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venerdì 14 marzo 2014

Picco del suolo: la civiltà industriale è sul punto di mangiare sé stessa

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Una nuova ricerca su terra, petrolio, api e cambiamento climatico indica una crisi alimentare globale imminente, se non si intraprende un'azione urgente


Il vento causa erosione del suolo nei campi coltivati. Suffolk, 18 aprile 2013. Foto: Alamy


Un nuovo rapporto dice che il mondo avrà bisogno di più che raddoppiare la produzione di cibo nei prossimi 40 anni per dar da mangiare ad una popolazione globale in aumento. Ma mentre le necessità alimentari sono in rapida ascesa, la capacità del pianeta di produrre cibo si confronta con limiti sempre maggiori provenienti da crisi sovrapposte che, se lasciate senza controllo, potrebbero portare miliardi di persone alla fame. L'ONU prevede che la popolazione globale crescerà dagli attuali 7 miliardi a 9,3 miliardi per metà secolo. Secondo il rapporto pubblicato la scorsa settimana dal World Resources Institute (WRI), “le calorie alimentari disponibili in tutto il mondo dovranno aumentare di circa il 60% dai livelli del 2006” per assicurare una dieta adeguata per questa popolazione più grande. Ai tassi attuali di perdita e spreco di cibo, per il 2050 il divario fra il fabbisogno della dieta quotidiana e il cibo disponibile si avvicinerebbe a “più di 900 calorie (kcal) per persona al giorno”. Il rapporto identifica una rete complessa e interconnessa di fattori ambientali alla base di questa sfida – molti dei quali generati dall'agricoltura industriale stessa. Circa il 24% delle emissioni di gas serra provengono dall'agricoltura, comprendendo il metano dal bestiame, ossido di azoto dai fertilizzanti, biossido di carbonio dai macchinari in loco, dalla produzione di fertilizzanti e dal cambiamento d'uso della terra.

L'agricoltura industriale, constata il rapporto, da un grande contributo al cambiamento climatico che, a sua volta, innesca “ondate di calore e schemi di alluvioni e precipitazioni” più intensi, con “conseguenze avverse per il rendimento globale delle colture”. Infatti, l'agricoltura globale fa un uso molto intensivo dell'acqua, utilizzando il 70% di tutta l'acqua dolce. I nutrienti dilavati dai campi agricoli possono creare “zone morte” e “degradare le acqua costiere in tutto il mondo” e, mentre il cambiamento climatico contribuisce ad un maggiore stress idrico nelle regioni agricole, la produzione di cibo ne soffrirà ulteriormente.

Altri fattori collegati entreranno a loro volta in gioco, avverte il rapporto: la deforestazione causata da siccità e riscaldamento regionali, l'effetto dell'aumento dei livelli del mare nella produttività agricole delle regioni costiere e l'aumento di domanda d'acqua da parte di una popolazione più ampia. Tuttavia il rapporto evidenzia che un problema fondamentale è l'impatto delle attività umane sulla terra stessa, stimando che:

"... il degrado del suolo colpisce circa il 20% della aree coltivate del mondo”. 

Durante gli ultimi 40 anni, circa 2 miliardi di ettari di suolo – equivalenti al 15% dell'area della terraferma del pianeta (un'area più grande degli Stati uniti e del Messico messi insieme) – hanno subito un degrado da parte delle attività umane e circa il 30% delle terre coltivate sono diventate improduttive. Ma ci vuole in media un secolo intero solo per generare un solo millimetro di suolo perso per l'erosione. Il suolo è pertanto, effettivamente, una risorsa non rinnovabile ma rapidamente esauribile. Stiamo per esaurire il tempo. Entro soli 12 anni, dice il rapporto, le stime prudenti suggeriscono che il forte stress idrico affliggerà tutte le regioni-paniere in Nord e Sud America, Asia occidentale e orientale, Europa centrale e Russia, così come il Medio Oriente, e il sud e il sud-est asiatico. Sfortunatamente, però, il rapporto tralascia un altro fattore critico – il collegamento inestricabile fra petrolio e cibo. Durante l'ultimo decennio, i prezzi del cibo e del combustibile sono stati fortemente correlati. Non è un caso.

La scorsa settimana, un nuovo rapporto della Banca Mondiale che esamina cinque diversi beni alimentari – mais, grano, riso, soia e olio di palma – ha confermato che i prezzi del petrolio sono i più grandi contributori all'amento dei prezzi del cibo. Il rapporto, basato su un algoritmo progettato per determinare l'impatto di ogni dato fattore attraverso l'analisi di regressione, ha concluso che i prezzi del petrolio sono stati persino più significativi del rapporto fra riserve alimentari mondiali e livelli di consumo, o della speculazione sui beni. La Banca raccomanda così di controllare i movimenti del prezzo del petrolio come una chiave per moderare l'inflazione del prezzo del cibo. Uno studio dell'Università del Michigan evidenzia che ogni grande punto del sistema alimentare industriale – fertilizzanti chimici, pesticidi, macchinari agricoli, trasformazione degli alimenti, imballaggio e trasporto – dipende da grandi input di petrolio e gas. Infatti, il 19% dei combustibili fossili che sostengono l''economia americana vanno nel sistema alimentare, secondo solo alle auto. Nel 1940, per ogni caloria di energia da combustibili fossili usata, venivano prodotte 2,3 calorie alimentari. Ora, la situazione si è rovesciata: servono 10 calorie di energia da combustibili fossili per produrre una sola caloria di energia alimentare. In quando scrittore sui temi del cibo e attivista, Michael Pollan ha sottolineato sul New York Times:

“Mettiamola in un altro modo, quando mangiamo cibo proveniente dal sistema industriale alimentare, mangiamo petrolio e sputiamo gas serra”. 

Ma gli alti prezzi del petrolio sono qui per restarci – e secondo una valutazione del Ministero della Difesa di quest'anno, potrebbero salire a 500 dollari al barile nei prossimi 30 anni. Tutti questi punti che stanno rapidamente convergendo, fra un sistema alimentare industriale sempre più autolesionista e una popolazione mondiale inesorabilmente in espansione. Ma il punto di convergenza potrebbe arrivare molto prima a causa del jolly rappresentato dal catastrofico declino delle api. Durante gli ultimi 10 anni, gli apicoltori americani ed europei hanno riportate perdite annuali di sciami del 30% o maggiori. Lo scorso inverno, tuttavia, ha visto molti apicoltori americani sperimentare perdite dal 40 al 50% in più – con alcuni che hanno riportato perdite fino al 80-90%. Dato che un terzo del cibo mangiato nel mondo dipende dagli impollinatori, in particolare dalle api, l'impatto sull'agricoltura globale potrebbe essere catastrofico. Alcuni studi hanno dato la colpa a fattori interni ai metodi industriali – pesticidi, acari parassiti, malattie, nutrizione, agricoltura intensiva e sviluppo urbano.

Ma le prove che indicano specificatamente i pesticidi ampiamente usati sono da tempo schiaccianti. L'Autorità per la Sicurezza Alimentare Europea (EFSA), per esempio, ha evidenziato il ruolo dei neonicotinoidicon gran dispiacere del governo britannico – giustificando la parziale proibizione della UE di tre pesticidi. Ora, nel suo ultimo avvertimento scientifico messo fuori la settimana scorsa, la EFSA evidenzia come un altro pesticida, il fipronil, ponga un “rischio alto” per le api. Lo studio ha anche osservato grandi vuoti di informazione negli studi scientifici che impediscono una valutazione complessiva dei rischi per gli impollinatori. In breve, il dilemma globale del cibo ha di fronte una tempesta perfetta di crisi intimamente collegate che ci stanno già colpendo adesso e peggioreranno durante i prossimi anni senza un'azione urgente. Non è che ci manchino le risposte. Lo scorso anno, la Commissione per l'Agricoltura Sostenibile e il Cambiamento Climatico guidata dall'ex scienziato-capo del governo, professor Sir John Beddington – che aveva precedentemente avvisato riguardo ad una tempesta perfetta di carenza di cibo, acqua ed energia entro 17 anni – ha esposto sette raccomandazioni concrete basate su prove per generare uno spostamento verso un'agricoltura più sostenibile. Finora, tuttavia, i governi hanno in gran parte ignorato tali avvertimenti anche se sono emerse prove secondo le quali la linea temporale di Beddington è troppo ottimistica. Un recente studio condotto dall'Università di Leeds ha scoperto che le gravi siccità alimentate dal clima in Asia – specialmente in Cina, India, Pakistan e Turchia – entro i prossimi 10 anni minerebbero drammaticamente la produzione di grano e mais. Se teniamo conto in questo quadro di erosione del suolo, degrado del terreno, prezzi del petrolio, collasso delle colonie di api e crescita della popolazione, le implicazioni sono dure: la civiltà industriale è sul punto di mangiare sé stessa – se non cambiamo direzione, questo decennio passerà alla storia come l'inizio dell'apocalisse alimentare globale.