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domenica 6 dicembre 2015

La Terra ha perduto un terzo del suolo coltivabile negli ultimi 40 anni

Da “The Guardian”. Traduzione di MR 

Gli esperti indicano il danno causato da erosione ed inquinamento, sollevando grandi preoccupazioni riguardo al suolo degradato nel bel mezzo dell'aumento della domanda globale di cibo





L'erosione del suolo ha i suoi effetti sul terreno agricolo di Suffolk, nel Regno Unito. Foto: Alamy

Il mondo ha perso un terzo del suo terreno coltivabile a causa dell'erosione o dell'inquinamento negli ultimi 40 anni, con conseguenze potenzialmente disastrose man mano che la domanda globale di cibo sale alle stelle, hanno avvertito gli scienziati. Una nuova ricerca ha calcolato che quasi il 33% del terreno mondiale adatto o ad alta produzione di cibo è stato perduto ad un tasso che supera il ritmo dei processi naturali di sostituire il suolo assottigliato. Il Grantham Centre for Sustainable Futures dell'Università di Sheffield, che ha intrapreso lo studio analizzando varie altre ricerche pubblicate nel corso dell'ultimo decennio, ha detto che la perdita è stata “catastrofica” e la tendenza è prossima ad essere irrecuperabile se non ci saranno grandi cambiamenti delle pratiche agricole.

giovedì 1 ottobre 2015

Mangio, quindi uccido: i limiti del vegetarianismo

Da “The Great Change”. Traduzione di MR

“Perché pensiamo di doverci appropriare di tutte le terre coltivabili del mondo per sfamare gli esseri umani?”

Cavalli islandesi
Di Albert Bates

Siamo tutto ciò che che pensiamo come “individui” in comunità viventi di fatto. Qui in Islanda abbiamo partecipanti a corsi di permacultura da questo paese e da Germania, Stati Uniti, Danimarca, Messico, Canada, Australia, Svizzera, Francia, Norvegia, Svezia, Indonesia, Bulgaria e Costa Rica. Ognuno di noi sta fertilizzando in modo incrociato tutti gli altri col proprio microbioma – le spore e i microbi che trasportiamo dalle nostre bioregioni e trasmettiamo liberamente per contatto attraverso la pelle, l'aria, i fluidi e varie superfici che tocchiamo. Ognuno di noi se ne va con un nuovo microbioma, leggermente alterato e più diversificato di quello con cui è arrivato.

Raccogliamo ed incorporiamo anche nuovi microbi dall'ambiente del luogo. Potremmo ingerire parti e pezzi che sono già passati attraverso il corpo di un antico vichingo, o del suo cavallo, prima che venissero interrate nel suolo per qualche tempo, per poi trovare la loro strada nel cibo e nell'acqua ed ora per venir via con noi per diventare parte del suolo da qualche altra parte. Alla fine, veniamo tutti dalla polvere di stelle e veniamo continuamente riciclati.

Il padre della Permacultura, Bill Mollison, amava canzonare i vegetariani per le loro scelte dietetiche perché pensava che ogni argomentazione per scendere più in basso nella catena alimentare fosse un po' sospetta. “Non ho passato diversi milioni di anni ad arrampicarmi con unghie e denti fino al vertice per poi mangiare tofu”, ci ha detto una volta a pranzo. Abbiamo guardato imbarazzati il nostro tofu.

In quel periodo stavamo partecipando ad un incontro sulla Permacultura a Perth, in Australia Occidentale e al personale della cucina è stato detto che ci si attendevano principalmente persone che mangiavano carne. Sfortunatamente c'erano tre volte più vegetariani fra i permacultori partecipanti, il che ha significato lunghe code per l'opzione vegetariana e che il personale che serviva i pasti ha vissuto una piccola crisi per mancanza di lungimiranza.

Islanda: campi di lava coperti da un leggero strato di erba da pascolo; vaste aree sono adatte soltanto ad allevare animali.

Robyn Francis, che è stata una delle prime studentesse di Bill e lo ha aiutato a compilare il Manuale di progettazione in Permacultura nei primi anni 80, fa a pezzi alcune delle argomentazioni etiche più comuni. “La carne è solo clorofilla concentrata su un bastoncino di calcio”, dice, prendendo a prestito un'intuizione unica nel suo genere da un ex studente.

La rotazione del pascolo dei maiali spezza le zolle e approfondisce il profilo del suolo, rendendolo coltivabile per verdure e cereali.

La banale frase vegana sul non mangiare cose che hanno occhi o che cercano di scappare potrebbe essere divertente, ma come sappiamo da studi sui meccanismi sensori e le “emozioni” delle piante, anche quelle hanno sentimenti, conoscono la paura, cercano di preservarsi la vita e preferirebbero non essere la vostra cena se fosse offerta loro una scelta. Inoltre, ognuna di loro ha un microbioma fatto di molti piccoli animali con occhi che cercano di scappare.

Zoocentrismo: il relegare le piante in fondo alla gerarchia della vita intelligente.

La Robyn ha fatto una slide prendendo spunto da uno studio sulla coltivazione di cereali in Australia che mostra quante cose viventi – rettili, uccelli, furetti, topi di campagna – vengono massacrati ogni anno per ettaro di cereali che viene raccolto dalle mietitrebbie. Nell'area di studio del Nuovo Galles del Sud, i raccoglitori di cereali uccidono 25 volte più animali per ettaro degli analoghi pascoli di mucche destinate al macello. Messa in un altro modo, il rapporto di bulbi oculari di cose che cercano di scappare è circa di 25:1 in sfavore del lato vegano della contabilità. In un'altra slide, la Robyn spiega che possedere un cane pastore consuma il costo di risorsa equivalente di possedere un SUV. Ed è meglio che non parliamo dei gatti domestici.

Diciamocelo. Se siamo vivi lo rimaniamo solo uccidendo qualcos'altro. E' così che circolano i nutrienti fra roccia, suolo, piante, materia in decomposizione, insetti, batteri, funghi ed animali. E' un processo di gruppo, ognuno di noi ha un ruolo, ad un certo punto, come predatore o come preda. Potrebbe non piacerci di mangiare vermi, ma alla fine loro sono più che felici di mangiare noi.

“In pratica, non esiste l'autonomia. In pratica, c'è solo una distinzione fra dipendenze responsabili ed irresponsabili”.

Wendell Berry, L'arte del luogo comune


Pubblicata su Facebook il 27 agosto, 

questa immagine ha 12.000 like e 2877 condivisioni, finora.
Considerate il più ampio problema della fornitura globale di cibo. Gli esseri umani ora sono 7 miliardi e continuano ad espandersi. Fornitura di energia, cibo ed acqua permettendo. Un terzo della massa terrestre della terra è adatta all'agricoltura ma solo un terzo di questa è realmente coltivabile a cereali, verdure, frutta o il tipo di cose che mangiano i vegani. Gli altri due terzi non sono in grado di far crescere vegetali e potrebbero non avere acqua sufficiente per la coltivazione di alberi, ma possono, con una gestione accurata e una giusta presenza di bestiame, sostenere animali commestibili. Infatti, se seguite la discussione di massa sulla rotazione dei pascoli iniziata da Allan Savory, potreste credere che solo le grandi mandrie di animali al pascolo, raggruppati ed in movimento, siano in grado di ripristinare ecologicamente quelle tipologie di terreni danneggiati, ri-sequestrando il carbonio che avevano un tempo e ripristinando i cicli idrologici e climatici del pre-Antropocene – il regime di acqua e suolo un tempo costruito e conservato da bufali, mammut, tigri e lupi.

Ecco un punto di contesa che portiamo con questa discussione, e diamo il benvenuto alla discussione. Per estensione, possiamo dire che se la terra coltivabile è il premio, allora la terra buona con molta acqua dev'essere dedicata ai cereali, alle verdure, alla frutta ed al tipo di cose che mangiano i vegani. Di gran lunga più persone possono essere nutrite con proteine di alta qualità, carboidrati e grassi da quella terra se mangiamo dalla parte bassa della catena alimentare, perché far passare i cereali attraverso gli animali ci fa perdere ritorni nutrizionali di grandi fattori, da 10:1 nel caso del pollame a 40:1 nel caso dei bovini. Secondo la logica usata dalla Robyn, dobbiamo allevare animali domestici esclusivamente sulle terre marginali che non possono sostenere nient'altro. Ciò elimina la fattoria di Joel Salatin in Virginia e molte delle operazioni con animali ad alto rendimento in Nord e Sud America, Europa, Africa, Asia ed Australia. Niente più Manzo di Kobe o Sauerbraten tedesco.

L'argomentazione per mangiare animali da allevamento assume che non possiamo nutrire il mondo se togliessimo l'allevamento di animali e ci concentrassimo sulle piante. Possiamo – solo sulla porzione di terra coltivabile primaria che ha una buona stagione agricola e un sacco di acqua. Un acro di soia biologica, coltivata senza arare, nutrito con biochar che fissa l'azoto e non OGM, non trasformato in mangime animale o plastiche, può fornire proteine di alta qualità come 40 o più acri di bovini. Eliminate l'allevamento di animali nei terreni agricoli migliori e non avrete bisogno di usare l'altro 60% delle terre coltivabili per animali da nutrimento.

Perché pensiamo di doverci appropriare di tutte le terre coltivabili del mondo per sfamare gli esseri umani?

Produrre cibo per le popolazioni umane nei climi secchi o con suoli poveri importandolo da terre migliori è una proposta rischiosa, dato che il paradigma della globalizzazione ora è in vita ed è costruito su uno schema di debito Ponzi che è un vero furto nei confronti dei nostri figli. Il mondo è costretto dall'inesorabilità della fisica dell'energia fossile a rilocalizzare, e rapidamente. Continuare a seguire la curva esponenziale consumistica – di uso di acqua, perdita di suolo, esaurimento del petrolio, estinzione di pesci, popolazione e inquinamento – è pura follia. Al di là di ogni bugia, un Dirupo di Olduvai.

Cavallo islandese arrosto. Il cavallo era
la carne tradizionale del Sauerbraten tedesco. 
In un mondo localizzato, in assenza di un declino indotto catastroficamente, immaginiamo che la popolazione umana frenerà gradualmente verso qualcosa che si avvicina all'equilibrio di stato stazionario fra offerta e domanda in cui gli indigeni erano maestri. Quella era la vecchia normalità prima dell'ultima era Glaciale e andrà probabilmente in quel modo nell'Era delle Conseguenze.

Gli esseri umani delle società locali potrebbero scegliere di equilibrare le loro diete in qualsiasi modo sia più efficace per il loro clima e i loro costumi. Alcuni potrebbero essere vegani, molti probabilmente no.



lunedì 5 gennaio 2015

Il picco dell'unica risorsa della quale non possiamo assolutamente fare a meno (e non è il petrolio)

Da “trust.org”. Traduzione di MR

Rimangono solo 60 anni di agricoltura se il degrado del suolo continua
 
Di Chris Arsenault



I funzionari del locale Ufficio per la Conservazione dell'Acqua camminano ai margini di un deserto in cui è stata piantata erba per prevenire la desertificazione. Contea di Mingin, nordest della provincia Gansu  in Cina, 8 dicembre 2010. REUTERS/Stringer

Roma (Thomson Reuters Foundation) – Generare tre centimetri di suolo richiede 1.000 anni e se gli attuali tassi di degrado continuano, tutto il suolo mondiale potrebbe scomparire entro 60 anni, ha detto venerdì un alto funzionario dell'ONU. Circa un terzo del suolo mondiale è stato già degradato, ha detto Maria-Helena Semedo della FAO ad un forum che contrassegnava la Giornata Mondiale del Suolo. Le cause della distruzione del suolo comprendono le pesanti tecniche di agricoltura chimica, la deforestazione che aumenta l'erosione e il riscaldamento globale. La Terra sotto i nostri piedi viene troppo spesso ignorata dai politici, dicono gli esperti.

“I suoli sono la base della vita”, ha detto Semedo, vice direttore generale della FAO delle risorse naturali. “Il 95% del nostro cibo proviene dal suolo”. A meno che non vengano adottati nuovi approcci, la quantità globale di terra coltivabile e produttiva per persona nel 2050 sarà solo un quarto del livello del 1960, ha detto la FAO, a causa della crescita delle popolazioni e del degrado del suolo. I suoli giocano un ruolo chiave nell'assorbire carbonio e nel filtrare l'acqua, ha detto la FAO. La distruzione del suolo crea un circolo vizioso, in cui viene immagazzinato meno carbonio, il mondo si riscalda e la terra si degrada ulteriormente. “Stiamo perdendo 30 campi di calcio al minuto di suolo, principalmente a causa dell'agricoltura intensiva”, ha detto Volkert Engelsman, un attivista della Federazione Internazionale dei Movimenti per l'Agricoltura Biologica al forum nel quartier generale della FAO a Roma. “L'agricoltura biologica potrebbe non essere la sola soluzione, ma è la migliore opzione a cui possa pensare”.

martedì 3 giugno 2014

La perdita di carbonio dal suolo accelera il cambiamento climatico

Da “Science Daily”. Traduzione di MR

Università del Nord dell'Arizona, 24 aprile 2014

Una nuova ricerca ha scoperto che l'aumento dei livelli di biossido di carbonio nell'atmosfera spinge i microbi del suolo a produrre più biossido di carbonio, accelerando il cambiamento climatico. Questa ricerca sfida la nostra comprensione precedente su come si accumula il carbonio nel suolo.

 Una ricerca pubblicata su Science  ha scoperto che l'aumento dei livelli di biossido di carbonio nell'atmosfera spinge i microbi del suolo a produrre più biossido di carbonio, accelerando il cambiamento climatico. 

Due ricercatori dell'Università del Nord dell'Arizona hanno condotto uno studio che sfida le conoscenze precedenti su come si accumula il carbonio nel suolo. L'aumento del livelli di CO2 accelera la crescita delle piante, che a sua volta provoca più assorbimento di CO2 attraverso la fotosintesi. Fino ad ora, l'opinione accettata era che il carbonio viene immagazzinato nel legno e nel suolo per lungo tempo, rallentando il cambiamento climatico. Tuttavia, questa nuova ricerca suggerisce che il carbonio supplementare fornisce combustibile ai microorganismi nel suolo i cui sottoprodotti (come il CO2) vengono rilasciati nell'atmosfera, contribuendo al cambiamento climatico.

“Le nostre scoperte significano che la natura non è così efficiente nel rallentare il riscaldamento globale come pensavamo in precedenza”, ha detto Kees Jan van Groenigen, ricercatore al Centro per la Scienza dell'Ecosistema e della Società alla NAU (Northern Arizona University) e autore principale dello studio. “Trascurando questo effetto dell'aumento del CO2 sui microbi del suolo, i modelli usati dal IPCC potrebbero aver sovrastimato il potenziale del suolo di immagazzinare carbonio e mitigare l'effetto serra”. Per capire meglio come rispondono i microbi del suolo alla mutevolezza dell'atmosfera, gli autori dello studio hanno utilizzato tecniche statistiche che confrontano i dati ai modelli e testano gli schemi generali fra gli studi. Hanno analizzato i risultati pubblicati di 53 diversi esperimenti nelle foreste, praterie e campi agricoli in tutto il mondo. Questi esperimenti hanno tutti misurato come il CO2 in eccesso nell'atmosfera condizione la crescita delle piante, la produzione microbica di biossido di carbonio e la quantità totale di carbonio del suolo alla fine dell'esperimento.

“Abbiamo creduto a lungo che i suoli fossero un posto stabile e sicuro per immagazzinare carbonio, ma i nostri risultati mostrano che il carbonio del suolo non è così stabile che pensavamo”, ha detto Bruce Hungate, direttore del Centro per la Scienza dell'Ecosistema e della Società alla NAU e autore dello studio. “Non dovremmo compiacerci dei continui aiuti da parte della natura nel rallentamento del cambiamento climatico”.

Fonte della storia:
La storia sopra è basata su materiali forniti dall'Università dell'Arizona del Nord. Nota: i materiali potrebbero essere modificati in contenuto e lunghezza.  

Rivista di riferimento:
1. Kees Jan van Groenigen, Xuan Qi, Craig W. Osenberg, Yiqi Luo, e Bruce A. Hungate. Faster Decomposition Under Increased Atmospheric CO2 Limits Soil Carbon Storage. Science, 2014 DOI: 10.1126/science.1249534 

venerdì 14 marzo 2014

Picco del suolo: la civiltà industriale è sul punto di mangiare sé stessa

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Una nuova ricerca su terra, petrolio, api e cambiamento climatico indica una crisi alimentare globale imminente, se non si intraprende un'azione urgente


Il vento causa erosione del suolo nei campi coltivati. Suffolk, 18 aprile 2013. Foto: Alamy


Un nuovo rapporto dice che il mondo avrà bisogno di più che raddoppiare la produzione di cibo nei prossimi 40 anni per dar da mangiare ad una popolazione globale in aumento. Ma mentre le necessità alimentari sono in rapida ascesa, la capacità del pianeta di produrre cibo si confronta con limiti sempre maggiori provenienti da crisi sovrapposte che, se lasciate senza controllo, potrebbero portare miliardi di persone alla fame. L'ONU prevede che la popolazione globale crescerà dagli attuali 7 miliardi a 9,3 miliardi per metà secolo. Secondo il rapporto pubblicato la scorsa settimana dal World Resources Institute (WRI), “le calorie alimentari disponibili in tutto il mondo dovranno aumentare di circa il 60% dai livelli del 2006” per assicurare una dieta adeguata per questa popolazione più grande. Ai tassi attuali di perdita e spreco di cibo, per il 2050 il divario fra il fabbisogno della dieta quotidiana e il cibo disponibile si avvicinerebbe a “più di 900 calorie (kcal) per persona al giorno”. Il rapporto identifica una rete complessa e interconnessa di fattori ambientali alla base di questa sfida – molti dei quali generati dall'agricoltura industriale stessa. Circa il 24% delle emissioni di gas serra provengono dall'agricoltura, comprendendo il metano dal bestiame, ossido di azoto dai fertilizzanti, biossido di carbonio dai macchinari in loco, dalla produzione di fertilizzanti e dal cambiamento d'uso della terra.

L'agricoltura industriale, constata il rapporto, da un grande contributo al cambiamento climatico che, a sua volta, innesca “ondate di calore e schemi di alluvioni e precipitazioni” più intensi, con “conseguenze avverse per il rendimento globale delle colture”. Infatti, l'agricoltura globale fa un uso molto intensivo dell'acqua, utilizzando il 70% di tutta l'acqua dolce. I nutrienti dilavati dai campi agricoli possono creare “zone morte” e “degradare le acqua costiere in tutto il mondo” e, mentre il cambiamento climatico contribuisce ad un maggiore stress idrico nelle regioni agricole, la produzione di cibo ne soffrirà ulteriormente.

Altri fattori collegati entreranno a loro volta in gioco, avverte il rapporto: la deforestazione causata da siccità e riscaldamento regionali, l'effetto dell'aumento dei livelli del mare nella produttività agricole delle regioni costiere e l'aumento di domanda d'acqua da parte di una popolazione più ampia. Tuttavia il rapporto evidenzia che un problema fondamentale è l'impatto delle attività umane sulla terra stessa, stimando che:

"... il degrado del suolo colpisce circa il 20% della aree coltivate del mondo”. 

Durante gli ultimi 40 anni, circa 2 miliardi di ettari di suolo – equivalenti al 15% dell'area della terraferma del pianeta (un'area più grande degli Stati uniti e del Messico messi insieme) – hanno subito un degrado da parte delle attività umane e circa il 30% delle terre coltivate sono diventate improduttive. Ma ci vuole in media un secolo intero solo per generare un solo millimetro di suolo perso per l'erosione. Il suolo è pertanto, effettivamente, una risorsa non rinnovabile ma rapidamente esauribile. Stiamo per esaurire il tempo. Entro soli 12 anni, dice il rapporto, le stime prudenti suggeriscono che il forte stress idrico affliggerà tutte le regioni-paniere in Nord e Sud America, Asia occidentale e orientale, Europa centrale e Russia, così come il Medio Oriente, e il sud e il sud-est asiatico. Sfortunatamente, però, il rapporto tralascia un altro fattore critico – il collegamento inestricabile fra petrolio e cibo. Durante l'ultimo decennio, i prezzi del cibo e del combustibile sono stati fortemente correlati. Non è un caso.

La scorsa settimana, un nuovo rapporto della Banca Mondiale che esamina cinque diversi beni alimentari – mais, grano, riso, soia e olio di palma – ha confermato che i prezzi del petrolio sono i più grandi contributori all'amento dei prezzi del cibo. Il rapporto, basato su un algoritmo progettato per determinare l'impatto di ogni dato fattore attraverso l'analisi di regressione, ha concluso che i prezzi del petrolio sono stati persino più significativi del rapporto fra riserve alimentari mondiali e livelli di consumo, o della speculazione sui beni. La Banca raccomanda così di controllare i movimenti del prezzo del petrolio come una chiave per moderare l'inflazione del prezzo del cibo. Uno studio dell'Università del Michigan evidenzia che ogni grande punto del sistema alimentare industriale – fertilizzanti chimici, pesticidi, macchinari agricoli, trasformazione degli alimenti, imballaggio e trasporto – dipende da grandi input di petrolio e gas. Infatti, il 19% dei combustibili fossili che sostengono l''economia americana vanno nel sistema alimentare, secondo solo alle auto. Nel 1940, per ogni caloria di energia da combustibili fossili usata, venivano prodotte 2,3 calorie alimentari. Ora, la situazione si è rovesciata: servono 10 calorie di energia da combustibili fossili per produrre una sola caloria di energia alimentare. In quando scrittore sui temi del cibo e attivista, Michael Pollan ha sottolineato sul New York Times:

“Mettiamola in un altro modo, quando mangiamo cibo proveniente dal sistema industriale alimentare, mangiamo petrolio e sputiamo gas serra”. 

Ma gli alti prezzi del petrolio sono qui per restarci – e secondo una valutazione del Ministero della Difesa di quest'anno, potrebbero salire a 500 dollari al barile nei prossimi 30 anni. Tutti questi punti che stanno rapidamente convergendo, fra un sistema alimentare industriale sempre più autolesionista e una popolazione mondiale inesorabilmente in espansione. Ma il punto di convergenza potrebbe arrivare molto prima a causa del jolly rappresentato dal catastrofico declino delle api. Durante gli ultimi 10 anni, gli apicoltori americani ed europei hanno riportate perdite annuali di sciami del 30% o maggiori. Lo scorso inverno, tuttavia, ha visto molti apicoltori americani sperimentare perdite dal 40 al 50% in più – con alcuni che hanno riportato perdite fino al 80-90%. Dato che un terzo del cibo mangiato nel mondo dipende dagli impollinatori, in particolare dalle api, l'impatto sull'agricoltura globale potrebbe essere catastrofico. Alcuni studi hanno dato la colpa a fattori interni ai metodi industriali – pesticidi, acari parassiti, malattie, nutrizione, agricoltura intensiva e sviluppo urbano.

Ma le prove che indicano specificatamente i pesticidi ampiamente usati sono da tempo schiaccianti. L'Autorità per la Sicurezza Alimentare Europea (EFSA), per esempio, ha evidenziato il ruolo dei neonicotinoidicon gran dispiacere del governo britannico – giustificando la parziale proibizione della UE di tre pesticidi. Ora, nel suo ultimo avvertimento scientifico messo fuori la settimana scorsa, la EFSA evidenzia come un altro pesticida, il fipronil, ponga un “rischio alto” per le api. Lo studio ha anche osservato grandi vuoti di informazione negli studi scientifici che impediscono una valutazione complessiva dei rischi per gli impollinatori. In breve, il dilemma globale del cibo ha di fronte una tempesta perfetta di crisi intimamente collegate che ci stanno già colpendo adesso e peggioreranno durante i prossimi anni senza un'azione urgente. Non è che ci manchino le risposte. Lo scorso anno, la Commissione per l'Agricoltura Sostenibile e il Cambiamento Climatico guidata dall'ex scienziato-capo del governo, professor Sir John Beddington – che aveva precedentemente avvisato riguardo ad una tempesta perfetta di carenza di cibo, acqua ed energia entro 17 anni – ha esposto sette raccomandazioni concrete basate su prove per generare uno spostamento verso un'agricoltura più sostenibile. Finora, tuttavia, i governi hanno in gran parte ignorato tali avvertimenti anche se sono emerse prove secondo le quali la linea temporale di Beddington è troppo ottimistica. Un recente studio condotto dall'Università di Leeds ha scoperto che le gravi siccità alimentate dal clima in Asia – specialmente in Cina, India, Pakistan e Turchia – entro i prossimi 10 anni minerebbero drammaticamente la produzione di grano e mais. Se teniamo conto in questo quadro di erosione del suolo, degrado del terreno, prezzi del petrolio, collasso delle colonie di api e crescita della popolazione, le implicazioni sono dure: la civiltà industriale è sul punto di mangiare sé stessa – se non cambiamo direzione, questo decennio passerà alla storia come l'inizio dell'apocalisse alimentare globale.