Di Ugo Bardi
Lungi dall'essere una torre d'avorio, oggigiorno la scienza sembra piuttosto una cittadella malconcia assediata da un esercito di orchi. Non aiuta il fatto che gli scienziati non sembrano capire che il pubblico ha il diritto di avere accesso ai risultati del lavoro di ricerca realizzato coi soldi delle loro tasse. Abbiamo bisogno di rendere più aperta la scienza se vogliamo agire sulla base della conoscenza che la scienza produce. (immagine da "crossbow and catapults
Negli anni 90, quando internet era giovane, mi era venuta in mente l'idea di fare una “rivista ad accesso libero” su quello che a quel tempo era il mio campo scientifico: la scienza della superficie. L'idea era che la ricerca scientifica è pagata dal pubblico e che, per questo motivo, i risultati della ricerca scientifica devono essere liberamente accessibili al pubblico. Quindi, insieme ad alcuni colleghi, abbiamo fatto partire un sito internet chiamato "The Surface Science Forum" che pubblicava articoli sulla scienza delle superfici liberamente accessibili sul Web, aggirando le tradizionali riviste scientifiche.
Non è stato un successo. Il “Surface science forum” è sopravvissuto per alcuni anni e non ha mai avuto un impatto reale. Nel 2000 mi stavo spostando in un campo diverso ed ho deciso di chiudere il forum. Se siete curiosi, lo potete ancora trovare qui. Ma i problemi con gli articoli scientifici che il forum aveva provato ad affrontare ci sono ancora e, col tempo, diventano sempre più seri. Non molto tempo fa, George Monbiot ha dato una buona descrizione di questi problemi in un articolo sul "The Guardian" dice:
La sfiducia (nella scienza) è stata moltiplicata dagli editori di riviste scientifiche, le cui pratiche monopolistiche fanno sembrare le aree dominate dalla camorra un paradiso e che sono da lungo tempo in attesa di un rinvio alla Competition Commission. Non pagano nulla per la maggior parte del materiale che pubblicano, inoltre, anche se siete collegati ad un istituto accademico, vi chiederanno 20 sterline o più per un singolo articolo. In alcuni casi ne chiedono decine di migliaia per un abbonamento attuale. Se gli scienziati vogliono che la gente cerchi almeno di capire il loro lavoro, dovrebbero mettere in piedi un rivolta su scala globale contro le riviste che li pubblicano. Non è più accettabile che i custodi del sapere si comportino come dele guardie che cacciano i proletari dalle grandi tenute.
Ciò che Monbiot dice è vero: nel dare il risultato del proprio lavoro agli editori gratuitamente, gli scienziati vengono sfruttati come se fossero dei raccoglitori stagionali di frutta. Naturalmente, non ci sarebbe niente di sbagliato in questo modo di fare se il denaro pagato per avere accesso ai saggi scientifici andasse a finanziare la ricerca o a pagare servizi utili alla ricerca. Ma non è così che funziona. Gli editori commerciali non finanziano la ricerca ed hanno dei costi molto modesti per la loro attività. Il "peer review", per esempio, è fatto dagli scienziati gratuitamente (ancora!).
Gli scienziati non dovrebbero starsene zitti ma, di solito, non protestano. Questo loro comportamento è il risultato di un fattore specifico: il fatto che i saggi scientifici sono una specie di “valuta” nel mondo scientifico. I soldi, come si sa bene, non sono altro che credito, e, per gli scienziati, ogni articolo o pubblicazione è una forma di credito che può essere riscattato in seguito, in termini di avanzamento di carriera, contributi, posizioni accademiche e cose simili. E' “denaro”, per farla breve.
Gli editori scientifici sono riusciti ad accreditarsi come delle “banche” della conoscenza scientifica. In quanto banche, garantiscono il valore della valuta che gestiscono; di fatto la creano sotto forma di saggi pubblicati. Quindi è comprensibile che gli scienziati non vogliano vedere svalutata la loro valuta. Pubblicare fuori dal sistema, per uno scienziato, è l'equivalente di stampare banconote false. Non è solo senza valore, potrebbe avere un valore negativo, danneggiando la reputazione dello scienziato. Ad esempio, in certi ambienti, avere un blog è considerato una macchia sulla reputazione di uno scienziato. Questo è stato l'atteggiamento che ha condannato il “Surface Science Forum” e che è ancora quello prevalente nella scienza.
Ma i tempi cambiano rapidamente. Una volta la scienza poteva essere vista come una torre d'avorio, in grado di mantenere la propria valuta. Ora, somiglia di più ad una cittadella malconcia assediata da un esercito di orchi con le catapulte. La situazione è particolarmente pesante per la scienza del clima, oggetto di campagne politiche progettate per distruggere la reputazione di singoli scienziati così come dell'intero settore. Il pubblico tende a chiedere alla scienza soluzioni miracolose ai nostri problemi e la gente è delusa quando gli si dice che non ve ne sono. La gente delusa tende ad essere aggressiva, come potete vedere, a mo' di esempio, in alcuni commenti sul recente imbroglio dell'E-Cat. In questa situazione, i tradizionali metodi di pubblicazione scientifica non andranno ad accrescere il prestigio della scienza.
Fortunatamente, sembra che gli scienziati stiano scoprendo che non si possono più basare sui vecchi metodi. Tendono a pubblicare sempre di più su "riviste ad accesso libero", che non esistevano fino a poco tempo fa. Ora esiste un "movimento per la scienza aperta" ed uno per boicottare Elsevier, individuata, fra i molti editori scientifici, come uno il cui comportamento è particolarmente negativo.
Tutto ciò e sufficiente? Di sicuro è uno sviluppo positivo, ma dobbiamo fare di più. La scienza non è una torre d'avorio e nemmeno una cittadella assediata. E' un'impresa progettata per produrre conoscenza ed abbiamo un gran bisogno di questa conoscenza in questo momento difficile. Non è abbastanza rendere accessibile questa conoscenza a coloro che l'hanno pagata, dobbiamo anche batterci per renderla comprensibile a coloro che possono basare le proprie azioni di di essa. Come farlo? Be', ci sono molti modi. Tanto per cominciare, perché non tenete un blog anche voi?
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Caro Bardi, mette molta carne al fuoco sicuramente interessante. Per quanto riguardo l'opinione pubblica, negli ultimi cent'anni abbiamo assistito alla ragione degenerata in razionalismo, nella scienza degenerata in scientismo e la tecnica in una tecnologia con propositi di controllo e dominio. Quindi, se da una parte vanno combattute le tendenze all'irrazionalismo, è abbastanza ragionevole non volerne più sapere di visioni impostate al motto "la scienza e la tecnologia ci salveranno" (ci possono semmai AIUTARE, che è un altra cosa).Quanto alle riviste scientifiche, ha aperto un vaso di Pandora: oltre alle sue considerazioni, aggiungerei anche alcune perplessità sui meccanismi di peer-review (ho l'esperienza diretta con mia moglie ricercatrice in un settore umanistico, dove ci sono quindi molto meno pressioni del sistema economico, per cui non oso pensare sulle ricerche che toccano interessi consolidati). E poi ha ragione sul fatto che in troppi non vogliono 'abbassarsi' a uno stile più divulgativo (tipo La Terra svuotata), ma aggiungerei anche che troppi scienziati guardano il mondo con il microscopio della loro specializzazione, quando sarebbe più che mai opportuno un approccio sistemico; e qui entra in gioco il sistema universitario. Io - laureato in Lettere - ho dovuto spiegare a fisici nucleari come funziona l'estrazione dell'uranio, ho dovuto spiegare che tra l'uranio combustibile e quello minerale c'è un rapporto circa 1 a 8 (8 tonnellate di minerale per una di diossido di uranio ) e che l'estrazione richiede enormi quantità di acqua. Ho amici agronomi che mi perorano la causa degli OGM a causa della 'scarsa produzione mondiale di cibo', ed è difficile fargli capire che il problema della fama è dovuto a fattori che prescindono dalla produzione. E anche lei Bardi, se non ha romanzato un po' la realtà, il picco di Hubbert se ho capito bene l'ha scoperto per curiosità personale quasi per caso. Quindi, se da una parte bisogna ampliare il proprio orizzonte scientifico, dall'altro molti scienziati devono allargare la loro visione del mondo.
RispondiEliminaNon commento molto spesso in rete, ma stavolta mi sento in dovere di appoggiare incondizionatamente quanto scritto. Scrivo su un piccolo sito personale di agroecologia, e trovo scandaloso che con tutto il materiale chiuso nelle biblioteche non ci siano in rete gli strumenti, che so per esempio per classificare un animale della fauna o flora italiana in maniera corretta. I cittadini pagano per le università e il sapere che lì dentro si scopre e accumula dovrebbe essere di tutti.
RispondiEliminaPer poter avere anche una sola descrizione degli oltre 35.000 insetti d'Italia ci possono volere anche 50€. Moltiplicato per le centinaia di specie presenti in un orto esce una cifra pazzesca!Per non parlare delle pubblicazioni specialistiche che costano centinaia di euro. Quei ricercatori sono già pagati, e dovrebbe essere obbligatorio pubblicare in rete quanto scoprono coi nostri soldi.
Grazie, Remo, perché non ci passi il link al tuo blog?
RispondiEliminaBuonasera. Articolo condivisibilissimo.
RispondiEliminaOltre al saper fare DIVULGAZIONE e COMUNICAZIONE sarebbe anche corretto che gli scienziati/studiosi di branche diverse trovassero un modo di parlarsi tra di loro. E' probabile che l'eccesso di specializzazione rischi l'autoreferenzialità.
Spiego con un esempio (stupido): la differenza tra ingegnere e architetto.
L'ingegnere è talmente puntato alla specializzazione che alla fine arriverà a sapere TUTTO DI NULLA, mentre l'architetto è votato a interessarsi di qualsiasi cosa e alla fine arriverà a sapere NULLA DI TUTTO.
Spesso mancano informazioni ai settori della P.A. la quale è anche l'attore che prende decisioni finali sull'uso del territorio.
La P.A. non servirà per la peer rewiew ma avere in tempo determinate informazioni potrebbe migliorare i risultati del settore pubblico come stimolare modifiche legislative e regolamentari. Sono sempre soldi dei contribuenti.
Remo makes a great point. It is similar in the UK and the States as well. Why should state universities not make all this marvellous research freely available? Its rather outrageous if one thinks about it, yes.
RispondiEliminaSalve professore; mi scuso per il commento ( parzialmente ? ) OT, ma vengo da una notte particolarmente ispirata e vorrei sottoporle il frutto delle mie doglie...
RispondiElimina- Chi dimentica Gaia, si getta fra le braccia di Medea.
- La panspermia è un fatto, come la sacrificabilità dei gameti.
- Oggi come oggi i cittadini del mondo sono stati retrocessi a gameti: la prossima generazione, più leggera, tornerà ad essere di creature della Terra, con la T maiuscola, (e senza creazione )
- Con la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ha avuto inizio il mondo (degli uomini) moderno e la sua hybris
- ...Quando noi parliamo di grandezza e fascino del mondo classico, siamo sicuri che in realtà, a livello più o meno conscio, non stiamo subendo l'attrazione per un mondo morale del tutto altro ai loculi che ci siamo costruiti sopra la testa ?...Si tratta di concetti pericolosi che la scuola degli stipendi si guarda bene dal propinare ai tax payers : VIVA V.E.R.D.I. !
- ...Non c'è poesia più grande della filogenesi. ( Chi non la coglie è empio e crudele suo malgrado )
- Nella nascita non ci sarebbe niente di miracoloso se l'ontogenesi non ricapitolasse la filogenesi.
Saluti.
Vi linko questo interessante articolo di Eleonora Presani (ricercatrice) riguardo al rapporto tra scienza e divulgazione della stessa.
RispondiEliminaGià il prof. Bardi ne aveva parlato qui rispetto al problema del cambiamento climatico.
Mi sembra di capire che la comunità scientifica senta questa necessità di avvicinarsi ai cittadini ma i nostri giornalisti ci mettono molto del loro per complicare le cose.
http://www.appuntidigitali.it/16904/quando-le-notizie-volano-piu-veloci-dei-neutrini/
Grazie Ugo di questo eccellente post. Esemplare.
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