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sabato 22 ottobre 2016

Basta fare figli: siamo già sei miliardi di troppo

Da “Return to Now”. Traduzione di MR (via Population Matters)

Gli esperti dicono che la popolazione ideale è al di sotto dei 2 miliardi; noi invece siamo 7,5 e in crescita

Quando le persone sostengono che la sovrappopolazione è un mito, le loro argomentazioni di solito ruotano attorno alla quantità di spazio “aperto” presente sulla Terra non ancora occupato dagli esseri umani.


Dicono cose tipo - “Avete mai volato sopra il paese e visto tutta la terra libera che c'è fra New York e  la California?” Ma ciò di cui non si rendono conto è che ci vuole molta più terra di quella in cui si trova un appartamento per sostenere la vita umana. Solo perché possiamo stipare qualche altro miliardo di corpi umani qua e là, questo non significa che c'è terra fertile o acqua pulita sufficienti a sostenere tutte quelle persone.

lunedì 1 febbraio 2016

Laudato si, un commento tardivo.

di Jacopo Simonetta

L’enciclica "Laudato sì" ha sollevato notevole interesse ed una ridda di commenti pro e contro.    Io penso di accodarmi tardivamente per due motivi.    Il primo che la lettura ha richiesto tempo e fatica, malgrado abbia studiato solo il riassunto ufficiale in sole 63 pagine.  Diciamo che il testo non è propriamente scorrevole.   Il secondo motivo è che mi ci vuole tempo per riflettere.

Un primo punto che credo non sia stato sufficientemente considerato da molti commentatori è che le encicliche sono testi complessi che devono assolvere a numerose funzioni contemporaneamente.  Sono documenti politici funzionali sia alla politica internazionale del Vaticano, sia alla sua politica interna.   Ma sono anche documenti destinati ai sacerdoti di ogni ordine e grado per indirizzarne l’azione pastorale.    Infine sono destinati ai fedeli con il duplice scopo di  indirizzarne l’azione e la spiritualità, ma anche con quello di aggiornare via via le posizioni della Chiesa al divenire del mondo e della cultura.

Relativamente alla politica internazionale, penso che  lo scopo principale dell’enciclica fosse quello di influenzare i lavori della COP 21, creando delle difficoltà a quelli che hanno fatto naufragare le 20 conferenze precedenti: americani e cinesi in primis.

Relativamente  alla politica interna, secondo me, l’enciclica va invece  vista nel quadro assai complesso dello scontro in seno alla Chiesa fra un ala più conservatrice ed una più “terzomondista”.    Soprattutto, mi pare evidente un tentativo di mediazione fra la tradizione della curia romana ed il movimento “Teologia della Liberazione”   profondamente radicato in gran parte dell’unico continente compattamente cattolico e diffuso fra i Gesuiti sudamericani.

Per quanto attiene, invece alla funzione pastorale del documento, direi che contiene esattamente quel che poteva contenere.   Richiama ad una maggiore attenzione e cura verso il creato, ribadendo il ruolo unico e sovrano dell’uomo, unico fra le creature ad avere un’anima partecipe della natura divina.    Anzi, è proprio da questo primato dell’uomo che deriva la sua responsabilità di accorto gestore della creazione.

Questa parte del documento richiama la necessità di un dialogo costruttivo fra tutte le religioni, ma contemporaneamente stigmatizza ogni possibile deriva animista, panteista o comunque paganeggiante nel rapporto fra uomo e  creato.   Non per nulla, Terra è scritto con la maiuscola una sola volta, all'inizio, nella citazione del Cantico delle Creature da cui l’enciclica trae il nome.    In tutto i resto del documento è scritta con la minuscola malgrado si tratti del nome proprio del nostro Pianeta e non penso che sia per sbadataggine.

Insomma si raccomanda un rapporto mistico con la natura (con la minuscola) in quanto opera e dono di Dio, ma facendo bene attenzione e non confonderla con la Natura (con la maiuscola)!  Il dialogo interreligioso va bene, ma ci sono evidentemente dei limiti.

Parimenti sarebbe stato sorprendente se il testo non avesse colto l’occasione per ribadire una serie di punti chiave per la chiesa: dall'aborto al matrimonio omosessuale e numerosi altri punti particolarmente importanti per chi scrive.  Primo fra tutti il fatto che, come specificato al punto 50 e ribadito più volte altrove, la sovrappopolazione è solo una fantasia malata di alcuni.   Il numero di umani sul pianeta, si afferma, non ha niente a che fare con la crisi ecologica a livello globale.   Viceversa, si spiega, la sovrappopolazione esiste eccome a livello di singoli paesi, in particolare asiatici ed africani, ma non è questa una responsabilità loro, bensì dell’umanità intera.    Un punto di importanza politica fondamentale perché serve a sostenere che la migrazione di massa da un paese e da un continente all'altro è un diritto umano che deve essere garantito.

Si può essere d’accordo o meno con tutto questo, ma non si può certo pretendere che il capo spirituale dei cattolici scriva qualcosa rinnegando 2.000 anni di dottrina.   Tanto per cominciare, perché è lecito presumere che il Papa sia sinceramente cattolico.

Sul piano ecologico, il testo mostra un indubbio pregio, rappresentato dal ripetuto richiamo non solo al clima, ma anche all'importanza fondamentale della biodiversità e della sua conservazione.   A parer mio i termini sono ancora deboli, in rapporto a quanto sta accadendo, ma sono comunque più forti di quelli che si trovano nella maggioranza dei documenti politici.

In generale, vengono affermate cose perfettamente in linea con le conoscenze scientifiche e si fanno raccomandazioni di grandissimo buon senso.    Ma ci sono due aspetti strutturali all'intero documento che lo rendono profondamente incoerente.

Il primo è già stato citato ed ampiamente commentato da altri: la pretesa assenza di una componente demografica nella crisi globale.  

I secondo è l’asse portante dell’intero documento e viene ribadito in quasi tutti i 246 punti in cui è articolato. Cioè, il fatto che chi abusa della natura (minuscola) abusa contestualmente dei poveri e viceversa.     Insomma si stabilisce un’identità assoluta fra gli interessi degli ecosistemi e quelli dei poveri.   Per l'appunto in linea con le posizioni di buona parte del clero sudamericano, anche quando non aderisce del tutto alla “Teologia della Liberazione”.    Ne consegue che i ricchi ed i potenti hanno la responsabilità di garantire contemporaneamente lo sviluppo economico dei poveri e la conservazione del Pianeta.    Due cose che, si sostiene,  non solo sono compatibili, ma addirittura sono sinergiche, essendo lo sviluppo dei popoli il miglior sistema per garantire la conservazione della Biosfera.

Una posizione che forse è sincera da parte del Papa, ma che contrasta diametralmente con quanto oggi sappiamo del nostro Pianeta.    Il miglioramento delle condizioni di vita delle persone è infatti la principale forzante che spinge sia l’incremento della popolazione, sia quello dei consumi pro-capite.   A molti questa cosa darà fastidio, ma la formula empirica

Impatto = (Popolazione x PIL/capita x tecnologia)

pur essendo molto indicativa, è concettualmente corretta.    

Se ne deduce che, teoricamente, un aumento del numero e del tenore di vita dei poveri potrebbe  essere compensato da una drastica riduzione nei consumi dei ricchi.   Ma come si era reso conto Malthus già due secoli or sono, ciò sarebbe utile esclusivamente a condizione che la popolazione si stabilizzasse (ai suoi tempi, oggi dovrebbe necessariamente diminuire).    Con numeri dell’ordine di quelli attuali, probabilmente c’è  la possibilità di nutrire tutti, ma certamente non quella di, contemporaneamente, salvaguardare il clima e la biodiversità.

 In altre parole, l’attuale smisurata iniquità distributiva, che non ha alcun precedente storico, è effettivamente una calamità, oltre che un assurdo.    Ma l’equità distributiva si dovrebbe cercare non nel diritto dei poveri ad avere una vita migliore, bensì nel dovere dei ricchi ad averne una molto peggiore.    E non è questo che viene detto in un testo che raccomanda la parsimonia, ma in cui la parola “sviluppo” ricorre quasi due volte per pagina.

Tutto questo, devo dire era sostanzialmente quello che pensavo di trovare e che ho trovato nel documento.    Più interessante a mio avviso è quello che non c’è.  In un recentissimo libro, “Insostenibile”  di Igor Giussani,  l’autore centra un aspetto fondamentale del fallimento del movimento ambientalista nel suo insieme.   Il fatto cioè di non essere stato capace di costruire una narrativa alternativa abbastanza potente da competere con la popolarità della mitologia progressista, concrezionata nell'inconscio dell’umanità intera da decenni, quando non da secoli, di propaganda.
In assenza di una mitologia alternativa altrettanto potente, come pretendere che le persone accettino di buon grado i sacrifici necessari per salvare i propri discendenti ed il Pianeta?    E chi meglio di uno dei principali capi spirituali del mondo avrebbe potuto colmare questa lacuna?    Tanto più che, in questo, il Pontefice avrebbe avuto un vantaggio considerevole.   Che io sappia, il cuore della mistica cristiana è infatti il tema del peccato e della redenzione.   Questo sarebbe il principale insegnamento di Cristo che, secondo la Chiesa, ha immolato sé stesso sulla Croce per riuscire a farcelo capire.   Ma di tutto ciò nell'enciclica non c’è la benché minima traccia.

Eppure sappiamo bene che passeremo i prossimi cento anni a pagare gli errori che abbiamo commesso nei due secoli precedenti.   Ed in buona misura è proprio il rifiuto di questa semplice verità che impedisce ai governi ed alle persone di pensare in termini costruttivi.   Non possiamo trovare niente di utile finché continueremo a cercare una cosa impossibile, cioè un modo per salvare uno stile di vita agiato (chi lo ha) o di conquistarlo (chi non lo ha).   Dove per agiato si intende mangiare a sazietà tutti i giorni ed avere un tetto sicuro sulla testa.    Certo a qualcuno capiterà, forse a molti, ma non a tutti.    La Natura (maiuscola) non fa sconti a nessuno ed i debiti aperti con la Biosfera saranno necessariamente pagati con gli interessi.

Ora, cosa di meglio della mistica del peccato, della penitenza e della redenzione potrebbe aiutare i cristiani ad accettare questa realtà?    Un passaggio fondamentale, credo, perché consentirebbe alle persone di cambiare punto di vista, farsi una ragione delle proprie calamità ed elaborare risposte costruttive, entro i limiti del possibile.   Ma soprattutto potrebbe aiutare chi viene travolto dagli eventi a non essere travolto anche dalla Disperazione e dall'Ira (maiuscole, sono due dei 7 Peccati Capitali!)

Certo, qualcuno griderà all’ “Oppio dei popoli”, ma se così anche fosse, chi soffre davvero non disprezza gli analgesici.


venerdì 27 marzo 2015

L'attuale modello di sviluppo economico è morto – dobbiamo abbandonarlo

DaThe Guardian”. Traduzione di MR

Di Andrew Simms

Un radicale cambiamento a favore dei più poveri è il solo modo per riconciliare le sfide gemelle di fermare il cambiamento climatico catastrofico e mettere fine alla povertà


La crescita della Cina guidata dalle esportazioni sta danneggiando l'ambiente e beneficiando i ricchi, non i poveri. Sopra, pedoni che indossano maschere per proteggersi dall'inquinamento dell'aria mentre attraversano una strada trafficata a Pechino. Foto: Ng Han Guan/AP



Cos'è lo sviluppo? Per troppi economisti convenzionali è stato la Cina, anche se non senza ironia. Il suo modello di sviluppo guidato dalle esportazioni e i relativi vantaggi in tutti i settori economici hanno creato il suo status di superpotenza ed ha generato globalmente la grande maggioranza di coloro che sono fuoriusciti dalla povertà. Ma c'è un problema col modello: “Pechino non è una città vivibile”, ha detto il sindaco della città Wang Anshun di recente. Il prezzo della rapida industrializzazione ed urbanizzazione è stato l'inquinamento: aria non più adatta da respirare e numero di visitatori in declino – una specie di anti-sviluppo. E' una crisi riecheggia in India, dove una ricerca recente ha stimato che l'inquinamento ha creato una perdita collettiva di 2,1 miliardi di anni di vita. Sapendo che questo è un problema, l'India ha annunciato un piano per raddoppiare le tasse sul carbone per pagare energie alternative pulite e rinnovabili. In Cina, il premier Li Keqiang ha annunciato un obbiettivo di crescita economica inferiore, una linea molto più dura sulla  salvaguardia ambientale ed una dipendenza ridotta dalla produzione energeticamente intensiva per l'esportazione. La Cina pianifica di ridurre l'uso di energia per unità di PIL del 3,1% nel 2015 ed ha un'ambizione più a lungo termine per la metà del secolo di limitare l'uso del carbone alla metà del consumo totale di energia.

domenica 19 ottobre 2014

Crescita demografica, povertà e violenza: un commento.

di Jacopo Simonetta

Molti di noi ricorderanno che negli anni ’70 raggiungemmo i 4 miliardi di “bocche da sfamare”, come si diceva allora,  con un tasso di incremento di circa 70 milioni l’anno.    La sovrappopolazione era l’argomento del giorno; perfino nelle scuole se ne parlava come di una minaccia alla sopravvivenza stessa dell’umanità.    Alcuni paesi vararono anche programmi più o meno efficaci per limitare le nascite:  dalla semplice propaganda (come ad es. in Afghanistan), fino alla legge del figlio unico in Cina e le sterilizzazioni obbligatorie che costarono la vita a Sanjay Gandhi.

Poi, gradualmente ed impercettibilmente, il tema è passato nel dimenticatoio, mentre la “teoria della transizione demografica” veniva trasformata da ipotesi scientifica in articolo di fede e, infine, in comodo pretesto per evitare l’argomento; una tendenza proseguita finché dall'oblio siamo passati all'estremo opposto.  

Oggi siamo poco meno del doppio di allora (7,266 miliardi con analogo incremento di circa 70 milioni l’anno), ma da almeno un decennio siamo oggetto di  una campagna perlopiù indiretta, ma martellante a favore di un rilancio della natalità e/o  dell’immigrazione, invocate quale rimedio sovrano per una varietà stravagante di malattie reali e presunte delle nostre società: dalla crisi economica al debito pubblico, con coloriture diverse a seconda della fonte.   Di fatto, se oggi si chiede alla gente per strada quale sia il problema demografico, moltissimi rispondono convinti “che non nascono più bambini!” o “l’invecchiamento della popolazione”.

Solo molto di recente l’argomento sta tornando alla ribalta, ma in ambienti di nicchia e sfidando non pochi fulmini.   Per contribuire in qualche modo a rilanciare questo interessante dibattito, vorrei qui proporre un semplicissimo esercizio che ho personalmente fatto.    Avverto subito che i risultati possono essere inaffidabili se riferiti ai singoli paesi, ognuno dei quali ha una situazione peculiare.   Il mio scopo qui è solamente quello di verificare, a livello globale,  se è possibile che vi sia una correlazione fra natalità, povertà e criminalità.
I parametri che ho utilizzato sono i seguenti:

Povertà.   Ho selezionato i 60 paesi con il PIL pro-capite più basso (dati ONU relativi al 2012). I  limiti di questo parametro economico sono noti ed importanti, ma è l’unico disponibile.

Natalità.  Ho selezionato i 60 paesi con il più alto tasso di natalità  (stima ONU 2010).   Il tasso di crescita demografica può essere anche molto diverso a causa dei movimenti migratori e del diverso tasso di mortalità..

Criminalità.   Ho selezionato i 60 paesi con il più elevato tasso di violenza, valutato con il numero di omicidi per 100.000 abitanti (Dati Geneva declaration on armed violence and development 2011).   Il dato considera solo i morti da criminalità comune, non quelli per cause belliche.   In alcune volte la distinzione è praticamente impossibile, ma anche in questo caso il mio interesse è sulle tendenze generali, non sui casi particolari.






Disegnando i tre insiemi così costituiti risulta evidente che la stragrande maggioranza dei paesi ad elevata natalità sono anche particolarmente poveri ed afflitti da una criminalità particolarmente aggressiva.    Ben 45 stati su 60 ricadono infatti in tutti e tre gli insiemi contemporaneamente.   10 sono particolarmente prolifici e poveri, ma non turbolenti.   8 sono invece turbolenti, ma non particolarmente poveri e prolifici, solo 4 sono poveri e turbolenti, ma non prolifici; 4 sono molto poveri, ma non particolarmente turbolenti e prolifici; 3 sono invece prolifici e turbolenti, ma non poveri  ed, infine, 3 sono molto prolifici, ma né poveri né violenti.

Se riportiamo tutto ciò in una tabella, si evidenzia una gaussiana tipica.   Non sorprende, ma la ripidità della gaussiana suggerisce un grado di correlazione molto stretto fra tutti e tre questi fattori.


Si dovrebbe allora cercare di capire quali sono le relazioni tra di essi.
Tra natalità e violenza la correlazione è sicuramente indiretta, mediata dalla povertà dal momento che gli assassini sono prevalentemente maschi giovani; più raramente padri di famiglia ed eccezionalmente donne, men che meno mamme.    Viceversa, che la povertà sia una concausa importante della criminalità credo che si possa dare per assodato, anche se certamente vi giocano anche altri fattori sociali e culturali.

Dunque la chiave del sistema dovrebbe essere il rapporto fra natalità e povertà, indagare il quale è molto complesso sia per l’ingombrante presenza di teorie probabilmente superate (ma profondamente radicate e politicamente molto comode), sia perché non è affatto detto che tutte le società si comportino allo stesso modo.

Nelle sue linee generali, la “teoria della transizione demografica” fu concepita da  Adolphe Landry,  un economista corso legato agli ideali socialisti e “natalista” convinto.    Negli anni ’60 e ’70 l’effettiva evoluzione demografica dell’”emisfero occidentale” parve confermarne sperimentalmente la validità.   Da allora è divenuta e permane un elemento basilare per la cultura amministrativa ed per buona parte di quella accademica mondiale.   Uno di quei capisaldi che solo mettere in dubbio provoca reazioni variabili dal sorrisetto condiscendente all’ira funesta.

Eppure, se ad esempio, osserviamo quello che è avvenuto in Russia, troviamo una dinamica più complessa.

Fra il 1950 ed il 1970 circa, la natalità è rapidamente diminuita, in linea con quanto contemporaneamente accadeva al di qua dalla cortina di ferro.    Poi è tornata a crescere parallelamente ad un incremento della mortalità, indice di un progressivo peggioramento delle condizioni di vita.

Fin qui dunque la teoria di Landry risulta confermata.   Ma a cavallo del 1990 il collasso dell’economia ha prodotto sia un brusco aumento della mortalità, sia un precipizio della natalità che è poi tornata a crescere, mentre la mortalità diminuiva, man mano che la situazione socio-economica ritrovava un nuovo equilibrio e le condizioni di vita medie tornavano a migliorare.   Una dinamica simile è stata rilevata in tutti i paesi del blocco sovietico e qualcosa di simile, anche se meno traumatico, sta succedendo  in occidente.  Ad esempio, in Italia la natalità ha toccato un minimo alla metà degli anni '90, per poi risalire lievemente, in parte per la crescente presenza di immigrati (più prolifici), in parte in risposta alla citata campagna di propaganda,  Dal 2008, con la progressiva erosione degli standard medi di vita, la natalità avrebbe dovuto teoricamente aumentare, mentre è tornata flettere.

Figli per donna in Italia fra il 1945 ed il 2012.
Se passiamo ad osservare la più semplice dinamica delle popolazioni animali, troviamo che è sostanzialmente quella modellizzata da Lotka e Volterra.   In presenza di abbondanza di risorse la popolazione aumenta; aumentando erode le proprie risorse e degrada il proprio ambiente finché non si genera una situazione di penuria.   A questo punto la popolazione in questione si riduce, permettendo un recupero delle risorse e dell’habitat.    Certamente la demografia umana è più complessa sia per fattori culturali, sia per la possibilità odierna di spostare immani quantità di risorse da una parte all'altra del pianeta, ma le dinamiche storicamente riscontrate sono strutturalmente simili a quelle degli altri animali.

In sintesi dunque, la teoria della transizione demografica descrive bene alcuni fenomeni effettivamente accaduti, ma non altri.   L'idea che suggerisco è che il discrimine fra dinamiche simili a quella descritta da Landry ad alte più vicine al modello di Lotka-Volterra sia la prossimità od il superamento del limite di capacità di carico del territorio di riferimento.

Tornando alla nostra gaussiana, quello che qui suggerisco, senza alcuna pretesa di averlo dimostrato, è che, in prossimità od oltre la capacità di carico del territorio, l’elevata natalità  divenga la causa principale di povertà e, indirettamente, di criminalità.   In prospettiva, contribuisce quindi alla disintegrazione delle strutture sociali ed al collasso degli stati.
Un argomento complesso e criticabile sotto molti aspetti che, a mio avviso, richiederebbe una molto maggiore attenzione da parte di quelle istituzioni che hanno il personale, le informazioni ed i mezzi per affrontarli in modo approfondito.   Ma è improbabile che accada poiché "E' difficile far capire qualcosa ad un uomo il cui stipendio dipende dal fatto che non la capisca" (Upton Sinclair, "La storia segreta della guerra al cancro", 2007).