Uno dei pilastri
della teoria cancrista consiste nel ritenere che l’opera distruttiva dell’uomo ai
danni della biosfera sia la risultante di due elementi sviluppatisi nel
patrimonio genetico della nostra specie nel corso dell’evoluzione.
Il primo elemento,
comune a tutti gli esseri viventi, è l’istinto di conservazione (o di
sopravvivenza, individuale e della specie).
Il secondo elemento,
specifico dell’uomo, è quell’abnorme evoluzione del nostro cervello di cui ho
già avuto modo tante volte di parlare (vedi ad esempio il mio primo articolo per
Effetto Cassandra, “Il
cancro del pianeta: una teoria inquietante per scuoterci dal fatalismo
progressista che ci attanaglia”).
Ora ritorno sull’argomento
per aggiungere un nuovo tassello a questa teoria che si prefigge di aprire gli
occhi a quante più persone possibile, per evitare che corrano verso il baratro come
i topolini del pifferaio magico.
Questo tassello
prende il nome di “volontà di potenza” ed è la sublimazione del primo elemento
(l’istinto di conservazione) attuata per il tramite del secondo elemento (l’intelletto
ipersviluppato del genere umano).
Il termine, come
noto, fa parte del repertorio nietzschiano, ma, senza voler togliere nulla al
profeta del superuomo, io ne propongo una nuova lettura, meno poetica, ma più
aderente alla realtà di questi giorni.
In pratica, a mio
avviso, ogni istinto racchiude in sé una volontà di potenza, una spinta
espansiva insita nel corredo genetico ereditario di ciascun essere, pianta o
animale. L’albero si innalza verso il cielo, il fiore sboccia, l’animale mangia,
si accoppia, si riproduce.
Alla base del
fenomeno “vita” vi è questa spinta che possiamo chiamare istinto, volontà,
forza vitale. In ciascun essere essa è commisurata con le dimensioni e le
necessità essenziali al mantenimento in vita dei singoli individui e delle
singole specie.
Dall’incontro –
scontro tra le specie nasce quell’equilibrio dinamico che ha sin qui consentito
al fenomeno “vita” di perpetuarsi. Spesso i singoli individui soccombono, ma le
specie nel loro complesso sopravvivono. Quasi tutte rivestono il doppio ruolo
di predatrici e di prede, secondo il ben noto schema della catena alimentare.
Ma nel genere umano
questa spinta ha subìto l’imprevista e improvvisa accelerazione derivante dalla
alterazione genica che ci ha trasformati in cellule cancerogene del pianeta. Su
come e perché si sia prodotta tale alterazione si vedano gli articoli di Viola
Rita (“Il
cervello dell’uomo è così grande a causa di un “errore” genetico”) e di
Edoardo Boncinelli (“Quel
gene che ha fatto la differenza tra noi e le scimmie”), oltre alla
documentazione di natura scientifica riportata nel mio blog ( sezione “Documenti
scientifici”).
Quello che era un
istinto necessario alla sopravvivenza si è trasformato nella volontà di
potenza, un’arma micidiale che ci ha posto in condizione di sottomettere il
resto della natura. E, una volta in grado di farlo, lo abbiamo fatto, eccome se
lo abbiamo fatto!
Tutto è stato
assoggettato alle nostre necessità, o meglio ai nostri voleri, anche i più
voluttuari e superflui.
Salvo incappare in un
invisibile virus che da un momento all’altro si è dimostrato capace di mettere
in ginocchio tutte le società umane ovunque diffuse.
Questo ostacolo sul
cammino trionfale dell’umanità verso oscuri traguardi, dovrebbe indurci a
riflettere sulle nostre reali capacità di tenere sotto controllo le infinite
variabili esistenti nel mondo della natura, ma non sarà così.
Sconfiggeremo anche
questo virus e proseguiremo la nostra folle corsa. Il fatto che per trovare un
rimedio a questa pandemia ci sia voluto più di un anno sarà presto dimenticato,
mentre dovrebbe indurci a riflettere seriamente sulle nostre reali capacità di sostituire
l’equilibrio naturale con quello artificiale tipico dell’Antropocene.
Sui limiti del nostro
intelletto mi sono soffermato in un recente articolo (“Sapere di non sapere o Sapere di non poter sapere?”). Se consideriamo l’effettività di questi limiti associata
alla sconfinata volontà di potenza che ci contraddistingue, appare come
inevitabile la serie di dissesti che stiamo producendo ai danni della biosfera a
un ritmo sempre più serrato.
Cosa contrapporre a
questo stato di cose?
L’istinto è qualcosa
di innato e non è quindi contrastabile. Oltretutto è il frutto di una infinita
serie di passaggi intervenuti nel corso del processo evolutivo e, se ha consentito
la nostra sopravvivenza per milioni di anni, significa che ha sinora svolto
egregiamente la sua funzione.
L’abnorme evoluzione
del nostro intelletto è conseguita a un’alterazione sopraggiunta casualmente ai
danni del nostro patrimonio genetico. Pur se si è prodotta per vie naturali non
ci è dato di far sì che ciò che è accaduto non sia mai accaduto. Il paragone
con la carcinogenesi mi pare il più azzeccato: anch’essa è frutto di una
alterazione tanto casuale quanto infausta del patrimonio genetico, ma una volta
intervenuta non è modificabile.
Ma, dinanzi alla
prospettiva di una nuova estinzione di massa provocata dalle nostre limitate
capacità di controllo degli squilibri causati all’ecosistema, non è neppure
ipotizzabile un atteggiamento di indifferenza. I più sensibili alle tematiche
ambientali hanno già iniziato a reagire, i meno sensibili saranno costretti a
farlo dai colpi che il clima alterato e l’inquinamento crescente ci
assesteranno sotto forma di uragani, tempeste, allagamenti e quant’altro.
In questo quadro,
veramente degno di Cassandra, la rilettura in chiave negativa proposta dal
Cancrismo di tutta la storia della cosiddetta civiltà, vorrebbe fornire ai meno
sensibili l’occasione per rivedere le proprie posizioni, spingendoli
soprattutto a fare tutto il possibile per rallentare la marcia verso l’ecocatastrofe.