mercoledì 18 novembre 2020

Conversione ecologica e conflitto. La Contrazione Pianificata dell'Economia

Articolo già apparso su Apocalottimismo in data 16 ottobre 2020.

Di Jacopo Simonetta

Recentemente, l’Università di Pisa ha avviato un interessante progetto di ricerca, chiamato “Ecoesione”. In sintesi, si tratta di capire quali impatti sociali negativi potrebbero venire da effettive politiche di contrasto al cambiamento climatico per poterli prevenire o, perlomeno, mitigare e gestire, evitando l’esplodere della violenza.

Trovo la cosa molto interessante perché, anche se i pareri su quali provvedimenti siano necessari spesso divergono, tutti concordano che siano indispensabili ed urgenti cambiamenti drastici e rapidi a tutti i livelli ed in tutti i settori. Ed ogni volta che qualcosa cambia, qualcuno ci guadagna ed altri ci perdono, sempre. E’ quindi normale che i perdenti si oppongano con tutti i mezzi a loro disposizione e non è neppure detto che abbiano tutti i torti. Per esempio, i disordini fomentati dai “Gilets Jaunes” hanno finito con l’essere strumentalizzati dall’estrema destra, ma non erano nati per questo e, neppure, sono stati una banale rivolta contro le politiche di contrasto al GW, come qualcuno ha detto. La rivolta aveva infatti radici profonde nella discriminazione molto francese fra Parigi e “provincia”, nell’impoverimento della piccola borghesia e dei lavoratori, nel venir meno di molti servizi in vaste zone della Francia rurale; per non parlare dell’atteggiamento spesso spocchioso di Macron.

Insomma, il rincaro del prezzo del gasolio è stata la classica “goccia che fa traboccare il vaso” per una massa di persone che già vive in condizioni disagiate e che per le proprie necessità (lavoro, acquisti, scuola, sanità, ecc.) dipende interamente da vecchie macchine diesel che non si può permettere di cambiare.

Il progetto dell’Unipi si prefigge esattamente questo: evitare errori di questo genere.
Partecipare come “stakeholder” alla riunione di avvio ufficiale del progetto mi ha suggerito tre domande che, credo, sarebbe utile discutere proprio approfittando dello staff d’alto profilo schierato per questo progetto. Le tre domande che pongo sono queste:

1 – Crescita o non crescita?
2 – Quanta decrescita e per chi?
3 – Bisogna superare il capitalismo?
 

In rapporto ad ognuna di queste avanzerò alcune osservazioni, in tre puntate per ridurre il tedio degli eventuali lettori. Niente di nuovo, ma sono aspetti che in molte discussioni si tende a dimenticare.

Crescita o decrescita?

Konrad Lorenz fece notare che l’uomo odierno è tenuto in scacco da una serie di atteggiamenti mentali profondissimamente radicati in ognuno di noi, forse addirittura a livello genetico. Atteggiamenti che in passato hanno favorito il successo della nostra specie, ma che nel contesto attuale la stanno invece portando diritti verso il disastro. Fra questi, dedica un capitolo all’ Amore per la Crescita. Niente ci da gioia come vedere crescere ciò che si ama: la propria famiglia, il gregge, i libri della biblioteca, il conto in banca, i fiori del giardino e qualunque altra cosa cui teniamo.
In relazione alla crescita economica, a questa atavica passione si aggiunge l’oggettiva esperienza degli indiscutibili vantaggi materiali che questa porta con sé.

Per questo, di solito, i promotori di una qualunque variante di “transizione ecologica” parlano apertamente di “crescita verde” o, perlomeno, lasciano intendere che sia possibile salvare la Biosfera ed il clima, pur rilanciando quella crescita economica che dovrebbe risolvere tutti i nostri problemi.

Siamo sicuri che sia possibile e, se si, che sia compatibile con lo scopo prefissato di fermare la catastrofe ambientale planetaria? L’argomento ha una valenza politica di primo livello ed è infatti molto dibattuto, spesso trascurando alcuni fattori particolarmente sgradevoli, ancorché ben noti.
Limiti delle energie rinnovabili. Troppo spesso si da per scontato che le energie rinnovabili possano sostituire quelle fossili semplicemente mediante sufficienti investimenti, ma non è così.

Innanzitutto, per essere usata, l’energia deve essere prima concentrata cosa di cui, nel caso delle fossili, si sono incaricati i movimenti tettonici nel corso di milioni di anni. Nel caso delle rinnovabili dobbiamo invece farlo noi mediante opportuni mezzi tecnici che ci sono, ma che occorre pagare e che, per funzionare, dissipano parte dell’energia captata. Non possono quindi avere lo stesso rendimento termodinamico delle fossili.

In secondo luogo, sono intermittenti e necessitano quindi di opportuni sistemi di accumulo ed una forte ridondanza di tutte le strutture. Le tecnologie disponibili sono molte ed efficaci, ma tutte comportano un aumento dei costi e dei materiali impiegati, una perdita di efficienza ed un aumento degli impatti ambientali.

Anche le energie rinnovabili hanno infatti degli impatti ambientali sia diretti (per esempio la distruzione di intere valli, fiumi e torrenti mediante le dighe), sia indiretti per l’estrazione e la lavorazione dei materiali con cui vengono costruite e manutenzionate. Oggi sarebbe impossibile realizzare e mantenere efficienti impianti fotovoltaici, dighe e pale eoliche senza disporre di grandi quantità di energia fossile a buon mercato. In futuro potrebbe forse cambiare, ma si entra nel campo della fantascienza.




Infine, oggi le energie fossili coprono poco meno dell'80% dei consumi globali, il legname (la cui rinnovabilità è molto parziale) un altro 9% ed il nucleare poco più del 2 %. Complessivamente, le rinnovabili vere coprono meno del 10% dei consumi attuali (il fotovoltaico circa lo 0,1%).
Semplicemente, non è pensabile una vera transizione energetica senza una molto sostanziale riduzione dei consumi finali, mentre questi continuano ad aumentare. Infatti, ed è il punto più critico di tutti, finora le nuove fonti energetiche non hanno sostituito quote di energia fossile, ma si sono aggiunte a quelle, comunque in crescita. Ma l’impatto complessivo, non solo climatico, dell’umanità sul Pianeta dipende prima di tutto proprio dalla quantità complessiva di energia che dissipiamo.

Limiti del disaccoppiamento. 

Secondo la vulgata, la chiave per mantenere, anzi migliorare le condizioni di vita dell’umanità e, contemporaneamente, ridurre i consumi di energia è il progresso tecnologico che assicurerà un crescente disaccoppiamento. Vale a dire una maggiore produzione di beni e servizi a fronte di minori consumi.

Una approfondita metaricerca ha però dimostrato che si tratta in buona misura di leggende metropolitane. In realtà, i casi documentati di effettivo disaccoppiamento sono molto pochi e molto parziali. Al massimo, abbiamo un lieve disaccoppiamento relativo, vale a dire che i consumi crescono meno della produzione, ma crescono comunque e noi li dobbiamo ridurre.

Si potrà obbiettare che, anche se un vero disaccoppiamento non si è ancora visto, l’efficienza della produzione è comunque aumentata e continua ad aumentare, permettendo di contenere la crescita dei consumi, tanto di energia quanto di materiali (la cosiddetta “dematerializzazione”). Ma anche questo non è vero, se non forse, in qualche caso. Il punto qui è il cosiddetto “effetto rebound” (alias “Paradosso di Jevons”). L’osservazione empirica dei dati storici, dall’introduzione del motore Watt nel 1782 ad oggi, dimostra che l’effetto è anzi contrario: l’aumento dell’efficienza riduce i costi di produzione e di uso di beni e servizi, così da renderli disponibili per masse crescenti di persone. Il risultato finale è quindi un aumento e non di una riduzione dei consumi di energia e materiali. Questo operando in un’economia di mercato; cambiando il contesto politico ed economico le cose potrebbero anche andare diversamente, ma questo ci rimanda alla terza domanda.

Comunque, anche al di la delle esperienze finora maturate, ci sono vincoli fisici invalicabili che ci assicurano che un vero disaccoppiamento non è fattibile, perlomeno non su di una scala neppure lontanamente prossima a quella necessaria. L’unico modo per ridurre i consumi in misura adeguata è quindi ridurre considerevolmente la produzione di beni e servizi, una faccenda molto spinosa da proporre ed ancor più da gestire anche perché accadrà comunque, anzi sta già accadendo in buona parte del mondo, malgrado gli sforzi dei governi.

Limiti dell’economia circolare. 

Il secondo pilastro su cui si regge il sogno di una “green economy” è la chiusura dei cicli produttivi mediante il completo riciclaggio dei rifiuti. E’ certamente vero che in questo campo ci sono ampi margini di miglioramento (a condizione però di ristrutturare radicalmente il mercato e la fiscalità), ma un riciclaggio del 100% non è possibile neppure in via del tutto teorica. Ad ogni ciclo una parte del materiale va inevitabilmente perduto, quali che siano le tecnologie usate ed i finanziamenti disponibili. Perciò un’economia circolare è necessariamente un’economia che utilizza una quantità costantemente decrescente di materiale, oppure che preleva una quantità crescente di materie prime in natura.

Naturalmente non tutti sono d’accordo e molti sostengono che invece è possibile perché il progresso tecnologico consente di ridurre progressivamente la quantità di materiali usati per ogni singolo oggetto.
Il che è vero, ma il vantaggio si perde se si fabbricano più oggetti per più persone. Non solo: la riduzione della quantità di materiale incorporato in ogni singolo oggetto ha talvolta effetti deleteri sulle possibilità di riciclare i medesimi.

Insomma, si potrebbe fare molto per ridurre l’estrazione di minerali, biomassa, ecc. dall’ambiente, ma anche da questo punto di vista, per tornare veramente entro dei limiti di effettiva sostenibilità, bisognerebbe pianificare una consistente contrazione della produzione, con tutto ciò che ne consegue.

Limiti non energetici all’economia. I sostenitori del Green New Deal si focalizzano soprattutto sull’energia. Giustamente perché senza energia non si fa nulla, ma esistono anche altri limiti all’economia. Due di cui si parla comunque assai sono la disponibilità di materie prime e la capacità di smaltire i rifiuti, ma ne esiste un altro di cui non si parla praticamente mai: l’integrità funzionale della Biosfera che ci assicura quelli che riduttivamente chiamiamo “servizi ecosistemici”. Sono questi, infatti, che assicurano non solo la disponibilità delle risorse rinnovabili, l’assorbimento della CO2, la trasformazione finale dei rifiuti e molto altro, ma soprattutto consentono che sulla Terra si mantengano condizioni chimiche e fisiche compatibili con la vita biologica. Per essere chiari, il collasso della Biosfera (forse già iniziato e certamente non lontano) comporterebbe (o comporterà?) anche l’estinzione della nostra specie o, perlomeno, la scomparsa definitiva dei presupposti per l’esistenza di una qualunque civiltà.

Civiltà senza petrolio ce ne sono infatti state migliaia; invece civiltà senza acqua, suolo, foreste, biodiversità, ecc. non ce ne sono mai state, né mai ce ne saranno. Anzi, sono molte le società che si sono estinte proprio perché hanno eccessivamente degradato la Biosfera nel loro territorio. La differenza è che finora si è trattato di catastrofi locali o regionali, mentre oggi qualcosa del genere sta avvenendo a livello planetario.

In definitiva, direi che la risposta alla prima domanda è che pianificare una robusta contrazione dell’economia sia una delle condizioni necessarie affinché un progetto di transizione sia realistico. Ciò condurrebbe sicuramente al conflitto, solo che ogni altra possibile strategia è destinata al fallimento e dunque ad un conflitto ancor più grave. Il che ci porta alla prossima domanda: Quanta decrescita e per chi? Ne parleremo la prossima settimana.





lunedì 16 novembre 2020

Lunga e Radiosa Vita ai Ribelli!

 

 Ogni tanto, bisogna anche tirarsi fuori dall'aria mefitica del cosiddetto "dibattito" che ci sta sommergendo di odio, di terrore, e di bugie. L'arte e la poesia non sono morte e ci possono ancora far volare nel cielo a respirare aria pura. Qui sopra, Mark Chagall con un dipinto del 1918. Di seguito, una poesia di Abner Rossi. Ringrazio Olga Milanese per avermelo fatto scoprire. 

 
 
Lunga vita ai ribelli.
Lunga e radiosa vita ai ribelli,
ai lunatici dei della natura,
ai sogni non contaminati,
ai grandi amori capitati a caso
e che per caso non trovano la fine.
 
Lunga e radiosa vita ai ribelli
alle donne e agli uomini senza compromessi,
alle piante, alla terra, alla fatica,
ai miei animali, a tutte le speranze,
a tutto ciò che vedo e che mi piace.
 
Lunga e radiosa vita ai ribelli,
a chi persegue uno scopo con passione,
a chi si batte contro l’egoismo,
a chi non crede di essere speciale,
a chi riflette prima di parlare.
 
Lunga e radiosa vita ai ribelli,
alle parole che sono maltrattate
e a quelle che sono state abbandonate,
ai tempi, ai modi, alle coniugazioni,
ai tanti libri che sono stati scritti
a quelli di ieri, di oggi, di domani.
 
Lunga e radiosa vita ai ribelli,
a chi si sente fuori dagli schemi,
a chi non spaccia menzogne ed emozioni,
a chi prova a vivere ogni giorno
senza risparmio, senza assuefazioni.
 
Lunga e radiosa vita ai ribelli!
A volte sono strani personaggi,
ma sono loro che scrivono la storia."
 
Abner Rossi

venerdì 13 novembre 2020

La Grande Onda delle Fake News. Ma gli Amish sono veramente dei molestatori di bambini?


Questo post era rimasto in coda fra i vari post del blog. Mi è ritornato in mente quando, ieri, il Corriere ha pubblicato una notiziona dal titolo "La Svezia Travolta dalla Seconda Ondata", uno splendido esempio di disinformazione. Questi metodi sono ben collaudati e rodati e sono stati usati anche per accusare gli Amish di essere dei molestatori di bambini. Sempre gli stessi trucchi, e la maggior parte di noi ci cascano. Ormai, ci possono raccontare qualunque cosa.
 
 
Qualche tempo fa, il blog di Cassandra ha pubblicato un post di Bruno Sebastiani dove l'autore analizzava lo stile di vita degli Amish Americani. Come sapete, gli Amish vivono un po' come si viveva nell'800, evitando con cura le tecnologie moderne.

L'analisi di Sebastiani era onesta e oggettiva, ma nei commenti è venuto fuori un elemento che Sebastiani non aveva menzionato: la violenza sui bambini fra gli Amish. La storia ha origine da un articolo del Daily Mail che ha dipinto gli Amish come un popolo di maniaci sessuali che se la prendono in particolare con i bambini.

Ora, per cominciare, qualunque cosa ci sia scritto sul Daily Mail va presa come se fosse radioattiva -- ovvero tenuta a distanza e maneggiata con cura. Certe volte, il Daily Mail è quasi peggio della nostra "Repubblica". Ma supponiamo che, a parte le esagerazioni nel titolo e nel testo, i dati siano corretti. Ci dice il Daily Mail che ci sono stati 52 casi in 20 anni di abusi sessuali su minori fra gli Amish.

Orribile? Certo, ma facciamo un po' di conti. 52 casi in 20 anni fanno circa 2-3 casi l'anno. La popolazione degli Amish è 270.000 persone negli USA, il che vuol dire circa 1 caso di abusi sessuali su 100.000 persone all'anno. Vediamo invece come vanno le cose per il resto della popolazione degli Stati Uniti. Ho trovato dei dati su Wikipedia che parlano di circa 60.000 casi provati di abusi sessuali su minori nel 2010. La popolazione degli USA è 328 milioni di persone. Faccciamo il rapporto e viengono fuori circa 2 casi per 10.000, ovvero gli abusi sui bambini negli USA sono venti volte di più che fra gli Amish!! I dati per l'Italia non sono tanto chiari, sembra che facciamo meglio degli USA, ma comunque abbiamo più casi degli Amish.

In sostanza, gli Amish NON sono maniaci sessuali e il Daily Mail si conferma come una schifezza scritta da persone schifose che campano prendendoci in giro con le loro schifoserie. E tutti quelli che da noi si sono buttati a dire "hai visto le conseguenze del fanatismo religioso?" hanno toppato alla grande.

Il peggio di questa faccenda non è tanto la nequizia dei giornalisti del Daily Mail, ma come pochissimi (forse nessuno) si sia preoccupato di andare a controllare se i dati indicavano che veramente gli Amish fossero particolarmente malvagi a causa del loro mostruoso fanatismo religioso. A questo punto, questi si possono permettere di raccontarti qualsiasi cosa. E lo stanno facendo.

lunedì 9 novembre 2020

Istinto di conservazione e Volontà di potenza

 


Uno dei pilastri della teoria cancrista consiste nel ritenere che l’opera distruttiva dell’uomo ai danni della biosfera sia la risultante di due elementi sviluppatisi nel patrimonio genetico della nostra specie nel corso dell’evoluzione.

Il primo elemento, comune a tutti gli esseri viventi, è l’istinto di conservazione (o di sopravvivenza, individuale e della specie).

Il secondo elemento, specifico dell’uomo, è quell’abnorme evoluzione del nostro cervello di cui ho già avuto modo tante volte di parlare (vedi ad esempio il mio primo articolo per Effetto Cassandra, “Il cancro del pianeta: una teoria inquietante per scuoterci dal fatalismo progressista che ci attanaglia”).

Ora ritorno sull’argomento per aggiungere un nuovo tassello a questa teoria che si prefigge di aprire gli occhi a quante più persone possibile, per evitare che corrano verso il baratro come i topolini del pifferaio magico.

Questo tassello prende il nome di “volontà di potenza” ed è la sublimazione del primo elemento (l’istinto di conservazione) attuata per il tramite del secondo elemento (l’intelletto ipersviluppato del genere umano).

Il termine, come noto, fa parte del repertorio nietzschiano, ma, senza voler togliere nulla al profeta del superuomo, io ne propongo una nuova lettura, meno poetica, ma più aderente alla realtà di questi giorni.

In pratica, a mio avviso, ogni istinto racchiude in sé una volontà di potenza, una spinta espansiva insita nel corredo genetico ereditario di ciascun essere, pianta o animale. L’albero si innalza verso il cielo, il fiore sboccia, l’animale mangia, si accoppia, si riproduce.

Alla base del fenomeno “vita” vi è questa spinta che possiamo chiamare istinto, volontà, forza vitale. In ciascun essere essa è commisurata con le dimensioni e le necessità essenziali al mantenimento in vita dei singoli individui e delle singole specie.

Dall’incontro – scontro tra le specie nasce quell’equilibrio dinamico che ha sin qui consentito al fenomeno “vita” di perpetuarsi. Spesso i singoli individui soccombono, ma le specie nel loro complesso sopravvivono. Quasi tutte rivestono il doppio ruolo di predatrici e di prede, secondo il ben noto schema della catena alimentare.

Ma nel genere umano questa spinta ha subìto l’imprevista e improvvisa accelerazione derivante dalla alterazione genica che ci ha trasformati in cellule cancerogene del pianeta. Su come e perché si sia prodotta tale alterazione si vedano gli articoli di Viola Rita (“Il cervello dell’uomo è così grande a causa di un “errore” genetico”) e di Edoardo Boncinelli (“Quel gene che ha fatto la differenza tra noi e le scimmie”), oltre alla documentazione di natura scientifica riportata nel mio blog ( sezione “Documenti scientifici”).

Quello che era un istinto necessario alla sopravvivenza si è trasformato nella volontà di potenza, un’arma micidiale che ci ha posto in condizione di sottomettere il resto della natura. E, una volta in grado di farlo, lo abbiamo fatto, eccome se lo abbiamo fatto!

Tutto è stato assoggettato alle nostre necessità, o meglio ai nostri voleri, anche i più voluttuari e superflui.

Salvo incappare in un invisibile virus che da un momento all’altro si è dimostrato capace di mettere in ginocchio tutte le società umane ovunque diffuse.

Questo ostacolo sul cammino trionfale dell’umanità verso oscuri traguardi, dovrebbe indurci a riflettere sulle nostre reali capacità di tenere sotto controllo le infinite variabili esistenti nel mondo della natura, ma non sarà così.

Sconfiggeremo anche questo virus e proseguiremo la nostra folle corsa. Il fatto che per trovare un rimedio a questa pandemia ci sia voluto più di un anno sarà presto dimenticato, mentre dovrebbe indurci a riflettere seriamente sulle nostre reali capacità di sostituire l’equilibrio naturale con quello artificiale tipico dell’Antropocene.

Sui limiti del nostro intelletto mi sono soffermato in un recente articolo (“Sapere di non sapere o Sapere di non poter sapere?”). Se consideriamo l’effettività di questi limiti associata alla sconfinata volontà di potenza che ci contraddistingue, appare come inevitabile la serie di dissesti che stiamo producendo ai danni della biosfera a un ritmo sempre più serrato.

Cosa contrapporre a questo stato di cose?

L’istinto è qualcosa di innato e non è quindi contrastabile. Oltretutto è il frutto di una infinita serie di passaggi intervenuti nel corso del processo evolutivo e, se ha consentito la nostra sopravvivenza per milioni di anni, significa che ha sinora svolto egregiamente la sua funzione.

L’abnorme evoluzione del nostro intelletto è conseguita a un’alterazione sopraggiunta casualmente ai danni del nostro patrimonio genetico. Pur se si è prodotta per vie naturali non ci è dato di far sì che ciò che è accaduto non sia mai accaduto. Il paragone con la carcinogenesi mi pare il più azzeccato: anch’essa è frutto di una alterazione tanto casuale quanto infausta del patrimonio genetico, ma una volta intervenuta non è modificabile.

Ma, dinanzi alla prospettiva di una nuova estinzione di massa provocata dalle nostre limitate capacità di controllo degli squilibri causati all’ecosistema, non è neppure ipotizzabile un atteggiamento di indifferenza. I più sensibili alle tematiche ambientali hanno già iniziato a reagire, i meno sensibili saranno costretti a farlo dai colpi che il clima alterato e l’inquinamento crescente ci assesteranno sotto forma di uragani, tempeste, allagamenti e quant’altro.

In questo quadro, veramente degno di Cassandra, la rilettura in chiave negativa proposta dal Cancrismo di tutta la storia della cosiddetta civiltà, vorrebbe fornire ai meno sensibili l’occasione per rivedere le proprie posizioni, spingendoli soprattutto a fare tutto il possibile per rallentare la marcia verso l’ecocatastrofe.


mercoledì 4 novembre 2020

Cina: fermare l'epidemia senza distruggere l'economia. Una lezione di governance per l'Occidente.

Questo articolo è stato pubblicato il 26 Ottobre 2020 su "Pillole di Ottimismo," dove ha raggiunto 198mila visualizzazioni a dimostrazione dell'interesse che c'è per il caso Cinese. In sostanza, la Cina ha fatto un lockdown limitato sia nel tempo che nello spazio: solo una provincia, NON tutta la Cina -- come se noi avessimo chiuso solo la provincia di Bergamo. Questo è bastato per domare l'epidemia: non possiamo nemmeno dire che è "sotto controllo" -- perché proprio non c'è più. E' da Marzo che in Cina non si verificano decessi attribuiti al COVID., ci sono soltanto occasionali focolai di importazione. L'economia ha ripreso a funzionare e i cinesi se ne vanno in giro senza mascherine e senza far troppo caso agli "assembramenti". Una bella lezione per noi Occidentali che stiamo disastrando l'economia senza nemmeno riuscire a contenere l'epidemia.

 

Cina: L'Epidemia è Sotto Controllo. Ma Come ci sono Riusciti?

 

Di Ugo Bardi, docente presso il Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze (1)

Articolo pubblicato il 26 Ottobre 2020 su "Pillole di Ottimismo"

💊💊💊 Dai dati che arrivano dalla Cina, sembra che le cose stiano andando decisamente bene con l'epidemia di COVID. In Cina, così come in tutta l'Asia orientale, la mortalità è stata molto più bassa che in Europa e non si riferiscono decessi ormai da Marzo. Ci sono ancora molte cose da chiarire sulla gestione cinese dell'epidemia, ma la Cina ci può insegnare che è possibile bloccare l'espansione del virus senza bisogno di fare danni all'economia. 💊💊💊

 

Vi ricordate di quando a Gennaio i Cinesi (o quelli che sembravano Cinesi) venivano insultati per la strada da gente che credeva che fossero degli appestati? Le cose sono cambiate un bel po’ e oggi sono i Cinesi a credere che siamo noi italiani gli appestati.

In Cina, non risultano decessi da COVID-19 da circa metà Marzo. In quanto a casi positivi, dopo quella data ci sono stati solo occasionali “focolai” di poche decine di casi, quasi tutti di importazione (2). L'economia cinese è ripartita e adesso funziona a pieno regime.

Da quello che si legge sui media internazionali e da quello che mi dicono i colleghi che vivono e lavorano in Cina, al momento il paese è completamente aperto. Tutte le attività commerciali e industriali sono in funzione. I negozi e i ristoranti sono aperti e non ci sono restrizioni ai viaggi interni. Portare mascherine è opzionale. Dalle foto che arrivano dalla Cina, vedi per esempio quella che vi passo qui, (del “China National Day” del 1 Ottobre), si vede che la gente non fa molto caso agli “assembramenti” di persone senza mascherine. 

Immagine da https://news.cgtn.com/news/2020-10-01/Wuhan-celebrates-China-s-National-Day-with-creative-flash-mob-UevQ24PQze/index.html

Va detto anche che non è che in Cina abbiano “abbassato la guardia.” Sicuramente stanno ancora attenti a molte cose e il governo interviene energicamente appena viene fuori qualche piccolo focolaio. Per esempio, le autorità della città di Qingdao hanno trovato recentemente un focolaio. Secondo quello che si è letto sui media internazionali (quindi da prendere, come si suol dire, "con le molle", per non dire di peggio) pare che sia correlato a una partita di merluzzo congelato di importazione sul quale qualcuno avrebbe osservato dei virus ancora interi. Vero oppure no, difficile dire, ma in ogni caso il governo locale si è impegnato a testare per il COVID tutti i 9 milioni di abitanti della città! (3). Ma, nel complesso, è chiaro che in Cina e altrove in Asia l’epidemia è sotto controllo senza bisogno di lockdown.

Non solo l’epidemia sembra sparita in Cina, ma ha anche fatto pochissimi danni. Il totale delle vittime è circa 4600 su quasi un miliardo e mezzo di persone. Ovvero 3 decessi per milione contro i quasi 600 dell’Italia. Anche se consideriamo soltanto le regioni geografiche dove il virus ha colpito più duramente, troviamo che la provincia di Hubei ha avuto circa 20 volte meno decessi della Lombardia. (4)

Come è possibile una cosa del genere? Si legge spesso sui social e sui media che la Cina ci avrebbe imbrogliato e che starebbe continuando ad imbrogliarci. Si legge a volte che, dato che la Cina è una dittatura, se ne dovrebbe dedurre che tutto quello che ci dice il governo cinese non può essere che falso -- incluso il fatto che l'epidemia non c'è più. Può darsi che le cose stiano così?

Va detto che spesso i governi non si fanno troppi scrupoli a imbrogliare la gente. Abbiamo visto in un post precedente come almeno un paese europeo, la Bielorussia, potrebbe aver parzialmente falsificato i dati sull’epidemia (5). Per quanto riguarda la Cina, ci sono casi precedenti di dati falsificati. Per esempio, un’analisi dei dati sulla pesca che arrivavano dalla Cina negli anni 1990 ha indicato evidenti falsificazioni per nascondere l'esaurimento degli stock (6),(7)). Ma un’epidemia è una faccenda ben più grave e più estesa di un imbroglio in uno specifico settore commerciale. Sarebbe molto difficile anche per il governo cinese nasconderla se ce ne fosse una in corso.

Certo, tutto è possibile, ma se vogliamo credere che i cinesi ci raccontino balle sull'epidemia dobbiamo in qualche modo portare qualche evidenza in proposito. Rimanendo sull'esempio dei dati sulla pesca, una delle ragioni che ha portato a sospettare della validità dei dati cinesi erano le anomalie che si notavano confrontando con i dati di altre regioni simili. Possiamo trovare qualche anomalia del genere per la pandemia?

Sembra proprio di no: i dati cinesi sulla diffusione del COVID-19 sono confrontabili con i dati di altri paesi asiatici vicini che, in generale, hanno avuto mortalità minima o inesistente. Per esempio, Taiwan ha fatto anche meglio della Cina continentale con un totale di 7 decessi su 23 milioni di abitanti (meno di un decesso per milione). Altri paesi hanno fatto un po' peggio, ma sono comunque rimasti su livelli molto bassi di mortalità. Singapore riferisce 5 decessi per milione, Hong-Kong 13. Anche il vicino Giappone ha subito solo 13 decessi per milione. Poi, sia la Mongolia che Macao riferiscono addirittura zero decessi. Certo, uno potrebbe dire che la Mongolia non conta perché è un paese di cammellieri che vivono in tende in mezzo al deserto, ma ovviamente non è così. La capitale, Ulan Bator, è una metropoli con oltre un milione di abitanti. Macao, poi, è una città di 700.000 abitanti ad altissima densità di popolazione, forse la più alta al mondo. E l’epidemia è passata sia da Ulan Bator come da Macao senza lasciare nemmeno una vittima! È quanto meno poco credibile che tutti questi governi si siano messi d’accordo per nascondere al resto del mondo un’epidemia in corso.

Ma perché in Asia le cose vanno tanto meglio che da noi? Forse i cinesi hanno usato misure di contenimento particolarmente efficaci? Per certi versi, il lockdown cinese di quest'anno può essere stato più drastico di quello occidentale, ma non è durato più a lungo che da noi. Non è nemmeno possibile dire che sia stato più tempestivo se, come dicono gli stessi cinesi, il virus già circolava a dicembre. Il lockdown è stato istituito a Wuhan soltanto il 23 Gennaio e alcuni giorni dopo per tutta la provincia di Hubei.

A proposito del "distanziamento sociale," sappiamo tutti che in Asia si tende a evitare il contatto fisico fra le persone. Ma è anche vero che se vi è mai capitato di prendere la metro in una città orientale (per esempio a Tokyo (8)) vi sarete fatti un’idea molto specifica del significato dell’espressione “strizzati come le sardine”. Se non avete avuto questa esperienza, vi passo il link a un video impressionante della metropolitana di Beijin (9). Le metropoli orientali sono estremamente affollate e in certe condizioni è semplicemente impossibile evitare il contatto fisico.

Può darsi allora che il trucco sia stato nel "contact tracing"? In effetti, da quello che si legge si potrebbe pensare che i paesi asiatici siano stati più aggressivi di noi nel tracciamento e l'isolamento delle persone che sono state in contatto con persone colpite dal virus (10). Questa è una spiegazione interessante, ma non è che in Europa il tracciamento non sia stato fatto. Forse non lo abbiamo fatto abbastanza bene? E' possibile, ma non abbiamo confronti quantitativi che ci possano dire se questa è la spiegazione di tutta la faccenda.

C'è anche un altra possibile interpretazione che non ha a che vedere con quello che i governi hanno fatto o non fatto. Può darsi che i Cinesi siano stati esposti al virus per più tempo di noi occidentali e quindi si siano avvicinati prima all’ “immunità di gregge.” Probabilmente avete sentito parlare di Li Wenliang, il medico cinese che aveva notato per primo dei casi di polmonite anomala a dicembre e che poi è morto lui stesso per aver contratto l’infezione. Inizialmente, non fu creduto, ma oggi è considerato un eroe in Cina. Li aveva cominciato a lanciare l'allarme verso la fine di Dicembre del 2019, ma nulla ci vieta di pensare che il virus esistesse già da tempo in Cina, forse anche in forme leggermente diverse da quella che poi ha colpito l'Europa. Soltanto, le persone colpite venivano diagnosticate come normali casi di polmonite.

E' possibile che la popolazione cinese fosse stata stata esposta al virus già molto prima della dichiarazione dell’emergenza? C’è un dato che ci potrebbe dare una forte indicazione in proposito: la mortalità in eccesso. Se l’epidemia esisteva già a Novembre-Dicembre del 2019, o anche prima, dovremmo vedere una mortalità anomala rispetto alla media per quel periodo.

Ottima idea, ma con un problema: i dati sulla mortalità aggiuntiva in Cina non si trovano in nessun posto sul Web. Attenzione: questo non vuol dire che il governo cinese ci nasconda qualcosa. Quasi nessun governo al mondo diffonde questi dati in una forma facilmente accessibile per chi non conosce la lingua locale. L’Europa è un’eccezione con un database sull'eccesso di mortalità chiamato “Euromomo” gestito da un network che fa capo all’OMS, ma non c'è niente del genere per l'Asia Orientale. Quindi, per il momento l'idea di un inizio anticipato dell'epidemia rimane un'ipotesi.

Ci sono altri fattori che potremmo metterci a esaminare ma questo virus ci ha abituato al fatto che le previsioni e le interpretazioni si rivelino sempre sbagliate. Anche in un recente articolo su Nature (11), gli autori hanno detto francamente che "non siamo ancora in grado di fornire una spiegazione generalizzate per le differenze di mortalità quantitative osservate fra i vari paesi". Così, dobbiamo contentarci di dire che l'epidemia ha fatto danni molto meno gravi in Asia che da noi per qualche ragione che, al momento, non possiamo identificare con certezza.

Ma rimaniamo su quello che sappiamo, ovvero che al momento le cose in Cina vanno decisamente bene. Dal caso cinese possiamo perlomeno capire che non siamo di fronte a un nemico invincibile. E' possibile batterlo senza dover necessariamente distruggere l'economia con dei lockdown prolungati e generalizzati. In Cina, infatti, il lockdown "duro" ha interessato soltanto una provincia di 60 milioni di abitanti, grande come l'Italia, ma niente in confronto al miliardo e 400 milioni di abitanti di tutta la Cina. Certamente, da noi siamo in un momento molto difficile, ma non è impossibile superarlo e non c'è ragione di pensare che dovremo continuare a vivere nel terrore nei secoli a venire.

L'autore ringrazia Chandran Nair per i suoi commenti sulla situazione in Cina. 

 

1. https://ugobardihomepage.blogspot.com/2016/04/ugo-bardis-personal-home-page.html 

2. http://www.nhc.gov.cn/xcs/yqtb/202010/2fbce5a9836d4b09a89a0d85a2e05ac2.shtml

3. https://www.globaltimes.cn/content/1203836.shtml

4. https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=176464484012617&id=111172767208456 

5. https://ugobardi.blogspot.com/2020/10/pandemia-e-possibile-che-qualcuno-ci.html

6. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/11734851/

7. http://www.fao.org/3/Y3354M/Y3354M00.htm

8. https://www.youtube.com/watch?v=E7kor5nHtZQ

9. https://www.youtube.com/watch?v=9ulY7N3dZ9k

10. https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-07-25/these-elite-contact-tracers-show-the-world-how-to-beat-covid-19

11. https://www.nature.com/articles/s41591-020-1112-0



venerdì 30 ottobre 2020

Progettiamo oggi il paradigma socio-economico del domani

 

di Marco Montecchi

Fisico Ricercatore presso ENEA

mmonthy@gmail.com

+39 348 596 8888

Un esercizio per delineare un nuovo sistema socio-economico realmente sostenibile, basato su un “salto evolutivo” rispetto alle attuali regole che ci governano. E’ ormai ampiamente dimostrata l’insostenibilità di un sistema economico basato sulla crescita della produzione di beni, essendo inesorabilmente destinato al collasso quando applicato in un mondo finito con risorse limitate: non ci sono più terre da esplorare; almeno nel breve e medio periodo, non ci sono più territori da colonizzare; in altre parole il mondo è diventato un sistema chiuso in cui ogni strategia basata su un ulteriore ampliamento è destinata al fallimento con conseguenze disastrose per tutti. In una nuova vision l’Europa può giocare un ruolo molto importante e ridiventare la guida per un mondo nuovo in cui la parola chiave siano “benessere” e “buona vita”.

 

      1. Il problema: il pensiero unico

La necessità di adottare un nuovo paradigma socio-economico, alternativo al modello corrente neoliberista, è sempre più impellente:

  1. sfruttiamo più risorse di quanto la Terra possa offrire. Nel 2019 l’overshoot day è anticipato al 29 Luglio! Il miglioramento rilevato nel 2020, 22 Agosto, è solo temporaneo, dovuto al rallentamento imposto dalla pandemia Covid-19;

  2. il Pianeta è sfigurato dall’antropizzazione dilagante;

  3. l’eccessivo rilascio di gas serra sta inducendo rilevanti cambiamenti climatici;

  4. la quota di lavoro umano necessaria è rapidamente erosa dal poderoso sviluppo di intelligenza artificiale e robot;

  5. capitalismo e neoliberismo sono oramai entrati in una crisi sistemica causata dalla finitezza del Pianeta e delle sue risorse, solo ritardata dall’economia del debito.

Purtroppo le classi dirigenti non sembrano cogliere la gravità della situazione, rimanendo ostaggio del mito della “crescita” e del “lavoro” stile vecchio millennio. Sarebbe, invece, necessario adoperarsi per progettare un paradigma socio-economico alternativo per poi avere il coraggio e la lucidità Politica di intraprendere i primi passi realizzativi.

 

      1. Avvertenze per i progettisti

Nel progettare un nuovo paradigma socio-economico si dovrebbe tener conto che:

A) fissata una soglia minima alla qualità di vita che si vuole garantire ad ogni essere umano, esiste un limite alla numerosità della popolazione umana affinché non si consumino più risorse di quante il pianeta riesca a rigenerare, o si inducano cambiamenti climatici per eccesso di consumi energetici, o si stravolga la biosfera per eccessiva antropizzazione del territorio.

B) infatti per non destabilizzare il pianeta con il riscaldamento globale, una volta risolto il problema della emissione di gas serra, esiste comunque un limite massimo all’energia fruibile dall’uomo sulla Terra, in quanto a fine uso la gran parte di essa viene convertita in energia termica. Attualmente l’ammontare di energia prodotta (trasformata, per essere più precisi) dall’uomo è circa 10-4 rispetto al quantitativo di energia che la Terra riceve dal Sole, contro il 10-2 del minore irraggiamento di energia nello spazio causato dall’effetto serra. Quindi, eliminato il problema dell’emissione di gas serra, potremmo ancora accrescere il quantitativo di energia prodotta solo di un ordine di grandezza (ossia 10), altrimenti saremo nuovamente nella condizione di indurre cambiamenti climatici. Morale: dobbiamo accettare l’idea dell’esistenza di un limite al quantitativo di energia di cui possiamo disporre sulla Terra, indipendentemente dalla fonte utilizzata, anche se nel caso delle fonti rinnovabili l’impatto è minore in quanto esse attingono al quantitativo di energia che la Terra riceve dal Sole, posticipando il momento della sua conversione in energia termica; di contro la fonte nucleare (sia da fissione che da fusione) impatta per intero, in quanto trasforma energia che era immagazzinata sotto forma di legami nucleari in energia termica.

C) inoltre, per non alterare la biosfera, l’antropizzazione deve essere limitata ad una frazione della superficie terrestre; infatti il sistema suolo-atmosfera è di tipo complesso, regolato da leggi Fisiche non lineari. Data la complessità, una variazione minima in una piccola parte del sistema, può innescare una catena di eventi con ripercussioni enormi sull’intero sistema complesso spostando significativamente le condizioni di equilibrio in modo assai difficilmente prevedibile, con serie conseguenze sulle varie forme di vita attuali.

D) la logica del profitto, che soggiace a capitalismo e Neoliberismo, non è compatibile né al regime stazionario richiesto dalla finitezza del Pianeta, né alla drastica riduzione dell’ammontare della quota di lavoro umano necessario (“lavoro necessario”) dovuta all’avvento di robots sempre più evoluti e al contemporaneo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

E) L’uomo è un animale sociale guidato dalla ricerca del benessere con esiti che possono spaziare dal puro egoismo alla totale abnegazione per un qualche scopo trascendente l’individuo stesso; ama primeggiare, distinguersi e assicurarsi il meglio. Ad esempio ci si può sentire appagati sia dal consumare un pasto prelibato che dal premurarsi di offrire cibo a qualche bisognoso affamato. Questo spiega l’ampio spettro dell’agire umano: dalle peggiori nefandezze ad azioni ammirevoli e nobili. Purtroppo mediamente l’agire umano è piuttosto meschino: guidato dal tornaconto personale, magari familiare e più raramente del gruppo di appartenenza; nell’ultimo caso facilmente l’agire è a scapito di uno o più gruppi concorrenti. 

 

      1. Utopia Sostenibile: un esempio di modello alternativo

Premessa. Utopia Sostenibile è il modello socio-economico che ho voluto tratteggiare a dimostrazione della possibilità di poter concepire paradigmi alternativi. Non è assolutamente mia intenzione convincere il lettore che sia il migliore dei paradigmi; anzi, vorrei fosse da stimolo per ognuno a prefigurare una propria alternativa. Sarebbe poi molto utile confrontare i diversi modelli per cercare di delinearne di nuovi, più evoluti, basati sulle idee migliori; alla fine si potrebbe quindi convergere su una rosa ridotta dei paradigmi più promettenti, condivisi.

Principi fondamentali. E veniamo all’Utopia Sostenibile: il suo tratto principale è la sostituzione della logica del profitto con i valori di Solidarietà, Condivisione e Bene Comune; come sarà meglio chiarito a breve, il nuovo cittadino non è più mosso dalla bramosia di potere, denaro e accumulo, ma dalla ricerca della gratificazione per accrescimento personale e per riconoscenza sociale. Tali valori implicano un salto evolutivo della società umana, allontanandola con decisione dagli albori della preistoria. All’individuo è riconosciuta unicità e libertà di scelta, ma lo si educa per rinforzare le modalità di ricerca del benessere che abbiano esiti non egoistici e fare maturare in lui una visione olistica del sistema in cui vive e agisce, per renderlo consapevole e quindi più responsabile nel suo agire.

Joule-coin, valore dei beni e flusso naturale della valuta. Purtroppo non basta enunciare dei buoni principi innovatori per innescare un cambiamento; servono anche azioni decise e coraggiose che comportino un cambiamento sostanziale del contesto di vita e quindi del comportamento delle persone. Il grimaldello che propongo per forzare la transizione è il combinato di tre parti:

  1. allineare l’unità di valuta sull’unità Fisica dell’energia, il Joule (Joule-Coin);

  2. ancorare il valore di ogni bene al corrispettivo quantitativo di energia necessario alla sua realizzazione e smaltimento a fine vita, se di bene materiale si tratta.

  3. adottare per la valuta il flusso naturale dell’energia, riconoscendo ad ogni cittadino l’Energia di Cittadinanza per il solo fatto di esistere e di far parte della società

E’ bene sottolineare che a differenza delle valute attuali, Il JouleCoin non è stazionario, ma viene “coniato” nel momento in cui l’equivalente ammontare di energia è reso disponibile e si “annichilisce” nel momento in cui esso è utilizzato per acquisire un dato bene.

Questa proposta colpisce il cuore del sistema corrente: il denaro; le società cosiddette evolute ne sono ossessionate. Il denaro è stato lo strumento principe per andare oltre il baratto. Semplificando, all’inizio il valore di una moneta era conferito dal materiale stesso in cui era prodotta; è seguita una fase in cui il suo valore era garantito dalla riserva aurea dello stato; infine questo compito è stato lasciato al mercato, ovvero alla finanza.

Dal mio punto di vista, di Fisico, tutto ciò non mi è mai apparso convincente, per la mancanza di oggettività. La proposta in oggetto è articolata in modo tale da stravolgere completamente l’approccio: il valore del denaro è oggettivamente ed univocamente ancorato all’energia, il Joule; il valore di ogni cosa (materiale ed immateriale) è ancorato oggettivamente e univocamente al quantitativo di energia richiesto per produrla/realizzarla; se bene materiale, a questa va aggiunto l’ammontare di energia necessaria al suo smaltimento al termine del ciclo di vita. Fine dell’arbitrarietà, fine della speculazione finanziaria.

A completamento del cambiamento, nell’Utopia Sostenibile il flusso del denaro-energia è ricondotto a quello naturale: ogni forma di vita sulla Terra si sviluppa tra i mille rivoli di conversione dell’energia, a partire da quella solare di tipo elettromagnetico, distribuita nell’intervallo UV-VIS-NIR, ricevuta dalla superficie terrestre, a quella infrarossa riemessa dalla Terra verso lo spazio; a cui si deve aggiungere quella immagazzinata, più o meno a lungo, in forma di legame chimico. Per avere stazionarietà climatica, l’ammontare dell’energia ricevuta dal Sole deve coincidere con la somma di energia immagazzinata più quella riemessa nello spazio, pena riscaldamento o raffreddamento globale. In questo fluire si sviluppa anche la vita dell’uomo, al pari di tutte le altre forme di vita. Appare così evidente che l’uomo abbia diritto a usufruire gratis della sua quota di energia, solo per il fatto di esistere. Il lavoro propriamente detto che gli si richiede per poter usufruire della Energia di Cittadinanza nell’ambito dell’Utopia Sostenibile è ridotto allo stretto necessario per mantenere efficiente la società in cui vive; infatti sono la società e il bagaglio di conoscenze acquisite che consentono di innalzare il tenore della qualità di vita rispetto al livello primordiale. E’ quindi essenziale che il cittadino comprenda l’importanza del prendersi cura in prima persona della società e della cultura.

Sottolineiamo che in questo scenario la Politica e la pianificazione dello sviluppo, o meglio del progresso sostenibile, saranno automaticamente modulate sull’ammontare effettivo di energia disponibile, possibilmente ottenuta da fonti rinnovabili. Differentemente dalla concezione Neoliberista, la produzione di beni e servizi dovrà essere limitata a quanto effettivamente necessario/richiesto. Rispetto alla situazione corrente di consumismo sfrenato e spreco di risorse, questo punto è rivoluzionario; la sua attuazione sottende l’adozione di un’oculata pianificazione annuale di produzione e sviluppo.

Lo Stato come direttore d’orchestra. Nell’Utopia Sostenibile ogni anno lo Stato disporrà dell’ammontare totale dell’energia generata in modo rinnovabile e sostenibile. Una quota sarà trattenuta dallo Stato per svolgere tutte le attività di bene comune, quali realizzazione e mantenimento delle infrastrutture (centrali per la trasformazione dell’energia, vie di comunicazione, telecomunicazioni, acqua, gas, elettricità) e garantire servizi di pubblica utilità (ospedali, scuole, servizio civile, etc.); la parte rimanente andrà equamente suddivisa tra i cittadini a mo’ di Energia di Cittadinanza.

Nel pensiero appena formulato è comparsa la figura dello Stato. A scanso di malintesi vorrei subito precisare che lo Stato a cui penso non è meramente impositivo, ma ha la funzione importantissima di coordinare l’agire umano nella società; altrimenti si rischierebbe l’incoerenza delle azioni individuali, a detrimento delle caratteristiche dell’impatto umano sul pianeta. Auspico un rapporto Stato-Cittadino simile a quello che vige tra direttore d’orchestra e musicista: ogni musicista ha il suo spartito; il direttore d’orchestra lavora per rendere l’esecuzione del brano armoniosa. Proseguendo in questa analogia, come affermato da un mio buon amico e collega violinista, il musicista non prova senso di costrizione nel suonare in una orchestra per il semplice motivo che questo è frutto di una sua scelta. Analogamente il cittadino-musicista dovrebbe avere la possibilità di scegliere la comunità a cui associarsi in base ad affinità: verosimilmente il nuovo sistema socio-economico si realizzerà in una moltitudine di comunità interconnesse; ognuna sarà contraddistinta da caratteristiche specifiche indotte sia dal territorio che dagli individui che la compongono.

Ben consapevole di quanto lo Stato possa comportare derive autoritarie o quantomeno distopiche, invito il lettore a segnalarmi forme organizzative alternative, più leggere, che assicurino una sufficiente grado di coordinazione e coerenza dell’agire umano.

In cambio della fruizione dell’Energia di Cittadinanza, il cittadino dovrà rendersi disponibile a dedicare parte del suo tempo allo svolgimento di una delle funzioni di interesse sociale non demandabili a robots e macchine. Questo è il nuovo concetto di occupazione. Pertanto per definizione nell’Utopia Sostenibile non ci può essere disoccupazione! I compiti andranno distribuiti tenendo conto delle attitudini e possibilmente dei desideri individuali; gli obiettivi minimi andranno calibrati sulle capacità e possibilità individuali. Con il progredire della tecnica, l’ammontare complessivo delle attività di pubblica utilità da far svolgere ad umani sarà sempre più esiguo; pertanto l’individuo disporrà sempre più di tempo libero. Insomma nel nuovo contesto tutti hanno un’occupazione, ma con impegno ridotto al minimo indispensabile.

Il cittadino utilizzerà la sua quota energia per disporre di tutto il necessario per la sopravvivenza; con il surplus potrà beneficiare di beni, servizi e svaghi di importanza non strettamente vitale, secondo i propri gusti, in piena libertà, ma rispettando le regole di convivenza e i vincoli di sostenibilità. Avrà diritto alla fruizione secondo i propri desideri delle strutture sociali e alla piena disponibilità del tempo rimanente.

Tenendo conto dell’indole umana, per invogliare il cittadino a prendersi cura del bene comune, gli saranno riconosciute ricariche di energia supplementari qualora, al di là delle sue mansioni di competenza, avrà conseguito pregevoli risultati di pubblica utilità.

Problema esistenziale e rischio di decadenza. Una volta che sia stata ampiamente garantita la sussistenza, ogni uomo necessita di porsi un qualche importane obiettivo esistenziale da perseguire nel corso della propria vita. La crescente disponibilità di tempo libero e di benessere renderanno più difficile l’individuazione di obiettivi esistenziali; molti uomini, annoiati dalla vita e alla ricerca di emozioni forti, potrebbero estraniarsi ricorrendo a droghe e/o realtà virtuali; la società potrebbe andare in decadenza. Diversamente l’uomo del domani dovrebbe sfruttare la maggiore disponibilità di tempo libero per dedicarsi a una qualche forma di sapere o di espressione artistica, dovrebbe dedicarsi al prossimo, all’ambiente, accrescere la sua consapevolezza, cercando di contenere la sua brama di potere e di possesso.

L’educazione, garantita dallo Stato, favorirà la maturazione di una visione olistica e sarà tesa ad incoraggiare ed aiutare il cittadino-studente ad individuare e sviluppare le sue migliori attitudini e capacità. Una volta formato, l’individuo potrà scegliere tra le mansioni sociali quella/e di maggiore gradimento, compatibili con la sua formazione. Anche successivamente l’accrescimento personale sarà una fonte importante di gratificazione.

La Ricerca e lo Studio in ogni settore saranno incoraggiati senza alcun limite, nel rispetto di un codice etico condiviso e saranno supportati in base alla rilevanza sociale e/o importanza culturale.

Per evitare che la società degradi verso un agglomerato di monadi, al di là dei limiti tecnologici per l’automazione delle attività necessarie, sarebbe opportuno che il cittadino continuasse comunque a dedicare parte del suo tempo nel prendersi cura degli altri e del bene comune. Anche perchè questo impegno, se svolto con cura e passione, verrà premiato con la riconoscenza sociale che è enormemente più appagante di qualsiasi tornaconto materiale.

Limite demografico. Per garantire la quasi stazionarietà del sistema sarà necessario governare l’andamento demografico, preferibilmente sensibilizzando la società e la curando la consapevolezza del singolo. Più precisamente, definito il tenore della qualità di vita che si vuole garantire ad ogni individuo, la popolosità dovrebbe rispettare il più stringente tra i seguenti tre vincoli: 1) mantenere il fabbisogno energetico al di sotto della soglia oltre cui c’è il rischio di innescare cambiamenti climatici; 2) mantenere il consumo di risorse naturali entro le capacità rigenerative del pianeta; 3) mantenere la frazione di territorio antropizzato al di sotto della soglia oltre cui c’è il rischio di modificare la biosfera.

La transizione. A meno di malaugurati eventi catastrofici che lascino spazio ad una ricostruzione ex-novo, la transizione avverrà gradualmente; ad esempio si introdurranno nuovi indici nella determinazione del PIL (ad oggi elemento fondamentale per determinare il valore di un sistema paese) tali da valorizzare la “buona vita” e il “benessere” dell’individuo. Una transizione in cui Solidarietà, Condivisione e Bene Comune assumano sempre maggiore valore e l’agire umano sia sempre più modulato sull’effettivo quantitativo di energia ottenuta in modo sostenibile. Automatizzazione e Intelligenza Artificiale saranno utilizzati per ridurre il “lavoro necessario” e lasciare sempre più tempo alla “libera occupazione”.

Un esempio per comprende meglio l’Utopia Sostenibile. Come cittadino, per avere diritto al dividendo di energia di cittadinanza, dovrò impegnarmi a ricoprire una quota di “lavoro necessario” (ossia non eseguibile da macchine e robot) che mi sarà assegnata tenendo conto sia della mia formazione che delle mie attitudini; ad esempio potrei eseguire lavori di ecologia ambientale. Sarò motivato ad eseguire bene il “lavoro necessario” sia perché mi è consono, sia perché ci metto la faccia e potrò godere del riconoscimento sociale conseguente ad un lavoro ben fatto.

Con il quantitativo di energia pro-capite sarò in grado di assicurarmi vitto, alloggio e l’acquisizione dei beni accessori di mio interesse (ad esempio una motocicletta o l’impianto Hi-Fi) il cui valore è fissato univocamente al quantitativo di energia necessaria per produrli.

Sono libero di utilizzare il tempo rimanente nelle occupazioni che più mi aggradano; ad esempio, oltre che coltivare affetti e amicizie, potrei partecipare ad un gruppo di ricerca scientifica nel campo delle energie rinnovabili e suonare in un gruppo musicale.

Inoltre, potrò godere di buoni premio energia quando il mio operato avrà rilevanti ricadute sociali.


      1. Passi successivi auspicabili

Come già dichiarato, non è assolutamente mia intenzione propagandare l’Utopia Sostenibile come il miglior paradigma socio-economico alternativo; piuttosto vorrei stimolare ogni lettore a sviluppare un proprio modello alternativo. Al contempo vorrei innescare una seria fase progettuale in cui, a partire dal confronto dei diversi modelli proposti, si riesca ad elaborarne di più evoluti e promettenti, giungendo ad una rosa ristretta di proposte più evolute e condivise.

Si dovranno quindi sollecitare organismi sovranazionali, come la UE o l’ONU, a sponsorizzare la creazione di comunità pilota in cui testare i modelli più promettenti. Ad esempio in Italia si potrebbe sfruttare l’enorme potenziale delle zone interne appenniniche, oramai in stato di semi-abbandono.

La fase di sperimentazione in campo è necessaria e fondamentale per validare il paradigma; permetterà di apportare modifiche e di valutare l’efficacia del modello sulla base dei risultati ottenuti.

Disporre di un campionario di paradigmi socio-economici ben definiti e già valutati in campo sarà di grande aiuto per i decisori politici quando la crisi del sistema attuale si acuirà e si verificheranno collassi regionali a cui si dovrà dare risposta apportando cambiamenti sistemici concreti e sostanziali.

Per raggiungere questi risultati è necessario un lavoro di squadra: il singolo può fare poco o nulla!