mercoledì 16 dicembre 2015

Clima: camminare su un sentiero di montagna con gli occhi chiusi sperando che il burrone sia ancora molto lontano...

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Questo post è stato leggermente modificato rispetto alla versione apparsa in inglese




Il pericolo del cambiamento climatico continua ad essere ampiamente frainteso o ignorato. 


Il cambiamento climatico, a quanto pare, viene visto come qualcosa di lontano, la sua importanza viene sminuita da minacce più immediate, dal terrorismo alle preoccupazioni finanziarie. E i governi sembrano soffrire di sindrome di sdoppiamento della personalità, con i politici che si accalcano a Parigi per dichiarare l'assoluta necessità di salvare il pianeta per le future generazioni e poi tornano a casa e dichiarano l'assoluta necessità di far ripartire la crescita.

Ma la minaccia climatica non riguarda le future generazioni. E' una cosa che avviene adesso, che è avvenuta per un secolo e che continua ad avvenire, portandoci lungo un sentiero pericoloso che finisce da qualche parte, probabilmente in un burrone ripido.

Ecco un riassunto della situazione ad oggi. Non è da intendersi come esauriente, ma come un tentativo di cogliere i punti principali di quello che sta avvenendo.


1. Gas serra.  Il biossido di carbonio e il metano sono i principali gas serra generati come risultato delle attività umane. Il loro accumulo nell'atmosfera continua. Riguardo al CO2, il 2015 probabilmente è stato l'ultimo anno della storia durante il quale gli esseri umani hanno potuto respirare un'aria che ne contiene meno di 400 ppm. Da adesso in poi, le concentrazioni saranno maggiori. Non sappiamo quali effetti avranno queste concentrazioni sulle persone, ma sappiamo che gli esseri umani non hanno mai sperimentato un'atmosfera con più di 300 ppm di CO2 per più di 100.000 anni della loro esistenza come specie. Sappiamo anche che il processo cognitivo umano è già compromesso in modo misurabile a concentrazioni al di sopra delle 600-800 ppm. Riguardo al metano, anche le sue concentrazioni stanno aumentando dopo un periodo di stasi che è durato fino al 2006. Esistono possibilità preoccupanti che le temperature in aumento genereranno un “punto di non ritorno” in cui il rilascio di metano intrappolato nel permafrost delle alte latitudini diventerebbe una fonte indipendente e fuori controllo di gas serra. Finora, non ci sono prove che ciò stia avvenendo, ma ci sono rapporti preoccupanti di esplosioni di metano rilasciate da crateri in Siberia.

2. Temperature. Il cambiamento climatico non significa solo aumento delle temperature, ma questa probabilmente ne è la manifestazione più diretta e visibile. La Terra è diventata sempre più calda durante l'ultimo secolo, più o meno, ed oggi la cosiddetta “pausa” è finita, se è mai esistita. Il 2015 sta per diventare l'anno più caldo mai registrato, con buone possibilità che il 2016 sia anche più caldo. Siamo molto vicini, o abbiamo già superato, ad 1°C di aumento della temperatura media rispetto al periodo preindustriale. Gli effetti di questo riscaldamento sono molteplici: siccità, ondate di calore, fusione dei ghiacciai, aumento del livello del mare ed altro. E più la Terra si riscalda, più questi effetti sono importanti.

3. Fusione dei ghiacci e livelli del mare. La fusione celle calotte glaciali e dei ghiacciai continua inarrestabile, anche se non si è verificato nessun evento spettacolare, finora. Alcuni studi sembrano indicare che l'Antartide abbia guadagnato un po' di calotta glaciale dal 2008 a causa dell'aumento delle nevicate ma, anche se questo risultasse essere vero, la tendenza complessiva alla fusione è evidente. La fusione dei ghiacciai continentali sta destabilizzando le montagne, causando frane estese. L'acqua dolce che fluisce nell'oceano è uno dei fattori principali che causano un aumento dei livelli dei mari. Al momento ci troviamo ad un livello di circa 20 cm più alto di quando sono iniziate le misurazioni, alla fine del XIX secolo. Finora, nessuna città costiera o isola abitata è finita sott'acqua in modo permanente, ma se la tendenza ad aumentare continua questo sarà un problema enorme.

4. Disastri legati al meteo e al clima. Gli schemi meteorologici che cambiano sono uno dei fattori che hanno generato un rapido aumento dei disastri naturali nel XX secolo. Il numero di disastri sembra aver raggiunto un picco intorno al 2004-2006, anche se il danno arrecato continua ad aumentare in termini monetari. Il cambiamento degli schemi meteorologici sta causando danni considerevoli all'agricoltura, colpita dalle siccità (come sta succedendo negli Stati Uniti) e dagli instabili schemi delle precipitazioni. Finora, la produzione di cibo non è stata colpita pesantemente, perlomeno in media e la produzione di cereali rimane stabile, o persino in crescita. Tuttavia, i paesi poveri sono particolarmente a rischio, visto che i contadini non hanno le risorse finanziarie necessarie per adattarsi. La produzione ittica è in declino quasi ovunque, in gran parte a causa della pesca eccessiva, ma anche a causa del riscaldamento degli oceani.

5. Altri effetti. Tutti quelli precedenti sono effetti che possono essere classificati sotto l'etichetta del “cambiamento climatico”, a sua volta un effetto del riscaldamento causato dalla forzante serra. Tuttavia, i cambiamenti in corso nell'ecosistema sono molto più complessi ed estesi. Per esempio, l'acidificazione degli oceani si sta verificando come un effetto del discioglimento del CO2 ad un livello di circa 0,1 unità di pH e che potrebbe avere effetti negativi sui coralli. Dovremmo considerare l'eutrofizzazione, l'erosione del suolo, la dispersione di metalli pesanti, la copertura del terreno con strutture permanenti, le estinzioni multiple, la deforestazione e molto altro.

Anche se breve, questo elenco mostra quanto siano giganteschi e in gran parte irreversibili i cambiamenti che hanno luogo. La Terra sta cambiando, viene trasformata in un pianeta diverso, un ambiente che i nostri antenati non hanno mai conosciuto, ma che non possiamo evitare di affrontare. In questa situazione, un certo grado di adattamento è sicuramente possibile per gli esseri umani. L'aria condizionata può aiutare contro le ondate di calore, l'agricoltura si può adattare alle siccità con l'irrigazione o passando a varietà diverse di piante, le opere ingegneristiche possono aiutare contro le alluvioni e gli incendi possono essere spenti con vari metodi. Ma ci sono limiti all'adattamento e i problemi tendono ad arrivare non gradualmente, ma tutti in una volta. Per esempio, quando New York ha subito la disastrosa inondazione del 2012, l'aumento del livello del mare è stato sicuramente un fattore che ha peggiorato il problema.

In molti casi vediamo una situazione in cui le grandi emergenze legate al clima potrebbero avvenire in ogni momento. Ci sono varie possibilità, come quella di nuove ondate di calore paragonabili, o peggiori, di quella del 2003, che ha rivendicato circa 70.000 vittime in Europa. Potremmo vedere il collasso di grandi masse di ghiaccio dall'Antartide o dalla Groenlandia che porterebbero ad un disastroso e rapido aumento del livello del mare. Oppure cambiamenti degli schemi meteorologici che colpiscono negativamente l'agricolture e quindi la produzione di cibo. O qualcos'altro. In ogni caso, man mano che la forzante serra continua ad aumentare, queste possibilità diventano sempre più probabili.

In cima a tutto questo, c'è la terribile possibilità di un “punto di non ritorno climatico”, il fatto che dopo aver raggiunto un certo grado di riscaldamento, l'intero ecosistema, comincerà a rilasciare il metano immagazzinato nel permafrost, spingendo sé stesso in un nuovo stato di temperatura. Questo nuovo stato potrebbe essere così caldo da rendere gran parte del pianeta inabitabile per gli esseri umani. Ovviamente, non c'è modo di adattarsi ad un evento del genere.

Eppure, non sarebbe impossibile stabilizzare il clima passando ad un'economia completamente alimentata dall'energia rinnovabile prima che sia troppo tardi. Ma ciò richiede sacrifici che, al momento, nessuno è disposto a fare. Quindi, continuiamo a camminare lungo il sentiero di montagna con gli occhi chiusi, sperando che il burrone sia ancora molto lontano...



martedì 15 dicembre 2015

Le grandi promesse dell'accordo climatico di Parigi minate da squallide limitazioni

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Di George Monbiot

Finché i governi non si impegnano a tenere i combustibili fossili nel sotto terra continueranno a minare l'accordo che hanno appena sottoscritto


La conferenza sul cambiamento climatico COP21 dell'ONU a Parigi. Qualsiasi cosa accada adesso, non saremo visti di con benevolenza dalle generazioni successive. Foto: Christophe Petit Tesson/EPA 

In confronto a come poteva essere, è un miracolo. In confronto a cosa doveva essere, è un disastro.

domenica 13 dicembre 2015

Il post-capitalismo incipiente?

di Jacopo Simonetta

In Europa occidentale dove è nato, Il capitalismo è vecchio ormai di 300 anni.   Non moltissimi in una prospettiva storica, ma comunque una rispettabile età.   Durante questo ormai lungo periodo è stato dato per spacciato varie volte, ma sempre ha trovato il modo di cavarsela e, anzi, uscire dalla crisi più forte di prima.    Direi anzi che la principale caratteristica di questo singolare sistema socio-economico è la sua incredibile resilienza.   La sua capacità, cioè, di reagire alle difficoltà rilanciando ogni volta la sua scommessa ad un livello più alto.   Se mai è esistita una filosofia politica della rivoluzione permanente, questa è proprio il capitalismo.

“Si dissolvono tutti i rapporti sociali stabili e fissi, con il loro seguito di concezioni e di idee tradizionali e venerabili; i nuovi rapporti invecchiano prima di essere consolidati.  Qualsiasi elemento di gerarchia sociale e di stabilità di casta se ne va in fumo, tutto ciò che era sacro è profanato”.   Non lo scrivono Balzac o il Conte di Chambord parlando del socialismo; lo scrive Marx nel 1848 riferendosi al capitalismo.

Tra i fattori che concorrono a questo straordinario risultato, direi che i principali sono i seguenti:

1. Fa appello ai peggiori istinti di ognuno, quali l’avidità e l’egoismo.  Una volta un mio amico, sostenitore convinto del capitalismo, ne condensò così la natura: “L’istinto naturale dell’uomo è fregare il prossimo e questo è un sistema con il quale ognuno, tirando a fregare gli altri, senza saperlo fa il bene comune”.    Si può dissentire, ovviamente, ma è un fatto che molti tentativi di opporsi al capitalismo sono falliti perché chiedevano alla cittadinanza un livello ed una costanza morale che non erano alla portata dei più.

2. E’ acefalo.   Malgrado la passione di molti per “il nuovo ordine mondiale” ed i complotti, la forza del capitalismo risiede proprio nel fatto che si comporta come un “branco acefalo”.   Questo significa che i suoi centri di comando e controllo non possono essere colpiti perché non esistono, oppure possono essere continuamente corto-circuitati o sostituiti.   Alcune realtà che si sviluppano su internet funzionano sullo stesso principio e, difatti, sono molto difficili da contrastare.   Chi vuol capire come funziona faccia una gita in campagna ed osservi molto attentamente come si muovono i voli di storni all'imbrunire.   Anche lo storno è un animale estremamente resiliente, come il capitalista.


3. E’ onnivoro.   Il capitalismo si può nutrire di praticamente qualunque cosa esista, reale o virtuale che sia.   Nessun altro sistema vivente riesce a tanto.

4. E’ inclusivo e proteiforme.   Chiunque e qualunque cosa riesca ad acquisire una fetta di potere sufficientemente interessante, viene automaticamente cooptato nel sistema, senza che se ne renda neanche conto.   Questo vale per le persone e le organizzazioni, ma anche per le idee.   Si pensi a come le parole d’ordine dell’ambientalismo siano diventate quelle della pubblicità consumista.   Ma il fatto importante è che ciò non avviene per a seguito di un piano prestabilito, bensì per la natura stessa del capitalismo che è capace di assorbire e fare propria qualunque cosa possa essere usata.
Dal punto di vista di chi gli si vuole opporre, l’unico modo per non far parte del sistema è l’estrema marginalizzazione.   Ma in questo modo si perde completamente la possibilità di influire sul corso attuale degli eventi.

Dunque il capitalismo è una macchina termodinamica e culturale praticamente perfetta che, finora, si è dimostrata invulnerabile ed inarrestabile.   Ma proprio questa sua capacità di superare ogni limite potrebbe essere la sua condanna finale.   Il capitalismo è strutturato infatti in modo che non può sopravvivere in uno stato di equilibrio dinamico.   Il capitalismo o cresce o muore.

Dunque l’unica cosa che può distruggere il capitalismo è sé stesso, semplicemente esaurendo le risorse di cui vive ed avvelenando il mondo di cui fa parte.   Perché, per quanto possa utilizzare praticamente tutto, ci sono comunque dei limiti che non possono essere superati: quelli del Pianeta. Una volta che l’impatto con questi limiti avrà chiuso definitivamente ogni possibilità di ulteriore crescita, il capitalismo morirà da solo.   E ci sono buone ragioni per credere che questo momento sia abbastanza vicino.

Guarda caso, nessun nemico si profila all'orizzonte per sfidare il vecchio, ma il flusso di energia e materia che lo alimenta comincia a rallentare, mentre l’atmosfera, i suoli ed i mari stanno diventando inquietanti.   Il mantenimento dell’ipertrofica infrastruttura di cui si è dotato diviene problematica, come quello di un numero demenziale di persone che si guardano intorno sempre più smarrite, senza capire perché.

Sarà la volta buona?   Lo vedremo, intanto stanno sorgendo piccole ma agguerrite pattuglie di persone che cercano di capire quale sistema prenderà il posto del capitalismo, una volta conclusa la sua lunga e dolorosa agonia.

Un campo che trovo particolarmente interessante e, nel quale, segnalo questo articolo,   Mapping the Emerging Post-Capitalist Paradigm and its Main Thinkers 

Non dice niente che non si fosse già sentito tante volte, ma ha il merito di riassumere in una bella grafica “lo stato dell’arte” in materia di pensiero post-capitalista.   Dunque ne consiglio senz’altro la lettura e, soprattutto, consiglio di scaricare e conservare le grafiche, possono essere molto utili per orientarsi.   Non per nulla sono etichettate come “mappe”.

Tuttavia, non condivido lo spirito dell’articolo, né molte delle cose che vi si affermano.   In particolare, vorrei qui discutere molto brevemente i tre punti critici che, secondo gli autori, la nostra società starebbe attraversando:

Cambio di ordine sociale.  Da una società centralizzata e gerarchica ad una società organizzata orizzontalmente, decentralizzata e funzionante “dal basso verso l’alto”. Per ora nessun paese veramente capitalista è entrato in una fase successiva, ma i crescenti scricchiolii che si odono dalle fondamenta del sistema non suggeriscono ottimismo nel futuro a breve e medio-termine.   Del resto, in alcuni paesi che già sono entrati in una fase post-capitalista (Siria, Libia Iraq, Yemen fra gli altri) si assiste effettivamente alla disintegrazione delle strutture statali e sovra-statali.   Ma ciò che sorge è una miriade di gruppi e gruppuscoli, ognuno dei quali fortemente militarizzato, che combattono per accedere alle scarse risorse sfuggite alla digestione del sistema precedente.

Cambio di struttura economica.  Al posto di organizzazioni grandi e burocratizzate che producono grandi quantità di oggetti a buon mercato, nella nuova economia digitale è possibile sviluppare prodotti e servizi localmente e su piccola scala. La nuova economia digitale, qualunque cosa sia o sarà, necessita di un flusso costante ed abbondante di energia, oltre che di un costante ricambio di oggetti ad altissimo contenuto tecnologico (computers, Iphones, stampanti tridimensionali, servers e moltissimo ancora).   Tutta roba che solo l’economia capitalista attuale può essere in grado (per ora) di produrre in quantità massicce ed a prezzi arrivabili.

Cambio nei rapporti di potere.   Un tempo l’influenza politica e le economie di scala determinavano l’accesso alle risorse, alle conoscenze ed alle informazioni.   Conoscenze ed informazioni sono adesso accessibili al di fuori delle istituzioni politiche.   Ciò permetterà lo sviluppo di economie basate su conoscenze liberamente condivise. E’ vero che in rete si trova condivisa una miriade di informazioni di ogni livello e qualità.   Ma nessuno posta informazioni che possano avere un interesse commerciale e perfino le informazioni scientifiche sono spesso disponibili solo a pagamento.   E neanche sempre.   Per essere chiari, in internet si trovano miriadi di filmati che insegnano a coltivare le rape, ma nessun softwhere per la progettazione di una turbina moderna.   Certo, l’economia del futuro potrebbe essere fatta solo di ortaggi ed oggetti artigianali e  ci sono buone ragioni per pensarla così.   Ma questo significa che saremo in un’economia più o meno di sussistenza e, comunque, del tutto priva di gadget tecnologici.
Inoltre, quando anche disponibili, le informazioni sono utili solo se si dispone anche dell’energia e della materia per metterle in pratica.   Altrimenti servono a poco.

Dunque il capitalismo sta davvero morendo?   Forse, ma io credo che sia ancora presto per vendere la pelle dell’orso.    Siamo d’accordo che stavolta il vecchio è in un angolo molto stretto, ma ci ha già sorpresi più di una volta.   Inoltre, ammesso che il capitalismo davvero muoia, non credo proprio che un sistema sostitutivo potrà sorgere a breve termine e pacificamente.   Non è mai successo nella storia.  Alla fine di un sistema consolidato segue sempre un lungo periodo di disastri naturali e non.   Non a caso, almeno tre dei  quattro cavalieri di cui parla S. Giovanni, sono degli habitué del nostro pianeta.

La mia opinione è che il “nuovo mondo”, bello o brutto che sarà, potrà sorgere solo dopo che sarà conclusa la putrefazione di quello vecchio ed i cavalieri si saranno presi un po’ di ferie.   Paracelso sosteneva che la vita nuova nasce dalla putrefazione di ciò che era precedentemente morto.   Riferendosi a singoli organismi aveva certamente torto, ma parlando di sistemi sociali, forse, aveva ragione.




sabato 12 dicembre 2015

Il picco del diesel: revisione del 2015

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

qualche giorno fa è arrivata la notizia ai principali mezzi di comunicazione: alcuni motori a gasolio delle automobili prodotte dalla Volkswagen erano truccati con un software complicato ed ingegnoso che faceva in modo di far rilevare all'automobile quando era sottoposta ad un'analisi di controllo delle emissioni contaminanti e, in quel caso, cambiare il suo regime di funzionamento per poter superare convenientemente la prova. In condizioni di funzionamento normali, il fumo di queste automobili potrebbe arrivare ad avere una concentrazione, per quanto riguarda alcuni inquinanti, fino a 40 volte superiore al limite consentito dalle norme statunitensi e di diverse volte rispetto a quelle europee. Si sta ancora valutando l'impatto che avrà questo scandalo, ma è possibile che comporterà costi enormi per l'azienda tedesca (che dovrà disinstallare il software fraudolento da milioni di automobili). Inoltre, l'azienda di bandiera tedesca e principale produttrice di automobili del mondo, ha di fronte sanzioni economiche di diverse migliaia di milioni di dollari che, insieme al degrado dell'immagine del marchio e la conseguente riduzione delle vendite, potrebbe portare la Volkswagen al fallimento e persino al degrado dell'immagine di tutta l'industria tedesca. Una conseguenza più diretta della caduta della Volkswagen è che potrebbe trascinare con se il settore finanziario tedesco e questo a sua volta potrebbe generare una crisi finanziaria europea per effetto domino. Questa crisi non potrebbe arrivare in un momento peggiore, poiché i sintomi di una recessione globale imminente sono ogni giorno più evidenti. Se l'Europa barcollasse nei prossimi mesi, la caduta sarebbe più forte e prolungata. Pertanto ci troviamo di fronte ad una crisi molto più seria di quanto non si voglia riconoscere.

venerdì 11 dicembre 2015

Come costruire un aereo sicuro secondo la COP 21 di Parigi

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Negli anni 50 dello scorso secolo, una serie di incidenti ha colpito il “Comet”, un aereo che avrebbe dovuto essere una grande innovazione nel campo dell'aviazione. Le ragioni principali dei disastri possono essere attribuite alla generale atmosfera di ottimismo tecnologico che pervadeva gli anni 50 e che portava gli ingegneri a sopravvalutare le loro capacità. Il Comet è stata una dura lezione da imparare, ma è stata imparata. Oggi, l'industria è estremamente prudente e gli aerei moderni sono di gran lunga più sicuri di quanto non fossero in passato. 

Anni di lavoro sui materiali per i motori a turbina mi hanno insegnato quanto sia attenta l'industria aerospaziale riguardo alla sicurezza dei propri prodotti. Naturalmente, nessuno vuole pensare agli incidenti aerei, nemmeno gli ingegneri aerospaziali, ma lo devono fare, Non esistono “allarmisti” nell'industria aerospaziale. Così, l'industria aerospaziale è estremamente prudente ed attenta, niente va a finire dentro un aereo a meno che non abbia superato test rigorosi ed abbia definitivamente dimostrato di essere sicuro e conforme alle specifiche. E' questo che rende il trasporto aereo uno dei sistemi di trasporto più sicuri esistenti.

giovedì 10 dicembre 2015

Ottimismo e Sovrappopolazione: come NON fermare la Crescita Demografica


di Virginia Abernethy

Articolo tratto da  "Overshoot n. 7"   Bollettino dell'Associazione Rientrodolce 
Copyright © 1994 di Virginia Abernethy. Tutti i diritti sono riservati. 
Originariamente pubblicato su The Atlantic Monthly,Dicembre 1994.
Traduzione di Carpanix

Nota: Un articolo datato, ma al netto di qualche dettaglio perfettamente attuale, a dimostrazione dell'insipienza con cui questo argomento viene trattato da decenni.


La sovrappopolazione che affligge la maggior parte delle nazioni, rimane primariamente un problema locale — come questo articolo cercherà di spiegare. Anche il controllo della riproduzione (la soluzione) è primariamente locale…

Molti studiosi, antichi e moderni, hanno sempre saputo che le reali dimensioni della famiglia sono connesse strettamente al numero di figli che la gente desidera. Paul Demeny, del Population Council, è eccezionalmente chiaro a questo proposito, e l’economista della Banca Mondiale Lant Pritchett asserisce che l’85-90% dei tassi di fecondità reali possono essere spiegati dai desideri dei genitori — non dalla mera disponibilità di contraccettivi.  Pritchett scrive che “l’imponente declino della fertilità osservato nel mondo contemporaneo è dovuto quasi interamente all'altrettanto imponente declino del desiderio di fecondità.”


Progresso e Popolazione

Dati interculturali e storici suggeriscono che la gente ha solitamente limitato le proprie famiglie in maniera coerente con la possibilità di vivere comodamente in comunità stabili.   Se lasciate indisturbate, le società tradizionali sopravvivono per lunghi periodi in equilibrio con le risorse locali.   Ogni società dura quando si mantiene entro le capacità di carico del suo ambiente.

Ma la percezione dei limiti inerenti all'ambiente locale è facilmente neutralizzata da segnali che promettono prosperità. Cito l’ultimo Georg Borgstrom, riconosciuto pluridecorato specialista in economie del Terzo Mondo, morto nel 1989, che in una pubblicazione del Population Reference Bureau del 1971, spiega:

“Molte civiltà, incluse quelle dell’India e dell’Indonesia, avevano una chiara idea dei limiti dei loro villaggi o comunità prima che l’intervento straniero corrompesse gli schemi tradizionali.  I programmi d’aiuto tecnologico li indussero a credere che l’adozione di certi avanzamenti tecnologici stesse per liberarli da questi vincoli e dalla dipendenza da queste restrizioni”.

L’espansione economica, specialmente se introdotta dall'esterno su larga scala, incoraggia la convinzione che i limiti prima riconosciuti possano essere trascurati, e che ognuno possa progredire verso la prosperità e, come in casi recenti, che si possa contare sull'Occidente come fornitore di assistenza, recupero e valvola di sfogo per la popolazione in eccesso.

La percezione di nuove opportunità, sia dovuta ad avanzamento tecnologico, espansione dei mercati, cambiamenti politici, aiuti esterni, emigrazione verso una terra più ricca o la scomparsa di competitori, incoraggia il numero.   Le famiglie riempiono avidamente ogni nicchia apparentemente più grande, e le nascite in sovrappiù che generano la conseguente crescita della popolazione, spesso vanno oltre le reali opportunità.

Crescere oltre il numero sostenibile è una minaccia onnipresente, poiché gli esseri umani prendono spunto dalle apparenti opportunità immediate, e sono facilmente ingannati dai cambiamenti.   Contando sul medio o breve termine, difficilmente si calcola la crescita a lungo termine della popolazione, i limiti all’avanzamento tecnologico futuro e la inesorabile progressione dell’impoverimento delle risorse.

La percezione dell’espansione di opportunità assume varie forme.   Negli anni ‘50, la redistribuzione dei terreni in Turchia condusse i contadini precedentemente senza terra ad incrementare significativamente le dimensioni delle loro famiglie.   Tra i pastori del Sahel Africano, i pozzi profondi per la captazione dell’acqua, trivellati dai Paesi donatori negli anni ‘50 e ’60, permisero l’allevamento di più grandi mandrie di bovini e greggi di capre, matrimoni più precoci (poiché i prezzi delle spose sono pagati in animali…), e più elevata fecondità.   

Allo stesso modo, la diffusione della coltivazione della patata in Irlanda nei primi anni del XVIII secolo, incrementò la produzione agricola e incoraggiò i contadini a suddividere le proprie fattorie in appezzamenti per i figli  i quali, per parte loro, promossero matrimoni precoci e un incremento esplosivo delle nascite.

Ancor prima, tra il VI e il IX secolo, l’introduzione in Europa della staffa, dei finimenti a collare rigido e della ferratura dei cavalli potenziarono grandemente la produzione agricola delle pianure settentrionali dell’Europa. Una migliore alimentazione aiutò a condurre l’Europa verso la ripresa economica e quindi, tra il 1050 e il 1350 circa, a triplicare la popolazione in Paesi quali l’Inghilterra e la Francia.

L’India offre un altro esempio. La sua popolazione fu quasi stabile dal 400 a.C. a circa il 1600 d.C.   Dopo la fine delle invasioni Mongole, e con l’avvento di nuove opportunità commerciali, la popolazione cominciò a crescere.   Quando il commercio Europeo offrì all'India ulteriori opportunità, la crescita della popolazione accelerò ulteriormente.   Nel 1947, dopo la liberazione dalla condizione coloniale, decollò letteralmente.   L’assistenza dell’URSS, della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale potenziarono la percezione di un futuro prospero e il tasso di crescita della popolazione continuò ad accelerare fino al 1980 circa.

Movimenti indipendentisti di successo e golpe populisti sono preminenti tra i cambiamenti che annunciano tempi migliori.   La Cina cominciò il suo interludio euforico con l’espulsione dei Nazionalisti, nel 1949.   La filosofia del Comunismo trionfante sosteneva che una grande nazione richiedeva più gente.   Il tasso di fecondità e la popolazione aumentarono drammaticamente. La popolazione del territorio principale della Cina , stimata a 559.000.000 nel 1949, crebbe fino a 654.000.000 nel 1959, laddove nei precedenti 100 anni di agitazioni politiche e guerre, il tasso medio di crescita della popolazione cinese era stato appena dello 0,3% all'anno.

Judith Banister scrive in “La popolazione cinese che cambia”:   “La fecondità cominciò a crescere verso la fine degli anni ‘40 ed era prossima o superiore alle 6 nascite per donna durante gli anni 1952-57.

Banister attribuisce l’esplosione demografica cinese alla fine della guerra e alla politica del governo che, con la riforma fondiaria del 1950-51, redistribuì la terra ai contadini ed ai fittavoli.

Cuba ebbe un’esplosione demografica quando Fidel Castro spodestò Fulgencio Batista, nel 1959.    Castro promise esplicitamente una redistribuzione delle ricchezze e, secondo i demografi S. D’az-Briquets e L. Perez, la fecondità crebbe.

D’az-Briquets e L. Perez scrivono: “Il fattore principale fu l’incremento delle entrate reali tra i gruppi più svantaggiati, favorito dalle misure di redistribuzione attuate dal governo rivoluzionario.   La crescita della fecondità nell'ambito di quasi ogni fascia d’età suggerisce che le coppie videro il futuro come più promettente e sentirono che ora si sarebbero potuti permettere più figli”.

Le popolazioni dell’Algeria, dello Zimbabwe e del Ruanda crebbero rapidamente quando le potenze coloniali partirono. L’Algeria, per esempio, ottenne l’indipendenza nel 1962, e trent'anni dopo il 70% della sua popolazione aveva meno di 30 anni d’età.

Lo Zimbabwe ottenne l’indipendenza nel 1980, e subito raggiunse uno dei maggiori tassi di crescita della popolazione del mondo.   La crescita venne incoraggiata dal Ministro della Salute che attaccò la pianificazione familiare come una “congiura del colonialismo bianco” per limitare il potere nero.

I programmi di sviluppo di grandi trasferimenti di tecnologia e di fondi verso il Terzo Mondo hanno influito perniciosamente sulle dimensioni delle famiglie.

Questo tipo d’aiuto è inappropriato, poiché segnala che ricchezza e opportunità possono aumentare senza sforzo e senza limiti. …. L’Africa, che negli ultimi decenni ha ricevuto tre volte più aiuti pro-capite di qualsiasi altro continente, ha ora anche i più alti tassi di fecondità. Durante gli anni ‘50 e ’60, la fecondità in Africa crebbe — fino a quasi sette bambini per donna — nello stesso momento in cui veniva ridotta la mortalità infantile, cresceva la disponibilità di cure, si diffondeva l’istruzione e l’ottimismo economico pervadeva sempre più ampi settori della società.   Tassi di crescita della popolazione straordinariamente elevati erano nuovi per l’Africa.

Anche l’immigrazione può influire sulla popolazione mondiale complessiva.   Studi relativi all'Inghilterra e al Galles del XIX secolo e alle popolazioni Caraibiche moderne, evidenziano che in comunità già nel pieno di una rapida crescita demografica, la fecondità rimane elevata fino a quando esiste la possibilità di emigrare, mentre declina rapidamente nelle comunità prive di questa valvola di sicurezza. E mentre i tassi di fecondità si vanno riducendo nella maggior parte dei Paesi africani, tale tasso resta alto in Ghana (6,2 nascite per donna nel 1993), forse perché l’emigrazione (l’uno per 1.000 della popolazione) fornisce una valvola di sicurezza per la quantità di popolazione in eccesso.

Questo effetto sulla fecondità è coerente con studi indipendenti secondo i quali l’emigrazione accresce le entrate sia tra coloro che emigrano sia tra coloro che rimangono.

In sostanza è vero, anche se imbarazzante dirlo, che gli sforzi per alleviare la povertà spesso stimolano la crescita della popolazione, così come il lasciare aperte le porte all'immigrazione.

I sussidi, le ricchezze inattese e la prospettiva di opportunità economiche rimuovono il bisogno di freni.   I mantra della democrazia, della redistribuzione e dello sviluppo economico, innalzano le attese e i tassi di fecondità, incoraggiando la crescita della popolazione e quindi rendendo più rapida una spirale ambientale ed economica discendente.

Nonostante tutto, alcuni esperti ed il pubblico che essi informano, credono che i tassi di fecondità siano stati tradizionalmente alti nel mondo intero e si siano ridotti solo nelle nazioni post-industriali o nei Paesi nei quali è disponibile la moderna contraccezione.
La possibilità che le maggiori dimensioni delle famiglie fossero il risultato del desiderio di avere più figli continua ad essere negato.

I demografi  negli anni ‘30 predirono un rapido declino della popolazione, poiché la bassa fecondità delle nazioni occidentali industrializzate veniva attribuita allo sviluppo e alla modernizzazione, più che al pessimismo endemico dovuto alla Grande Depressione. Continuando a non cogliere il punto, molti non riuscirono a vedere che gli alti tassi di fecondità che si ebbero dopo la Seconda Guerra Mondiale furono la risposta alla percezione dell’espansione delle possibilità economiche. L’esplosione demografica negli Stati Uniti (1947-1961) e la successiva esplosione demografica nell’Europa Occidentale colsero di sorpresa la maggior parte dei demografi.


Il messaggio della penuria

Come succede, la penuria alla quale miliardi di persone sono costretti dai limiti naturali del loro ambiente, sta cominciando a correggere le conseguenze di decenni di percezioni errate.   La retorica della modernizzazione, dello sviluppo internazionale e dell’uguaglianza sta perdendo il suo potere di inganno.   Man mano che l’Europa si dimostra incapace di alleviare le sofferenze della ex-Iugoslavia, che i Paesi ricchi in generale si dimostrano impotenti nell'aiutare le innumerevoli moltitudini lontane, diviene difficile credere nel recupero.

Ora, com’è successo molte volte nella storia dell’umanità, la riscoperta dei limiti sta risvegliando le motivazioni a ridurre le dimensioni delle famiglie.

In Irlanda nei primi anni del XIX secolo, quando i terreni divennero insufficienti lla popolazione in rapida crescita, la fecondità cominciò ad abbassarsi ai livelli dell’epoca precedente all'introduzione della patata.

Nel 1830 i due terzi circa delle donne si sposavano prima dei venticinque anni d’età. Nel 1851 solo il 10% di esse si sposava così giovane — un drastico rinvio del matrimonio fu la risposta alla carestia della patata del 1846-1851.

Dopo una breve ripresa, non più del 12% si sposava prima del venticinquesimo anno d’età.   L’uso di contrarre matrimoni tardivi rersistette dal 1890 circa fino alla Seconda Guerra Mondiale.

Negli Stati Uniti l’esplosione demografica terminò all'incirca nel momento in cui il mercato del lavoro cominciò ad essere saturo.   Dopo lo shock petrolifero del 1973 il tasso di fecondità crollò al di sotto dei livelli di sostituzione e molti dei redditi reali degli Americani cessarono di crescere.

Nella Cina post-rivoluzionaria, l’incremento della popolazione proseguì fino a quando la carestia.   Impose un confronto con i limiti oggettivi.   Nel 1979, consapevole delle gravi carenze alimentari, il governo istituì la politica del “un-figlio-per famiglia”, riproponendo così i controlli delle restrittive abitudini matrimoniali e riproduttive pre-comuniste.

A Cuba, l’esplosione demografica ispirata da Castro, lasciò il posto a una fecondità al di sotto del tasso di sostituzione, quando fu evidente che il comunismo non forniva la prosperità.

Nei Paesi dell’Europa Orientale, compresa la Russia, la ristrutturazione economica, lo svanire dei sussidi governativi e la percezione pubblica di una mortalità infantile in crescita, hanno portato a tassi di fecondità minori.

Nello Zimbabwe, spinto dalla crisi economica dei tardi anni ‘80, il governo cominciò a sostenere la pianificazione familiare.   Secondo The Economist, “l’elevato costo del mantenimento di una famiglia numerosa ha aiutato a convincere alcuni uomini dell’importanza del limitarne le dimensioni”.

Il tasso di fecondità è in calo tra gli Yoruba in Nigeria, per una combinazione del ritardo nei matrimoni e dell’accettazione della moderna contraccezione. Due terzi delle donne che hanno risposto ad un recente sondaggio hanno detto che “la principale causa della posposizione del matrimonio e dell’uso della contraccezione era l’attuale difficile situazione economica”.

Anche altrove, la richiesta della moderna contraccezione è in crescita.   La ragione sembra essere che le coppie percepiscono che un matrimonio precoce e una famiglia numerosa sono economicamente insostenibili.

Nel suo nuovo libro “Masse critiche”, il giornalista George D. Moffett riporta che, in Messico, una madre su due difese davanti al prete di un villaggio, il suo ricorso alla contraccezione spiegando: “Le cose sono difficili, qui. La maggioranza della gente sta attraversando tempi duri. Il lavoro è difficile da trovare”.

In modo simile, un lavoratore giornaliero in Tailandia, secondo le parole di Moffett, “vorrebbe avere un figlio in più, ma è consapevole che andrebbe al di là dei propri mezzi”.

Senza motivazione a limitare le dimensioni della famiglia, la contraccezione moderna è pressoché irrilevante. 

Per sei anni, negli anni ‘50, un progetto condotto dal ricercatore inglese John Wyon fornì a diversi villaggi dell’India Settentrionale istruzione sulla pianificazione familiare, accesso alla contraccezione e cure mediche.   Gli abitanti dei villaggi erano ben disposti nei confronti di chi forniva le cure mediche e la mortalità infantile si ridusse notevolmente.   Ma il tasso di fecondità rimase invariato.

Il gruppo di Wyon capì il motivo: gli abitanti dei villaggi apprezzavano le famiglie numerose. Essi erano entusiasti del fatto che ora, con una minore mortalità infantile, potevano avere i sei figli che avevano sempre desiderato. Il ben finanziato progetto di Wyon potrebbe anche avere rinforzato la predilezione per le famiglie numerose, avendo contribuito a rendere possibili quei figli in più.


Pensare localmente

L’errore nell'individuare le cause dell’esplosione demografica, ha portato a strategie poco efficaci o addirittura controproducenti, nel cercare di aiutare il Terzo Mondo ad un equilibrio tra le dimensioni della popolazione e le risorse disponibili.

Nei tardi anni ‘40 e negli impetuosi decenni successivi, il commercio, i movimenti indipendentisti, le rivoluzioni populiste, gli aiuti stranieri e le nuove tecnologie portarono ovunque la gente a credere nell'abbondanza e nella fine dei limiti naturali imposti dagli ambienti famigliari.

Sarebbe un passo avanti se le nazioni industrializzate, che vedono la loro ricchezza diminuire, ricalibrassero e indirizzassero gli aiuti con maggiore oculatezza.   La loro ricchezza residua non deve essere sprecata nell'armare fazioni guerriere, con assistenza avventata, o nel sostegno alle migrazioni internazionali che impoveriscono e alla fine incattiviscono — fino alla violenza  — le popolazioni residenti.

Con una nuova, informata comprensione delle risposte umane, certi tipi d’aiuto rimangono appropriati: micro-prestiti che rafforzano l’imprenditoria di base, dove il successo è sostanzialmente mirato allo sforzo; l’assistenza con servizi di pianificazione familiare, non perché la contraccezione sia una soluzione di per sé, ma perché la moderna contraccezione è un modo umano per ottenere una famiglia di ridotte dimensioni, quando c’è questo desiderio.

Questa modesta lista di cose da fare è ancora nelle possibilità dei Paesi industrializzati, nel momento in cui essi devono prestare attenzione alle necessità dei sempre più numerosi propri poveri.   E non inganna né danneggia involontariamente coloro che ne sarebbero i beneficiari.

La politica degli aiuti internazionali degli ultimi cinquant'anni si basa sull'idea che lo sviluppo economico sia la chiave per mettere un freno alla crescita della popolazione. Tali presupposti non stanno in piedi di fronte ad un’analisi storica/antropologica e le politiche che hanno prodotto hanno invece contribuito a potenziare la crescita della popolazione. (corsivo mio JS)

La capacità umana di avere una risposta di tipo adattivo si è evoluta nell'ambito d’interazioni faccia-a-faccia.   La forza dell’umanità è la sua capacità di rapida reazione agli stimoli ambientali — una risposta che è più probabilmente appropriata quando l’ambiente che conta è quello ravvicinato e locale.   L’orizzonte mentale è qui ed ora.   I nostri antenati si sono evoluti e hanno dovuto trarre il loro successo tra i piccoli gruppi che si muovevano su territori relativamente ristretti.

Essi dovevano riuscire a sopravvivere giorno per giorno — o non sarebbero divenuti i nostri antenati.   Quindi non ci deve sorprendere se i segnali che vengono dall'ambiente locale siano fortemente motivanti.   Mettiamo da parte la globalizzazione.   Le soluzioni basate su un mondo unificato non funzionano.   Le soluzioni locali, sì.   Ovunque la gente agisce secondo la personale percezione dei propri interessi.   Le persone sono portate a interpretare i segnali locali per la prossima mossa da fare.

In molti Paesi e comunità di oggi, dove le condizioni sociali, economiche e ambientali stanno indubbiamente peggiorando, la domanda per una moderna contraccezione è in crescita, il matrimonio e l’iniziazione sessuale vengono posticipati e le dimensioni della famiglia si stanno riducendo.   Gli individui che reagiscono con una bassa fecondità ai segni del raggiungimento dei limiti hanno trovato la soluzione locale. C’è da pregare che i venditori di uno sviluppo inappropriato non mettano sottosopra questa situazione.





Nota di U.B.: Virginia Abernethy (qui il suo sito) è professore emerito alla Vanderbilt University, in Tennessee (US). E' un personaggio molto controverso, fortemente criticato specialmente per certe sue posizioni politiche estreme sulla separazione etnica, sulle leggi sulle armi, e altro. Come esperta di demografia, tuttavia, ha il merito di aver perlomeno cercato una comprensione più approfondita e originale sulla questione della sovrappopolazione. In particolare, Abernethy ha criticato fortemente (come fa nell'articolo qui tradotto) l'idea semplicistica della "transizione demografica" che vuole che la crescita della popolazione si possa fermare sulla base dell'idea che "quando tutti saranno ricchi, non faranno più tanti figli."  C'è un fondo di verità in questa idea; ma le cose non sono così semplici. 




martedì 8 dicembre 2015

I crateri pingo 'possono esplodere sotto il mare così come sulla terraferma'

Da “Siberian Times”. Traduzione di MR (via Maurizio Tron)

Di Maja Sojtaric

Avvisaglie di esplosioni di metano nel mare di Kara adiacente ai crateri di Yamal causati da eruzioni di gas associati alla fusione del permafrost dovuta al riscaldamento globale.


L'idrato di gas è conosciuto anche come il “ghiaccio che brucia”. Lo si può letteralmente incendiare. Immagine: CAGE

Un'enorme attenzione è stata posta sui grandi e misteriosi buchi apparsi improvvisamente nell'Artico siberiano di recente ed ora ci sono prove di un processo analogo sottomarino nelle aree meridionali del Mare di Kara. Sul fondo del mare, al largo della Penisola di Yamal, sono stati identificati grandi cumuli – descritti come “pingo” - e la loro formazione viene vista come dovuta allo scioglimento del permafrost sottomarino, che causa un 'forte accumulo' di gas metano. Questi cumuli 'stanno rilasciando metano' e il loro 'potenziale esplosivo' pone un 'pericolo geologico' significativo per l'esplorazione energetica nelle acque dell'Artico, secondo una nuova ricerca di scienziati del Centre for Arctic Gas Hydrate, Environment and Climate (CAGE) in Norvegia, sostenuto dall'Agenzia di Gestione delle Risorse del Sottosuolo russa. Per esempio, in un incidente di 20 anni fa che ha avuto poca visibilità, durante la 'trivellazione geo-tecnologica' da parte della nave russa Bavenit nel Mare di Pechora, è stato aperto un deposito di gas (pingo), minacciando la sicurezza della nave con un improvviso rilascio di metano, un processo che è stato identificato come la causa del triangolo delle Bermuda nell'Oceano Atlantico.

lunedì 7 dicembre 2015

la capocchia climatica di Umberto Minopoli.



Leggete questa frase, da un post di Umberto Minopoli intitolato "Scienza ad Capocchiamhttps://lottimistablog.wordpress.com/2015/12/06/scienza-ad-capocchiam/

.... se in un secolo e mezzo ( 1850/1998) di piena industrializzazione e di CO2 umana immessa in atmosfera, la temperatura e’ aumentata di 0,8gradi come e’ possibile che in soli prossimi 80 anni ( previsioni dei religiosi del clima ) aumenti di 5 gradi. Cervellotico. Niente di scientifico. Sciamanismo. 

Per capire quanto questo paragrafo sia veramente "ad capocchiam", vediamo di applicare il ragionamento di Minopoli proprio a una capocchia; ovvero a un fiammifero.

Accendete un fiammifero, vedete che brucia, diciamo, in 10 secondi. E in questi dieci secondi si porta via forse un grammo di legno. Fate un po' il conto: per bruciare un chilo di legno, a un fiammifero per volta, ci vorrebbero ore. E per bruciare una casa, chissà quanto tempo.

Ora, immaginate che qualcuno vi dica che, sulla base del comportamento di una capocchia di fiammifero, una casa non può mai assolutamente bruciare. Come minimo, gli direste qualcosa tipo, "bene, allora vai a casa tua, accendi un fiammifero e comincia a dar fuoco al divano del salotto. Poi mi racconti cos'è successo."

Se volete essere precisi, potreste dire che la combustione è un processo "autocatalitico" e, per questa ragione, va sempre più veloce una volta che è cominciato. Ma non ce n'è bisogno: è solo una questione di buon senso; ci sono tantissime cose che sappiamo benissimo che cominciano piano e poi vanno sempre più veloci. E' per questo che se uno si butta dal sesto piano, il risultato finale si può descrivere con la parola "splat," anche se, nei primi metri, non sembrava che quel tale cadesse tanto rapidamente.

Anche per quanto riguarda il clima terrestre vale qualcosa del genere. La faccenda del riscaldamento generato dai gas serra è un tantino complicata per varie ragioni (come potete leggere, per esempio, qui) ma il risultato finale non è difficile a capire. Più CO2 c'è nell'atmosfera, più la temperatura sale. Oggi, stiamo emettendo enormemente più CO2 di quanto non facessimo ai primi anni del secolo scorso; quindi non c'è da stupirsi se l'atmosfera si sta scaldando sempre più rapidamente, ben di più di quanto non facesse cent'anni fa (e per favore non tirate fuori la storia della "pausa," che non è mai esistita).

Così, se continueremo ad emettere CO2 seguendo le tendenze di aumento che sono state la regola fino ad oggi, non è un'idea a capocchia che potremmo arrivare arrivare a degli aumenti di temperatura di 4-5 gradi centigradi. La cosa più preoccupante è che ci sono dei motivi per ritenere che il riscaldamento potrebbe essere molto più veloce di qualsiasi cosa si sia vista fino ad oggi. E questa è una cosa molto pericolosa, da non sottovalutare. Purtroppo, però, il cosiddetto "dibattito" sul cambiamento climatico sui giornali è spesso basato su ragionamenti veramente "a capocchia," come questo di Minopoli.

Tralascio di criticare il resto dell'articolo per carità di patria. Mi limito a notare che Minopoli è anche presidente dell'Associazione Nucleare Italiana, il che è preoccupante. C'è solo da sperare che un reattore nucleare non glie lo facciano mai vedere, se non da una notevole distanza. Minopoli mi fa venire in mente qualcosa che potrebbe essere successo al tempo di Chernobyl, magari con qualcuno dei tecnici del reattore che diceva, "Ma cos'è quest'idea a capocchia che il reattore può esplodere? Non vedete che finora non è successo niente?"


h/t Simone Bonacini

Nota aggiunta dopo la pubblicazione. Fa notare Sylvie Coyaud che

Mentre noi si cucinava, si ricordava che nel maggio 2014 il presidente Minopoli diceva:
Il rapporto delle Nazioni Unite punta sull’utilizzo del nucleare per contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2°C fino al 2100, definendo il nucleare una delle tecnologie carbon free ‘chiave’”. Non solo. Dallo studio emerge l’importanza di attivare un processo di cooperazione internazionale per coinvolgere i paesi meno sviluppati nei processi di mitigazione delle emissioni di gas serra. L’Italia non deve avere un ruolo marginale nella definizione delle politiche energetiche mondiali.
Si cercava anche un compito affidabile a un volta-gabbana che ora esibisce tutto fiero le cinque caratteristiche del negazionismo climatico. Non s'è trovato niente, ma se c'è stato un po' di dibattito su tirar fuori in tempo il coulommiers dal frigo.



domenica 6 dicembre 2015

La Terra ha perduto un terzo del suolo coltivabile negli ultimi 40 anni

Da “The Guardian”. Traduzione di MR 

Gli esperti indicano il danno causato da erosione ed inquinamento, sollevando grandi preoccupazioni riguardo al suolo degradato nel bel mezzo dell'aumento della domanda globale di cibo





L'erosione del suolo ha i suoi effetti sul terreno agricolo di Suffolk, nel Regno Unito. Foto: Alamy

Il mondo ha perso un terzo del suo terreno coltivabile a causa dell'erosione o dell'inquinamento negli ultimi 40 anni, con conseguenze potenzialmente disastrose man mano che la domanda globale di cibo sale alle stelle, hanno avvertito gli scienziati. Una nuova ricerca ha calcolato che quasi il 33% del terreno mondiale adatto o ad alta produzione di cibo è stato perduto ad un tasso che supera il ritmo dei processi naturali di sostituire il suolo assottigliato. Il Grantham Centre for Sustainable Futures dell'Università di Sheffield, che ha intrapreso lo studio analizzando varie altre ricerche pubblicate nel corso dell'ultimo decennio, ha detto che la perdita è stata “catastrofica” e la tendenza è prossima ad essere irrecuperabile se non ci saranno grandi cambiamenti delle pratiche agricole.

sabato 5 dicembre 2015

Il Pensiero Odierno


Un post di Marco Sclarandis

riferito a questo: 

http://www.mission-innovation.net/
http://www.breakthroughenergycoalition.com/en/?WT.mc_id=11_29_2015_16_Announcement_BG-TW_&WT.tsrc=BGTW


Il pensiero odierno:

Io ormai spero solo che la gente creda al miracolo. Perchè se un miracolo si sta compiendo, ma la gente non ci crede, è come se non si compisse.

E credo che fisicamente il miracolo possa avvenire. Non credo che i miracoli siano delle violazioni ad hoc delle leggi fisiche, ma siano eventi rari ma reali e possibili che fanno gridare al miracolo solo a causa della nostra ignoranza del mondo fisico.

L’intreccio quantistico, l’effetto tunnel, sembrano magie, prodigi, miracoli, masono eventi reali e in un certo senso ordinari. Forse un Lucrezio, un Leonardo, un Archimede, dopo un iniziale sconcerto li avrebbero poi considerati per quello che sono, fisica, meravigliosa , ma fisica. Certo che organizzare tutto di modo che, per sventare una sciagura occorra proprio un miracolo mi pare il massimo della malvagia superstizione.

E’ ciò che stiamo facendo da decenni, non da stregoni apprendisti, ma da maghi di lungo e detestabile corso.

Credo che questo decalogo incompleto, deriso, frainteso e sciattamente divulgato da soloni, predicatori, e agitatori di popolo sia quanto di meglio per far apparire il miracolo su questa sventurata Terra.

Onore e merito a Serge Latouche:

Rivalutare. I valori sono diventati vuoti simulacri, sostituiti da megalomania individuale, egoismo e rifiuto della morale. Occorre rivendicare valori come l’altruismo, la collaborazione, il piacere, il locale.

Riconcettualizzare. La mancanza di valori dà luogo ad una visione diversa del mondo. Occorre ridefinire concetti come la ricchezza/povertà, la rarità/abbondanza distinguendo gli elementi reali da quelli di creazione artificiale.

Ristrutturare. Adeguare l’apparato produttivo e i rapporti sociali al cambiamento dei valori.

Ridistribuire. La ridistribuzione delle ricchezze e delle risorse ha un effetto positivo sulla riduzione del consumo, per due fattori: ridimensionamento del potere dei consumi del Nord e diminuzione dello stimolo al consumo vistoso.

Rilocalizzare. Segue il principio del “think global, act local” per il quale occ orre produrre in massima parte a livello locale i prodotti necessari ai bisogni delle popolazioni.

Ridurre. Ridurre non significa necessariamente tornare indietro. Significa limitare/eliminare il sovraconsumo ed abbattere gli sprechi. La riduzione noncoinvolge solo le risorse, ma anche aspetti sociali come il tempo dedicato al lavoro.

Riutilizzare/Riciclare. È necessario ridurre lo spreco, combattere l’ obsolescenza delle attrezzature e riciclare rifiuti non riutilizzabili.

Riconoscere la necessità del cambiamento, questa l’aggiungo io, ma questo dovrebbe essere il primo comandamento.




Marco Sclarandis



venerdì 4 dicembre 2015

Figuraccia climatica: La Società Italiana di Fisica dichiara che la scienza del clima non è scienza

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Allora, signor Darwin, qual è l'equazione dell'evoluzione?


Coi negoziati sul clima in pieno svolgimento a Parigi, 14 società scientifiche italiane si sono unite per pubblicare un documento in cui esprimono il loro sostegno ai negoziati della COP 21 e per la necessità di agire contro il cambiamento climatico antropogenico. Tuttavia, una società scientifica era evidentemente assente: la Società Italiana di Fisica (SIF).

Poco dopo, la presidentessa della SIF, professoressa Luisa Cifarelli, ha diffuso una dichiarazione su questo problema sotto forma di uncommento nel blog della Società Italiana di Chimica (SCI). Questo commento non è stato confermato ufficialmente, ma nemmeno smentito, quindi sembra essere reale. Lasciate che riporti qui la sua affermazione iniziale.

La SIF è un’associazione di fisici abituati a considerare leggi fisiche regolate da equazioni più o meno complesse, e risultati espressi con il dovuto livello di confidenza o di probabilità o di verosimiglianza. Questo, del resto, è il metodo scientifico.  

La professoressa Cifarelli prosegue poi affermando che la SIF si rifiuta di firmare un documento in cui alcune affermazioni sono date come certezze e non come possibilità e che la scienza non può essere basata sul consenso e sul “mescolare scienza e politica”. La professoressa conclude che è importante che la Terra venga protetta dall'inquinamento, che che lo studio del clima debba essere “basato sulla fisica”.

Quindi eccoci qua. Ciò che sta dicendo la professoressa Cifarelli è che la scienza è scienza solo se è basata su equazioni. Pertanto, visto che una “equazione del clima” non pare che esista, la scienza del clima non è una scienza. In una sola frase, la professoressa Cifarelli ha rimosso dalla categoria delle scienza legittime tutto quello che va dalle scienze della Terra (qual è l'equazione di dinosauri?) allo studio dei sistemi complessi (qual è l'equazione della Pila di sabbia di Bak?).

Questa è una bella figuraccia per tutta la comunità della Fisica italiana. Anche se diversi fisici italiani hanno fortemente criticato il comportamento della SIF in questa occasione, rimane un duro colpo al prestigio alla comunità della ricerca italiana. Ancora di più se si considera colpi precedenti come l'iniziale sostegno dato al "E-cat" da parte del Dipartimento di Fisica dell'Università di Bologna.

Ma è peggio di così. In un momento in cui abbiamo tutti disperatamente bisogno di sostenere il lavoro degli scienziati del clima per promuovere un cambiamento indispensabile delle nostre politiche, sembra che alcuni scienziati tendano a aggrapparsi a paradigmi obsoleti, per esempio riguardo all'influenza umana sul clima. E' vero che i paradigmi obsoleti tendono ad essere rimossi dalla scienza per mezzo del progresso della conoscenza, ma ci vuole un po' di tempo, come mostra molto bene questa storia.
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Nota: dopo avere scritto questo testo, ho notato un commento firmato Luisa Cifarelli sul blog della SCI. Il commento dice: “Eppure Lei sa bene che la Groenlandia era verde in tempi non sospetti”. Non posso essere certo che questa frase sia stata scritta dalla presidentessa della Società Italiana di Fisica ma, se fosse così, è un'altra notevole figuraccia. 

giovedì 3 dicembre 2015

Evitare la catastrofe climatica: non è così facile come si pensa

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Lo scorso mese, Kevin Anderson ha pubblicato un articolo molto interessante su “Nature Geosciences” (12 ottobre 2015) L'articolo sembra essere a pagamento, ma la maggior parte del testo è riportata nel blog di Anderson. Comunque, ve lo riassuma, perché va al cuore del problema: la transizione NON sarà facile come dice molta gente. Installare doppi vetri ed usare auto ibride non sarà abbastanza, proprio per niente, perlomeno finché vogliamo conservare il business as usual in termini di crescita economica.

Per prima cosa, Anderson si pronuncia sui progetti attuali (il grassetto è mio):
Se dovessimo credere a questi titoli ottimisti – ed ampiamente incontestati – ridurre le emissioni in linea con una possibilità da buona a ragionevole di raggiungere l'obbiettivo dei 2°C  richiede un'evoluzione accelerata di allontanamento dai combustibili fossili; non necessita, tuttavia, di una transizione rivoluzionaria nel modo in cui usiamo e produciamo energia. Tali conclusioni provengono da molti Modelli Integrati di Valutazione, che sono strumenti chiave per informare i politici riguardo a futuri alternativi di cambiamento climatico. 

Ma le cose non sono così semplici, secondo Anderson:

Nella maggior parte dei Modelli Integrati di Valutazione, i bilanci di carbonio per i 2°C sono effettivamente aumentati attraverso l'adozione di tecnologie di emissione negativa. Queste tecnologie attualmente sono poco più che ad uno stadio concettuale di sviluppo, eppure sono omnipresenti negli scenari di 2°C. Questo è più evidente che altrove nel database degli scenari dell'IPCC. Dei 400 scenari che hanno un 50% o più di possibilità di un riscaldamento non superiore a 2°C (con tre scenari rimossi a causa di dati incompleti), 344 ipotizzano il successo dell'adozione su larga scala di tecnologie ad emissione negativa. Ancora più preoccupante, in tutti i 56 scenari senza emissioni negative, le emissioni globali raggiungono il picco intorno al 2010, che è il contrario dei dati di emissione disponibili.  

Questo è veramente agghiacciante: sembra che siamo arrivati al punto in cui la geoingegneria è il solo modo che ci rimane per mantenere le emissioni di carbonio entro i 2°C del bilancio di carbonio. Vale a dire, ameno che non usiamo una macchina del tempo per cambiare il passato e far avvenire il picco delle emissioni nel passato. Anderson nel suo blog dice:

Parlando chiaramente, l'intera serie dei 400 scenari del IPCC per una possibilità del 50% o migliore di restare entro i 2°C ipotizza o una capacità di viaggiare all'indietro nel tempo e l'assunzione con successo e su larga scala di tecnologie ad emissione negativa del tutto speculative. Una percentuale significativa degli scenari dipendono sia dal “viaggio nel tempo sia dalla geoingegneria”.

Anderson dice:

Portare avanti un tale percorso di emissioni per i 2°C non può conciliarsi con le affermazioni ripetute ad alto livello secondo le quali per transitare ad un sistema energetico a basso tenore di carbonio “la crescita economica globale non verrebbe fortemente condizionata”

e riassume con:

Concludo che i bilanci di carbonio associati alla soglia dei 2°C richiedono cambiamenti profondi ed immediati del consumo e della produzione di energia

Anderson ha ragione? Penso di sì, perlomeno finché rimaniamo all'interno delle ipotesi intrinseche dei modelli, cioè della crescita economica continua. Cosa dobbiamo fare, quindi? Be' una cosa che Anderson suggerisce nel suo blog è che non siamo stati bravi abbastanza a spiegare la situazione

...rimane una dissonanza cognitiva quasi su scala globale riguardo al riconoscimento delle implicazioni quantitative dell'analisi, anche da parte di molti di coloro che contribuiscono al suo sviluppo. Non siamo semplicemente pronti ad accettare le implicazioni rivoluzionarie delle nostre stesse scoperte e anche se lo siamo, siamo riluttanti ad esprimere apertamente tali pensieri.

Esiste, infatti, un atteggiamento diffuso nella comunità scientifica secondo cui non dobbiamo allarmare le persone riguardo al disastro climatico, che se lo facciamo le persone scapperanno mentre metteranno le mani sulle orecchie cantando “la-la-la” e che, pertanto, dobbiamo continuare a dire che è solo questione di qualche aggiustamento nei nostri modi di vivere e tutto andrà a posto.

Questo approccio non ha funzionato molto bene finora e penso che sia il momento di cambiare strategia. Anni fa, il presidente Kennedy ha detto che se vogliamo andare sulla Luna, “non è perché è facile, ma perché è difficile”. E ha funzionato. Evitare il cambiamento climatico è sicuramente difficile, ma non impossibile. Ci sono dei modi, se siamo disposti a fare sacrifici.



mercoledì 2 dicembre 2015

Fuffa e rivoluzione. A Parigi vedremo la solita gran fumata di roboanti dichiarazioni, ma niente di più

di Jacopo Simonetta

Tra manifestazioni, tafferugli e mal riposte speranze, a Parigi va in scena l’ennesimo episodio di un serial che dovremmo conoscere già bene.   Ma se qualcuno si fosse perduto le puntate precedenti, basteranno le dichiarazioni iniziali dei principali leader mondiali ( per Obama qui e per Xi Jinping qui) per chiarire da subito che non ci sarà nessun accordo che possa, sia pur minimamente, influire positivamente sul clima.

Insomma, quello che vedremo sarà la solita gran fumata di roboanti dichiarazioni a copertura di un piccolissimo arrosto di incentivi a questa o quella lobby industriale.

Disfattismo?   Lo vedremo fra qualche giorno, nel frattempo vorrei ricordare che questa non è certo la prima volta che viene annunciato un “cambio di rotta epocale” in materia di clima o, più genericamente, di ambiente.   Questa è infatti una vecchia storia, cominciata una cinquantina di anni fa e culminata nell'ormai remoto 1992 fra grandi speranze e fuochi d’artificio. In realtà il “nonno di tutti i fiaschi” fu infatti proprio il “Summit mondiale dell’ambiente” del 1992 da cui questa e tante altre conferenze sono poi scaturite.   Fu un vero e proprio picco del movimento ambientalista: contemporaneamente zenit di influenza politica e mediatica, ma anche dimostrazione di incapacità ed inizio della sua ingloriosa fine.

Molti troveranno sbagliate, o perlomeno esagerate, queste affermazioni.   Prima di entrare in qualche dettaglio credo sia quindi opportuno inquadrare brevemente l’evento.

Che la crescita demografia ed economica stavano conducendo l’umanità verso il disastro divenne evidente nel corso degli anni ’70.   Non solo per la pubblicazione di “Limits to Growth”, ma per l’accumularsi di una impressionante mole di dati e conoscenze in tutti i campi scientifici che, nel loro insieme, non davano adito a dubbi (tranne che per la maggior parte degli economisti).   Ma eravamo in guerra, sia pure “fredda”;  una guerra mortale fra le due scuole (o sette) in cui si era diviso il mondo:   Capitalismo versus Socialismo.   Entrambi perseguivano lo stesso fine: il massimo del benessere possibile per un numero crescente di persone.   Ma erano molto diversi i metodi immaginati per raggiungere lo scopo, così come i criteri di selezione delle rispettive classi dirigenti.
In Russia il tema dell’insostenibilità della crescita non fu neanche preso in considerazione.   In occidente se ne parlò molto, ma si fece poco perché porre dei severi limiti alla crescita economica avrebbe ridotto il peso politico-economico e militare dei paesi che lo avessero fatto.   Col rischio molto concreto di essere sconfitti.

Dunque, dopo 10 anni circa di discussioni e parziali provvedimenti, fu deciso che era più urgente rilanciare la crescita.   Cosa che fu fatta  mediante una complessa strategia che comprendeva, fra l’altro, la trasformazione del denaro e della finanza in entità totalmente virtuali, oltre ad un insieme di provvedimenti che vanno sotto l’etichetta di “deregulation”.   In pratica, la progressiva rimozione dei vincoli precedentemente imposti alle attività economiche per fini di tutela ambientale o sociale.  Il risultato non si fece attendere e, nel 1989, l’Unione Sovietica fu sconfitta non già sul campo di battaglia, bensì sul piano puramente economico.

Il crollo del blocco sovietico convinse tutti della giustezza del modello capitalista e fu in questo clima euforico che fu indetto il summit Rio.   Finita la guerra, nessuno aveva più molto da temere e tutti i paesi del mondo potevano finalmente collaborare per risolvere i problemi del sottosviluppo e dell’ambientale una volta per tutte.  O perlomeno così sembrava.Parteciparono ben 172 governi, di cui 116 con le loro massime cariche istituzionali, mentre ad un parallelo forum consultivo partecipavano 17.000 persone in rappresentanza di 2.400 NGO (associazioni non governative).   In effetti, non si era mai visto un evento di questa portata dedicato all’ambiente, ma la montagna partorì un ben misero topolino.   O meglio, produsse un magnifico castello di cristallo, attraverso i cui muri iridescenti non era difficile vedere le solide strutture di cemento e di acciaio del “Business as usual”.

A parte migliaia di pagine di analisi e commenti che nessuno ha mai letto, la conferenza produsse infatti una serie di documenti potenzialmente importanti, ma che ebbero ben poco impatto reale: Dichiarazione di Rio sull'ambiente e sullo sviluppo; Agenda 21; Convenzione sulla diversità biologica; Principi sulle foreste; Convenzione sul cambiamento climatico.

Ognuno di questi meriterebbe un approfondimento, ma visti i limiti di un post, vorrei solamente chiosare il primo dei 27 principi che avrebbero dovuto guidare le nazioni verso lo “sviluppo sostenibile”.   Esattamente gli stessi principi, si noti, proclamati a chiusura del summit di Stoccolma, esattamente 20 anni prima (1972) in piena guerra fredda (mancava il blocco sovietico e la Cina era rappresentata da Taiwan).

Principio 1:  Gli esseri umani sono al centro della preoccupazione per uno sviluppo sostenibile.   Hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura.

Suona bene.   Effettivamente nel 1972, con un’impronta ecologica globale vicino ad 1, poteva essere sottoscrivibile.   Ma nel 1992, con una popolazione di 5,5 miliardi crescenti ad un tasso senza precedenti, magari qualcuno avrebbe dovuto porsi qualche qualche domanda.

Per esempio, cosa vuol dire “sviluppo sostenibile,?   Perché se voleva dire sviluppare società più parsimoniose e giuste era fattibile.   Ma se si intendeva che era ancora possibile una crescita demografica e/o economica senza scatenare catastrofi era semplicemente falso.   La capacità di carico del pianeta era già stata superata da un pezzo.

Seconda domanda: E’ bello avere dei diritti, ma siamo sicuri che questi non comportino dei doveri di cui non si parla mai?   Ad esempio, avere diritto ad una vita sana ed operosa non potrebbe presupporre il dovere di limitare la propria discendenza?   Oppure il diritto all'acqua potabile, non potrebbe avere a che fare con il dovere di razionarne l’uso in rapporto alla disponibilità? Sempre in tema di diritti, per essere sani e produttivi sono necessari una serie non indifferente di presupposti, a cominciare da cibo, acqua, energia, alloggi, cure mediche, e molto altro ancora.   Per quanta gente tutto questo può essere reso disponibile senza distruggere il pianeta?

Sulla base della situazione e delle conoscenze del 1972 si poteva ancora pensare che per circa 4 miliardi di persone fosse possibile.   Ma nel 1992 era già chiaro che il recupero di condizioni di sostenibilità sarebbe necessariamente passato attraverso una netta riduzione sia della popolazione umana, sia dello standard di vita medio.  Cosa che per europei, americani e giapponesi già allora avrebbe significato dei sacrifici assolutamente traumatici.   Mentre per tutti gli altri avrebbe significato rinunciare definitivamente alla speranza di accedere anche loro al tanto agognato Paese di Bengodi.   Per tutti voleva dire accettare di avere non più di due figli e morire possibilmente intorno ai 70 anni, come ai tempi di Dante Alighieri.

Molto "politicamente scorretto".  E difatti in tutti i 26 punti seguenti si continua a fingere che il numero di persone sia una variabile indipendente e che gli occidentali possano mantenere il loro tenore di vita principesco, mentre tutti gli altri hanno il diritto di raggiungerlo.   Ma, naturalmente, in modo “sostenibile”.
 
Insomma, da parte di chi capiva di cosa si stava parlando, il tentativo fu di contrabbandare alcuni principi assolutamente giusti, come quello di precauzione e quello di responsabilità, in mezzo ad un denso fumo di fuffa in cui ognuno avrebbe potuto trovare quel che più gli piaceva.   Ma mescolati alla fuffa, anche i principi seri divennero parole vuote.

Insomma, la filosofia generale che emerse fu che, OK, salvaguardare l’ambiente era bello ed importante, ma ad alcune condizioni.   In particolare che: a) ogni stato ha il diritto di fare quello che gli pare sul suo territorio; b) i paesi ricchi hanno il diritto di restare tali, semmai devono aiutare gli altri a diventare ricchi anche loro; c) i paesi poveri hanno diritto a diventare ricchi; d) la questione demografica è assolutamente marginale; h) nessuno si deve azzardare a porre dei limiti alla libertà di commercio; i) lo sviluppo economico e la protezione ambientale non sono in contrasto, anzi sono sinergici.

Difficile assemblare una collezione di ossimori più raffinata di questa.   Ma la misura del fallimento non fu tanto un documento pieno di vuotame che, in casa ONU, è normale.   La vera Caporetto fu che, con poche ed isolate eccezioni, il movimento ambientalista non denunciò il fallimento della conferenza.   Al contrario, si unì al coro di quanti dicevano che, ancorché non perfetto, il risultato era un eccellente compromesso ed un punto di partenza per nuove ed efficaci politiche ecc. ecc.

Insomma, il BAU aveva vinto non solo sul piano politico e diplomatico, ma anche e soprattutto su quello culturale.   Non a caso, nei decenni seguenti le parole d’ordine ed i concetti che erano stati elaborati per modificare alla radice l’impostazione sociale ed economica del mondo divennero gli slogan delle più spudorate campagne commerciali.   E perfino entrarono nella retorica elettorale di tutti i partiti, qualunque ne fosse il programma politico.

Purtroppo, la percezione della realtà dipende in grandissima misura dalla frequenza ed intensità con cui riceviamo i messaggi.   Così, in pochi anni, lo stesso movimento ambientalista finì col perdere la strada, ammesso che mai ne avesse avuta una, finendo col balbettare un guazzabuglio di luoghi comuni, privo di ogni coerenza esterna ed interna.
 
Rio non fu solo la tomba in cui finì ogni speranza di cambiare la rotta suicida del nostro mondo.   Fu anche la tomba del movimento ambientalista e perfino dalla sua cultura, divenuta pudebonda foglia di fico per imbellettare ogni nequizia.   Esattamente quello che in questi giorni sta accadendo a Parigi.
In quest’ottica il ricorso alla violenza è sicuramente una forte tentazione soprattutto per chi, essendo giovane, si rende conto che sarà abbandonato in un mondo che è stato saccheggiato in ogni suo anfratto dai suoi stessi nonni e genitori.

Ma si sa, o si dovrebbe sapere, che le tentazioni sono mostri che apparentemente ti offrono una via d’uscita da situazioni tremende, mentre in realtà ti ci sprofondano ulteriormente.   Se lasciare scarpe in piazza serve solo a sentirsi meno soli, lanciare fumogeni e bruciare automobili serve a peggiorare ulteriormente la situazione, da tutti i punti di vista.   Ma se qualcuno volesse davvero “portare l’attacco al cuore del sistema” avrebbe un modo sicuro e perfino legale di farlo: comprare il meno possibile, spengere luci e termosifoni.   E via di seguito.   Nessun soldato vince la guerra da solo, ma è la sommatoria dei contributi di ognuno che vince.   E questa, udite udite, è una guerra che può solo essere vita.

La barca del capitalismo globale fa già acqua da tutte le parti e non può che affondare, anche senza l’aiuto di nessuno.   Il problema è che tutti noi siamo a bordo e non ci sono scialuppe, al massimo qualche ciambella gonfiabile.   Nessuno se la caverà a buon mercato e molti non se la caveranno affatto, sarebbe bene parlarne ed organizzarsi almeno per limitare
il panico, ma è molto più facile a dirsi che a farsi.