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lunedì 10 gennaio 2022

Come Stritolare la Scienza. Il Dibattito è Ormai Fuori controllo

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Anni fa, quando facevo le elementari, mi ricordo che mio padre mi trovò che leggevo un libretto illustrato in tricromia con bandiere rosse e simboli di falci e martelli. Preoccupato che suo figlio fosse indottrinato dai comunisti, lo prese in mano, lo guardò attentamente, e poi me lo restituì dicendo. "Va bene, è propaganda nostra.

Erano gli anni 1960, il tempo di Peppone e Don Camillo, con il dibattito fra comunisti e democristiani che si faceva a colpi di bugie opposte e simmetriche. Quel librettino che leggevo era tutta una serie di insulti contro i comunisti sovietici accusati, se non proprio di mangiare i bambini, più o meno di comportamenti altrettanto violenti e disgustosi. La propaganda dei comunisti dell'epoca, a sua volta, era altrettanto rozza e violenta. 

All'epoca, mio padre era politicamente impegnato nella Democrazia Cristiana e considerava del tutto normale che la sua fazione facesse propaganda, anche se erano ovvie bugie ed esagerazioni. E non era solo lui: più di una volta negli anni mi è successo di trovarmi in mezzo al guado fra comunisti e democristiani per aver cercato di prendere una posizione razionale, al di là delle bugie di ambo le parti. Siccome venivo da una famiglia democristiana, i comunisti mi consideravano un nemico, i democristiani un traditore.  

Oggi non ci sono più né comunisti né democristiani, ma la propaganda è rimasta più o meno allo stesso livello di allora, anche se usa una grafica più sofisticata. E, come allora, alle volte mi trovo in mezzo al guado cercando di prendere una posizione razionale fra le bugie di una parte e dall'altra del dibattito (per così dire) attuale. 

Mi è capitato l'ultima volta poco tempo fa, quando ho esaminato un filmato apparso recentemente su "OvalMedia" con un intervista al Dr. "Joseph Tritto." All'inizio, il giornalista introduce l'ospite come 

"Il professor Joseph Tritto, il presidente del "World Academy of BioMedical Technologies fondata sotto l'egida dall'Unesco, quindi controllata in qualche modo dalle Nazioni Unite." 

Tritto è comparso anche in varie interviste precedenti, per esempio su Libero quotidiano nel 2020, dove viene descritto come "microchirurgo, esperto di biotecnologie e nanonotecnologie nonché presidente della Wabt (World Academy of Biomedical Sciences and Technologies), importante accademia nata sotto l'egida dell'Unesco nel 1987." Insomma, un luminare della scienza. 

Ma tutto quello che si legge sul Web va verificato. Così, qualche giorno fa avevo fatto una rapida ricerca sul Web che mi portava ad avere qualche serio dubbio che Tritto fosse davvero un "esperto di fama internazionale", e anche sulla realtà della "World Academy of Biomedical Technology" di cui si dichiara presidente. Avevo anche pubblicato un post preliminare, poi diffuso su Facebook. 

Non l'avessi mai fatto. Entro poche ore mi è arrivata addosso un'ondata di insulti e accidenti per aver osato criticare questo famoso "esperto internazionale" che sicuramente dice la verità. Fra le tante, una mi ha colpito: un tale che mi è saltato addosso dicendo "professore, spetta a lei dimostrare che la WABT non esiste, non spetta a Tritto dimostrare che esiste." Al che avrei potuto rispondere "vogliamo parlare anche di unicorni?"

La cosa stava rapidamente prendendo una piega preoccupante e io ho un fegato solo. Così, ho bannato i più esagitati e ho cancellato il post. Ho poi ri-esaminato tutta la faccenda, sostanzialmente confermando la mia interpretazione iniziale. Più sotto vi faccio un riassunto delle mie considerazioni. Attenzione: NON sto dicendo che Tritto è un impostore o un imbroglione: non me lo sognerei mai sulla base di un'analisi che non può essere che parziale. E non sto nemmeno dicendo che Tritto sia peggiore della banda dei tele-virologi di stato che infestano i media. Mi limito a presentarvi quello che ho trovato sul Web e lascio a voi la conclusione. 

Per alcuni, sembra che l'affidabilità del messaggero non sia importante rispetto al messaggio. Ho ricevuto dei commenti sul tono: "cosa importa chi è Tritto? Quello che conta è che quello che dice è giusto!" Ma su che basi possiamo dire che le opinioni di Tritto sono quelle "giuste"? Evidentemente, perché si accordano meglio con le opinioni preconcette di chi le ascolta. Ma è un gioco di specchi in cui ognuno vede riflessa la propria verità.

Insomma, siamo arrivati a un dibattito che somiglia molto a quello degli anni 1950 e 1960 fra Peppone e Don Camillo. Potete dimostrare su basi scientifiche che il comunismo è meglio del capitalismo o viceversa? Capite quello che voglio dire. 

Alla fine chi ci rimette è la povera scienza, stritolata fra posizioni opposte sostenute da persone che parlano senza sapere cosa dicono (e alcuni di loro non chiederei neanche al signore di perdonarli). Da questa botta, può darsi che la scienza non si riprenderà mai. 

Comunque, concludo con una cosa: mio padre, buonanima, i comunisti non li sopportava (e per delle buone ragioni). Ma non mi ha mai detto che mangiavano i bambini e non mi ha mai impedito di leggere quello che mi pareva.   


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Alcune considerazioni su "Joseph Tritto" 

Premetto che capire esattamente cosa c'è di vero nelle varie affermazioni che si trovano sul Web su chi è il "professor Tritto" richiederebbe una ricerca estesa per la quale io non ho né il tempo né gli strumenti necessari. Mi limito a proporvi qualche risultato di un'analisi preliminare che, se non altro, lascia dubbi molto seri sull'affidabilità di quello che leggiamo. Poi, provate voi a farmi sapere nei commenti cosa avete trovato. Se avete qualche dato contrastante, lo includo volentieri in questa sezione. 

Allora, per prima cosa, una persona chiamata "Joseph Tritto" esiste praticamente soltanto come autore del libro in Italiano "Cina-Covid19" uscito nel 2021. Se cercate Joseph Tritto sulla letteratura scientifica, i risultati sono zero. 

Esiste invece un "Giuseppe Tritto" che sembra essere la stessa persona. Perché abbia deciso di cambiarsi il nome di battesimo è impossibile dire ma al momento che cominciate a cercare, qualche risultato sulla letteratura scientifica lo trovate. 

La bibbia di queste cose è il "Web of Science" dove potete cercare "G. Tritto" come autore di articoli scientifici. Qui, però, c'è il problema che ci sono altri due "G. Tritto" che pubblicano articoli in campo medico (Giovanna Tritto e Giovanni Tritto) e quel Tritto che cerchiamo cambia affiliazione continuamente. Quindi, non si riesce a capire bene se certi "G. Tritto" siano lui o altri. In ogni caso, quel Tritto che cerchiamo sembra aver pubblicato solo pochi articoli su riviste di bassa qualità o in congressi scientifici. Il suo campo sembra aver poco a che fare con i virus, più che altro sulla microchirurgia, trattamenti laser, e cose del genere. 

Poi, non si sa esattamente dove sia localizzato questo signore: dove vive? Dove lavora? Negli ultimi lavori (l'ultimo che sembra suo risale al 2016), lui dice di essere affiliato, in effetti presidente, a questo WABT, World Academy of BioTechnologies. Ma dove sta questo WABT? Su Linkedin, Tritto dichiara che la WABT di cui lui è presidente sta a Parigi -- anche se lui sembra abitare a Lecco, in Lombardia. Nelle sue presentazioni (inclusa quella di Ovalmedia) il link a cui WABT dovrebbe corrispondere non funziona  (https://wabt.org/). Il sito risulta disponibile: è in vendita a circa Eur 3.700. Su Researchgate, danno come indirizzo "Wabtec". Ma se andate a vedere il sito di Wabtec e vedete che non ha nulla a che fare con la biotecnologia. E' una ditta che si occupa di trasporti. E, manco a dirlo, non risulta in nessun posto un Tritto che sia presidente di Wabtec.

Troviamo altri dati usando la "Wayback Machine," un archivio di Internet che permette di trovare la storia di un sito. Qui, troviamo che la prima incarnazione di WABT sul Web con l'indirizzo wabt.org risale al 2001, dove leggiamo che la World Academy of Biotechnologies è stata fondata nel 1997 come un'agenzia dell'UNESCO. Fino al 2003, non si trova traccia di "Tritto" sul sito, ma da quella data in poi leggiamo che Giuseppe Tritto è il "delegato ad interim" per gli "Studi e i colloqui." Non leggiamo in nessuna versione del sito che Tritto sia presidente di WABT. Sembrerebbe che in questa fase WABT fosse veramente un'agenzia dell'UNESCO, ma che da un certo momento in poi, UNESCO l'abbia chiusa. Il sito viene aggiornato per l'ultima volta nel 2003, poi sparisce dal Web nel 2005. Oggi, nel sito dell'UNESCO (unesco.org) non si trova traccia di WABT e neppure il nome "Tritto"

Curiosamente, WABT ricompare dalle sue ceneri nel 2015, ma a un altro indirizzo: www.thewabt.com, con una grafica e una struttura completamente diversa, e con Giuseppe Tritto come presidente. Il sito sembra attivo perché è stato aggiornato di recente, ma i link che contiene sono quasi tutti "morti". C'è una lunga lista di collaboratori e uffici internazionali, ma nessun link, indirizzo, riferimento, contatto, o altri dati verificabili. 

Come vedete, ci sono molti punti oscuri riguardo alla persona e alle qualifiche del Dr. Tritto. Attenzione, non sto dicendo che Tritto è un impostore o che ha falsificato i dati. Mi limito a presentare un'analisi del Web fatta in un paio d'ore con strumenti pubblici, certamente non sufficiente ad arrivare a una conclusione definitiva. Ma, come minimo, quello che ho trovato dovrebbe raccomandare una certa cautela nell'accettare le dichiarazioni del Dr. Tritto così come sono riportate sui media. 

Per finire con questa vicenda, Tritto sembra essere correlato con un altra figura controversa nel campo della virologia, Giulio Tarro, che si dichiara "Chairman of the Virus Sphere World Academy of Biomedical Technologies (WABT) UNESCO, Paris." In effetti, Tarro compare nel sito "thewabt.com" come "Chairman Delegate WABT Committees and Commissions." Su questa storia, qualcun altro è andato a investigare, trovando risultati simili ai miei. Ovvero che "Tarro dichiara di essere anche presidente, dal 2007, di una Commissione sulle biotecnologie della virosfera alla World Academy of Biomedical Technologies, ente dell'UNESCO tale ente non risulta però esistere in seno all'UNESCO e lo stesso Ente ha dichiarato di non avere alcuna correlazione con la sua figura." 

Insomma anche su questa WABT bisogna andarci con molta cautela, come minimo. A parte che non se ne trova traccia su Wikipedia, su Google Scholar, trovo un totale di 52 pubblicazioni dal 2015 in cui uno degli autori si dichiara affiliato a qualcosa che si chiama "WABT". Di questi, alcune non hanno niente a che fare con le tecnologie biomediche, ma con altre cose tipo il "West African Center of Excellence for Global Health Bioinformatics Research Training Program (WABT). Le altre sono quasi tutte comunicazioni a congressi o articoli auto-pubblicati.  Per un'accademia così importante, certamente come risonanza internazionale non è che sia gran che. 





mercoledì 4 novembre 2020

Cina: fermare l'epidemia senza distruggere l'economia. Una lezione di governance per l'Occidente.

Questo articolo è stato pubblicato il 26 Ottobre 2020 su "Pillole di Ottimismo," dove ha raggiunto 198mila visualizzazioni a dimostrazione dell'interesse che c'è per il caso Cinese. In sostanza, la Cina ha fatto un lockdown limitato sia nel tempo che nello spazio: solo una provincia, NON tutta la Cina -- come se noi avessimo chiuso solo la provincia di Bergamo. Questo è bastato per domare l'epidemia: non possiamo nemmeno dire che è "sotto controllo" -- perché proprio non c'è più. E' da Marzo che in Cina non si verificano decessi attribuiti al COVID., ci sono soltanto occasionali focolai di importazione. L'economia ha ripreso a funzionare e i cinesi se ne vanno in giro senza mascherine e senza far troppo caso agli "assembramenti". Una bella lezione per noi Occidentali che stiamo disastrando l'economia senza nemmeno riuscire a contenere l'epidemia.

 

Cina: L'Epidemia è Sotto Controllo. Ma Come ci sono Riusciti?

 

Di Ugo Bardi, docente presso il Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze (1)

Articolo pubblicato il 26 Ottobre 2020 su "Pillole di Ottimismo"

💊💊💊 Dai dati che arrivano dalla Cina, sembra che le cose stiano andando decisamente bene con l'epidemia di COVID. In Cina, così come in tutta l'Asia orientale, la mortalità è stata molto più bassa che in Europa e non si riferiscono decessi ormai da Marzo. Ci sono ancora molte cose da chiarire sulla gestione cinese dell'epidemia, ma la Cina ci può insegnare che è possibile bloccare l'espansione del virus senza bisogno di fare danni all'economia. 💊💊💊

 

Vi ricordate di quando a Gennaio i Cinesi (o quelli che sembravano Cinesi) venivano insultati per la strada da gente che credeva che fossero degli appestati? Le cose sono cambiate un bel po’ e oggi sono i Cinesi a credere che siamo noi italiani gli appestati.

In Cina, non risultano decessi da COVID-19 da circa metà Marzo. In quanto a casi positivi, dopo quella data ci sono stati solo occasionali “focolai” di poche decine di casi, quasi tutti di importazione (2). L'economia cinese è ripartita e adesso funziona a pieno regime.

Da quello che si legge sui media internazionali e da quello che mi dicono i colleghi che vivono e lavorano in Cina, al momento il paese è completamente aperto. Tutte le attività commerciali e industriali sono in funzione. I negozi e i ristoranti sono aperti e non ci sono restrizioni ai viaggi interni. Portare mascherine è opzionale. Dalle foto che arrivano dalla Cina, vedi per esempio quella che vi passo qui, (del “China National Day” del 1 Ottobre), si vede che la gente non fa molto caso agli “assembramenti” di persone senza mascherine. 

Immagine da https://news.cgtn.com/news/2020-10-01/Wuhan-celebrates-China-s-National-Day-with-creative-flash-mob-UevQ24PQze/index.html

Va detto anche che non è che in Cina abbiano “abbassato la guardia.” Sicuramente stanno ancora attenti a molte cose e il governo interviene energicamente appena viene fuori qualche piccolo focolaio. Per esempio, le autorità della città di Qingdao hanno trovato recentemente un focolaio. Secondo quello che si è letto sui media internazionali (quindi da prendere, come si suol dire, "con le molle", per non dire di peggio) pare che sia correlato a una partita di merluzzo congelato di importazione sul quale qualcuno avrebbe osservato dei virus ancora interi. Vero oppure no, difficile dire, ma in ogni caso il governo locale si è impegnato a testare per il COVID tutti i 9 milioni di abitanti della città! (3). Ma, nel complesso, è chiaro che in Cina e altrove in Asia l’epidemia è sotto controllo senza bisogno di lockdown.

Non solo l’epidemia sembra sparita in Cina, ma ha anche fatto pochissimi danni. Il totale delle vittime è circa 4600 su quasi un miliardo e mezzo di persone. Ovvero 3 decessi per milione contro i quasi 600 dell’Italia. Anche se consideriamo soltanto le regioni geografiche dove il virus ha colpito più duramente, troviamo che la provincia di Hubei ha avuto circa 20 volte meno decessi della Lombardia. (4)

Come è possibile una cosa del genere? Si legge spesso sui social e sui media che la Cina ci avrebbe imbrogliato e che starebbe continuando ad imbrogliarci. Si legge a volte che, dato che la Cina è una dittatura, se ne dovrebbe dedurre che tutto quello che ci dice il governo cinese non può essere che falso -- incluso il fatto che l'epidemia non c'è più. Può darsi che le cose stiano così?

Va detto che spesso i governi non si fanno troppi scrupoli a imbrogliare la gente. Abbiamo visto in un post precedente come almeno un paese europeo, la Bielorussia, potrebbe aver parzialmente falsificato i dati sull’epidemia (5). Per quanto riguarda la Cina, ci sono casi precedenti di dati falsificati. Per esempio, un’analisi dei dati sulla pesca che arrivavano dalla Cina negli anni 1990 ha indicato evidenti falsificazioni per nascondere l'esaurimento degli stock (6),(7)). Ma un’epidemia è una faccenda ben più grave e più estesa di un imbroglio in uno specifico settore commerciale. Sarebbe molto difficile anche per il governo cinese nasconderla se ce ne fosse una in corso.

Certo, tutto è possibile, ma se vogliamo credere che i cinesi ci raccontino balle sull'epidemia dobbiamo in qualche modo portare qualche evidenza in proposito. Rimanendo sull'esempio dei dati sulla pesca, una delle ragioni che ha portato a sospettare della validità dei dati cinesi erano le anomalie che si notavano confrontando con i dati di altre regioni simili. Possiamo trovare qualche anomalia del genere per la pandemia?

Sembra proprio di no: i dati cinesi sulla diffusione del COVID-19 sono confrontabili con i dati di altri paesi asiatici vicini che, in generale, hanno avuto mortalità minima o inesistente. Per esempio, Taiwan ha fatto anche meglio della Cina continentale con un totale di 7 decessi su 23 milioni di abitanti (meno di un decesso per milione). Altri paesi hanno fatto un po' peggio, ma sono comunque rimasti su livelli molto bassi di mortalità. Singapore riferisce 5 decessi per milione, Hong-Kong 13. Anche il vicino Giappone ha subito solo 13 decessi per milione. Poi, sia la Mongolia che Macao riferiscono addirittura zero decessi. Certo, uno potrebbe dire che la Mongolia non conta perché è un paese di cammellieri che vivono in tende in mezzo al deserto, ma ovviamente non è così. La capitale, Ulan Bator, è una metropoli con oltre un milione di abitanti. Macao, poi, è una città di 700.000 abitanti ad altissima densità di popolazione, forse la più alta al mondo. E l’epidemia è passata sia da Ulan Bator come da Macao senza lasciare nemmeno una vittima! È quanto meno poco credibile che tutti questi governi si siano messi d’accordo per nascondere al resto del mondo un’epidemia in corso.

Ma perché in Asia le cose vanno tanto meglio che da noi? Forse i cinesi hanno usato misure di contenimento particolarmente efficaci? Per certi versi, il lockdown cinese di quest'anno può essere stato più drastico di quello occidentale, ma non è durato più a lungo che da noi. Non è nemmeno possibile dire che sia stato più tempestivo se, come dicono gli stessi cinesi, il virus già circolava a dicembre. Il lockdown è stato istituito a Wuhan soltanto il 23 Gennaio e alcuni giorni dopo per tutta la provincia di Hubei.

A proposito del "distanziamento sociale," sappiamo tutti che in Asia si tende a evitare il contatto fisico fra le persone. Ma è anche vero che se vi è mai capitato di prendere la metro in una città orientale (per esempio a Tokyo (8)) vi sarete fatti un’idea molto specifica del significato dell’espressione “strizzati come le sardine”. Se non avete avuto questa esperienza, vi passo il link a un video impressionante della metropolitana di Beijin (9). Le metropoli orientali sono estremamente affollate e in certe condizioni è semplicemente impossibile evitare il contatto fisico.

Può darsi allora che il trucco sia stato nel "contact tracing"? In effetti, da quello che si legge si potrebbe pensare che i paesi asiatici siano stati più aggressivi di noi nel tracciamento e l'isolamento delle persone che sono state in contatto con persone colpite dal virus (10). Questa è una spiegazione interessante, ma non è che in Europa il tracciamento non sia stato fatto. Forse non lo abbiamo fatto abbastanza bene? E' possibile, ma non abbiamo confronti quantitativi che ci possano dire se questa è la spiegazione di tutta la faccenda.

C'è anche un altra possibile interpretazione che non ha a che vedere con quello che i governi hanno fatto o non fatto. Può darsi che i Cinesi siano stati esposti al virus per più tempo di noi occidentali e quindi si siano avvicinati prima all’ “immunità di gregge.” Probabilmente avete sentito parlare di Li Wenliang, il medico cinese che aveva notato per primo dei casi di polmonite anomala a dicembre e che poi è morto lui stesso per aver contratto l’infezione. Inizialmente, non fu creduto, ma oggi è considerato un eroe in Cina. Li aveva cominciato a lanciare l'allarme verso la fine di Dicembre del 2019, ma nulla ci vieta di pensare che il virus esistesse già da tempo in Cina, forse anche in forme leggermente diverse da quella che poi ha colpito l'Europa. Soltanto, le persone colpite venivano diagnosticate come normali casi di polmonite.

E' possibile che la popolazione cinese fosse stata stata esposta al virus già molto prima della dichiarazione dell’emergenza? C’è un dato che ci potrebbe dare una forte indicazione in proposito: la mortalità in eccesso. Se l’epidemia esisteva già a Novembre-Dicembre del 2019, o anche prima, dovremmo vedere una mortalità anomala rispetto alla media per quel periodo.

Ottima idea, ma con un problema: i dati sulla mortalità aggiuntiva in Cina non si trovano in nessun posto sul Web. Attenzione: questo non vuol dire che il governo cinese ci nasconda qualcosa. Quasi nessun governo al mondo diffonde questi dati in una forma facilmente accessibile per chi non conosce la lingua locale. L’Europa è un’eccezione con un database sull'eccesso di mortalità chiamato “Euromomo” gestito da un network che fa capo all’OMS, ma non c'è niente del genere per l'Asia Orientale. Quindi, per il momento l'idea di un inizio anticipato dell'epidemia rimane un'ipotesi.

Ci sono altri fattori che potremmo metterci a esaminare ma questo virus ci ha abituato al fatto che le previsioni e le interpretazioni si rivelino sempre sbagliate. Anche in un recente articolo su Nature (11), gli autori hanno detto francamente che "non siamo ancora in grado di fornire una spiegazione generalizzate per le differenze di mortalità quantitative osservate fra i vari paesi". Così, dobbiamo contentarci di dire che l'epidemia ha fatto danni molto meno gravi in Asia che da noi per qualche ragione che, al momento, non possiamo identificare con certezza.

Ma rimaniamo su quello che sappiamo, ovvero che al momento le cose in Cina vanno decisamente bene. Dal caso cinese possiamo perlomeno capire che non siamo di fronte a un nemico invincibile. E' possibile batterlo senza dover necessariamente distruggere l'economia con dei lockdown prolungati e generalizzati. In Cina, infatti, il lockdown "duro" ha interessato soltanto una provincia di 60 milioni di abitanti, grande come l'Italia, ma niente in confronto al miliardo e 400 milioni di abitanti di tutta la Cina. Certamente, da noi siamo in un momento molto difficile, ma non è impossibile superarlo e non c'è ragione di pensare che dovremo continuare a vivere nel terrore nei secoli a venire.

L'autore ringrazia Chandran Nair per i suoi commenti sulla situazione in Cina. 

 

1. https://ugobardihomepage.blogspot.com/2016/04/ugo-bardis-personal-home-page.html 

2. http://www.nhc.gov.cn/xcs/yqtb/202010/2fbce5a9836d4b09a89a0d85a2e05ac2.shtml

3. https://www.globaltimes.cn/content/1203836.shtml

4. https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=176464484012617&id=111172767208456 

5. https://ugobardi.blogspot.com/2020/10/pandemia-e-possibile-che-qualcuno-ci.html

6. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/11734851/

7. http://www.fao.org/3/Y3354M/Y3354M00.htm

8. https://www.youtube.com/watch?v=E7kor5nHtZQ

9. https://www.youtube.com/watch?v=9ulY7N3dZ9k

10. https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-07-25/these-elite-contact-tracers-show-the-world-how-to-beat-covid-19

11. https://www.nature.com/articles/s41591-020-1112-0



mercoledì 4 marzo 2020

Filtri identitari, nazionalismo e crisi ecologica




Un post di Federico Tabellini

Nei momenti di grande incertezza, negli esseri umani cresce il bisogno d'identità. Gli eventi politici recenti, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, ne sono la prova. Uno spirito anti-globale e localistico ha preso d’assedio le due sponde dell’atlantico. Nonostante la globalizzazione dell’informazione, e forse in parte per sua causa, lo stato-nazione – questo binomio in apparenza inscindibile nel nostro tempo – è riemerso prepotentemente come il frame interpretativo egemone sulla realtà: un vero e proprio manto ideologico che ricopre ogni cosa, alterandone la fisionomia.

Gli stati fanno appello all’identità nazionale per rafforzare la propria coesione interna. Le nazioni che non sono organizzate in stati (la Catalogna, per esempio) rivendicano un riconoscimento istituzionale: vogliono costituirsi come stati. Oggi più che quindici anni fa, vediamo attraverso le lenti distorsive dello stato-nazione, ci sentiamo parte di esso, e in base a esso ci auto-definiamo nelle nostre interazioni con gli altri. Persino chi nel proprio intimo non vede, non sente e non si definisce in rapporto allo stato-nazione, ne è costretto nei propri rapporti sociali da un lessico culturale comune. L’alternativa è l’incomprensione, l’isolamento socio-semantico. Siamo italiani, cinesi, statunitensi o indiani prima che esseri umani. La domanda ‘sei italiano?’ utilizza il verbo essere in quasi tutte le lingue indoeuropee. Se l’io è un individuo, il noi, quando non specificato, è una nazione; il loro è una nazione.

L’identità, è fatto noto, nasce dalla distinzione. Per fare parte di qualcosa, occorre auto-escludersi da una realtà più ampia. La mera somiglianza raramente accende la scintilla identitaria. Tutti siamo umani, solo alcuni sono italiani: per ciò, mentre con la specie umana non intratteniamo una relazione emozionale, essere italiani è un sentimento identitario. Essere italiani è un’esperienza, essere umani una mera constatazione. Sappiamo di essere umani ma sentiamo di essere italiani. E poco importa che essere umani costituisca una realtà tangibile, biologica, laddove essere italiani rappresenti un mero costrutto storico-culturale. I costrutti storico-culturali appaiono spesso più reali della realtà, non è forse vero?

Sì – è vero –, ma cosa c’entra tutto questo con i temi trattati sul blog? C’entra, c’entra eccome. La rinnovata importanza delle identità nazionali si ripercuote sul modo in cui i grandi problemi del presente vengono non solo percepiti, ma anche affrontati (o  ignorati). I problemi locali diventano magicamente problemi nazionali, problemi degli italiani. Lo stato se ne deve assumere la responsabilità legale, certamente, ma sono gli individui ad attribuire ad esso una responsabilità morale. E i problemi globali, o anche solo transnazionali, non avendo un referente identitario chiaro cui fare appello, sono avvertiti come seccature esterne da delegare, o di cui liberarsi al più presto. La colpa è degli indiani, si dice, dei cinesi, o di un altro esterno che, guarda caso, è sempre rinchiuso nei confini semantici dello stato-nazione.

In Italia tanto il voto alle elezioni regionali quanto quello alle europee è di norma ridotto a un terreno di prova per le elezioni nazionali, le uniche che sembrano avere valore. La stampa e i media di massa privilegiano le notizie di portata nazionale, relegando alle pagine interne tanto quelle locali quanto quelle di portata globale, oppure ponendo l’attenzione su loro aspetti di livello nazionale. I problemi degli italiani diventano così più importanti di quelli dei milanesi o degli europei. La crisi ecologica globale, invece, acquista cogenza e riceve la maggiore attenzione solo quando la sempre più frequente alluvione o (inserisci-qui-un-disastro) colpisce la penisola.

Il doppio binario con cui si considera lo stato-nazione e qualsiasi altra entità politica fa sì che una riforma sgradita a livello europeo spinga ampie frange della popolazione a voler mandare all’aria l’intera Unione, laddove la medesima riforma a livello nazionale provocherebbe al più la richiesta di un cambio nella gestione dello stato. Dai problemi sovra-nazionali si scappa, solo i problemi nazionali vengono affrontati – spesso male, ma questo è un altro discorso. Tale atteggiamento è uno dei principali fattori alla base della paralisi politica di fronte alle grandi sfide globali del nostro tempo, crisi ecologica in primis. (E la colpa del fallimento, superfluo ribadirlo, è sempre dell’altro, e l’altro è sempre, immancabilmente, uno stato-nazione).

Vuoi un esempio? Eccone qua uno: accecati dalla nostra visione stato-centrica del mondo, dimentichiamo che i cinesi, pur contribuendo per un quarto alle emissioni globali di Co2, inquinano assai meno degli statunitensi, che concorrono per un ‘mero’ 15%. Eh sì, perché i cinesi sono 1 miliardo e 400 milioni, gli statunitensi ‘solo’ 320 milioni. Però a noi usare gli stati come metro di giudizio fa assai comodo. Utilizzare le emissioni pro capite come metro di giudizio farebbe ricadere la responsabilità sui nostri consumi, sui nostri stili di vita insostenibili. Utilizzare gli stati ci permette di andare in piazza a protestare contro il riscaldamento climatico dopo un pranzo veloce al MacDonald. Grazie alla loro visione stato-centrica del mondo, gli statunitensi possono illudersi di essere virtuosi. Loro (il ‘popolo americano’, non i singoli americani) inquinano meno dei cinesi! E gli australiani? Hanno le più alte emissioni pro capite al mondo dopo l’Arabia Saudita, ma ci sono solo 25 milioni di australiani. Un altro popolo virtuoso. 

Se solo avessimo il coraggio di scostarci per un istante dagli occhi le nostre preziose lenti identitarie, il mondo ci apparirebbe diverso, assai diverso. Chissà, potremmo persino arrivare a condannare gli australiani più dei cinesi, i tedeschi più degli italiani, gli italiani più degli indiani. Ma sarebbe un errore. Perché non è questo il punto. Non il principale, almeno. Il punto è che sono gli individui che inquinano, non i popoli. Ciò non vuol dire che i governi nazionali, in quanto nucleo del potere politico globale, non abbiano la responsabilità più grande di avviare il cambiamento. Significa però che la ripartizione dell’onere di quel cambiamento non può avere come punto di riferimento esclusivo gli stati. Dividere la popolazione mondiale per le emissioni globali e vedere di quanto sono superiori a un livello di emissioni pro capite sostenibile per il pianeta, e usare quel numero come referente individuale, ha più senso che parlare delle emissioni della Cina, dell’India e degli Stati Uniti. È anche probabile che ci faccia passare dalla parte del tort… ah! Hai visto com’è facile? Ci sono quasi cascato anch'io. Stavo parlando ancora di noi-italiani; mi stavo rimettendo le lenti davanti agli occhi. Invece proviamo a guardarci come individui, e a giudicarci come tali, e a usare un plurale (se proprio dobbiamo) che trascenda i confini immaginari delle nazioni. Un plurale inclusivo, che responsabilizzi tutti in egual misura, senza discriminare secondo la categoria più idiota di tutte: il luogo di nascita. Dovremmo farlo a maggior ragione in questo momento d’incertezza, di crisi identitaria (espressione paradossale, visto che l’identità l’alimenta, la crisi).

Noi europei, che in gran parte non sentiamo di esserlo, ripudiamo l’Europa invece di renderla, come sarebbe auspicabile, il fulcro  di uno sforzo comune e coordinato verso il cambiamento. Ci rifugiamo nei nazionalismi, quando ciò di cui avremmo disperatamente bisogno è un meta-nazionalismo che ponga al centro l’essere umano. Un eco-umanismo globalizzato che ci faccia vedere il mondo in termini di individui (presenti e futuri) e specie – non solo quella umana, ma anche le numerose altre che stiamo distruggendo giorno per giorno –, anziché in termini di nazioni. Un meta-nazionalismo che ci faccia sentire più europei che italiani, e più umani che europei. E che ci faccia vedere in faccia la realtà.

Come dici? Non riesci proprio a vederla? Guarda qua, l’ho compressa in una frase e ripulita per bene dalle incrostazioni sovraniste, che di questi tempi quelle si appiccicano ovunque come la muffa. Ecco, sta qui sotto:

‘Il futuro dell’Europa conta più del futuro dell’Italia, e il futuro del pianeta infinitamente più di entrambi.’

Abbiamo fatto l’Italia, abbiamo fatto gli italiani. Ora è tempo di fare l’Europa e gli europei, e l’umanità soprattutto, e gli esseri umani.

venerdì 27 marzo 2015

L'attuale modello di sviluppo economico è morto – dobbiamo abbandonarlo

DaThe Guardian”. Traduzione di MR

Di Andrew Simms

Un radicale cambiamento a favore dei più poveri è il solo modo per riconciliare le sfide gemelle di fermare il cambiamento climatico catastrofico e mettere fine alla povertà


La crescita della Cina guidata dalle esportazioni sta danneggiando l'ambiente e beneficiando i ricchi, non i poveri. Sopra, pedoni che indossano maschere per proteggersi dall'inquinamento dell'aria mentre attraversano una strada trafficata a Pechino. Foto: Ng Han Guan/AP



Cos'è lo sviluppo? Per troppi economisti convenzionali è stato la Cina, anche se non senza ironia. Il suo modello di sviluppo guidato dalle esportazioni e i relativi vantaggi in tutti i settori economici hanno creato il suo status di superpotenza ed ha generato globalmente la grande maggioranza di coloro che sono fuoriusciti dalla povertà. Ma c'è un problema col modello: “Pechino non è una città vivibile”, ha detto il sindaco della città Wang Anshun di recente. Il prezzo della rapida industrializzazione ed urbanizzazione è stato l'inquinamento: aria non più adatta da respirare e numero di visitatori in declino – una specie di anti-sviluppo. E' una crisi riecheggia in India, dove una ricerca recente ha stimato che l'inquinamento ha creato una perdita collettiva di 2,1 miliardi di anni di vita. Sapendo che questo è un problema, l'India ha annunciato un piano per raddoppiare le tasse sul carbone per pagare energie alternative pulite e rinnovabili. In Cina, il premier Li Keqiang ha annunciato un obbiettivo di crescita economica inferiore, una linea molto più dura sulla  salvaguardia ambientale ed una dipendenza ridotta dalla produzione energeticamente intensiva per l'esportazione. La Cina pianifica di ridurre l'uso di energia per unità di PIL del 3,1% nel 2015 ed ha un'ambizione più a lungo termine per la metà del secolo di limitare l'uso del carbone alla metà del consumo totale di energia.

domenica 7 dicembre 2014

Discorso felice sul clima

DaClub Orlov”. Traduzione di MR


Mathiole
[Aggiornamento per tutti gli altri: ho avuto insetti che si sono spiaccicati sul mio parabrezza e che sono più intelligenti di questi negazionisti climatici i cui commenti non mi metto nemmeno a leggere. Ignorateli più che potete.]

[Aggiornamento per negazionisti climatici: risparmiatemi per favore il disturbo di segnalare i vostri commenti come spam. Questo blog non è per l'ignorante ostinato o per l'illetterato scientifico, quindi un cordiale addio a tutti voi].

Il patto climatico non vincolante che Stati Uniti e Cina hanno appena firmato permetterà alle concentrazioni atmosferiche di CO2 della Terra di arrivare alle 500 ppm ed oltre per la fine del secolo, ben al di là dell'attuale concentrazione di 400 ppm. Storicamente, questa concentrazione è stata sufficiente per produrre un Artico senza ghiaccio, livelli dell'oceano significativamente più alti e un ambiente che è improbabile sia in grado di sostenere grandi popolazioni umane.

Secondo uno studio del novembre 2011 pubblicato su Science, “Nella nostra attuale direzione delle emissioni, i livelli di CO2 nel 2100 toccheranno livelli visti per l'ultima volta quando la Terra era più calda di 26°F (16°C)”. Gli scienziati che fanno parte del IPCC hanno avvertito che solo un aumento di 4°C significherà che “le persone non saranno in grado di farcela, lasciamo stare il fatto di lavorare produttivamente, nella parte più calda dell'anno”.

In breve, questo accordo non fa niente per prevenire un disastro completo, totale e non mitigato che è probabile che significhi la fine dell'agricoltura, della civiltà urbana e potrebbe condannare gli esseri umani, insieme a gran parte delle altre specie di grandi vertebrati, all'estinzione.

Allo stesso tempo, May Boeve, direttrice esecutiva di 350.org, aveva questo da dire: “Non è una coincidenza che dopo la più grande mobilitazione per il clima della storia, i capi mondiali stiano intensificando la loro ambizione sull'azione climatica. Questo annuncio è un segno che il Presidente Obama sta prendendo seriamente la sua eredità climatica ed è disposto a resistere ai grandi inquinatori”.

Forse è il momento di rinominare 350.org in qualcosa di più vicino alla realtà. Questa organizzazione ha ovviamente perso la propria battaglia per limitare le concentrazioni di CO2 a 350 ppm e il fatto che i suoi capi stiano cantando vittoria e vogliano continuare la battaglia può significare solo una cosa: non c'è mai stata una battaglia, solo qualche solito ed inutile politichese.

Naturalmente, la Casa Bianca è stata anche veloce a prendersi il merito, dichiarando che “il nuovo obbiettivo degli Stati Uniti raddoppierà il ritmo delle riduzione dell'inquinamento da carbonio dal 1,2% all'anno in media durante il periodo 2005-2020 al 2,3-2,8% all'anno in media fra il 2020 e il 2025”.


Su questo sfondo di inconfondibile fallimento dell'ambientalismo, ci sono riduzioni reali delle emissioni di biossido di carbonio che hanno luogo negli Stati Uniti – sicuramente troppo piccole per salvarci, ma ciononostante reali. La ragione per cui hanno luogo è che l'economia statunitense sta diventando sempre più svuotata. A questo tasso, agli Stati Uniti non rimarrà gran parte dell'economia industriale rimasta all'interno del quadro temporale affrontato in questo accordo climatico. La disponibilità di Obama di formare denota, fra le altre cose, un riconoscimento del collasso economico in atto ed un'ipotesi per la quale questo potrà soltanto accelerare. Il suo “2,3-2,8% all'anno in media” stabilisce un limite superiore ottimistico sulla lentezza con la quale gli Stati Uniti collasseranno.

La situazione della Cina è piuttosto diversa. Firmando l'accordo climatico, il governo cinese ha fatto buon gioco rispetto ad un pubblico sempre più irritato dalla devastazione ambientale che non può ignorare, compresa l'aria sporca, i fiumi pieni di maiali morti ed altri miracoli del genere. Allo stesso tempo, la leadership cinese vede ancora la crescita economica come qualcosa che serve per mantenere la stabilità politica e la crescita economica a sua volta richiede di bruciare più combustibili fossili.

Sì, si parlava di “rinnovabili” come l'eolico e il solare, ma le installazioni di eolico e solare vengono costruite e mantenute usando una base industriale che va a combustibili fossili. Fornisco energia solo quando è soleggiato e/o ventoso e sono incapaci di fornire il carico di base costante che una società industriale richiede. Si è parlato anche di fonti di energia “zero carbon” come il nucleare e il piano richiede che la Cina costruisca un terawatt aggiuntivo di generazione di energia nucleare, ma si deve tenere a mente che le centrali nucleari consumano una prodigiosa quantità di energia da combustibili fossili durante la loro fase di costruzione decennale, per poi ripagarla quando entrano in funzione, ma continuano poi a consumare energia da combustibili fossili per un futuro indefinito – o fondono come Fukushima Daiichi in Giappone.

A differenza degli Stati Uniti che, una volta che l'attuale bonaccia dalla vita breve del fracking sia finita, torneranno a destreggiarsi fra esaurimento delle risorse e collasso economico, la Cina sta costruendo due enormi gasdotti per collegarsi alle abbondanti riserve russe che, a differenza del molto costoso “tight gas” prodotto negli Stati Uniti col fracking, può essere prodotto in modo molto conveniente. Ciò potrebbe permettere all'economia cinese di continuare a crescere per un po' e di placare la sua popolazione riducendo il problema dello smog urbano riducendo la propria dipendenza dal carbone.

Così, questo accordo climatico sembra significare le seguenti cose:

1. Gli Stati Uniti continueranno a collassare, persino l'amministrazione Obama dà questo per scontato ed ha stabilito un limite di sicurezza superiore su quanto lentamente si dipanerà questo collasso.

2. La Cina continuerà a crescere, divorando ancora più riserve, finché non si romperà qualcosa (cosa che succederà).

3. Gli attivisti del clima negli Stati uniti continueranno a vantarsi, aspettandosi che abbiano ottenuto qualcosa di diverso dalla sconfitta.

giovedì 27 novembre 2014

Petrolio: la quiete prima della tempesta, secondo la IEA

Da “Oil Man”. Traduzione di MR

La IEA avverte nel suo ultimo rapporto annuale: il pianeta petrolio sta per entrare in una zona ad altissimo rischio, nonostante ciò che potrebbe far pensare l'attuale prezzo dell'oro nero. Conseguenza della rivoluzione del petrolio “di scisto” negli Stati Uniti e del rallentamento della crescita mondiale, la spettacolare riduzione dei prezzi del barile minaccia di prosciugare gli investimenti indispensabili per allontanare lo spettro del picco del petrolio, conferma la IEA.

Il capo economista della IEA Fatih Birol, avverte:

“L'immagine a breve termine di una mercato del petrolio ben approvvigionato non deve mascherare i rischi futuri (…), nella misura in cui aumenta la dipendenza nei confronti dell'Iraq e del resto del Medio Oriente”. 




Crescita prevista della produzione mondiale di greggio (la produzione attuale è dell'ordine dei 90 milioni di barili al giorno) Fonte: IEA, 2014.

Il dottor Birol non si arrischia a dire quanto tempo potrebbe durare l'attuale crollo del prezzo del barile (tuttavia, a margine di una presentazione a Brussels, evoca a mezza voce un periodo di due anni), ma secondo lui, la tendenza a lungo termine è necessariamente al rialzo del prezzo dell'oro nero: Egli prevede:

“Tenuto conto dei tempi necessari per sviluppare i nuovi progetti di estrazione, le conseguenze di una mancanza di investimenti potrebbe impiegare del tempo a materializzarsi. Ma cominciano ad accumularsi nuvole sull'orizzonte a lungo termine della produzione mondiale di petrolio; sono foriere di possibili condizioni di tempesta di fronte a noi”. 

La linea della potenziale tempesta emerge esaminando il grafico della IEA riprodotto qua sotto:

- il boom della produzione americana dovrà finire prima della fine del decennio (conformemente alle diagnosi più recenti dell'amministrazione Obama);

- al di fuori degli Stati Uniti, non ci sono repliche significative da aspettarsi dal boom del petrolio “di scisto” (o di roccia compatta, per essere più precisi);

- i petroli non convenzionali nordamericani (petrolio di roccia compatta negli Stati uniti, sabbie bituminose in Canada) non saranno sufficienti da soli ad apportare una compensazione delle fonti convenzionali di petrolio in declino;

- già più che delicato da conservare da quando il barile è sceso sotto i cento dollari (in particolare per le "majors"), il gigantesco sforzo di investimento – dell'ordine dei 500 miliardi di dollari l'anno – necessario al fine di compensare il declino naturale del numero delle vecchie e più grandi fonti di greggio e giunte alla maturità, è più difficili da sostenere in particolare ora che il barile è crollato sotto gli 80 dollari , rileva la IEA, in particolare per quanto concerne le sabbie bituminose e le trivellazioni ultra profonde al largo del Brasile. In giugno, quando il barile era ancora a 115 dollari, la compagnia petrolifera francese Total ha riposto negli scaffali un progetto da 10 miliardi di dollari in Canada, perché non offriva un rendimento sufficiente. Ormai, segnala il Financial Times, emergono problemi molto consistenti di redditività dei progetti offshore e rapporti di tensioni vive condivise dai paesi membri dell'OPEC. Il ritmo delle trivellazioni del petrolio di roccia compatta negli Stati uniti sembra flettere in queste ultime settimane, constata altrove l'agenzia Bloomberg;

- last but not least (at all), in rosso sul grafico, quello che si chiama “Medio Oriente” corrisponde essenzialmente alla crescita attesa della produzione di greggio iracheno. Comprenderete le vertiginose implicazioni geostrategiche – agghiaccianti? - dell'importanza futura, ben più cruciali di oggi, attribuite dalla IEA alla produzione irachena (paese più o meno in stato di guerra o sotto embargo da 34 anni), mentre il dottor Birol constata, senza sorpresa, che “l'appetito” degli investitori per l'Iraq sembra di questi tempi un po' ridotto...

Sul fronte del clima, l'accordo fra Stati Uniti e Cina siglato la settimana scorsa è a giusto titolo qualificato come “storico” da fatih Birol.

Il presidente Barack Obama ha impegnato gli Stati uniti a ridurre dal 26 al 28% le loro emissioni di CO2 nel 2025 in relazione al loro livello del 2005. Il presidente cinese Xi Jinping, in cambio, assicura che le emissioni cinesi raggiungeranno un picco “verso il 2030”.

Questo accordo è “storico” se non altro perché conferma la probabilità molto alta di un'alterazione irreversibile del clima, anche se, ancora una volta, non è una sorpresa.



Il futuro del carbone cinese è l'altra grande novità celata nel rapporto annuale della IEA:
il grafico della IEA (con “un alto livello di certezza”, precisa Fatih Birol) sull'avvio corrente di un picco del consumo cinese di carbone.


IEA, 2014.

Con quale energia ha scelto la Cina di alimentare prioritariamente la propria economia, riducendo l'intensità delle proprie emissioni di gas ad effetto serra?

Lo sviluppo del nucleare in Cina promette di essere non meno spettacolare di quello delle energie rinnovabili pianificato da Pechino:


Evoluzione della potenza nucleare installata da qui al 2040. IEA, 2014.

130 GW in più nel 2040, è quasi più del doppio del parco nucleare francese e più del 30% della totalità del parco nucleare americano, il primo del mondo. La Cina attualmente dispone di una capacità nucleare di 12 GW.