venerdì 27 marzo 2015

L'attuale modello di sviluppo economico è morto – dobbiamo abbandonarlo

DaThe Guardian”. Traduzione di MR

Di Andrew Simms

Un radicale cambiamento a favore dei più poveri è il solo modo per riconciliare le sfide gemelle di fermare il cambiamento climatico catastrofico e mettere fine alla povertà


La crescita della Cina guidata dalle esportazioni sta danneggiando l'ambiente e beneficiando i ricchi, non i poveri. Sopra, pedoni che indossano maschere per proteggersi dall'inquinamento dell'aria mentre attraversano una strada trafficata a Pechino. Foto: Ng Han Guan/AP



Cos'è lo sviluppo? Per troppi economisti convenzionali è stato la Cina, anche se non senza ironia. Il suo modello di sviluppo guidato dalle esportazioni e i relativi vantaggi in tutti i settori economici hanno creato il suo status di superpotenza ed ha generato globalmente la grande maggioranza di coloro che sono fuoriusciti dalla povertà. Ma c'è un problema col modello: “Pechino non è una città vivibile”, ha detto il sindaco della città Wang Anshun di recente. Il prezzo della rapida industrializzazione ed urbanizzazione è stato l'inquinamento: aria non più adatta da respirare e numero di visitatori in declino – una specie di anti-sviluppo. E' una crisi riecheggia in India, dove una ricerca recente ha stimato che l'inquinamento ha creato una perdita collettiva di 2,1 miliardi di anni di vita. Sapendo che questo è un problema, l'India ha annunciato un piano per raddoppiare le tasse sul carbone per pagare energie alternative pulite e rinnovabili. In Cina, il premier Li Keqiang ha annunciato un obbiettivo di crescita economica inferiore, una linea molto più dura sulla  salvaguardia ambientale ed una dipendenza ridotta dalla produzione energeticamente intensiva per l'esportazione. La Cina pianifica di ridurre l'uso di energia per unità di PIL del 3,1% nel 2015 ed ha un'ambizione più a lungo termine per la metà del secolo di limitare l'uso del carbone alla metà del consumo totale di energia.



Ma una crescita inferiore significa comunque crescita al 7%. A quel tasso, l'economia cinese, già la seconda del mondo, raddoppierà in dimensioni in 10 anni. Per sottolineare un fatto ovvio ma trascurato, in termini di cambiamento climatico non importa quanto venga migliorata l'intensità energetica dell'economia se l'economia in sé cresce di un fattore più alto. Le emissioni aumentano comunque. E' questo l'attuale quadro globale. I miglioramenti relativi dell'efficienza di alcune nazioni, come il Regno Unito, possono anche illudere per poi deludere, perché non tengono conto di come le economie che diventano maggiormente alimentate dai servizi tendono ad esportare le loro emissioni con la loro produzione manifatturiera.

La Cina è relativamente povera di risorse. Per alimentare la sua straordinaria crescita delle esportazioni, dai primi anni 70 ha avuto bisogno di più risorse naturali di quante il suo ecosistema possa fornire. L'impronta ecologica della Cina per persona è più che doppia di quanto terra, pesca e foreste nazionali possano fornire.

Le emissioni di carbonio sono a loro volta una grande parte di quell'impronta, anche se una parte significativa di queste sono relative alla produzione di beni consumati altrove. Ed è qui la sfida. In decine di milioni in Cina vivono ancora al di sotto della soglia di povertà assoluta di 1,25 dollari al giorno e la nazione si è affidata ad un modello di sviluppo alimentato dalle esportazioni che fa uso di molte risorse per affrontare questa situazione. Una cosa che in sé dipende da un modello per cui le persone ricche e consumiste del mondo comprino ancora di più delle loro esportazioni.

Questo, a sua volta, mette più pressione sulle terre e le foreste dell'Africa, di altre parti dell'Asia e dell'America Latina, visto che la Cina rastrella il mondo per le risorse. Togliete, però la Cina dall'equazione della riduzione della povertà e rimane un progresso infinitamente piccolo. Ora, i costi dell'approccio cinese, sia all'interno che all'esterno, stanno costringendo ad un ripensamento. Ma tutto il mondo è parte del modello che indica la necessità di un cambiamento sistemico.

Alla fine di quest'anno il mondo si accorderà per una nuova serie di obbiettivi globali sullo sviluppo sostenibile per rimpiazzare gli obbiettivi dello sviluppo del millennio (OSM). Fra molti altri obbiettivi, questi comprenderanno impegni per la fine della povertà in tutte le sue forme e dappertutto, evitare il cambiamento climatico pericoloso e promuovere una crescita economica sostenuta e sostenibile.

Ma con gli attuali modelli economici, questi obbiettivi sono lontanamente compatibili? Un nuovo saggio della rivista World Economic Review mostra l'economia su una traiettoria fortemente iniqua che rende questo non solo improbabile, ma assurdo. Aggiornando e sviluppando ulteriormente la nostra ricerca congiunta del 2006, David Woodward rivela come la percentuale di crescita economica che va ai poveri del mondo si è ridotta nei tre decenni dal 1980.

Coloro che vivono al di sotto degli 1,25 e i 2 dollari al giorno sono hanno avuto una fetta sempre più piccola di una torta in crescita. Ciò significa, paradossalmente, che il mondo già ricco deve consumare sproporzionatamente di più per aumentare i redditi dei poveri. Di conseguenza, mettere fine alla povertà con l'attuale modello è lento, inefficiente e incorre in problemi partici e planetari. La scala dell'economia globale ci sta già spingendo in overshoot ecologico.

Woodward calcola che a causa del divario fra ricchi e poveri, con le attuali tendenze, per portare tutte le persone nel mondo almeno alla cifra piuttosto miserabile di 1,25 dollari al giorno della soglia di povertà assoluta, ci vorrebbero ancora 100 anni. Servirebbe inoltre un'economia globale 10 volte più grande di quella sovraccarica che abbiamo oggi. Nel mondo, il reddito medio pro capite dovrebbe essere di 100.000 dollari. Per un progresso significativoportare tutti a 5 dollari al giorno, che è più in linea col soddisfacimento dei bisogni fondamentalici vorrebbero due secoli e richiederebbe un PIL per persona di 1 milioni di dollari.

E' il motivo per cui Woodward ha chiamato il suo saggio ‘Incrementum ad Absurdum’ e perché commenta, comprensibilmente, “Non possiamo realisticamente sperare di ottenere questo con gli strumenti esistenti di politica dello sviluppo”.

Ipotizzare che un tale corso delle azioni si praticabile richiede pensiero magico e negare il modo in cui è ancora permesso di operare all'economia. Solo il mese scorso il boss di della BP ha avuto un aumento del 25% della paga mentre i salari della società sono stati congelati e il capo della banca Barclays ha preso 5,5 milioni di sterline di paga mentre la banca stava per tagliare 19.000 posti di lavoro. Le decisioni economiche che vanno dall'ampliamento di un aeroporto alla deforestazione tropicale vengono giustificati per il loro contributo allo sviluppo – ma sono solo dalla parte di chi sviluppa.

Ma sta diventando di moda dire che il dibattito climatico non dovrebbe essere caricato della ambizioni più ampie delle politiche progressiste, per ottenere un accordo migliore per i poveri e i marginalizzati. E se questi due problemi fossero realmente e strettamente legati? Il mondo sta firmando per mettere fine alla povertà. La fisica dei limiti planetari significa che in termini complessivi dobbiamo consumare di meno. Quindi, per stare dal lato giusto delle soglie ambientali, un cambiamento radicale nella distribuzione per favorire i più poveri diventa il solo modo per riconciliare le sfide gemelle di fermare l'ascesa del cambiamento climatico e 'mettere fine alla povertà'.

Mentre i cittadini di Nuova Dehli e Pechino affogano nello smog per andare al lavoro ogni giorno ora dobbiamo sbirciare fra i veli di modelli di sviluppo defunti per trovarne un futuro diverso, migliore e collettivo.