"E' il destino abituale delle nuove verità quello di cominciare come eresie e finire come superstizioni" (Thomas Henry Huxley, 1880) Sopra: un grafico dall'articolo di James Murray e David King pubblicato su Nature, 26.01.2012, vol 481, p. 435
Con la pubblicazione di un importante articolo su “Nature” nel gennaio 2012, il concetto di “Picco del Petrolio” ha fatto un altro passo avanti nel dibattito sull'esaurimento delle risorse. Questo articolo mi ha fatto ripensare agli ultimi dieci anni di lavoro che ho svolto come membro di ASPO,, the association for the study of peak oil. Avevamo ragione con la nostra previsione di un picco del petrolio incombente? In un certo senso sì, ma la sfera di cristallo è sempre nebbiosa e non potrebbe essere altrimenti. Le previsioni di ASPO erano fondamentalmente giuste ma, come tutte le previsioni, erano approssimate.
Lavorando con un modello semplificato basato sul primo lavoro di Hubbert degli anni 50, il fondatore di ASPO, Colin Campbell e Jean Laherrere, hanno proposto nel 1998 che il futuro della produzione petrolifera avrebbe seguito una curva che avrebbe raggiunto il suo picco in qualche momento fra il 2005 ed il 2010, per poi declinare. All'interno del modello di Hubbert c'era integrato il concetto che i costi di estrazione in graduale crescita avrebbero ridotto i profitti dell'industria e l'avrebbero costretta a ridurre gli investimenti.
Come modello di “primo livello”, quello di Hubbert non è male ed i modelli di ASPO hanno colto molto bene i problemi che l'industria petrolifera stava per affrontare. Dal 2004 in poi, i prezzi sono schizzati a livelli che hanno cambiato tutto nel mercato del petrolio. Ma la produzione di petrolio, intesa come “tutti i liquidi” (cioè, incluso il petrolio da sabbie bituminose, biocarburanti, ecc.) non ha mostrato un picco ben definito e non si è visto nemmeno, per ora, il declino che aveva previsto il modello di Hubbert. Ostinatamente, la produzione ha rifiutato di scendere e potrebbe anche mostrare un modesto aumento in tempi recenti. Questo non invalida il modello: come tutti i modelli, è un'approssimazione della realtà. Di certo, i livelli di produzione attuali si possono mantenere soltanto con i prezzi altissimi degli ultimi tempi. Se i prezzi non si fossero alzati, avremmo molto probabilmente visto il picco già da un pezzo.
Il “picco del petrolio” è stato spesso criticato sulla base di un'idea classica nella scienza economica, cioè che i prezzi fanno da mediatori fra domanda e offerta. Quindi, i prezzi del petrolio dovrebbero definire cosa si deve essere annoverato come “riserve”, intese come qualcosa che può essere, e sarà, estratto. I prezzi più alti dovrebbero generare nuove riserve e così non saremmo mai a corto di nulla. I dati recenti mostrano che questa critica non era sbagliata, anche se non proprio giusta, ma anche che le sue conseguenze erano forse inattese persino per chi le proponeva. Quando nel mercato del petrolio si è cominciata a percepire la scarsità, il meccanismo di correzione dei prezzi ha avuto effetto. I prezzi sono saliti e, secondo la teoria economica standard, questo doveva stimolare la produzione. Lo ha fatto, in parte, ma con il petrolio greggio l'effetto è stato di mettere l'industria in un vicolo cieco. Più i prezzi alti rendevano la produzione redditizia, più i costi di produzione aumentavano. Chiaramente, era una cosa che non poteva continuare all'infinito: a un certo punto dovevamo arrivare a un limite.
Questo meccanismo è colto molto bene da Murray e King nel loro articolo su Nature. Il grafico mostrato all'inizio di questo post lo mostra molto chiaramente. Oltre un certo prezzo, la produzione non risponde più. Diventa “inelastica”. Il grafico dev'essere letto tenendo in considerazione l'evoluzione temporale sia dei prezzi sia della produzione: prezzi molto alti sono un fenomeno recente e quello che vediamo è ciò che io chiamo una corsa al successo. Anche con i prezzi del petrolio in aumento, il meglio che possa fare l'industria è di tenere la produzione costante la produzione di combustibili liquidi.
Così, stiamo vedendo che il meccanismo dei prezzi potrebbe rallentare il declino previsto della produzione, ma al costo di causare altri problemi, forse anche peggiori. Con prezzi alti, l'economia mondiale deve stanziare sempre più risorse per l'estrazione del petrolio e queste risorse devono venire da qualche parte. Siccome l'economia non cresce più, tenere la produzione di petrolio costante significa che alcuni settori devono contrarsi e questo non avviene in modo indolore. Molta dell'attuale agitazione politica nelle nazioni povere, per esempio, è dovuta agli alti prezzi del cibo, a loro volta legati agli alti costi del petrolio. E, con prezzi così alti, vediamo l'effetto perverso per cui i produttori si possono permettere consumi più alti, ma, di conseguenza, rimane meno petrolio per gli importatori. In un certo senso, molte nazioni importatrici hanno già superato il loro picco del petrolio.
Come ha detto Thomas Huxley molto tempo fa, è il destino abituale delle nuove realtà di cominciare come eresie e finire come superstizioni. Il picco del petrolio è sicuramente iniziato come superstizione ed è ancora considerato tale in alcuni circoli. Ma, dopo gli eventi degli anni scorsi sta anche ottenendo lo status di verità, come mostrato dall'articolo di Murray e King, che hanno capito chiaramente cosa ci sia alla base dell'idea. In qualche modo, tuttavia, il picco del petrolio sta anche assumendo alcuni elementi di superstizione, da che ha mancato di tenere conto del meccanismo dei prezzi. Alla fine, la realtà potrebbe essere meglio descritta da qualcosa come il “modello di Seneca” che tiene conto di effetti di second'ordine e che prevede un plateau di produzione seguito da un brusco declino. Anche questo modello potrebbe essere un'eresia, adesso, ma un giorno potrebbe diventare una realtà e poi un superstizione. Come sempre, il futuro non è mai quello di una volta.
Riferimenti
Una sintesi si può trovare su Scientific American qui.
Un commento New York Times è qui.
Una critica di Michael Levi può essere trovata qui.
Ed una difesa dia parte di Mason Inman, qui.
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Nota 1. Sono completamente d'accordo con l'approccio di Murray e King riguardo alla relazione fra il picco del petrolio ed il cambiamento climatico. E' vero che i due problemi sono strettamente legati e che dovrebbero essere affrontati insieme. Tuttavia, penso anche che gli autori dovrebbero essere più attenti al modo in cui presentano questo problema. All'inizio dell'articolo dicono. “... i continui dibattiti sulla qualità della scienza del cambiamento climatico e dubbi sulla scala degli impatti ambientali negativi hanno ostacolato l'azione politica contro le crescenti emissioni di gas serra. Ma qui c'è un argomento potenzialmente più persuasivo per ridurre le emissioni globali: l'impatto del declino delle forniture di petrolio sull'economia”. Considerato il numero di cospirazionisti che ci sono in giro, questo paragrafo potrebbe essere sicuramente visto come la “prova” che il picco del petrolio è una truffa creata dalla perfide compagnie petrolifere in modo da forzare i clienti a pagare più cara la benzina. Inoltre non ha senso, secondo me, dire che la scarsità è un buon argomento per convincere la gente a consumare meno. Lo sarebbe, se la gente si comportasse razionalmente, ma la maggior parte della gente non lo fa. Questo mi ricorda un'esperienza che ho avuto qualche tempo fa, quando ho presentato il caso del picco del petrolio ad un ricco magnate. Mi ha risposto qualcosa tipo, “penso che tu abbia ragione. Allora immagino che mi dovrei comprare una nuova Ferrari e consumare più che posso, finché posso”.
Nota 2. I lettori italiani di questo blog potrebbero essere interessati a questo paragrafo del saggio di Murray e King. Credo che sia assai azzeccato. “Un altro esempio dell'effetto dell'aumento dei prezzi del petrolio si può vedere in Italia. Nel 1999, quando l'Italia ha adottato l'Euro, il surplus annuale del commercio era di 22 miliardi di dollari. Da quel momento, il bilancio del commercio italiano si è drammaticamente modificato e il paese ora ha un deficit di 36 miliardi di dollari. Anche se questo spostamento ha molti motivi, compreso l'aumento delle importazioni dalla Cina, l'aumento del prezzo del petrolio è stato il più importante. Nonostante una diminuzione delle importazioni di 338.000 barili al giorno rispetto al 1999, l'Italia ora spende 55 miliardi di dollari all'anno per importare petrolio, rispetto ai 12 miliardi del 1999. Questa differenza è prossima all'attuale deficit annuale del commercio. Il prezzo del petrolio è probabilmente stato un forte contributo alla crisi dell'Euro nel sud dell'Europa, dove le nazioni sono completamente dipendenti dal petrolio estero”.
Nota 3. David King è una mia vecchia conoscenza e per molti anni abbiamo lavorato in parallelo in studi di scienza della superficie. Non sono sicuro se ci sono delle ragioni profonde che fanno passare le persone impegnate nella scienza delle superfici allo studio del picco del petrolio ma, evidentemente, ne esistono almeno due casi!