Prata e con lei gestisce un'agenzia funebre.

L'assessore alla Cultura dell'Aquila, Stefania Pezzopane, ha scritto una lettera a Rita Dalla Chiesa: "Nella sua trasmissione, persone che, mi risulta, non hanno nulla a che vedere con L'Aquila, hanno fatto un quadro distorto e assolutamente non veritiero". Quando scoppia la polemica anche su Facebook, non è difficile rintracciare Marina. "Ma che vogliono questi aquilani? Ma lo sanno tutti che è una trasmissione finta". Si dice, la signora Villa, molto sorpresa dalla rabbia dei terremotati: "Ma che pretendono. Io non c'entro nulla. Ho chiesto di partecipare alla trasmissione e quando gli autori hanno saputo che ero abruzzese, mi hanno chiesto di interpretare quel ruolo. Mi hanno spiegato loro quello che avrei dovuto dire". Marina racconta di essere stata pagata: "Mi hanno dato 300 euro. Come agli altri attori. Anche Gualtiero, che nella puntata interpretava mio marito, recitava. Lui è un infermiere di Ortona. Hanno scelto un altro abruzzese per via del dialetto".

Ecco il copione di Marina in tv: "Hanno riaperto tutti l'attività. I giovani stanno tornando". Durante il terremoto "sembrava la fine del mondo, non riuscivo a capire se era la guerra, la casa girava. Si sono staccati i termosifoni dal muro". Ora invece è tutto a posto: "Vorrei ringraziare il presidente e il governo perché non ci hanno fatto mancare niente... Tutti hanno le case con i giardini e con i garage, tutti lavorano, le attività stanno riaprendo". Le fa eco la Dalla Chiesa: "Dovete ringraziare anche Bertolaso che ha fatto un grandissimo lavoro". E giù applausi. Mentre Marina aggiunge: "Quello volevo pure dire". "Inizialmente - continua il copione - hanno messo le tendopoli ma subito dopo hanno riconsegnato le case con giardino e garage. Sono rimasti 300-400 che sono ancora negli hotel e gli fa comodo". "Stanno lì a spese dello Stato: mangiano, bevono e non pagano, pure io ci vorrei andare". Ma lei non è dell'Aquila, la notte del 6 aprile 2009 era a casa a Popoli. È stata solo finta terremotata a pagamento per un giorno su Mediaset.

(28 marzo 2011)

domenica 2 gennaio 2011

Cassandra nel 2011


La profetessa in piena azione mentre prepara qualche magico intruglio (o forse soltanto una zuppa di piselli - a giudicare dal colore) - un quadro di John William Waterhouse (*).


Con l'inzio del 2011 fa un po' più di un anno che ho iniziato il blog "Cassandra", ma è circa un anno che ha preso la sua forma attuale di blog dedicato alla comunicazione scientifica sul clima.

Devo dire che il risultato di tanto lavoro è stato buono: Cassandra risultava a Dicembre 2010 il blog n. 10 fra i blog scientifici e il n. 209 fra tutti i blog Italiani nella classifica di Wikio. Secondo i criteri di Wikio è il primo in assoluto fra i blog italiani che si occupano principalmente di clima.

Insomma, niente male per un blog del tutto personale che non gode di nessuna promozione è che è solo il risultato di alcuni "sassolini nelle scarpe" che avevo intenzione di levarmi e che mi sto ancora levando. Va anche detto che, nell'era del bunga-bunga, del clima sembra che non glie ne importi niente a nessuno, quindi è già un grosso risultato che qualcuno ti noti se parli di un argomento considerato del tutto marginale.

In un anno di blogging mi sono occupato di tante cose; ho ricevuto insulti vari, pubblici e privati, e persino qualche pubblica minaccia di morte,  sono stato pubblicamente infamato da Paolo Granzotto sul "Giornale," e ho avuto uno scambio interessantissimo con l'arci-complottista Gianluca Freda che mi ha definito "Sacerdote di ASPO" (in fondo, un titolo appropriato per uno che si rifà a Cassandra, la sacerdotessa).

Insomma, è stato appassionante, divertente a - occasionalmente - inquietante. Più che altro, ho imparato moltissime cose. Una che non finisce di stupirmi è il potere della propaganda sulla mente umana. Comincio sempre di più a pensare che la propaganda basata sui media è stata la vera rivoluzione scientifica del ventesimo secolo; ben più importante di sciocchezzuole come la meccanica quantistica e la relatività.

Un'altra cosa che ho imparato e che sto imparando è l'incredibile importanza della scienza del clima. Qualche cretino, là fuori, crede veramente che tutta la faccenda si possa ridurre a una polemica su una curva che somiglia a una "mazza da hockey", ma non sa cosa si perde. La scienza del clima è un'altra grande rivoluzione scientifica del ventunesimo secolo: è la comprensione dei meccanismi che fanno vivere un intero pianeta.

Quando uno lavora su una cosa che gli interessa, di solito i risultati sono buoni. Vi posso dire che ogni post che pubblico è una piccola avventura intellettuale che mi fa imparare qualcosa di nuovo. Spero di riuscire a passare qualcosa di questo fascino anche ai lettori.

Certo, un po' mi sento in imbarazzo a notare come lo sforzo di persone ben più competenti di me sul clima è stato forse premiato un tantino meno del mio. Ma, in ogni caso, mi fa piacere che i blog seri sul clima si piazzano benino nella classifica di Wikio. Mi fa ancora più piacere che i blog non seri sul clima, al contrario, si trovino molto più indietro, o non esistano per niente. Questo include i vari insetti immondi, i monitoraggi semi-militarizzati e quelli che sul riscaldamento globale hanno capito tutto esattamente al contrario.

Quindi, Cassandra ha fatto un buon lavoro nel 2010, ora vediamo come andrà nel 2011. Comunque, queste cose sono sempre in movimento. A un certo punto, il tuo blog va bene, poi ti accorgi che è scivolato non si sa dove. Non importa, l'importante è continuare a fare un buon lavoro. Ringrazio tutti i lettori, tutti quelli che hanno segnalato il blog, tutti i commentatori e buon anno a tutti.



Ringrazio anche Marco F. di Leucophaea per la segnalazione della posizione di Cassandra. Da notare anche che la classifica di Wikio non è basata sul numero di visite ma sui link che un blog riceve. Credo che sia una buon modo per stimare la qualità del blog: le visite possono essere molto brevi, ma se uno linka qualcosa di un blog vuol dire che lo ha letto, l'ha capito e lo ha trovato interessante.

Infine, qualche breve nota sulla classifica degli altri blog sul clima così com'era a Dicembre. Una comparazione precisa non è possibile, perché alcuni blog sul clima sono classificati nella categoria "Ambiente", altri in quella di "Scienza". Fra questi ultimi, "Ocasapiens"  si piazza molto bene al 14 posto fra i blog scientifici, subito dietro "Cassandra" (sento sul collo l'alito di Sylvie Coyaud!). Fra i blog sul clima classificati nella categoria "Ambiente" "Climalteranti" è al primo posto (n. 18). Al secondo posto (N. 31) troviamo "Il Kyoto Fisso" di Antonello Pasini. Infine, "Mondi Sommersi" è 50esimo.


(*) Ringrazio Maurizio Morabito, aka "Il Tafano" per aver corretto un errore nell'attribuzione del quadro.


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