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giovedì 9 marzo 2023

La caduta del Leviatano: La fine del capitalismo.

 


Di  | Feb 24, 2023


‘LA CADUTA DEL DEL LEVIATANO’

ovvero

NASCITA, CRESCITA, DINAMICA E FATO DELLA CIVILTÀ’ INDUSTRIALE.

“LA CADUTA DEL LEVIATANO. Collasso del capitalismo e destino dell’umanità” è un libro che si propone di superare la consueta narrativa circa l’insostenibilità e l’iniquità del capitalismo contemporaneo. Non cova infatti, né intenti vendicativi, né assolutori e si astiene dal proporre soluzioni più o meno utopiche. Illustra invece come il Fato della civiltà globale abbia preso forma da una combinazione unica nella storia di ineludibili leggi naturali, imprevedibili incidenti storici e l’affermarsi di una potente mitologia, capace di orientare gradualmente l’intera umanità verso un unico scopo supremo: Crescere!

Nella metafora di Hobbes, il Leviatano era formato da un intero popolo fedele ad un monarca assoluto. Nella nostra trattazione è invece una realtà fisica ben definita come “struttura dissipativa auto-organizzata evolutiva”. L’intero pianeta risulta oramai ricoperto dal suo corpo immane, costituito non solo da oltre 8 miliardi di esseri umani, ma anche da quasi 40.000 miliardi di tonnellate di catrame, metallo, cemento, colture e bestiame che costituiscono oramai un’unica mega-macchina globale di cui il sistema economico capitalista, nelle sue varie articolazioni, costituisce il metabolismo.

Una struttura estremamente efficiente in grado di evolvere con straordinaria rapidità, ma capace di fare un’unica cosa: assorbire sempre più energia e risorse per crescere perché, se la sua espansione si interrompe, muore. Tuttavia, anche la crescita continua lo condanna a un destino infausto, sebbene procrastinato nel tempo. Una condizione ben illustrata dal celebre aforisma: “Non puoi vincere, non puoi pareggiare, non puoi uscire dal gioco”; e neppure barare. La tecnologia assolve infatti a questa funzione fondamentale: barare al gioco della vita. Ha funzionato in passato e lo sta facendo tuttora, ma solo temporaneamente e con conseguenze penose inscindibili dai vantaggi che offre.

Attingendo alle più disparate discipline (dalla fisica alla mitologia, dall’economia alla filosofia, dalla storia all’ecologia) il discorso si dipana per oltre 400 pagine che si sforzano di descrivere fenomeni complessi nella maniera più semplice e divulgativa possibile. L’opera non consiste in un esercizio di esagerato determinismo, improntato a un morboso “tanto oramai non c’è più nulla da fare”; si propone invece di capire cosa sia possibile che accada e cosa no. Compito imprescindibile perché, con poche forze e ancora meno tempo a disposizione, sprecarli è disperante.



Un esempio molto semplice, ma utile per capire la natura del problema: immaginiamo un pietrone sferico su di un piano inclinato. Quali opzioni abbiamo al riguardo? Possiamo reggerlo, lasciarlo precipitare e scansarci oppure inventare un modo per bloccarlo il più a lungo possibile; possiamo pure spingerlo in salita o danzarci sopra mentre rotola a valle. In nessun caso, invece, il macigno tornerà verso l’alto da solo e smetterà di gravare verso il basso.

Sembra banale, ma forse non lo è, visto che l’intera politica mondiale si basa su presupposti altrettanto fantasiosi di un macigno che rotola da solo verso l’alto. Perfino molti premi Nobel dell’economia hanno avanzato teorie basate sulla presunta capacità dell’ingegno umano di violare la fisica e le leggi naturali. Ecco perché il libro si impegna a demistificare concetti tanto alla moda quanto antiscientifici, allo scopo di analizzare il Fato del Leviatano nel modo più realistico possibile.

Il Fato non stabilisce infatti ineluttabilmente il futuro, ma delimita un campo di probabilità decrescenti, fino a zero. Esiste dunque una gamma di opzioni possibili, ognuna delle quali provocherà ripercussioni immediate ed altre più o meno dilazionate nel tempo; talvolta utili e talaltra disastrose, comunque sempre difficili o impossibili da prevedere perché il sistema a cui apparteniamo è troppo complesso per comprenderlo nei dettagli, alcuni trascurabili altri invece cruciali. Malgrado un noto aforisma, ben difficilmente una farfalla scatena un uragano e, comunque, non potremo mai sapere se la tempesta in corso in Italia sia stata davvero innescata da una farfalla brasiliana che volava un secolo fa.

In compenso, conosciamo abbastanza bene alcune delle leggi che governano energia, materia ed informazione per capire che la forza inarrestabile del capitalismo si deve ad una peculiarità che lo differenzia da molti altri arrangiamenti socio-economici elaborati nella storia: quella di estremizzare la tendenza innata delle strutture dissipative, ossia distruggere il proprio “intorno” per crescere in dimensione e complessità. Così, il capitalismo ha letteralmente mangiato l’intero pianeta e con esso tutti i popoli che lo abitano, annientandoli o assorbendoli. Un’invenzione formidabile dunque, che ha prodotto la più grande civiltà di tutti i tempi e consentito all’uomo azioni un tempo ritenute prerogativa degli Dei, come volare e raggiungere la Luna. Ma ad un prezzo: accelerare una dinamica propria di tutte le strutture che assorbono e dissipano energia: l’invecchiamento e la morte. O, per meglio dire, il degrado ed il collasso.

Infatti, malgrado sia nato poco più di quattro secoli or sono e sia giunto a compimento appena trent’anni fa, il Leviatano appare già vecchio e malandato. Il libro illustra quindi i principali malanni che lo affliggono, in ultima analisi tutti dipendenti dalla sua fisiologia perché la stessa dinamica che, in un pianeta ricco di risorse e di biosfera, ha causato la sua smisurata crescita, nel mondo attuale dove ormai abbondano solo gli umani e i relativi schiavi (animali, vegetali e meccanici) sta rapidamente portando al collasso ed alla disintegrazione del Leviatano e quindi del capitalismo, che ne è l’apparato digerente. Al punto che, per sopravvivere, sta ormai divorando non più solo la biosfera ed i poveri del mondo, ma anche buona parte dei capitalisti e dello stesso Capitale.

Normalmente, le opere che affrontano tematiche affini a quelle de La caduta del Leviatano si chiudono con una serie di consigli e buone pratiche per correggere la rotta e salvarsi. Qui non ne troverete perché il sistema non è correggibile, al massimo se ne possono mitigare in modo molto limitato alcune tendenze. E dunque?

Ognuno cercherà il modo di cavarsela il meno peggio possibile secondo le sue opportunità e possibilità, ma noi esortiamo i lettori affinché pensino anche a coloro che verranno dopo di noi. In fondo, l’unico evento capace di cancellare l’umanità sarebbe un collasso generalizzato della biosfera, innescato dall’estinzione di massa in corso e vivacemente sostenuta dalle autorità di ogni ordine e grado, in ogni angolo del mondo, al grido di “Rilanciamo la crescita!”. Non sappiamo se la Vita sulla Terra sopravvivrà, ma è possibile ed è pertanto legittimo sperarlo. In caso positivo, i nostri più o meno remoti discendenti dovranno creare nuove civiltà con il poco di utile che avremo lasciato loro. E di cosa ha bisogno una civiltà? Acqua dolce, cibo, biodiversità, un clima vivibile, ecc., ma non basta. Ha bisogno anche di un mito fondatore perché è la mitologia e non la scienza che guida l’umanità, ora più che mai e così sarà anche in futuro. Perciò, mentre vi preoccuperete di salvare i vostri risparmi, di imparare l’orticoltura e le pratiche agroecologiche o di contrastare le speculazioni dei palazzinari amici del sindaco, pensate ad un mito che possa dare un senso a quanto vi accade ed una speranza per un futuro che nessuno di noi vedrà. Contrariamente al pensiero comune, una nuova mitologia è più importante di una nuova tecnologia perché attribuire un senso a ciò che ci accade e nutrire una qualunque forma di speranza sono due bisogni assoluti per noi umani, senza i quali non riusciamo a sopravvivere a lungo.

Dunque è imperativo elaborare una “grande narrativa” in grado di sostituire il mito del Progresso che ci ha condotti nell’impasse i cui ci troviamo, consapevoli che i miti fondatori sono sempre opere collettive che maturano nel tempo. Nessuno ne è l’autore, ma molti vi partecipano.

SINOSSI

CAPITOLO 1 – Illustra la natura del Leviatano unitamente ai concetti di “struttura dissipativa” e di “superorganismo”, necessari per comprendere la dinamica interna del Leviatano, derivante in ultima analisi da leggi fisiche.

CAPITOLO 2 – Tratteggia la genesi storica del Leviatano. Partendo da alcune peculiarità che rendono unica la specie umana attuale e rappresentano i necessari presupposti per lo sviluppo del Leviatano. Si delineano quindi i passaggi storici fondamentali e alcuni dei soggetti che, ispirandosi a presupposti ideologici diversi, hanno storicamente contrastato il formarsi del Leviatano.

CAPITOLO 3 – Descrive sommariamente la tecnostruttura che non solo permette al Leviatano di esistere, ma che ne è parte integrante e sostanziale, assieme all’intera umanità con i suoi organismi simbionti, commensali e parassiti.

CAPITOLO 4 – Si analizza l’“economia-mondo” che struttura gerarchicamente il pianeta in regioni centrali e periferiche, organizzando i flussi di materia, energia ed informazione caratterizzanti l’economia e la società globalizzata. Viene quindi spiegata la dinamica interna del sistema economico che alimenta il Leviatano, evidenziando l’importanza degli incrementi nella disponibilità di cibo ed energia per costruire società sempre più complesse. Infine, si accenna all’impossibilità di un’economia effettivamente circolare e dunque all’inevitabile alterazione dei cicli bio-geo-chimici da cui dipende la continuità della vita sulla Terra.

CAPITOLO 5 – Si affrontano la mistica del Progresso e i correlati miti della Macchina, del Mercato e della Crescita economica infinita, che hanno plasmato i modelli di pensiero dominanti negli ultimi due secoli, servendo anche a legittimare sia le profonde ineguaglianze sociali e inter-generazionali (spacciate per temporanee), sia il degrado dell’ambiente (ritenuto un fatto inevitabile e marginale).

CAPITOLO 6 – Si elencano le principali dinamiche perverse che stanno minando la funzionalità del sistema socio-economico globale, con le relative ricadute ambientali e sociali. Fra queste, si richiama l’attenzione su fenomeni apparentemente paradossali come l’erosione del reddito da capitale e la pauperizzazione di parte crescente dei capitalisti per opera del capitalismo stesso.

CAPITOLO 7 – Si tenta una diagnosi spiegando perché le “patologie” che affliggono il Leviatano non sono contingenti e neppure reversibili, essendo dovute ai profondi danni inferti alla biosfera ed al degrado quali-quantitativo delle risorse.

CAPITOLO 8 – Disamina delle fosche prospettive dal punto di vista storico e sistemico con particolare attenzione al fatto che, al variare della disponibilità di risorse e della salute della biosfera, le medesime dinamiche che hanno creato il Leviatano lo stanno ora distruggendo.

CAPITOLO 9 – La “morte del Leviatano” appare quindi un fatto procrastinabile, ma inevitabile e le conseguenze saranno di portata tale da modificare irreversibilmente non solo la storia dell’umanità, ma anche quella della biosfera tutta. Del resto, le prime avvisaglie di un tale evento sono già evidenti sotto il profilo ecologico, energetico ed economico. Si tratteggiano poi brevemente i principali tentativi di reazione alla crisi globale, soprattutto in Occidente.

CAPITOLO 10 – Abbozza una proposta avulsa dagli aspetti tecnici e pratici della crisi, bensì concentrata sul modo più appropriato di pensare ad essa, alla ricerca degli elementi su cui costruire un nuovo Mito Fondatore che possa sostituire quello ormai defunto del Progresso, per sostenerci e orientarci nei prossimi decenni che saranno probabilmente fra i più difficili dell’intera storia umana.

L’opera è stata sottoposta a Richard Heinberg, noto giornalista e scientifico e senior fellow del Post Carbon Institute, che si è così espresso: “Questa e’ la panoramica piú completa ed accurata della condizione umana nel 21° secolo in cui mi sia mai imbattuto”.

PER DISCUTERNE

Esistono una pagina FB ed un profilo Instagram (la_caduta_del_leviatano) dedicati al libro che, al di là dall’intento promozionale, possono essere sede di discussione. Occasioni per parlare direttamente di questi argomenti ci saranno in occasione delle presentazioni pubbliche che saranno annunciate sui canali social, man mano che saranno organizzate.

Per ora sono state fissate le seguenti:

15 aprile, presso Comunità dell’Isolotto, Via degli Aceri, 1 – Firenze. Ore 21:00

18 aprile presso Conventino Caffé Letterario, Via Giano della Bella, 20 – Firenze. Ore 18:00

21 aprile presso Circolo Arci Via Vittorio Veneto, 54 – Pontasserchio, comune di San Giuliano Terme (PI). Ore 17:30

Il libro si può acquistare in libreria, sul sito Web della Albatros Il Filo Edizioni, su Amazon e i principali bookstore on line.





sabato 9 gennaio 2021

Superare il capitalismo? Conversione Ecologica e Conflitto



Terza puntata dedicata alla conversione ecologica ed al conflitto.


Articolo già apparso su Apocalottimismo il 30/10/2020

 

Di Iacopo Simonetta


Settimane fa, a seguito di un interessante incontro nell’ambito del progetto “Ecoesione” dell’Università di Pisa su conversione ecologica e conflitto, mi posi tre domande: 1 – Crescita o non crescita? 2 – Quanta decrescita e per chi? 3 – Bisogna superare il capitalismo?


Delle prima due abbiamo parlato nei precedenti post, qui vorrei accennare ad alcune questioni relative al un punto fondamentale: il capitalismo è compatibile con l’auspicata conversione ecologica?
La questione è cruciale perché coloro che si adoperano per tale conversione devono far pressione sul sistema attuale per modificarne la rotta, oppure cercare di sostituirlo con un’altro sistema? E se questa fosse l’opzione, con quale sistema?
Mercato o non mercato? 

Tutte le proposte inerenti una qualche variante di “green Economy” danno per scontato di operare all’interno di un’economia di mercato. Sia pure con qualche aggiustamento, si pensa comunque di restare saldamente in un sistema capitalista, con tutto il relativo apparato legale, istituzionale e di costume. Siamo sicuri che sia possibile una vera transizione ecologica senza sbarazzarsi del capitalismo o, magari, trasformarlo in qualcosa di molto diverso?

Struttura del capitalismo.  

Il capitalismo è un sistema economico unico nella storia e, alla resa dei conti, si è dimostrato di gran lunga il più efficiente nello sfruttare le opportunità di crescita che offriva un “mondo vuoto” (sensu H. Daly). Non solo ha infatti permesso la creazione di immense fortune private (anche altri sistemi lo hanno fatto), ma ha anche distribuito il massimo storico di benessere materiale e di libertà personale ai cittadini degli stati che lo hanno adottato per primi. Si è anche dimostrato inattaccabile grazie alla sua capacità camaleontica di adattarsi ai più diversi contesti, pur restando saldamente sé stesso. Anzi, assorbendo ed utilizzando a proprio vantaggio anche le idee, i concetti e le invenzioni nate per contrastarlo.
Proprio questo lo rende così terribilmente distruttivo. Qui non possiamo scendere in dettagli su cui mi riprometto di tornare in futuro, ma è un fatto che il sistema capitalista è strutturato su una ridondanza di retroazioni positive senza freni interni. Al contrario ha molti strumenti (ad es. la tecnologia e la finanza) per contrastare gli effetti frenanti derivanti dagli impatti negativi sulle risorse, l’ambiente ecc.
Ne consegue che un sistema capitalista può fare solo due cose: crescere o collassare, senza possibili vie di mezzo.

Ovvio che se quella che si cerca è una “crescita verde” il capitalismo è quello che ci vuole, ma è lecito dubitare che in tal modo si possa davvero ridurre l’impatto umano sul Pianeta. Del resto, i deleteri effetti del “green washing” sono sotto gli occhi di tutti. Oramai, in nome e per conto della “economia verde” e dello “sviluppo sostenibile” si promulgano leggi ai limiti del criminale, come il “Testo Unico Forestale” del governo Gentiloni, e si finanziamo speculazioni a dir poco spregiudicate.


Effetti macroeconomici del superfluo. 

Il consumismo è alla base del disastro ecologico globale e si basa sulla vendita di oggetti perlopiù inutili, talvolta perfino dannosi, spesso progettati per rompersi presto e non essere riparabili. Verissimo, ma la maggior parte delle persone oggi lavorano proprio alla produzione e commercializzazione di beni e servizi inutili. L’esperienza dei blocchi dovuti alla pandemia di Covid-19 ci ha dato una dimostrazione plateale di come sia stato sufficiente rallentare per alcuni mesi la commercializzazione mondiale di generi non indispensabili per scatenare una crisi economica ancora più grave di quella, catastrofica, del 2008, lasciando disoccupate centinaia di milioni di persone nel mondo. Circa trenta milioni solo in Europa. Alla fine, nel mondo, il Covid avrà ammazzato più gente di miseria che di polmonite. 

Insomma, è verissimo che una vita sobria e laboriosa può essere di molta più soddisfazione di una vita passata a strascicare i piedi nei centri commerciali, ma le conseguenze per coloro che lavorano per far arrivare quella roba in quelle vetrine sarebbero devastanti. Certo, una vera transizione ecologica aprirebbe altri sbocchi professionali, magari più interessanti, ma rimane da stabilire quale sarebbe il saldo finale e come gestire la fase di passaggio che facilmente provocherebbe gravi conseguenze per molta gente e, di conseguenza, una netta opposizione, se non una vera insurrezione.

Effetti finanziari. I più seri tra i fautori del Green New Deal indicano anche quali sarebbero le fonti di finanziamento. In buona sostanza, sarebbero tre: – aumento delle tasse per i redditi più elevati, – diversa destinazione di spese già in atto, – varie tipologie di debito pubblico e privato.

La tassazione requisitoria dei super-redditi avrebbe indubbi vantaggi non tanto in termini di gettito fiscale, quanto in termini di recupero di credibilità e di autorevolezza della classe dirigente, oggi totalmente delegittimata. Resta da vedere se sia possibile attuare questa misura.

La ridistribuzione di spese e contributi potrebbe fare molto per sostenere la transizione, ma presenta dei rischi a seconda di quali finanziamenti si andassero a ridurre/eliminare. In particolare, le due categorie più gettonate sono le spese militari e le sovvenzioni alle industrie petrolchimiche. Delle prime si è già fatto cenno nella puntata precedente. Quanto alle sovvenzioni alle fossili, sono effettivamente un assurdo, ma il loro taglio potrebbe provocare il collasso di un comparto industriale che è già in affanno e che rimarrà comunque essenziale ancora a lungo. Fra l’altro, anche per realizzare la transizione energetica, visto che quasi tutto ciò che serve per essa viene direttamente o indirettamente dalle fossili.

Per quanto riguarda il debito comunque confezionato, la speranza è che i vantaggi derivanti dalla transizione consentano di ripagarlo. Il punto è che ciò sarebbe teoricamente possibile in un contesto di crescita economica, mentre in un contesto di decrescita ciò sarebbe comunque impossibile, con grave rischio di collasso del sistema finanziario e monetario. Inoltre, aumentare la massa monetaria in un contesto di contrazione od anche di stagnazione economica finirebbe con lo scatenare fenomeni inflattivi devastanti come si è già visto tante volte.

Insomma, se la transizione avvenisse in un contesto di decrescita sufficientemente rapida da salvare la Biosfera, bisognerebbe pianificare l’annullamento di gran parte del debito, il che significa la scomparsa del denaro e dalla finanza attuali e, quindi, la loro sostituzione. Con che? Non mi risulta che questo sia un punto in discussione.

Al contrario, se il GND fosse capace di rilanciare la crescita economica, come molti affermano, l’intera operazione fallirebbe con ogni probabilità lo scopo. Sappiamo bene da oltre 50 anni che per evitare il collasso globale occorre contrarre e non accrescere l’economia e la popolazione.

Tensioni e conflitti internazionali. Un altro punto fondamentale che si tende a trascurare è che non esistono solo le tensioni sociali interne ai vari stati (di cui le versioni migliori del GND almeno in parte si occupano), ma anche tensioni internazionali, spesso complicate, talvolta violente, quasi ovunque in peggioramento. Gli stati che decidessero di fare da battistrada per una transizione del tipo di quella prospettata ridurrebbero il loro peso economico e politico nel mondo, specie se tagliassero drasticamente le spese militari, come generalmente auspicato dai sostenitori del GND. Una cosa estremamente pericolosa, visto che la maggior parte dei paesi vanta almeno un vicino ostile, ma anche considerata la necessità di mantenere aperti canali commerciali globali ancora per un lungo periodo di tempo. La probabilità che altri paesi approfittino del ridimensionamento di alcuni, optando per una politica di accaparramento degli spazi economici e politici lasciati da altri, sarebbero molto elevate. Per non dire una certezza.
Non dimentichiamo poi che moltissimi paesi anche molto vicini a noi andranno quasi sicuramente incontro a ulteriori crisi politiche e sociali, tipo “primavere”. Finora queste ondate di violenza collettiva si sono sfogate all’interno dei confini nazionali, anche se con un forte impatto su altri paesi a causa della fuga di massa dalle zone più colpite. Ma non è detto che in futuro continui ad essere così e, se anche fosse, dovremo fronteggiare flussi di gente in fuga di ordini di grandezza superiori a quelli visti finora. 

Comunque, le prospettive sono abbastanza tetre per tutti. Per i paesi che vivono di esportazione di energia fossile (OPEC e Russia prima di tutti), una vera e diffusa conversione energetica sarebbe un disastro totale e non è detto che, potendo, non ricorrerebbero alle armi per salvarsi. Per le economie fortemente industrializzate, come Cina, USA e UE, una crisi dei trasporti internazionali, anche parziale, potrebbe facilmente innescare un completo collasso economico. Le devastanti conseguenze dei vari “lockdown” da Covid sono state un piccolo assaggio di quello che potrebbe facilmente accadere. Infine, molti dei paesi più poveri tirano avanti in buona parte grazie a programmi internazionali e rimesse di emigrati che diventerebbero molto più aleatori in un modo in cui le economie si contraggono. Molti fra questi paesi sono anche quelli demograficamente più instabili e maggiormente a rischio di violenza anche estrema.


Rientro nei limiti. 

La crescita economica comporta sempre un aumento dei consumi e, generalmente, anche della popolazione (contrariamente alla vulgata). In altre parole, aumenta l’impatto umano sul pianeta, mentre è imperativo ridurlo il più rapidamente possibile perché la situazione è già ora disperata.

Tanto per farsi un’idea, buona parte delle calotte glaciali è già in collasso e si stanno consolidando una serie di retroazioni che aumenteranno il tenore di CO2 e di metano in atmosfera, qualunque cosa faremo noi con le nostre tecnologie. Ancora peggio, i biomi non esistono più ed oggi si parla di Antromi. Dei 21 identificati, soltanto 3 sono considerati “wildlands”: deserti, tundra e resti di foreste primarie equatoriali, per un totale di poco più del 20% delle terre emerse (Antartide esclusa). Comunque, anche questi territori sono soggetti a gravissimi fenomeni di degrado come incendi, scioglimento del permafrost, ecc.

Tutto il resto, circa l’80% delle terre emerse, è occupato da ecosistemi totalmente artificiali, come città e campagne, o pesantemente modificati, come la quasi totalità delle foreste e delle praterie superstiti. In mare va pure peggio. 

Il risultato è che in appena 50 anni abbiamo perso oltre il 70% della fauna del mondo, mentre nello stesso periodo la popolazione umana è raddoppiata, raggiungendo una densità media mondiale di 55 persone per Kmq (sempre Antartide esclusa). Vale a dire che abbiamo un quadrato di poco più di cento passi per lato a testa. Se consideriamo però la sola superficie agricola, il quadrato diventa di soli 40 passi per lato (meno di 2000 mq). Oramai, il poco che resta di vita selvatica sopravvive stentatamente negli interstizi del nostro “formicaio umano globale”.


Considerazioni finali

Il petrolio abbondante, a buon mercato e di eccellente qualità è stato ciò che ha consentito al capitalismo di realizzare la più fantastica crescita economica di sempre e quella crescita è ciò che ha reso compatibili, anzi sinergici, il capitalismo e la democrazia.

La crescita è finita e non tornerà. E con la fine della crescita è finita questa sinergia: di qui il risorgere ed il diffondersi di partiti e movimenti estremisti, mentre il capitalismo in agonia cerca di sopravvivere adottando, gradualmente, metodi di manipolazione, controllo e repressione sempre più simili a quelli cari ai regimi totalitari. Tutto ciò che la crescita ha creato, senza di essa non potrà funzionare.

D’altronde, la decrescita non è una scelta, è una conseguenza di leggi fisiche e biologiche ineludibili. Questo significa che non solo le nostre abitudini ed il nostro benessere, ma anche buona parte di ciò che pensiamo, delle nostre certezze identitarie, fino ai nostri bastioni etici cadrà in rovina e da quelle rovine dovremo ricostruire un sistema di pensiero che ci possa sostenere in una realtà che già ci terrorizza, anche se ancora non la riusciamo ad immaginare.

D’altronde, per quanto duro, il declino è anche la strada migliore perché qualunque ulteriore crescita economica comporterebbe un ancor maggiore incremento dell’ingiustizia e della distruzione di ciò che resta della Biosfera.

In una qualche misura, possiamo però scegliere come declinare. Un vecchio detto afferma che per avere le buone risposte occorre porre le buone domande. Per esempio: “Come possiamo mantenere il nostro standard di vita?” è una domanda stupida perché sappiamo bene che la risposta è: “non possiamo”.

Però ci sono altre domande su qui vale la pena di riflettere. Per esempio: “Come possiamo contribuire a salvare la biosfera?” Oppure: “Possiamo seppellire il capitalismo salvando le libertà individuali?” O ancora: “E’ possibile una società decentemente giusta, anche se terribilmente povera?”
Ce ne sono molte altre, il punto è decidere quali sono le questioni che ci interessano davvero.

A chiosa, ricordo che tutte queste sono considerazioni strettamente personali che molti, specie fra coloro che sono importanti, non condividono, anzi negano o deridono. Sono il primo ad augurarmi di avere torto, ma avessi anche solo in parte ragione?




martedì 23 aprile 2019

Distruggere il debito - Agonia del capitalismo 6 -

Articolo di Jacopo Simonetta

Sesto articolo di una serie di dieci. I precedenti sono reperibili qui: primo, secondo, terzo, quarto, quinto.   

 

Il debito.

Veniamo adesso ad un argomento cruciale per la sopravvivenza del capitalismo: il debito.  E’ cruciale perché oggi l’intero sistema si basa su di una crescita costante ed equilibrata di debito e PIL.

La parola magica qui è “equilibrata”, perché l’intera massa monetaria è formata da debito pubblico e privato che dovrà quindi essere restituito con l’interesse affinché si possano fare nuovi debiti e cosi' via, teoricamente all'infinito.

L’idea sottostante è che finché l’economia complessiva (reale e finanziaria) cresce in proporzione al debito, questo sarà ripagato ed il gioco potrà continuare per sempre.   E se per fare questo bisogna distruggere risorse ed ambiente, rendere tossiche l’aria e l’acqua, rendere ostile il clima, spazzare via civiltà e culture, sovvertire strutture sociali pazienza; tanto l’ingegno umano  troverà sempre il modo di rimediare.  Anzi, dal momento che la soluzione dei problemi creati dalla crescita richiede spesso grossi investimenti, i problemi stessi diventano motori di ulteriore crescita.  Evviva!

Un giochino che chiaramente funziona solo se non si tiene conto che gli uomini sono oggetti materiali, cosi’ come tutto ciò che usano, consumano e scartano;  Un “dettaglio” che li rende soggetti alle leggi della fisica, della chimica e dell’ecologia, assai più che alla magia dei modelli teorici.  

Comunque, è un fatto che non solo nelle economie sommergenti, ma anche in quelle emergenti il debito sta crescendo troppo rapidamente rispetto all'economia (o l’economia cresce troppo lentamente rispetto al debito, come si vuole).

Per essere più precisi: in tutto il mondo si vede chiaramente che il rapporto debito-PIL è entrato in una fase di ritorni decrescenti (v. immagine di apertura).  Significa che per ottenere un medesimo livello di crescita, è necessario un sempre maggiore incremento del debito.
Incuranti dei limiti fisici alla crescita, per parecchi anni l’aumento del debito è stato favorito da banche e governi, sperando che ciò rilanciasse la crescita, ma anche quando ha funzionato non è stato abbastanza ed ora tutte le economie nazionali del mondo si trovano alle prese con un debito sostanzialmente fuori controllo.  Che fare?

Distruggere il debito.

Non è certo la prima volta che degli stati si trovano sommersi da un debito impagabile e ci sono parecchi modi per uscire dalla stallo.  Vediamoli brevemente.

L’austerità consiste nel contenere al massimo le spese e, contemporaneamente, cercare di aumentare le entrate con ogni mezzo.  Cosa che, nel caso dei governi, significa tagliare i servizi ed aumentare le tasse.   In alcuni casi ha funzionato.   Per esempio, l’Inghilterra del XIX secolo riuscì in questo modo a ripagare l’enorme (per allora) debito contratto durante le guerre napoleoniche.   Ma la cosa richiese circa un secolo e fu possibile grazie al fatto che, in quello stesso periodo, l’Inghilterra era la maggiore potenza coloniale del mondo e la sua economia cresceva comunque, malgrado un livello di povertà estremo per la maggior parte della sua popolazione.  Per farsi un’idea, niente di meglio che leggere i romanzi di Dickens.

In un contesto di stagnazione o, peggio, di recessione, l’austerità non fa che accrescere le difficoltà delle persone, senza risolvere la situazione debitoria.  In altre parole, l’austerità è un eccellente strumento preventivo se usato per rallentare la crescita (oltre che per ridurre il debito) nei periodi economicamente favorevoli, in modo da alleviare la situazione nei seguenti, immancabili, periodi sfavorevoli.  Se, invece, la si usa crisi economica durante, può aggravare anche di molto la situazione (Grecia e Italia docunt).

La ricusazione significa che il debitore dichiara che non pagherà determinate somme, appellandosi ad una qualche motivazione legale, oppure mediante un accordo con i creditori o ancora con un'azione di forza.   Ad esempio è stato parzialmente fatto per la Grecia (il cosiddetto “haircut”).  Inutile dire che ciò è possibile solo in casi molto particolari e parziali.  Nel caso degli stati, quando la cosa è trascurabile dal punto di vista dei creditori; oppure se questi hanno una contropartita politica di altro genere.  Comunque, bisogna che chi ricusa il debito sia in una posizione di forza nei confronti del creditore o, perlomeno, è necessario sia in grado di concordare con i creditori una strategia di interesse comune poiché, se la ricusazione favorisce chi riduce il proprio debito, danneggia chi vede invece svanire il proprio credito.

La bancarotta significa che il debitore non paga perché non può.  Nel caso di privati, i creditori si rivalgono sui beni del debitore, finché ce ne sono.   Nel caso degli stati, significa che i servizi pubblici, gli stipendi, le pensioni e molto altro svaniscono nel nulla, per poi eventualmente riapparire sotto differenti spoglie, ma comunque drasticamente ridimensionati.  Per i cittadini dello stato in questione si tratta comunque di stringere molto la cintura, ma non solo.  Il rischio sistemico è che la bancarotta di un soggetto importante può provocare effetti a catena imprevedibili.   Il caso di Lehman Brothers è solo il più recente e conosciuto.  La bancarotta di uno stato economicamente importante potrebbe scaraventare nel caos la finanza mondiale.

La crescita è considerata la panacea di tutti i mali.  Se, infatti, l’economia cresce più rapidamente del debito, questo sarà ripagato senza problemi e con grande soddisfazione di tutti.   Solo che se ci sono dei problemi, tipo la progressiva riduzione della produttività dell’energia o l’incremento delle esternalità negative (inquinamento, sanità, bonifiche, ecc.), la crescita economica reale sarà limitata o addirittura negativa (anche a fronte di un PIL positivo).   Cioè la crescita, anche quando ci fosse davvero, non può pagare un debito in territorio di “ritorni decrescenti” (v. sopra).  In altre parole, il keynesismo ha funzionato nel contesto in cui lavorava Keynes.  Nel contesto attuale, almeno in moti casi, no.   Anzi si traduce in un ulteriore accelerazione del debito.

La privatizzazione consiste nella vendita a privati del patrimonio pubblico.   Una cosa che ha senso solo in misura molto limitata.  Abbiamo infatti visto che il patrimonio netto degli stati (perlomeno di quelli occidentali su cui si hanno dati affidabili) è circa zero in quanto il valore del debito pubblico equivale grosso modo al valore del patrimonio pubblico.  Ciò significa che, teoricamente, gli stati potrebbero azzerare il debito vendendo strade, caserme, palazzi ed uffici governativi, navi da guerra, scuole, gendarmerie, ecc.   Ma a parte il fatto che per alcuni di questi “asset” non sarebbe facile trovare compratori, una simile operazione comporterebbe che invece di pagare un interesse sul debito, gli stati dovrebbero pagare degli affitti per continuare ad usare le infrastrutture e le attrezzature essenziali al loro funzionamento.   Non un grande affare.


L’imposta straordinaria sul patrimonio (alias Patrimoniale) consiste nell'imporre un prelievo massiccio sui patrimoni privati.  Piketty valuta che, complessivamente in Europa, un prelievo del 15% dei patrimoni privati sarebbe sufficiente ad azzerare il debito degli stati, liberando ingenti risorse pubbliche per investimenti e/o ridurre la tasse sul reddito.    Apparentemente fattibile, specie se la misura fosse ben studiata nel dettaglio, gradualizzandola nel tempo ed articolandola per scaglioni con quote di imposizione fortemente progressive cosi’ da proteggere i piccoli risparmiatori e torchiare i super-capitalisti.  Del resto, provvedimenti del genere si sono già visti in casi di emergenza.  La tassa straordinaria sui patrimoni imposta dal primo governo De Gaule nel 1945 raggiunse il 25% per lo scaglione più alto.   USA ed Inghilterra, durante la II Guerra Mondiale, arrivarono a tassare per il 90% l'aliquota massima dei redditi.

Dunque perché non si fa?  Lo stesso Piketty, strenuo sostenitore di questo tipo di misura, ammette che non è cosi’ facile come sembra.   Intanto i grandi e grandissimi capitalisti sono persone ben addentro alle stanze del potere, dove hanno ampio margine per influenzare le decisioni politiche.  Ne è buona prova attuale il fatto che un provvedimento che mira a ridurre il carico fiscale per i redditi alti ed altissimi (la cosiddetta “flat tax”) viene oggi portato avanti dalla Lega che si autodefinisce un partito “populista”.

Un secondo motivo per cui sarebbe oggi molto più difficile attuare un simile provvedimento, è che i grossi capitali finanziari mutano in continuazione di natura e localizzazione, cosicché è praticamente impossibile tracciarli con sicurezza.  Ma non basta: anche i capitalisti possono spostarsi con estrema facilità nei paesi che gli offrono le condizioni migliori.  Per citare un solo esempio, Gérard Depardieu ha potuto eludere il fisco e la legge francesi diventando cittadino russo in pochi giorni, laddove un comune mortale non avrebbe avuto scappatoia alcuna.

Un provvedimento di questo genere, oggi, potrebbe essere efficace solo se concordato e coordinato dai tutti gli stati principali. Diversamente, sarebbe un'ulteriore "stangata" alla classe media, come già avvenuto con le patrimoniali che si sono succedute nei decenni scorsi.

L’inflazione è da molti considerata l’ultima e più efficace delle medicine, ampiamente usata da tutti gli stati durante il XX secolo.   Se il denaro perde di valore ad un tasso superiore a quello dell’interesse, il debito gradualmente diminuirà fino a diventare insignificante; cosi da permettere  l’accensione di nuovi debiti a tassi maggiori che, però, saranno a loro volta surclassati dall'inflazione.   E’ sostanzialmente cosi’ che tutti i paesi europei si sono sbarazzati degli immensi debiti conseguenti la II Guerra Mondiale e la ricostruzione.   Ed è la strategia che da un paio di anni ha avviato la BCE, su pressante insistenza di parecchi stati dell’UE (fra cui l’Italia).   Ma anche questa medaglia ha un rovescio: assieme ai debiti svaporano i risparmi, gli stipendi e le pensioni, tranne per coloro che sono in grado di fare investimenti molto redditizi, o di ottenere aumenti frequenti e consistenti.

Nel periodo del “miracolo economico” postbellico, la combinazione di una forte crescita economica e di agguerrite organizzazioni sindacali fece si che la maggior parte delle persone non ebbero a soffrire dell’elevata inflazione (al netto di qualche vecchio possidente).  Viceversa, il contesto di stagnazione (o recessione) in cui vivono e vivranno la maggior parte degli occidentali (e poi anche degli altri) fa si che l’inflazione oggi non sia che un sistema molto efficace per pompare soldi dalle tasche dei cittadini, al netto di coloro che possono contare su stipendi molto elevati e/o di patrimoni molto importanti.

Insomma, come dicevano sia Keynes che Lenin,  l’inflazione è il modo più efficace con cui uno stato può appropriarsi della ricchezza dei cittadini senza che questi si possano difendere.
In altre parole, l’inflazione tende a favorire chi ha molti debiti (a partire dallo stato), chi dispone di grandi patrimoni finanziari e chi è in grado di accrescere rapidamente le proprie entrate, mentre danneggia tutti gli altri e soprattutto le “formichine”.

Se non bastasse, l’esperienza recente di economie fino a poco tempo fa forti, come il Venezuela, ci insegna che l’inflazione è un attrezzo scivoloso che facilmente sfugge di mano, col risultato di distruggere la moneta e l'economia.

Conclusioni 6

Il debito pubblico e privato stanno schiacciando le economie del mondo, sia pure con situazioni molto diverse a seconda dei paesi.   Ci sono molti modi per sbarazzarsene, ma tutti hanno un punto in comune: i super ricchi se la cavano, mentre la gente normale si fa molto male.  Finché il debito permane e cresce, si soffre perché bisogna pagarlo (direttamente od indirettamente); quando cessa, invece si soffre perché svaniscono anche buona parte dei risparmi, degli stipendi e delle pensioni.  Amen.

Unica, parziale, eccezione potrebbe essere rappresentata da un forte aumento delle imposte sui redditi e sui patrimoni molto elevati.  Ma, come giustamente osserva lo stesso Piketty, un simile provvedimento sarebbe possibile ed efficace solamente a due condizioni:

La prima è che la manovra fosse concordata ed attuata in modo unitario perlomeno in tutta l’Europa.  

Vale a dire che, fra le altre cose, presuppone un livello di integrazione transnazionale molto più elevato dell’attuale.  “Solo l’integrazione politica europea permetterebbe di tentare una regolazione efficace del capitalismo patrimoniale globalizzato del secolo che si apre” (Piketty 2013, p 945).  Una prospettiva alquanto remota che, paradossalmente, proprio molti partiti e movimenti di protesta popolare si affannano a rendere più lontana, anziché più prossima.

La seconda è che, conti alla mano, per fornire un gettito quantitativamente efficace, la tassa dovrebbe necessariamente intaccare sensibilmente anche i patrimoni della classe media, risparmiando solo i pesci molto piccoli.  In altre parole, un provvedimento requisitorio solo nei confronti dei miliardari o dei multi-milionari avrebbe un effetto politico importante, ma un effetto sul debito statale marginale.  Lo stesso Piketty stima che la tassa sul patrimonio che caldeggia, dovrebbe incidere su tutti i patrimoni sia pure con una forte progressività.   Una misura che potrebbe avere conseguenze più serie del previsto sul sistema e rivelarsi controproducente in un’ottica di resilienza complessiva della società.  Ci torneremo.


sabato 16 giugno 2018

La Seconda Legge della Termodinamica – la voragine in mezzo all’economia circolare


Di Paul Mobbs, pubblicato originariamente sul sito Free Range Activisim
 Da “Resilience”. Traduzione di MR


Perché l’ultimo tormentone della sostenibilità consumistica non solo non affronta il cuore del problema, ma è destinato a fallire.


Nota di Ugo Bardi - L'autore di questo testo, Paul Mobbs, fa alcune considerazioni corrette ma, nel complesso, non ha capito gran che proprio dell'argomento principale di cui parla. Purtroppo, vale una legge generale in questo campo "quelli che non capiscono la termodinamica sono condannati a produrre entropia inutilmente." Tuttavia, vale la pena di leggerlo perché è vero che molti di quelli che parlano a sproposito di economia circolare hanno capito ancora meno di lui. 
 

Questa mattina, ascoltando Radio 4, ho ascoltato le due parole chiave giustapposte che ho imparato a temere negli ultimi due anni; “economia circolare”. E’ un’idea fantastica e non posso criticare la vera convinzione di chi la promuove. Il mio problema è che il modo in cui descrivono ha poco a che fare con la realtà fisica del mondo, pertanto si tratta semplicemente di un jolly per “uscire gratuitamente dall’inferno” per consumatori ricchi – che sono, a quanto sembra, coloro che sostengono più a gran voce questa idea.

Come succede spesso nelle eco-storie atte a farti sentire bene, l’intervistatore del programma di oggi [1] era tutto leggero ed arioso; e ovviamente in imbarazzo perché non aveva la sicurezza di sé per porre una qualsiasi domanda fondamentale e scomoda all’intervistato.

Il segmento stava esaminando la nuova ricerca [2] dell’Università di Portsmouth. Hanno scoperto un enzima mutante da batteri che hanno scoperto vivere fra la plastica nei centri di riciclaggio. Come tutti gli enzimi [3] – come le cose che vengono aggiunte al detersivo di modo che possiate pulie i vestiti senza bollirli – queste molecole complesse accelerano le reazioni chimiche agendo sui legami chimici che tengono insieme le cose. In questo caso, l’enzima spezza i legami della molecole di polietilene teraftalato [4] (PET).

Idea splendida. E, se si dimostra essere ecologicamente sicura, eccellente chimica. Non è questo il problema qui.


Entriamo nella “economia circolare”
Lo scienziato quindi descrive il valore di questo enzima come parte dell‘economia circolare’ [5] – un concetto proposto negli anni 80, e reso popolare in anni recenti da organizzazioni come la Ellen MacArthur Foundation [6], per passare da un processo economico lineare ad uno circolare:

  • Economia ‘lineare’‘ – significa che i materiali vengono creati, usati e smaltiti come rifiuti, richiedendo che vengano impiegate nuove risorse per sostituirli, che è il modo in cui funziona il cuore dell’economia oggi; 
  • Economia ‘circolare‘ – significa che tutti i materiali ed i prodotti vengono fatti e venduti di modo che il loro contenuto possa essere completamente riciclato ed usato in nuovi prodotti di nuovo, ovviando alla necessità di produrre nuove risorse per sostituirli.

E’ una buona idea. Un’idea che sosterrei con tutto il cuore, se non fosse per un piccolo intoppo tecnico che percepisco in questo concetto; le Leggi della termodinamica [7] – e in particolare la mia preferita, la Seconda Legge della Termodinamica [8].

Le Leggi della Termodinamica sono nate in parallelo con l’industrializzazione, essendo state inizialmente usate per descrivere il funzionamento dei motori a vapore. Col tempo, la scienza ha perfezionato i principi di queste ‘leggi’ ed ora le ritiene universali.

La Seconda Legge ha a che fare con le reazioni irreversibili – cioè, operazioni che una volta intraprese non possono essere annullate.

Ciò che l’idea di ‘economia circolare’ proporrebbe in relazione alle bottiglia di plastica in PET è: prendi un po’ di gas naturale (sì, al contrario dell’idea che la plastica provenga dal petrolio, gran parte delle plastiche provengono da sottoprodotti leggeri della raffinazione del petrolio, ma più che altro gas naturale e condensato) e trasformalo in plastica PET; poi facci una bottiglia di plastica con una macchina modellatrice; usa la bottiglia; poi ricicla la bottiglia e continua a riciclarla dopo ogni uso – ovviando alla necessità di usare altro gas naturale per creare plastica. Di conseguenza, l’uso della bottiglia diviene ‘circolare’.

Perfetto, non è così?


Le restrizioni termodinamiche alla speranza umana

Naturalmente, c’è sempre un enorme “ma” in situazioni come questa.

In questo caso, l’uso della plastica rappresenta una reazione ‘reversibile’ – puoi fare plastica e poi riciclarla per fare altra plastica. Risolto!

L’energia spesa per farlo, tuttavia, non è un processo irreversibile [9]. Non può essere recuperata. La Seconda Legge impone che l’energia può essere usata, ma nel processo la ‘qualità’ (leggi ‘utilità’, o ‘densità’, o ‘valore’) di quell’energia viene degradata e, una volta degradata, quella ‘qualità’ non può essere recuperata senza usare anche più energia di quella che è stata spesa quando è stata usata l’energia per la prima volta.

Per esempio, l’acqua che scorre a valle può far girare una turbina e produrre elettricità; ma ci vuole più elettricità di quella che è stata generata per riportare di nuovo lo stesso volume di acqua indietro verso la cima della collina.

Ora, a questo punto i fautori dell’economia circolare parleranno di energia rinnovabile, evitando quindi il problema delle risorse finite che vengono usate per alimentare il processo. E’ vero, fino a un certo punto. E quel punto è, i sistemi di energia rinnovabile di cosa sono fatti? Risorse finite.


I limiti dell’energia rinnovabile

Solo perché l’energia rinnovabile è ‘rinnovabile’ non significa che le macchine che ci servono per raccoglierla siano esenti dai limiti finiti delle risorse terrestri [10].

Ci sono grandi progetti per alimentare il mondo usando energia rinnovabile. La difficoltà è che nessuno si è scomodato a verificare per vedere se le risorse per produrre quell’energia siano disponibili. Una ricerca recente suggerisce che le risorse necessarie per produrre quel livello di capacità attualmente non possono essere fornite [11].

Il punto di crisi è che mentre potrebbero esserci indio, gallio, neodimio ed altri metalli rari a sufficienza per costruire turbine eoliche o pannelli FV per il mezzo miliardo (più o meno) di consumatori ricchi ( che sono le persone che con più probabilità staranno leggendo questo articolo), non ce ne sono a sufficienza per dare a tutti lo stesso livello di consumo energetico – le avremmo finite molto prima.

Per esempio, il primo metallo che gli esseri umani hanno fuso [12] circa 9.000 anni fa, è stato il rame. Da allora il rame è stato un eccellente indicatore dello sviluppo umano, col consumo che aumenta in linea con lo sviluppo umano. Un motivo di questo è che man mano che l’uso industriale è crollato (per esempio sostituendo tubi di rame con la plastica) abbiamo usato più rame per nuove tecnologie (per esempio l’elettronica – circa il 14% [13] del peso di un telefono cellulare è rame).

Il rame ha anche uno dei migliori e più collaudati sistemi di riciclaggio, ma nonostante questo è stato stimato che solo metà di tutto il rame viene riusato [14].

Il problema è che, a causa del suo lungo ed intensivo uso globale, ci stiamo avvicinando al ‘picco del rame’ [15] – il punto in cui la quantità di rame rimasta nel sottosuolo e, cosa più importante, il crollo della qualità del suo minerale, riduce la quantità che può essere prodotta annualmente. E, cosa ancora più significativa, l’impatto ecologico [16] del crollo della qualità del minerale di rame è che l’energia consumata e i gas serra emessi dalla sua produzione aumentano esponenzialmente.

Ora naturalmente usiamo il rame in modo più efficiente. E dovessimo esserne a corto, l’aumento dei prezzi aumenteranno i tassi di riciclo – anche se questo aumenterà anche i furti [17] di rame nella società. La difficoltà è che, appena la settimana scorsa [18], l’industria del rame ha annunciato di essere preoccupata per la produzione dopo il 2020.

La strategia è importante, ma il cambiamento ‘reale’ è cruciale


OK, torniamo all’economia ‘circolare’.

Ciò che realmente importa qui non è tanto il materiale usato nella produzione, ma la densità energetica della produzione. La densità energetica non è solo una questione di quanta energia serve per produrre un articolo, ma quanto dura quell’articolo. Questo a sua volta condiziona il ‘ritorno’ dell’energia investita nella sua produzione – o EROEI [19].

Diciamo che una bottiglia di plastica impiega se settimane per essere fatta, riempita, comprata, consumata, raccolta e riprocessata fino ad essere rifatta. E’ buono, perché riciclare la plastica può rappresentare un risparmio di più del 50% [20] sull’energia usata per produrla in confronto ai materiali vergini.

Ciò che determina la sostenibilità a lungo termine di questo però non è solo il risparmio una tantum, ma la percentuale che può essere fattibilmente risanata e riusata.

Ipotizziamo che, nel migliore dei casi, possiamo recuperare il 60% del contenuto della bottiglia sul ciclo di sei settimane. Dopo un ciclo, sei settimane, ci rimane il 60% del materiale. Dopo due cicli, 12 settimane, ci rimane il 60% x 60% = 36%. Dopo tre cicli c’è il 60% x 36% = 22%. Dopo quattro cicli il 13%, eccetera.

Alla fine di un anno (o 8 o 9 cicli), ci rimarrebbe solo l1% della plastica.

La reazione ovvia è, “be’, ricicliamo di più”. Il problema è che raggiungere un tasso di recupero alto richiede in realtà la spesa di più energia, riducendo l’energia risparmiata – e man mano che ci si avvicina al 100%, la quantità richiesta è probabile che superi l’energia necessaria per produrre nuova plastica da materie prime.

Per esempio, riciclare in aree urbane densamente popolate è facile, perché la gestione dei rifiuti è una parte essenziale della capacità di gestire un’area urbana. Ma nelle aree rurali e nei paesi meno densamente popolati? A che punto l’energia spesa per far andare un veicolo di raccolta supera l’energia risparmiata col recupero dei materiali? (risposta – dipende completamente dalle circostanze locali, quindi deve essere valutata come parte del processo di pianificazione, piuttosto che generalizzata in anticipo).

“E’ il consumo, stupido!”

E’ la stessa cosa per il problema del crollo del minerale di rame. Più la tua fonte è diffusa, più energia devi spendere per recuperarla. Ottenere la plastica facile, diciamo la prima metà, sarà facile. Ottenere il successivo 20% potrebbe costare lo stesso sforzo. Il 10% successivo il doppio. A l’ultimo 20%. Potrebbe non produrre alcun risparmio.

Alternativamente, potremmo estendere la vita della bottiglia – riempiendola anziché riciclandola. Ciò avrebbe un effetto significativo, ma anche così, ad ogni ciclo di riempimento, un certo numero di bottiglie verrebbero scartate.

Però non ignorate questa opzione. Si può dire che, al posto di aumentare i tassi di riciclo, estendere la vita di servizio delle risorse probabilmente ha il profilo energetico migliore – visto che riduce non solo la necessità di rifabbricare le risorse, ma anche la necessità di riciclarle/sostituirle. Il problema è che spesso il riuso richiede un cambiamento di gran lunga più grande e la cooperazione dei consumatori – esattamente la cosa che una economia ‘liberale’ odia fare perché comporta l’imposizione di azioni al consumatore.


Dimenticate la linea di Bill Clinton sulla ‘economia’; "E’ il consumo, stupido!"
Cosa ancora più importante, in tutto questo processo, viene spesa energia [21]; e l’energia è la cosa che non possiamo recuperare. Pertanto, dobbiamo evitare di rifabbricare o recuperare, per prima cosa. La difficoltà è che nessuno vuole sostenere questo – combinando riuso multiplo, riciclo intensivo E tempo di servizio più lungo – in quanto questo significa l’eliminazione effettiva di consumismo, moda, ‘innovazione’ e molte delle altre caratteristiche totemiche [22] della moderna economia consumistica materialista.

Quindi, ancora una volta, dato che una grande quantità della ricchezza mondiale deriva dallo sfruttamento delle risorse, qualsiasi cambiamento di questo schema è probabile che abbia implicazioni enormi per l’economia quotidiana [23] sulla quale si basano la maggior parte dei ricchi consumatori per consumare.


La ‘economia circolare’ deve accettare la realtà termodinamica

Arthur Eddington [24] era uno scienziato (e quacchero) che ha fatto progredire la fisica e l’astrofisica nei primi decenni del XX secolo, ed ha reso popolari le teorie di Albert Einstein – contro il pregiudizio anti tedesco ed anti ebraico dell’establishment scientifico.

In relazione alla Seconda Legge della Termodinamica, Eddington ha prodotto una famosa affermazione:

Se qualcuno ti fa notare che la tua teoria preferita dell’universo è in disaccordo con le equazioni di Maxwell – allora tanto peggio per le equazioni di Maxwell. Se si scopre che sono contraddette dalle osservazioni – be’, questi sperimentatori pasticciano un po’ con le cose a volte. Ma se si scopre che la tua teoria è contro la seconda Legge della Termodinamica, non posso darti alcuna speranza; per lei non rimane altro che crollare nella più profonda umiliazione.

La ‘economia circolare’ è, secondo me, uno stratagemma per far percepire ai consumatori ricchi che possono continuare a consumare senza la necessità di cambiare le loro abitudini. Non c’è niente di più lontano [25] dalla realtà e la ragione principale di questo è la necessità di energia per alimentare l’attività economica [26].

Mentre il concetto di ‘economia circolare’ ha certamente le idee giuste, essa si sottrae agli aspetti più importanti della nostra crisi ecologica di oggi [27] – è il consumo il problema, non il semplice uso di risorse. Anche se il principio potrebbe essere fatto funzionare per una percentuale relativamente piccola [28] della popolazione umana, non potrebbe mai essere una soluzione mainstream per tutto il mondo a causa della sua dipendenza da tecnologie di energia rinnovabile per farla funzionare – e delle schiaccianti limitazioni nel raccogliere energia rinnovabile.

Per riconciliare l’economia circolare con la Seconda legge dobbiamo applicare non solo cambiamenti al modo in cui usiamo i materiali, ma al modo in cui li consumiamo. Inoltre, ciò implica una tale riduzione dell’uso di risorse [29] da parte dei consumatori più ricchi e sviluppati, che l’immagine dell’economia circolare proposta dai suoi fautori, non corrisponde alla realtà [30] di farla funzionare per la maggioranza della popolazione mondiale.

In assenza di una proposta che soddisfi le limitazioni globali all’energia ed alle risorse [30] sul sistema umano, compresi i limiti alla produzione di energia rinnovabile, l’attuale rappresentazione della ‘economia circolare’ non è un’opzione praticabile. Praticamente quindi, non è altro che un balsamo per la coscienza dei consumatori ricchi che, nel profondo, sono abbastanza consapevoli da rendersi conto che la loro vita di lussi presto sarà finita, man mano che le crisi collegate ecologica ed economica [31] morderanno sempre più in alto nella scala del reddito.


Riferimenti:
  1. BBC Radio 4: ‘Today’, 17 april 2018 – https://www.bbc.co.uk/programmes/b006qj9z
  2. Guardian Online: ‘Scientists accidentally creat https://www.bbc.co.uk/programmes/b006qj9z e mutant enzyme that eats plastic bottles’, 16th April 2018 – https://www.theguardian.com/environment/2018/apr/16/scientists-accidentally-create-mutant-enzyme-that-eats-plastic-bottles
  3. Wikipedia: ‘Enzima’ - https://it.wikipedia.org/wiki/Enzima
  4. Wikipedia: ‘Polietilene teraftalato – https://it.wikipedia.org/wiki/Polietilene_tereftalato
  5. Wikipedia: ‘Circular economy’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Economia_circolare
  6. Wikipedia: ‘Ellen MacArthur Foundation’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Ellen_MacArthur_Foundation
  7. Wikipedia: ‘Laws of thermodynamics’ – https://en.wikipedia.org/wiki/Laws_of_thermodynamics
  8. Wikipedia: ‘Second law of thermodynamics’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Secondo_principio_della_termodinamica
  9. Wikipedia: ‘Processo irreversibile’ – https://en.wikipedia.org/wiki/Irreversible_process
  10. BioScience: ‘Limiti energetici alla crescita economica’, vol.61 no.1, gennaio 2011 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/brown2011.shtml
  11. EU Joint Research Committee: ‘Metalli cruciali nelle tecnologie energetiche strategiche – valutare i metalli rari man mano che la filiera di fornitura si restringe nelle tecnologie energetiche a basso tenore di carbonio’, 2011– http://www.oakdenehollins.com/pdf/CriticalMetalsinSET.pdf
  12. Wikipedia: ‘Età del rame’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Et%C3%A0_del_rame
  13. U.S. Geological Survey: ‘Cellulari riciclati – uno scrigno di metalli preziosi, luglio 2006 – https://pubs.usgs.gov/fs/2006/3097/fs2006-3097.pdf
  14. Environmental Science and Technology: ‘Analisi dinamica dei flussi globali di rame, Glöser et al., vol.47 no.12 pp.6564-6572, maggio 2013 – https://pubs.acs.org/doi/full/10.1021/es400069b
  15. Wikipedia: ‘Picco del rame’ – https://en.wikipedia.org/wiki/Peak_copper
  16. Resource Policy: ‘La sostenibilità ambientale delle miniere in Australia: macrotendenza chiave e limiti incombenti’, Gavin M. Mudd, vol.35 no.2 pp.98-115, giugno 2010 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/mudd2010.shtml
  17. Wikipedia: ‘Furti di metalli’ – https://en.wikipedia.org/wiki/Metal_theft
  18. Mining: ‘Crisi della fornitura di rame prima del previsto – esperti’ 10 aprile 2018 – http://www.mining.com/copper-supply-crunch-earlier-predicted-experts/
  19. Wikipedia: ‘Energy returned on energy invested’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Ritorno_energetico_sull%27investimento_energetico
  20. Ecological Modelling: ‘Analisi delle impronte energetiche associate al riciclo di vetro e plastica – casi studio per l’ecologia industriale’, vol.174 no.1-2 pp.175-189, maggio 2004 – https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0304380004000067
  21. Sustainability: ‘Energia, crescita economica e sostenibilità ambientale: cinque proposte’, vol.2 pp.1784-1809, 18 giugno 2010 – http://www.mdpi.com/2071-1050/2/6/1784/pdf
  22. Nature: ‘Tempo di lasciarsi indietro il PIL’, vol.505 pp.283-285, 16 gennaio 2014 – http://www.nature.com/polopoly_fs/1.14499!/menu/main/topColumns/topLeftColumn/pdf/505283a.pdf
  23. International Journal of Transdisciplinary Research: ‘La necessità di nuovo paradigma basato sulla biofisica in economia per la seconda metà dell’era del petrolio’, vol.1 no.1 pp.4-22, 2006 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/hallklitgaard2006.shtml
  24. Wikipedia: ‘Arthur Eddington’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Arthur_Eddington
  25. Journal of Cleaner Production: ‘Perché siamo drogati di crescita? La strada difficle verso la decrescita nel percorso involutivo dello sviluppo occidentale’, vol.18 no.6 pp.590-595, aprile 2010 – https://degrowth.org/wp-content/uploads/2011/05/Van-Griethuysen-why-are-we-growth-addicted.pdf
  26. The Australian National University : ‘Il ruolo dell’energia nella crescita economica’, Centre for Climate Economics & Policy, ottobre 2010 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/stern2010.shtml
  27. PNAS: ‘Tracciare il superamento ecologico dell’economia umana’, vol.99 no.14 pp.9266-9271, 9 luglio 2002 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/wackernagel2002.shtml
  28. The Corner House: ‘Sicurezza energetica: per chi? Per cosa?’, febbraio 2012 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/cornerhouse2012.shtml
  29. Paul Mobbs/MEI: ‘L’energia al di là del petrolio – potreste tagliare il vostro uso di energia del 60%?’, giugno 2005 – http://www.fraw.org.uk/mei/energy_beyond_oil_book.shtml
  30. Ecological Economics: ‘Decrescita e fornitura di denaro in un mondo con scarsità di energia’, vol.84 pp.187-193, 28 marzo 2011 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/douthwaite2011.shtml
  31. Proceedings of the Royal Society B: ‘Un collasso della civiltà globale può essere evitato?’, vol.280 no.1754, 7 marzo 2013 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/ehrlich2013.shtml
  32. Melbourne Sustainable Society Institute: ‘Il collasso globale è imminente?: Un confronto aggiornato dei Limiti della Crescita coi dati storici’, Research Paper No.4, agosto 2014 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/turner2014.shtml

venerdì 11 marzo 2016

Davvero vuoi la rivoluzione ? Elogio del Luddismo pigro


Una delle tante leggende metropolitane che circolano è che ci voglia una rivoluzione per rovesciare un sistema corrotto ed inefficiente.  

Sbagliato.

In molto grossolana approssimazione le rivoluzioni storiche si possono dividere in due grandi categorie: quelle che hanno vinto e quelle che hanno perso.

Cominciamo dalle seconde.   Cosa hanno in comune sommosse avvenute in luoghi e tempi lontanissimi?   Due cose: la prima è che la gente si ribella quando non ne può più.    La seconda è che, alla fine,  la gente esausta accetta condizioni molto peggiori di quelle da cui era partita.

Le rivoluzioni che vincono, si dividono ancora in due categorie: quelle che ottengono qualcosa e quelle che stravolgono il sistema.   Le rivolte che portano a riforme, di fatto sono una dinamica interna al sistema stesso che, in questo modo, corregge alcuni errori e riesce a tirare avanti ancora.  

Per esempio la lotta per il voto alle donne.

Le rivolte che stravolgono il sistema quasi sempre ne insediano un altro peggiore.    Ne hanno fatto l’esperimento i francesi che hanno ghigliottinato Luigi XVI per trovarsi nelle mani prima di un manipolo di terroristi ben peggiori dall'attuale ISIL; e poi per 20 anni in quelle di un dittatore megalomane.

Lo hanno sperimentato i russi che si sono sbarazzati del regime zarista per cuccarsi Stalin.    E si potrebbe andare avanti.

Gli esempi di rivoluzioni che hanno instaurato sistemi completamente diversi dal precedente e (almeno temporaneamente) migliori sono stati veramente pochi.   Per esempio la “Rivoluzione Meiji”, condotta dall'Imperatore in persona; roba da giapponesi.   Oppure la “non guerra di indipendenza indiana” che ha ottenuto l’indipendenza dall'Inghilterra proprio perché non è stata combattuta.

Dunque vogliamo rovesciare o vogliamo salvare il sistema?   Ognuno ci pensi bene perché cercare di correggerne le macroscopiche nefandezze non fa altro che aumentarne l’efficienza e , quindi, la durata.

Lo abbiamo ben visto noi stessi.    Uno dei fattori che ha favorito il capitalismo nel suo storico scontro col comunismo sono state le opposizioni ambientaliste e socialiste in occidente.   Sono loro, infatti, che hanno spuntato migliori condizioni per i lavoratori ed un minimo di tutela per l’ambiente, fattori risultati strategici per migliorare le generali condizioni di vita, dunque aumentare i consumi e consentire la crescita economica che c’è stata.  

Al di la della cortina di ferro, il governo perseguiva sostanzialmente gli stessi scopi di sviluppo e di potenza dei governi occidentali, ma chi dava fastidio vinceva un viaggio premio di sola andata.    Il risultato è che il sistema, privo di una sostanziale opposizione, si è avvitato su sé stesso, finendo schiacciato sotto la propria inefficienza.

Stesso film, su scala ancor più vasta, è andato in onda dopo il parziale collasso sovietico.   Annichilite o marginalizzate le opposizioni (perlopiù con le buone, per carità), il sistema capitalista si è sviluppato liberamente, portando alle estreme conseguenze i propri presupposti.   Ed avvitandosi sempre più su se stesso.

Detto in termini tecnici: l’autodistruzione è il destino di qualunque sistema lasciato in balia delle proprie retrazioni positive.   In altri termini, sono i fattori limitanti che garantiscono la durata dei sistemi, proprio perché ne ostacolano la crescita.

Detto in parole povere, una società dove quelli che contano la pensano tutti alla stessa maniera non può che finire male.

E dunque che fare?    La rivoluzione!  

Cosa succederebbe se perdessimo?   Che un sacco di gente avrebbe una dose supplementare di sofferenza non necessaria, in aggiunta a quella inevitabile che già non sarà poca.

E che succederebbe se vincessimo?   Che passerebbero delle riforme come il razionamento dell’energia e dell’acqua, la ridistribuzione dei redditi eccetera.   Tutti correttivi in grado di far durare il sistema per altri 50 anni.

Dunque, se davvero vuoi spaccare tutto, aderisci al “Luddismo Pigro”.   Il principio basilare è semplice: chi va in giro a spaccare robe prima o poi troverà qualcuno che spacca lui.   Se invece lasci che tutto fili esattamente come ora, il sistema non mancherà di disintegrarsi da solo il più rapidamente possibile.

E' a quel punto che inizierà il gioco vero, che non sarà più puntellare una versione più o meno corretta del progressismo, ma costruire da zero qualcosa di completamente diverso.    Sarà un gioco molto duro, ma anche molto interessante che si farà col poco che sarà rimasto.   E che cosa è veramente indispensabile?

Biodiversità, fertilità, acqua e cultura; le civiltà si costruiscono con questo.

Dunque, invece di spaccare vetrine e bruciare macchine, bisogna cercare di guadagnare tempo e salvare il più possibile di queste quattro cose dalla mega-macchina tritatutto.  

Ad esempio, riuscire posticipare la costruzione di una nuova strada sull'ultima striscia di bosco del tuo comune può essere utile.   Magari fra tre o quattro anni non ci saranno più i soldi per farlo.   Oppure restaurare un oggetto artistico od un monumento.    Prima o poi andranno comunque distrutti, ma più a lungo durano e più potranno ispirare gli artisti del futuro.

Biodiversità, fertilità, acqua e cultura sono le sole quattro eredità che contano.   
Invece di fare casino, cerchiamo di lasciarne il più possibile dietro di noi.




domenica 7 febbraio 2016

La colpa è del capitalismo!!

Da “rabble.ca”. Traduzione di MR (via Nicola Savio)

Di Jesse McLaren


Cowspiracy getta una luce sulle emissioni di carbonio dell'industria dell'agricoltura animale, ma il suo raggio è così ristretto che lascia il resto dell'agricoltura e dell'economia nascosti alla vista ed eleva la scelta dietetica a strategia politica. Come molte persone, Kip Anderson ha visto “Una scomoda verità” di Al Gore ed è rimasto frustrato dalla limitatezza delle scelte di vita per fermare il cambiamento climatico – come andare in bici o usare meno acqua. Poi ha scoperto che l'agricoltura animale è responsabile di emissioni significative ed è sostenuta dai grandi poteri, ma non è oggetto di attenzione da parte di molte ONG ambientaliste. Quindi ha fatto una scelta.