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venerdì 10 marzo 2023

Compostaggio domestico: un passo verso l'economia circolare



La mitica compostiera elettrica di Ugo Bardi. 



Questo articolo è riprodotto dal blog della ditta SAEC

Di Ugo Bardi

Non c’è cosa più infamata e disprezzata al mondo della parte organica dei rifiuti domestici. La parte che puzza del sacchetto, quella che tende a formare liquidi immondi, quella che attira insetti, topi, batteri, e altre creature orribili. Insomma, il peggio del peggio, l’essenza del concetto di “rifiuto” che viene da una parola latina che vuol dire “buttar via.”

Eppure, il rifiuto organico è la parte più utile del rifiuto domestico. È quella parte che può essere trasformata completamente in un prodotto utile senza bisogno di trattamenti complicati e costosi. Confrontate, per esempio, con la plastica: riciclare la plastica è un incubo. Richiede tecnologie complicate e il risultato non è mai così buono come la plastica originale (si chiama “downcycling” – “riciclaggio verso il basso”).

Invece, dal riciclo della frazione organica si ottiene “compost” che è un ottimo fertilizzante e substrato per la coltivazione. Se il compost è fatto bene, non esiste il problema del “downcycling.” Se lo fate partendo, per esempio, dagli scarti dei pomodori, lo potete utilizzare per coltivare pomodori altrettanto buoni di quelli originali. Ci potete anche fare un “ammendante,” ovvero un materiale che migliora le caratteristiche fisiche del suolo, e anche un substrato per coltivare funghi commestibili.

Purtroppo, il compost ha una cattiva fama, più che altro sulla base dei vecchi metodi dei contadini e i loro cumuli di letame. In effetti, non era roba profumata. Ma il compost, di per sé non puzza. Anzi, è un prodotto naturale, e madre natura non ama lo spreco, che è invece una caratteristica delle cose puzzolenti. Fatevi due passi in un bosco. Specialmente se è appena piovuto, sentite un odore che è difficile da descrivere in parole, ma che tutti conosciamo. È un odore piacevole, che alcuni trovano addirittura inebriante. Ed è l’odore dell’attività dei batteri e dei funghi impegnati a compostare foglie e tutto quello che c’è di organico al suolo.



Ma noi umani non siamo altrettanto bravi dei batteri a compostare la materia organica, specialmente quelli di noi che vivono in città. Se qualcuno abbandona un sacchetto della spazzatura per terra in una strada, in breve tempo si genera un odore nauseabondo. Vi ricordate la crisi dei rifiuti di Napoli dei primi anni del 2000? Ecco, era successo proprio quello, ma su larga scala. Il risultato era che i batteri “buoni” non avevano la possibilità di fare il loro mestiere ed erano rimpiazzati da batteri meno buoni che, nel decomporre la materia organica tiravano fuori molecole odorose di vario tipo, fra le quali per esempio la “putresceina” che capite bene dal nome che non è una cosa piacevole da annusare.

D’altra parte, è anche vero che noi umani possiamo imparare. E stiamo imparando come gestirci meglio la parte organica dei nostri rifiuti domestici. È una storia che comincia molto tempo fa, quando i rifiuti non venivano considerati un problema e, anche in città, molte famiglie avevano piccoli orti e appezzamenti di terra. Non c’era plastica fra i rifiuti domestici: era tutto materiale organico che si poteva smaltire semplicemente sparpagliandolo in giardino, oppure facendo dei piccoli cumuli di compost. Ma, con gli anni, tutto è cambiato. Gli spazi per orti e giardini sono diminuiti e, soprattutto, la composizione dei rifiuti è cambiata. I rifiuti oggi contengono sostanze che non si potrebbero sparpagliare in giardino sperando che spariscano da sole, per esempio la plastica.

Circa un secolo fa, le grandi città hanno cominciato a mettere in opera dei sistemi municipali di raccolta dei rifiuti. All’inizio, i cittadini buttavano tutto nei bidoni della spazzatura, il tutto veniva caricato su dei camion puzzolenti e poi scaricato alla rinfusa dentro delle discariche a cielo aperto. Il risultato era un disastro di robaccia inquinante, maleodorante, e che poteva inquinare le falde freatiche con i liquami che la decomposizione produceva.

Col tempo, si è cominciato a fare di più e di meglio. Oggi, la raccolta differenziata ha enormemente migliorato le cose. Si cerca di separare la frazione organica dei rifiuti domestici per compostarla in impianti centralizzati, oppure trasformarla in energia in forma di biogas. Indubbiamente una cosa buona, ma rimane molto da migliorare. La frazione organica dei rifiuti domestici è oggi intorno al 40% del totale. Di questi, solo circa la metà viene compostata. Altre frazioni vanno all’incenerimento o alla produzione di biogas, ma rimane una frazione importante che finisce nell’indifferenziato a renderlo puzzolente.

Insomma, si può e si deve migliorare. Soprattutto, uno dei problemi principali del compostaggio centralizzato è la piaga del “conferimento improprio”. Molta gente non ha idea di come funzioni il compostaggio, non capisce la differenza fra organico o inorganico, e butta di tutto nei cassonetti dell’organico. Quando questo materiale arriva all’impianto, ci si trova di tutto. Alcuni rifiuti impropri possono essere filtrati, per esempio se c’è dentro un paio di scarpe. Ma la plastica, il metallo, e altre cose, finiscono spezzettati negli impianti di trattamento e, fatalmente, riemergono nel compost nella forma di pezzettini di materiale che non è compost. Nella peggiore delle ipotesi, il compost non può essere utilizzato come tale e va a finire in discarica come compost non a specifica.

Come possiamo migliorare? L’idea è di partire dall’inizio della catena di trasformazione. Se si parte da un materiale migliore – ovvero ben selezionato – allora tutto il processo è più semplice è il risultato è di buona qualità. Una linea possibile è la raccolta porta-a-porta dove il cittadino può essere guidato a selezionare meglio i propri rifiuti. Ma forse meglio ancora è l’idea di incoraggiare il compostaggio domestico con investimenti specifici da parte delle Amministrazioni centrali e/o periferiche (Regioni, Province, Comuni).

­­­­­­­In un certo senso il compostaggio domestico è un ritorno a quello che si faceva 100 anni fa, quando ognuno compostava i propri rifiuti a casa propria. È una cosa che già le aziende municipalizzate stanno facendo, incoraggiando i cittadini a compostare fornendo gratuitamente piccole compostiere domestiche in plastica o altri materiali e facendo sconti sulla tassa sui rifiuti per chi lo fa. La frazione di rifiuti compostata in questo modo, però, rimane molto piccola, al massimo qualche percento del totale. Questo è dovuto a vari fattori. In primo luogo, si può fare solo se uno ha un giardino. Poi, questi bidoni da compostaggio sono poco efficienti, funzionano solo in estate, attirano insetti e altri animali, possono anche emettere cattivi odori se non sono gestiti bene.

Grazie alla tecnologia la soluzione potrebbe essere un’altra. Ormai da almeno un decennio in Oriente, Cina e Giappone, si usano comunemente dei “compostatori elettrici.” Sono macchine ben più evolute e sofisticate dei bidoni da giardino. All’interno, il sistema controlla e mantiene costante sia l’umidità come la temperatura, assicurando condizioni ottimali per il compostaggio. Oggi fortunatamente il mercato offre soluzione tecnologiche decisamente avanzate che non puzzano, non sono rumorosi, non attirano insetti, e sono abbastanza piccoli e con designed veramente gradevoli da poter essere facilmente inseribili in qualsiasi arredamento di cucina o anche su un piccolo balcone. Il fatto di essere gestiti a livello familiare evita il conferimento improprio: nessuno butterebbe un paio di scarpe vecchie dentro il proprio compostatore, come del resto non le butterebbe dentro la pentola del lesso!

Questi impianti vanno benissimo anche a livello condominiale, oppure a livello di piccola azienda, per esempio un bar o un ristorante. In questo caso, richiedono un minimo di supervisione per evitare che qualcuno rovini tutto buttandoci dentro qualcosa di sbagliato. Per esempio, la comune segatura ha la capacità di avvelenare i batteri “buoni” che lavorano per noi. Non va assolutamente messa nel compostatore! Lo stesso per la plastica detta “biodegradabile” che non è detto affatto che lo sia. Imparare a fare del buon compost è un po’ come imparare a cucinare. Ci vuole un po’ di tempo e, le prime volte, può capitare di bruciare l’arrosto.

Questi nuovi compostatori elettrici, ormai completamente automatizzati sono parte della tendenza all’elettrificazione di tutti i servizi domestici. Mentre una volta usavamo fornelli a gas, adesso si usano a induzione. E lo stesso per il riscaldamento, che oggi tende a essere fatto usando pompe di calore elettriche. I compostatori elettrici usano piccole potenze. Sono bene isolati, quindi poche decine di Watt sono sufficienti per mantenere la temperatura interna a circa 40°C, mentre solo ogni tanto il sistema mette in moto l’asta di mescolamento, arrivando a consumare qualche centinaio di Watt. Sono anche sistemi che si sposano bene con il fotovoltaico domestico. Nel futuro, è probabile che saranno gestiti in modo tale da funzionare solo quando l’energia fotovoltaica è disponibile. In questo modo peseranno zero sulle spese energetiche delle famiglie.

Ma, alla fine dei conti, perché uno dovrebbe mettersi un dispositivo del genere in casa? C’è più di una ragione. La più semplice è lo sconto sulla tassa sui rifiuti. Un altro vantaggio è che non avrete più bisogno di andare in giro con sacchetti di roba puzzolente, oppure di tenerveli in casa aspettando il giorno della raccolta. Poi, se avete un giardino o un piccolo orto, o se avete qualche amico o parente che ce l’ha, vedrete che il compost che producete è un vero toccasana per ortaggi e fiori. E se avete dei vasi da fiori, potete divertirvi a fare l’“orto a sorpresa”. Sparpagliando un po’ di compost sulla superficie del vaso, i semi degli ortaggi che avete compostato germoglieranno, producendo di nuovo pomodori, peperoni, e zucchine. Provateci!


sabato 15 giugno 2019

sabato 16 giugno 2018

La Seconda Legge della Termodinamica – la voragine in mezzo all’economia circolare


Di Paul Mobbs, pubblicato originariamente sul sito Free Range Activisim
 Da “Resilience”. Traduzione di MR


Perché l’ultimo tormentone della sostenibilità consumistica non solo non affronta il cuore del problema, ma è destinato a fallire.


Nota di Ugo Bardi - L'autore di questo testo, Paul Mobbs, fa alcune considerazioni corrette ma, nel complesso, non ha capito gran che proprio dell'argomento principale di cui parla. Purtroppo, vale una legge generale in questo campo "quelli che non capiscono la termodinamica sono condannati a produrre entropia inutilmente." Tuttavia, vale la pena di leggerlo perché è vero che molti di quelli che parlano a sproposito di economia circolare hanno capito ancora meno di lui. 
 

Questa mattina, ascoltando Radio 4, ho ascoltato le due parole chiave giustapposte che ho imparato a temere negli ultimi due anni; “economia circolare”. E’ un’idea fantastica e non posso criticare la vera convinzione di chi la promuove. Il mio problema è che il modo in cui descrivono ha poco a che fare con la realtà fisica del mondo, pertanto si tratta semplicemente di un jolly per “uscire gratuitamente dall’inferno” per consumatori ricchi – che sono, a quanto sembra, coloro che sostengono più a gran voce questa idea.

Come succede spesso nelle eco-storie atte a farti sentire bene, l’intervistatore del programma di oggi [1] era tutto leggero ed arioso; e ovviamente in imbarazzo perché non aveva la sicurezza di sé per porre una qualsiasi domanda fondamentale e scomoda all’intervistato.

Il segmento stava esaminando la nuova ricerca [2] dell’Università di Portsmouth. Hanno scoperto un enzima mutante da batteri che hanno scoperto vivere fra la plastica nei centri di riciclaggio. Come tutti gli enzimi [3] – come le cose che vengono aggiunte al detersivo di modo che possiate pulie i vestiti senza bollirli – queste molecole complesse accelerano le reazioni chimiche agendo sui legami chimici che tengono insieme le cose. In questo caso, l’enzima spezza i legami della molecole di polietilene teraftalato [4] (PET).

Idea splendida. E, se si dimostra essere ecologicamente sicura, eccellente chimica. Non è questo il problema qui.


Entriamo nella “economia circolare”
Lo scienziato quindi descrive il valore di questo enzima come parte dell‘economia circolare’ [5] – un concetto proposto negli anni 80, e reso popolare in anni recenti da organizzazioni come la Ellen MacArthur Foundation [6], per passare da un processo economico lineare ad uno circolare:

  • Economia ‘lineare’‘ – significa che i materiali vengono creati, usati e smaltiti come rifiuti, richiedendo che vengano impiegate nuove risorse per sostituirli, che è il modo in cui funziona il cuore dell’economia oggi; 
  • Economia ‘circolare‘ – significa che tutti i materiali ed i prodotti vengono fatti e venduti di modo che il loro contenuto possa essere completamente riciclato ed usato in nuovi prodotti di nuovo, ovviando alla necessità di produrre nuove risorse per sostituirli.

E’ una buona idea. Un’idea che sosterrei con tutto il cuore, se non fosse per un piccolo intoppo tecnico che percepisco in questo concetto; le Leggi della termodinamica [7] – e in particolare la mia preferita, la Seconda Legge della Termodinamica [8].

Le Leggi della Termodinamica sono nate in parallelo con l’industrializzazione, essendo state inizialmente usate per descrivere il funzionamento dei motori a vapore. Col tempo, la scienza ha perfezionato i principi di queste ‘leggi’ ed ora le ritiene universali.

La Seconda Legge ha a che fare con le reazioni irreversibili – cioè, operazioni che una volta intraprese non possono essere annullate.

Ciò che l’idea di ‘economia circolare’ proporrebbe in relazione alle bottiglia di plastica in PET è: prendi un po’ di gas naturale (sì, al contrario dell’idea che la plastica provenga dal petrolio, gran parte delle plastiche provengono da sottoprodotti leggeri della raffinazione del petrolio, ma più che altro gas naturale e condensato) e trasformalo in plastica PET; poi facci una bottiglia di plastica con una macchina modellatrice; usa la bottiglia; poi ricicla la bottiglia e continua a riciclarla dopo ogni uso – ovviando alla necessità di usare altro gas naturale per creare plastica. Di conseguenza, l’uso della bottiglia diviene ‘circolare’.

Perfetto, non è così?


Le restrizioni termodinamiche alla speranza umana

Naturalmente, c’è sempre un enorme “ma” in situazioni come questa.

In questo caso, l’uso della plastica rappresenta una reazione ‘reversibile’ – puoi fare plastica e poi riciclarla per fare altra plastica. Risolto!

L’energia spesa per farlo, tuttavia, non è un processo irreversibile [9]. Non può essere recuperata. La Seconda Legge impone che l’energia può essere usata, ma nel processo la ‘qualità’ (leggi ‘utilità’, o ‘densità’, o ‘valore’) di quell’energia viene degradata e, una volta degradata, quella ‘qualità’ non può essere recuperata senza usare anche più energia di quella che è stata spesa quando è stata usata l’energia per la prima volta.

Per esempio, l’acqua che scorre a valle può far girare una turbina e produrre elettricità; ma ci vuole più elettricità di quella che è stata generata per riportare di nuovo lo stesso volume di acqua indietro verso la cima della collina.

Ora, a questo punto i fautori dell’economia circolare parleranno di energia rinnovabile, evitando quindi il problema delle risorse finite che vengono usate per alimentare il processo. E’ vero, fino a un certo punto. E quel punto è, i sistemi di energia rinnovabile di cosa sono fatti? Risorse finite.


I limiti dell’energia rinnovabile

Solo perché l’energia rinnovabile è ‘rinnovabile’ non significa che le macchine che ci servono per raccoglierla siano esenti dai limiti finiti delle risorse terrestri [10].

Ci sono grandi progetti per alimentare il mondo usando energia rinnovabile. La difficoltà è che nessuno si è scomodato a verificare per vedere se le risorse per produrre quell’energia siano disponibili. Una ricerca recente suggerisce che le risorse necessarie per produrre quel livello di capacità attualmente non possono essere fornite [11].

Il punto di crisi è che mentre potrebbero esserci indio, gallio, neodimio ed altri metalli rari a sufficienza per costruire turbine eoliche o pannelli FV per il mezzo miliardo (più o meno) di consumatori ricchi ( che sono le persone che con più probabilità staranno leggendo questo articolo), non ce ne sono a sufficienza per dare a tutti lo stesso livello di consumo energetico – le avremmo finite molto prima.

Per esempio, il primo metallo che gli esseri umani hanno fuso [12] circa 9.000 anni fa, è stato il rame. Da allora il rame è stato un eccellente indicatore dello sviluppo umano, col consumo che aumenta in linea con lo sviluppo umano. Un motivo di questo è che man mano che l’uso industriale è crollato (per esempio sostituendo tubi di rame con la plastica) abbiamo usato più rame per nuove tecnologie (per esempio l’elettronica – circa il 14% [13] del peso di un telefono cellulare è rame).

Il rame ha anche uno dei migliori e più collaudati sistemi di riciclaggio, ma nonostante questo è stato stimato che solo metà di tutto il rame viene riusato [14].

Il problema è che, a causa del suo lungo ed intensivo uso globale, ci stiamo avvicinando al ‘picco del rame’ [15] – il punto in cui la quantità di rame rimasta nel sottosuolo e, cosa più importante, il crollo della qualità del suo minerale, riduce la quantità che può essere prodotta annualmente. E, cosa ancora più significativa, l’impatto ecologico [16] del crollo della qualità del minerale di rame è che l’energia consumata e i gas serra emessi dalla sua produzione aumentano esponenzialmente.

Ora naturalmente usiamo il rame in modo più efficiente. E dovessimo esserne a corto, l’aumento dei prezzi aumenteranno i tassi di riciclo – anche se questo aumenterà anche i furti [17] di rame nella società. La difficoltà è che, appena la settimana scorsa [18], l’industria del rame ha annunciato di essere preoccupata per la produzione dopo il 2020.

La strategia è importante, ma il cambiamento ‘reale’ è cruciale


OK, torniamo all’economia ‘circolare’.

Ciò che realmente importa qui non è tanto il materiale usato nella produzione, ma la densità energetica della produzione. La densità energetica non è solo una questione di quanta energia serve per produrre un articolo, ma quanto dura quell’articolo. Questo a sua volta condiziona il ‘ritorno’ dell’energia investita nella sua produzione – o EROEI [19].

Diciamo che una bottiglia di plastica impiega se settimane per essere fatta, riempita, comprata, consumata, raccolta e riprocessata fino ad essere rifatta. E’ buono, perché riciclare la plastica può rappresentare un risparmio di più del 50% [20] sull’energia usata per produrla in confronto ai materiali vergini.

Ciò che determina la sostenibilità a lungo termine di questo però non è solo il risparmio una tantum, ma la percentuale che può essere fattibilmente risanata e riusata.

Ipotizziamo che, nel migliore dei casi, possiamo recuperare il 60% del contenuto della bottiglia sul ciclo di sei settimane. Dopo un ciclo, sei settimane, ci rimane il 60% del materiale. Dopo due cicli, 12 settimane, ci rimane il 60% x 60% = 36%. Dopo tre cicli c’è il 60% x 36% = 22%. Dopo quattro cicli il 13%, eccetera.

Alla fine di un anno (o 8 o 9 cicli), ci rimarrebbe solo l1% della plastica.

La reazione ovvia è, “be’, ricicliamo di più”. Il problema è che raggiungere un tasso di recupero alto richiede in realtà la spesa di più energia, riducendo l’energia risparmiata – e man mano che ci si avvicina al 100%, la quantità richiesta è probabile che superi l’energia necessaria per produrre nuova plastica da materie prime.

Per esempio, riciclare in aree urbane densamente popolate è facile, perché la gestione dei rifiuti è una parte essenziale della capacità di gestire un’area urbana. Ma nelle aree rurali e nei paesi meno densamente popolati? A che punto l’energia spesa per far andare un veicolo di raccolta supera l’energia risparmiata col recupero dei materiali? (risposta – dipende completamente dalle circostanze locali, quindi deve essere valutata come parte del processo di pianificazione, piuttosto che generalizzata in anticipo).

“E’ il consumo, stupido!”

E’ la stessa cosa per il problema del crollo del minerale di rame. Più la tua fonte è diffusa, più energia devi spendere per recuperarla. Ottenere la plastica facile, diciamo la prima metà, sarà facile. Ottenere il successivo 20% potrebbe costare lo stesso sforzo. Il 10% successivo il doppio. A l’ultimo 20%. Potrebbe non produrre alcun risparmio.

Alternativamente, potremmo estendere la vita della bottiglia – riempiendola anziché riciclandola. Ciò avrebbe un effetto significativo, ma anche così, ad ogni ciclo di riempimento, un certo numero di bottiglie verrebbero scartate.

Però non ignorate questa opzione. Si può dire che, al posto di aumentare i tassi di riciclo, estendere la vita di servizio delle risorse probabilmente ha il profilo energetico migliore – visto che riduce non solo la necessità di rifabbricare le risorse, ma anche la necessità di riciclarle/sostituirle. Il problema è che spesso il riuso richiede un cambiamento di gran lunga più grande e la cooperazione dei consumatori – esattamente la cosa che una economia ‘liberale’ odia fare perché comporta l’imposizione di azioni al consumatore.


Dimenticate la linea di Bill Clinton sulla ‘economia’; "E’ il consumo, stupido!"
Cosa ancora più importante, in tutto questo processo, viene spesa energia [21]; e l’energia è la cosa che non possiamo recuperare. Pertanto, dobbiamo evitare di rifabbricare o recuperare, per prima cosa. La difficoltà è che nessuno vuole sostenere questo – combinando riuso multiplo, riciclo intensivo E tempo di servizio più lungo – in quanto questo significa l’eliminazione effettiva di consumismo, moda, ‘innovazione’ e molte delle altre caratteristiche totemiche [22] della moderna economia consumistica materialista.

Quindi, ancora una volta, dato che una grande quantità della ricchezza mondiale deriva dallo sfruttamento delle risorse, qualsiasi cambiamento di questo schema è probabile che abbia implicazioni enormi per l’economia quotidiana [23] sulla quale si basano la maggior parte dei ricchi consumatori per consumare.


La ‘economia circolare’ deve accettare la realtà termodinamica

Arthur Eddington [24] era uno scienziato (e quacchero) che ha fatto progredire la fisica e l’astrofisica nei primi decenni del XX secolo, ed ha reso popolari le teorie di Albert Einstein – contro il pregiudizio anti tedesco ed anti ebraico dell’establishment scientifico.

In relazione alla Seconda Legge della Termodinamica, Eddington ha prodotto una famosa affermazione:

Se qualcuno ti fa notare che la tua teoria preferita dell’universo è in disaccordo con le equazioni di Maxwell – allora tanto peggio per le equazioni di Maxwell. Se si scopre che sono contraddette dalle osservazioni – be’, questi sperimentatori pasticciano un po’ con le cose a volte. Ma se si scopre che la tua teoria è contro la seconda Legge della Termodinamica, non posso darti alcuna speranza; per lei non rimane altro che crollare nella più profonda umiliazione.

La ‘economia circolare’ è, secondo me, uno stratagemma per far percepire ai consumatori ricchi che possono continuare a consumare senza la necessità di cambiare le loro abitudini. Non c’è niente di più lontano [25] dalla realtà e la ragione principale di questo è la necessità di energia per alimentare l’attività economica [26].

Mentre il concetto di ‘economia circolare’ ha certamente le idee giuste, essa si sottrae agli aspetti più importanti della nostra crisi ecologica di oggi [27] – è il consumo il problema, non il semplice uso di risorse. Anche se il principio potrebbe essere fatto funzionare per una percentuale relativamente piccola [28] della popolazione umana, non potrebbe mai essere una soluzione mainstream per tutto il mondo a causa della sua dipendenza da tecnologie di energia rinnovabile per farla funzionare – e delle schiaccianti limitazioni nel raccogliere energia rinnovabile.

Per riconciliare l’economia circolare con la Seconda legge dobbiamo applicare non solo cambiamenti al modo in cui usiamo i materiali, ma al modo in cui li consumiamo. Inoltre, ciò implica una tale riduzione dell’uso di risorse [29] da parte dei consumatori più ricchi e sviluppati, che l’immagine dell’economia circolare proposta dai suoi fautori, non corrisponde alla realtà [30] di farla funzionare per la maggioranza della popolazione mondiale.

In assenza di una proposta che soddisfi le limitazioni globali all’energia ed alle risorse [30] sul sistema umano, compresi i limiti alla produzione di energia rinnovabile, l’attuale rappresentazione della ‘economia circolare’ non è un’opzione praticabile. Praticamente quindi, non è altro che un balsamo per la coscienza dei consumatori ricchi che, nel profondo, sono abbastanza consapevoli da rendersi conto che la loro vita di lussi presto sarà finita, man mano che le crisi collegate ecologica ed economica [31] morderanno sempre più in alto nella scala del reddito.


Riferimenti:
  1. BBC Radio 4: ‘Today’, 17 april 2018 – https://www.bbc.co.uk/programmes/b006qj9z
  2. Guardian Online: ‘Scientists accidentally creat https://www.bbc.co.uk/programmes/b006qj9z e mutant enzyme that eats plastic bottles’, 16th April 2018 – https://www.theguardian.com/environment/2018/apr/16/scientists-accidentally-create-mutant-enzyme-that-eats-plastic-bottles
  3. Wikipedia: ‘Enzima’ - https://it.wikipedia.org/wiki/Enzima
  4. Wikipedia: ‘Polietilene teraftalato – https://it.wikipedia.org/wiki/Polietilene_tereftalato
  5. Wikipedia: ‘Circular economy’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Economia_circolare
  6. Wikipedia: ‘Ellen MacArthur Foundation’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Ellen_MacArthur_Foundation
  7. Wikipedia: ‘Laws of thermodynamics’ – https://en.wikipedia.org/wiki/Laws_of_thermodynamics
  8. Wikipedia: ‘Second law of thermodynamics’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Secondo_principio_della_termodinamica
  9. Wikipedia: ‘Processo irreversibile’ – https://en.wikipedia.org/wiki/Irreversible_process
  10. BioScience: ‘Limiti energetici alla crescita economica’, vol.61 no.1, gennaio 2011 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/brown2011.shtml
  11. EU Joint Research Committee: ‘Metalli cruciali nelle tecnologie energetiche strategiche – valutare i metalli rari man mano che la filiera di fornitura si restringe nelle tecnologie energetiche a basso tenore di carbonio’, 2011– http://www.oakdenehollins.com/pdf/CriticalMetalsinSET.pdf
  12. Wikipedia: ‘Età del rame’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Et%C3%A0_del_rame
  13. U.S. Geological Survey: ‘Cellulari riciclati – uno scrigno di metalli preziosi, luglio 2006 – https://pubs.usgs.gov/fs/2006/3097/fs2006-3097.pdf
  14. Environmental Science and Technology: ‘Analisi dinamica dei flussi globali di rame, Glöser et al., vol.47 no.12 pp.6564-6572, maggio 2013 – https://pubs.acs.org/doi/full/10.1021/es400069b
  15. Wikipedia: ‘Picco del rame’ – https://en.wikipedia.org/wiki/Peak_copper
  16. Resource Policy: ‘La sostenibilità ambientale delle miniere in Australia: macrotendenza chiave e limiti incombenti’, Gavin M. Mudd, vol.35 no.2 pp.98-115, giugno 2010 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/mudd2010.shtml
  17. Wikipedia: ‘Furti di metalli’ – https://en.wikipedia.org/wiki/Metal_theft
  18. Mining: ‘Crisi della fornitura di rame prima del previsto – esperti’ 10 aprile 2018 – http://www.mining.com/copper-supply-crunch-earlier-predicted-experts/
  19. Wikipedia: ‘Energy returned on energy invested’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Ritorno_energetico_sull%27investimento_energetico
  20. Ecological Modelling: ‘Analisi delle impronte energetiche associate al riciclo di vetro e plastica – casi studio per l’ecologia industriale’, vol.174 no.1-2 pp.175-189, maggio 2004 – https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0304380004000067
  21. Sustainability: ‘Energia, crescita economica e sostenibilità ambientale: cinque proposte’, vol.2 pp.1784-1809, 18 giugno 2010 – http://www.mdpi.com/2071-1050/2/6/1784/pdf
  22. Nature: ‘Tempo di lasciarsi indietro il PIL’, vol.505 pp.283-285, 16 gennaio 2014 – http://www.nature.com/polopoly_fs/1.14499!/menu/main/topColumns/topLeftColumn/pdf/505283a.pdf
  23. International Journal of Transdisciplinary Research: ‘La necessità di nuovo paradigma basato sulla biofisica in economia per la seconda metà dell’era del petrolio’, vol.1 no.1 pp.4-22, 2006 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/hallklitgaard2006.shtml
  24. Wikipedia: ‘Arthur Eddington’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Arthur_Eddington
  25. Journal of Cleaner Production: ‘Perché siamo drogati di crescita? La strada difficle verso la decrescita nel percorso involutivo dello sviluppo occidentale’, vol.18 no.6 pp.590-595, aprile 2010 – https://degrowth.org/wp-content/uploads/2011/05/Van-Griethuysen-why-are-we-growth-addicted.pdf
  26. The Australian National University : ‘Il ruolo dell’energia nella crescita economica’, Centre for Climate Economics & Policy, ottobre 2010 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/stern2010.shtml
  27. PNAS: ‘Tracciare il superamento ecologico dell’economia umana’, vol.99 no.14 pp.9266-9271, 9 luglio 2002 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/wackernagel2002.shtml
  28. The Corner House: ‘Sicurezza energetica: per chi? Per cosa?’, febbraio 2012 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/cornerhouse2012.shtml
  29. Paul Mobbs/MEI: ‘L’energia al di là del petrolio – potreste tagliare il vostro uso di energia del 60%?’, giugno 2005 – http://www.fraw.org.uk/mei/energy_beyond_oil_book.shtml
  30. Ecological Economics: ‘Decrescita e fornitura di denaro in un mondo con scarsità di energia’, vol.84 pp.187-193, 28 marzo 2011 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/douthwaite2011.shtml
  31. Proceedings of the Royal Society B: ‘Un collasso della civiltà globale può essere evitato?’, vol.280 no.1754, 7 marzo 2013 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/ehrlich2013.shtml
  32. Melbourne Sustainable Society Institute: ‘Il collasso globale è imminente?: Un confronto aggiornato dei Limiti della Crescita coi dati storici’, Research Paper No.4, agosto 2014 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/turner2014.shtml

domenica 13 maggio 2018

Prodotti Sfusi: siamo sicuri che sia una buona idea? Ovvero: la maledizione del Colibrì colpisce ancora



Così, l'altro giorno mi sono fermato al supermercato per fare la spesa e ho trovato una sezione nuova nuova dove si potevano comprare le crocchette per cane sfuse. Bene, da buon ambientalista mi è parso il caso di provare e mi sono riempito un bel sacchetto di carta - molto ecologico - di crocchette e l'ho pesato. Lo vedete nella foto qui accanto. 5,09 euro per 1,72 kg di crocchette.

Poi, ho mosso il carrello di qualche metro e davanti a me ecco le crocchette per cani nel loro impacco tradizionale. Eccole qua:


E notate come, nel loro sacchettone-plasticone, le crocchette costano molto meno, poco più di 1 euro al kg, quasi un terzo di quelle sfuse. A un prezzo minore di quanto ho pagato per meno di due chili, me ne sarei potuti portare a casa quattro chili.

E allora? Come sta questa faccenda? Perché le crocchette sfuse costano così care? La prima impressione che ho avuto è di essere stato imbrogliato. Poi, però, ripensandoci, credo che la vicenda sia più complicata di così e che richieda un certo ragionamento.

Per prima cosa, non ho ragione di pensare che le crocchette sfuse siano vendute a un prezzo ingiustificatamente alto: più probabilmente, sono di qualità migliore. Come per tutti i prodotti, ci sono varie gradazioni di qualità sebbene, nel caso delle crocchette per cani, per noi umani è difficile giudicare. E' anche possibile che ci siano dei costi superiori per la gestione del complicato sistema di distribuzione ma, da quello che sono riuscito a trovare sul Web, non c'è evidenza che i prodotti sfusi debbano costare necessariamente di più di quelli impaccati in modo tradizionale.

Ne consegue che ci devono essere delle ragioni che hanno spinto i dirigenti della COOP a scegliere le crocchette - e un certo tipo di crocchette - come prodotto sfuso. Quali sono queste ragioni? Non ho trovato niente di scritto su questo argomento sui siti della COOP o altrove, a parte grandi lodi all'idea e discorsi su quanto sono bravi. Allora proviamo a usare la logica per cercare di capire come sta la faccenda.

Per prima cosa, perché i prodotti sfusi? Ci sono due ragioni: la prima è di evitare i contenitori, costosi e inquinanti, la seconda quella di permettere ai consumatori di calibrare i loro acquisti esattamente sulle loro necessità, evitando sprechi.

Tutte e due sono ragioni valide, ma valgono nel caso delle crocchette? In primo luogo, le crocchette vanno messe per forza dentro un sacchetto, sia che uno le compri sfuse oppure no. Le crocchette sfuse si mettono in un sacchetto di carta, quelle impacchettate arrivano in un sacchetto di plastica - ma nulla vieterebbe di confezionarle in un sacchetto di cartone. Se uno voleva semplicemente evitare un po' di plastica, c'erano modi più semplici di quello di creare tutto un ambaradan di tubi, bilance e sacchettini per l'operazione di fornitura, pesa e etichettatura.

Seconda cosa: evitare sprechi e consentire al consumatore di comprare esattamente quello che gli serve. Certamente questa è un'idea valida per alimenti deperibili, tipo per esempio il latte. Ma le crocchette per cane non sono certamente un prodotto deperibile. Vedo male una persona che va al supermercato apposta per comprare 50 centesimi di crocchette per la cena di Fido. Tanto vale che ne compri 4 kg - e non dimentichiamoci che ogni viaggio al supermercato ha un costo sia economico che ambientale.

C'è un altro fattore che si menziona più raramente ma che potrebbe avere un certo peso: le crescenti ristrettezze economiche di una fascia della popolazione. Mi diceva un mio amico che lavora nella grande distribuzione che hanno notato come verso fine mese aumentino le vendite di latte in confezione da mezzo litro a scapito di quelle da un litro. Lui ritiene che sia dovuto al fatto che molti hanno difficoltà ad arrivare a fine mese con ancora qualche soldo in tasca e tirano a risparmiare al massimo mentre aspettano il 27. Non ho trovato conferma di questa storia sul Web, ma non vedo motivo di ritenerla falsa. Anche qui, comunque, l'idea di vendere crocchette sfuse non aiuta molto chi è rimasto senza soldi al 26 del mese se queste crocchette costano quasi tre volte di più di quelle normali.

E allora? Perché le crocchette sfuse? Perché le crocchette sfuse ad alto costo? Io credo che non sia una cosa casuale. E' il risultato di una specifica strategia commerciale che i dirigenti della COOP hanno seguito.

In primo luogo, il problema dell'iperimballaggio comincia ad apparire chiaro a una certa fascia di consumatori e, di conseguenza, ogni catena di supermercato cerca di fare il possibile per darsi un'immagine "verde". Da qui, la decisione di vendere perlomeno qualcosa come prodotto sfuso. Si tratta allora di identificare il prodotto e i consumatori più adatti all'operazione. Ora, i consumatori più sensibili alla questione ecologica sono quelli della fascia medio-alta. Sono quelli, per intendersi, che comprano i prodotti "biologici" anche se sono più cari di quelli normali. Questa fascia di consumatori è sensibile al discorso della distribuzione sfusa che percepisce come più "ecologica" di quella normale. Può anche permettersi - anzi, probabilmente cerca attivamente - cibo di alta qualità per i propri animali domestici. E quindi, ecco la logica dell'operazione vendere crocchette "ecologiche" a chi si può permettere di comprarle. Come sempre, si vende uno specifico prodotto a uno specifico target. E' una mia interpretazione, ma mi sembra sensata.

Diciamo che, in fin dei conti, la Coop non imbroglia nessuno ma fa semplicemente un'operazione commerciale compatibile con le condizioni del mercato attuale. Rimane però la questione se questo tipo di piroette dimostrative abbia un vero impatto nel quadro di una seria politica di riduzione degli imballaggi. Forse anche si, la storia delle crocchette potrebbe essere considerata un buon esempio da sviluppare per altri prodotti. Ma è anche vero che siamo lontani anni luce da un vero "supermercato senza plastica" di cui si parla parecchio ma che per ora non esiste e potrebbe non esistere mai a meno che non si cambi totalmente il sistema di distribuzione. Ma chi è che vuol cambiare qualcosa in questo paese in cui si cantava (e si continua a cantare) "finché la barca va..."?

Per concludere, sulla questione delle crocchette vorrei citare qualcosa che ho definito "La maledizione del colibrì" in un post precedente. Il fatto è che tutti ci sentiamo un po' colpevoli per i vari danni che stiamo facendo all'ecosistema e a noi stessi. E ci impegnamo in piccoli sacrifici rituali che consistono nel "fare qualcosa," seppur sapendo benissimo che quello che facciamo non è sufficiente. Il colibrì della storia porta una goccia d'acqua nel becco, pur sapendo che non servirà a spendere l'incendio della foresta. Allo stesso modo, c'è chi compra crocchette più care ma "sostenibili," sentendosi un bravo ecologista per poi tornarsene a casa con il suo SUV da tre tonnellate. E' l'essenza di quello che chiamiamo il "greenwashing"






martedì 20 dicembre 2016

Pinuccia Montanari assessore all'ambiente del comune di Roma. Avanti con l'economia circolare!



di UB

Pinuccia Montanari non è soltanto una persona competente, ma anche una carissima amica e collaboratrice. Soltanto due mesi fa era a Firenze, invitata per farci una lezione nel corso di formazione sull'economia circolare. Ma sono anni che collaboriamo in tante cose, soprattutto sulla questione dei rifiuti.

Ora, Pinuccia si è presa questo impegno con grande coraggio. Ce ne vuole per gestire qualsiasi cosa che abbia a che vedere con il comune di Roma, come abbiamo visto dagli eventi degli ultimi tempi. Ma quella del sindaco Raggi è stata una scelta saggia. Mettere una persona competente in un ruolo dove può far valere la propria competenza è sempre una scelta che paga.

Quindi, tantissimi auguri a Pinuccia e sono sicuro che saremo in tanti a darle una mano quando ne avrà bisogno. Forza Pinuccia! Avanti con l'economia circolare!!