venerdì 19 novembre 2010

Prepararsi per l'inverno più freddo degli ultimi 1000 anni


Da political Irony 

Gratis!! Attrezzo ufficiale, verificato, per lo sbufalamento del global warming.

1. Tagliare lungo la linea tratteggiata
2. Orgogliosamente piazzare verticalmente sulla neve accumulata
3. Prendere nota della profondità misurata per screditare instantaneamente tutti gli studi scientifici sul global warming.

Bonus: lo si può anche tenere orizzontalmente per confermare scientificamente l'innegabile fatto che la terra è piatta.



Ha cominciato già Emilio Fede sul TG4 a dire che questo inverno sarà "il più freddo negli ultimi 1000 anni". Ha seguito ultimamente a parlare di inverni rigidissimi tal Madrigali, noto per predire ogni anno l'arrivo della nuova era glaciale.

Non si sa da dove arrivino queste idee. Sono comunque alquanto improbabili, considerando che il 2010 si avvia a essere l'anno più caldo da quando si fanno misure di temperatura.

Ma, alla prima nevicata, vedrete come strepitano, questi!

mercoledì 17 novembre 2010

Climategate: un anno dopo


Guarda questi messaggi scandalosi!!

Un anno fa, subito dopo la notizia del furto delle email private dal server del Climate Research Unit, quello che sarebbe poi diventato noto come "Climategate", scrivevo definendolo un avvertimento mafioso contro gli scienziati. Lo era.

Per chi lo ha inventato e sfruttato per i propri scopi, il climategate è stato un successo. La leggenda degli scienziati imbroglioni si è sparsa facilmente, come fanno tutte le leggende. Così, oggi, ogni volta che si parla di clima, viene sempre fuori qualcuno che dice "ma ho sentito dire che gli scienziati hanno truccato i dati." E' stata una facile vittoria dei professionisti della propaganda contro gli scienziati, poco abituati a questo tipo di battaglia.

Tuttavia, ogni sconfitta è un insegnamento per chi la subisce, che non si farà imbrogliare un'altra volta. Ed è anche vero che a vincere imbrogliando ci si fanno dei nemici. C'è una ragione se il blog "Cassandra" è nato poco dopo il Climategate.

martedì 16 novembre 2010

Intervista a Rajendra Pachauri, presidente dell'IPCC - parte III


In questa terza e ultima parte dell'intervista, Rajendra Pachauri, presidente dell'IPCC;  ci racconta qualcosa su quelle che ritiene le priorità che fronteggiamo. Su questo punto, per la verità, Pachauri appare un po' convenzionale anche se corretto. Forse più interessante è la sua risposta sul suo romanzo "Ritorno ad Almora", dove viene fuori una ricerca della spiritualità che viene, probabilmente, dalla sue origini culturali in India.

Prima di partire con l'ultima parte dell'intervista a Rajendra Pachauri, fatemi fare un commento generale: da quello che mi ha detto e da altro materiale che appare su internet, viene fuori una persona di grande entusiasmo, capace di un incredibile attivismo e - soprattutto - di onestà specchiata. Quest'ultima qualità l'hanno dovuta ammettere anche i suoi detrattori, ritrattando le infami accuse che avevano lanciato contro di lui (come potete leggere nella prima parte dell'intervista). Fra le altre cose, il suo entusiasmo e la sua correttezza vengono fuori anche dalla disponibilità che ha dimostrato a rispondere alle mie lettere e alle mie domande; cosa rara da parte di persone a quel livello. Vi posso dire che è un piacere conversare con Pachauri via email.

Nessuno è perfetto, di Rajendra Pachauri possiamo dire che ha fatto degli errori di comunicazione - più che altro con il suo romanzo che è apparso in un momento infelice, dando ai suoi nemici la possibilità di attaccarlo anche su quello. Ma la posizione di Pachauri è difficilissima: come presidente dell'IPCC fa da parafulmine a tutti gli attacchi lanciati dalle forze dell'anti-scienza. Immaginatevi per un momento di essere voi al suo posto e potete capire come sarebbe difficile, forse impossibile, resistere ad attacchi concertati da gente senza scrupoli e che sono anche dei razzisti (come potete leggere in questo post).

Quindi, probabilmente Pachauri è l'uomo giusto per essere alla testa dell'IPCC (e in effetti è stato recentemente confermato): uno dei pochi in grado di uscire dalla tempesta a testa alta. Io l'ho definito un eroe della scienza del clima e secondo me merita di essere chiamato così. Finché abbiamo uomini come lui, c'è speranza. 

Ciò detto, ecco l'ultima parte dell'intervista.


5. Dr. Pachauri, il cambiamento climatico è soltanto una delle molte sfide che l'umanità sta fronteggiando oggi. In aggiunta, ci sono altre forme di inquinamento, erosione del suolo, esaurimento delle risorse minerali, fra le quali il petrolio e altri. Un problema che vedo spesso e che si tende a vedere un singolo problema come se fosse il solo di qualche importanza e scartare tutti gli altri. Questo è tipico dei litigi da quattro soldi fra i "picchisti" e i "climatisti", ognuno che sostiene che un problema è più importante degli altri. Lei, Dr. Pachauri, si trova nella posizione di essere alla testa dell'IPCC ma di non essere uno specialista nella scienza del clima. Così, lei può avere una visione più vasta di molti di noi. Cosa pensa delle priorità che fronteggiamo? Quali sono i problemi più importanti e dove dovremmo allocare le nostre risorse?

Essenzialmente, quello su cui dovremmo focalizzarci globalmente è l'ottenimento di uno schema sostenibile di crescita e sviluppo. Tenendo presente la definizione di sviluppo sostenibile descritta dalla Commissione Bruntland, un tale schema di sviluppo dovrebbe andare incontro alle necessità della generazione corrente senza mettere a repentaglio la possibilità delle generazioni future di soddisfare le loro necessità. Il cambiamento climatico è dunque soltanto parte di un problema molto più importante che ha a che fare con l'esaurimento e la degradazione delle risorse naturali della Terra e dei suoi fragili ecosistemi. Io credo che dobbiamo adottare politiche e allocare risorse per ridare vita e restituire alla salute una varietà di beni comuni globali. Dobbiamo tenere il benessere umano al centro dei nostri sforzi che si espandono da una regione all'altra e attraverso le generazioni. Io credo che il nostro problema principale sia di essersi allontanati dall'armonia della natura e questo si può correggere non soltanto attraverso l'innovazione e nuove tecnologie ma anche attraverso cambiamenti nello stile di vita e modi di comportarsi.

6. Nella recente esplosione di polemiche sul cambiamento climatico, credo che abbiamo tutti imparato che una bella storia può attirare di più l'attenzione del pubblico che dei fatti senza vita. Allora, potrebbe raccontarci qualcosa a proposito del suo ultimo romanzo?

Il mio romanzo, "Ritorno a Almora” è essenzialmente un viaggion verso la comprensione dello spirito umano e che cosa costituisce l'anima dell'essere umano. Il messaggio che ho cercato di mettere insieme nel libro è l'enfatizzare che raggiungere un alto livello di spiritualità e di sublimazione del comportamento umano non richiede vivere in un monastero o rinunciare al mondo. Lo sviluppo spirituale è qualcosa che la maggior parte degli esseri umani normali  possono ottenere. Il libro è un totale di 400 pagine a stampa, ma mi diverte che gli stessi detrattori che mi hanno attaccato per mezzo di bugie sulle mie operazioni finanziari e sulle mie attività professionali non hanno nemmeno risparmiato i miei umili sforzi come romanziere e hanno estratto passaggi fuori contesto e cercato di infangare il mio lavoro che io credo la maggior parte dei lettori hanno trovato essere una fonte di ispirazione sul pensiero e sul comportamento umano.

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Parte prima dell'intervista a Rajendra Pachauri
Parte seconda dell'intervista a Rajendra Pachauri

Ulteriori notizie su Rajendra Pachauri, anche su dove compra i vestiti che indossa (che NON sono di Armani, nonostante le accuse che gli hanno fatto) la trovate a questo link: http://www.livemint.com/2010/02/02003231/Pachauri-blames-global-lobbies.html

In questa intervista fatta a Taipei, invece, potete avere qualche idea della posizione di Pachauri sul fatto di essere vegetariano e di come questo può aiutare a ridurre l'impatto umano sull'ecosistema:
http://award.godsdirectcontact.net/en/news/her20100321163605274.htm


Qui trovate un articolo di Pachauri sul "Guardian" dove commenta gli attacchi contro gli scienziati sulla questione del climategate. http://www.guardian.co.uk/commentisfree/cif-green/2010/mar/26/dont-hound-the-climate-scientists

lunedì 15 novembre 2010

Intervista a Rajendra Pachauri, presidente dell'IPCC - Parte II


In questa seconda parte dell'intervista, Rajendra Pachauri affronta la questione della comunicazione, ammettendo che l'IPCC ha fatto dei notevoli errori nel trascurare il problema e promettendo miglioramenti in proposito. Affronta anche una domanda molto delicata che gli ho fatto: cosa ne pensa dell'aumento della popolazione umana come una delle cause principali del riscaldamento globale. Come vedete, la sua risposta è molto diplomatica. D'altra parte, fa giustamente notare che il suo paese, l'India, è meno sovrappopolato di altri paesi "sviluppati" e che le emissioni - e l'accumulo delle stesse nella storia - sono molto maggiori per i paesi sviluppati.


3. Dr. Pachauri, la recente campagna anti-scienza ci dice che dobbiamo aver fatto qualche errore fondamentale nel modo in cui abbiamo presentato la scienza se viene fuori che il pubblico è così facilmente influenzabile da bugie e storielle carine. Come presidente dell'IPCC, lei ha una grande responsabilità nel fare qualcosa per cambiare il modo in cui la scienza, e la scienza del clima in particolare, è presentata al pubblico. Cosa pensa che si dovrebbe fare in termini di priorità? Ha qualche piano in questo senso? 

Si sa che gli scienziati non sono sempre i migliori comunicatori e - nel caso della scienza del clima - questo diventa un problema serio perché stiamo parlando di un'area di interesse diretto per tutta la società. Se non comunichiamo la scienza del cambiamento climatico al pubblico altri, che hanno interessi nascosti, riempiranno il vuoto. Nell'IPCC, in particolare, abbiamo creato molto poco in termini di capacità di fronteggiare questa sfida e certamente questo ha causato una disseminazione poco efficace di studi scientificamente validi sul cambiamento climatico, con il risultato che che l'IPCC e la comunità scientifica si sono trovati sotto attacco da parte di coloro che intendono mettere in dubbio quei risultati ormai consolidati che l'IPCC ha diffuso sulla base di osservazioni consolidate e solida evidenza. Possiamo sperare che con il review fatto dall' Inter Academy Council, e le loro comunicazioni come una parte importante delle attività dell'IPCC, i governi, che sono i decisori finali nel Pannello, appoggeranno la creazione di capacità adeguate di comunicazione entro la struttura dell'IPCC.

4. Quando parliamo di "Cambiamento Climatico Antropogenico" intendiamo che gli esseri umani sono in gran parte responsabili per il cambiamento. Sembrerebbe che ne segua come inferenza logica che meno persone significherebbero meno cambiamento climatico e meno danni per il pianeta. Questo ci porta al tema controverso del "controllo della popolazione", un termine che era di moda negli anni 1970 ma che, oggi, sembra essere sparito dalla sfera politica, perlomeno nei paesi occidentali. Qual'è la sua opinione sulla questione della popolazione? Specialmente dal punto di vista del suo paese, l'India, che in molti definiscono come "sovrappopolato" come si vede la situazione?

La popolazione è certamente un fattore determinante nelle attività economiche che generano le emissioni di gas serra, che sono responsabili per il cambiamento climatico causato dall'uomo. Ma non possiamo ignorare le tendenze al consumo che determinano le emissioni attuali e sono state responsabili per le emissioni cumulative nella storia. Per esempio, il consumo di energia in alcuni paesi poveri è un centesimo dei livelli che sono comuni nelle regioni più ricche del mondo. Dato che il termine "Controllo della Popolazione" va contro i concetti basilari di diritti dell'uomo, libertà di scelta e libertà, in un paese democratico non possiamo fare di più che creare delle condizioni per le quali gli individui prendono decisioni riguardo alla loro fertilitò che dovrebbero volontariamente portare a ritmi più bassi di crescita di popolazione. Quello che è molto più importante e che può essere ottenuto in periodi di tempo molto più brevi è un miglioramento nell'efficienza dell'uso dell'energia e una riduzione delle emissioni per persona. La popolazione dell'India è certamente grande e sta ancora crescendo a un ritmo rapido, ma la densità di popolazione in India è tuttora più bassa di quella di parecchi paesi che sono considerati come avanzati e sviluppati. Naturalmente, un paese come l'India deve focalizzarsi in modo molto più efficace nell'educazione delle bambine e assucurare l'accesso a cure mediche e servizi sociali. Questo migliorerebbe la condizione umana in aggiunta a conseguentemente portare a più bassi valori della fertilità.


La prima parte dell'intervista a Rajendra Pachauri.

domenica 14 novembre 2010

Intervista a Rajendra Pachauri, presidente dell'IPCC (Parte 1)


Rajendra Pachauri, presidente dell'IPCC, ha gentilmente acconsentito a un'intervista per il blog "Cassandra". Il risultato sono quattro pagine di testo che trovate nell'originale in inglese a questo link. Pachauri si rivela persona molto diplomatica, come è ovvio che sia dato il suo ruolo. Ci da però molte interessanti informazioni. In questa prima parte, ci racconta qualche cosa della sua carriera di economista preoccupato per il cambiamento climatico (cosa che non è piaciuta a tutti i suoi colleghi). Poi ci parla degli eventi recenti e dell'attacco personale che ha ricevuto dal "Sunday Telegraph" - che è stato costretto a ritrattare le infami accuse fatte.



1. Dr. Pachauri, per prima cosa grazie per aver acconsentito a questa intervista. Poi, potrebbe dirci qualcosa su di lei? Il suo curriculum è pieno di titoli di studi, onori, premi, presidenze, posti di professore, eccetera. Ma io credo che il pubblico non abbia una chiara idea si chi lei sia, soprattutto nei paesi occidentali: Qual'è il suo background culturale? Dove è cresciuto e come è diventato presidente dell'IPCC?. Come ha influito sulla sua carriera il fatto di essere nato in India?

Non sono sicuro di poter dire tante cose su di me. Ho cominciato la mia carriera come ingegnere e nel periodo del mio master in ingegneria industriale ho cominciato a studiare economia come un area di minore importanza. L'ho trovata una materia così stimolante che ho deciso di cambiare i miei interessi accademici e alla fine sono diventato un economista dell'energia. Sono uno dei pochi che hanno creato l'associazione internazionale per l'economia dell'energia (IAEE), un'organizzazione di professionisti a livello globale della quale sono diventato presidente nel 1988. Nel corso del mio lavoro accademico, sono diventato acutamente conscio degli impatti ambientali dell'intero ciclo dell'energia. Questo mi ha portato a studiare la scienza che sta dietro al problema del cambiamento climatico. L'effetto degli studi che ho fatto è stato che mi sono convinto della gravità del cambiamento climatico come una delle sfide principali che sono di fronte alla professione dell'economista dell'energia. Durante la mia prolusione annuale all'IAEE nel 1988, ho messo in luce l'importanza di considerare il cambiamento climatico come una parte integrale della politica energetica (cosa che non è piaciuta per niente ad alcuni dei miei colleghi molto conservatori dell'IAEE). E' stata la produzione e l'uso dell'energia che ha causato il cambiamento climatico generato dall'uomo. Così, sono diventato Autore Principale nel secondo rapporto IPCC e sono stato eletto vice-Presidente per il terzo rapporto. Ho poi deciso di presentarmi per la presidenza dell'IPCC nel 2002 è sono stato fortunato da essere eletto in quel ruolo con un margine molto ampio.

Il fatto di essere nato in India mi ha reso acutamente conscio dei problemi della povertà - la vulnerabilità dei poveri agli impatti del cambiamento climatico. Tuttavia, io vedo il problema climatico come globale; per il quale ci vogliono soluzioni che coinvolgono tutti gli angoli del globo.

2. Come presidente dell'IPPC lei è stato oggetto - come ci si poteva aspettare - di attacchi di tutti i generi, il più recente è stato quello da parte di Richard North e Christopher Booker sul Sunday Telegraph. E' una cosa buona che lei sia riuscito ad ottenere che la verità sia ristabilita, ottenendo una lettera di scuse dal Telegraph. Sfortunatamente, le bugie sopravvivono a lungo nella mente della gente. Ci potrebbe raccontare la sua impressione su questi eventi? Il Telegraph se l'è cavata con solo qualche riga di scuse a denti stretti oppure - sperabilmente - c'è di più che dovranno fare per ripagare il danno fatto?

Non mi sarei mai aspeato di ricevere attacchi di questo genere, in particolare da parte di gente che impiega i più bassi livelli di menzogna. Ho trovato curioso che questi attacchi sono arrivati a valanga come se fossero stati programmati per essere lanciati dopo due anni interi che l'IPCC aveva ricevuto il premio Nobel per la pace insieme all'ex Vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore. Ho cercato pazientemente di convincere il Sunday Telegraph a ritrattare il loro articolo infame che ha dato inizio alla pioggia di pubblicazioni e rapporti ripetitivi che ne sono seguiti. Tuttavia, sono stati sordi alle mie comunicazioni decenti e giustificate. Alla fine, non mi è rimasto che assumere degli avvocati competenti di Lonra e cercare la possibilità di dare inizio a un'azione legale nel Regno Unito con l'accusa di diffamazione. Dopo molti scambi che i miei legali hanno avuto con il giornale, si sono decisi a pubblicare un articolo di scuse e a pagare le spese legali al livello di 53.000 sterline. Credo che avrei potuto portare l'azione legale alla sua logica conclusione e insistito per il pagamento di danni, che poi avrei donato a un'istituzione non-profit come faccio con tutti i fondi che ricevo in aggiunta al mio salario da parte di TERI. Tuttavia, credo di avere usi migliori per il mio tempo che trovarmi coinvolto in un'azione legale, in particolare dopo che il giornale ha pubblicato una lettera di scuse e tirato fuori 53.000 sterline. 

Segue.....

Un'update sugli attacchi a Pachauri da parte del Sunday Telegraph si trova in questo articolo di George Monbiot. Vedi anche questo articolo e quest'altro sul blog Cassandra.

sabato 13 novembre 2010

Non c'è ragione di preoccuparsi per il cambiamento climatico!


Possiamo tutti tirare un sospiro di sollievo, ragazzi. Dio ha promesso che non distruggerà la terra un'altra volta dopo il diluvio universale - dopo Noé, non avremo bisogno di un'altra arca. E, allora, possiamo stare tranquilli: il riscaldamento globale ci fa un baffo.

Perlomeno così ha dichiarato il membro del congresso degli Stati Uniti, John Shimkus, che aspira a diventare il presidente del comitato per l'energia e l'ambiente. E chi siamo noi per non fidarci?

http://www.dailymail.co.uk/news/article-1328366/John-Shimkus-Global-warming-wont-destroy-planet-God-promised-Noah.html

giovedì 11 novembre 2010

La sindrome di Venere




Venere: un pianeta ben diverso dalla Terra, con una temperatura di superficie di 460 C causata dall'effetto serra associato a un'atmosfera satura di CO2. Purtroppo, Venere ci mostra un possibile destino del nostro pianeta via via che l'intensità dell'irradiazione solare aumenta. In principio, ci vorranno ancora centinaia di milioni di anni prima che la Terra si trasformi in un inferno di fuoco come Venere, però non si può escludere che possa avvenire anche molto prima. Questa è l'opinione di James Hansen che nel suo libro "Tempeste" accusa gli scienziati di non dire veramente al pubblico quali sono i rischi che corriamo con il cambiamento climatico in corso.


Vi consiglio di leggere il libro di James Hansen "Tempeste," però facendo attenzione a una cosa. State attenti a non avere a portata di mano strumenti taglienti o contundenti mentre lo leggete; altrimenti potreste essere tentati di usarli contro voi stessi.

Quello di Hansen è un libro complesso e che affronta una molteplicità di argomenti; sia politici che scientifici. Il nocciolo della faccenda è - comunque - l'accusa che fa Hansen ai suoi colleghi climatologi di essere troppo conservativi, di non voler raccontare in pubblico i rischi che corriamo con il riscaldamento globale. Ovvero, secondo Hansen, i rischi potrebbero essere molto più gravi e immediati di quanto uno non si possa rendere conto dai rapporti IPCC, dai dati pubblicati e, in generale, da quello che si dice nel dibattito.

Quali sono questi rischi? Beh, secondo Hansen e altri quello che si rischia è un "runaway greenhouse effect", un "effetto serra incontrollato" che potrebbe essere generato dalla liberazione in atmosfera degli idrati di metano. Questo potrebbe portare a un riscaldamento talmente intenso da causare l'estinzione della maggior parte dei vertebrati, come è già successo alla fine del Permiano, 250 milioni di anni fa. Al limite estremo, potrebbe portare all'evaporazione degli oceani e alla sterilizzazione del nostro pianeta, che diventerebbe un gemello di Venere dove queste cose sono accadute centinaia di milioni di anni fa.

Ora, prima di mettervi a urlare "dalli al catastrofista" notate che queste non sono previsioni - sono scenari. Ovvero, sono eventi incerti ma fisicamente possibili. Sappiamo che l'intensità della radiazione solare aumenta gradualmente - molto lentamente, ma inesorabilmente - circa il 6% in più ogni miliardo di anni. Se la Terra deve mantenere una temperatura compatibile con la vita, questo aumento deve essere compensato dall'ecosfera terrestre con una riduzione della concentrazione di CO2. Questa concentrazione si deve dimezzare, circa, per ogni 2% di aumento dell'intensità della radiazione solare. Questo è quello che è osserviamo nel passato geologico della Terra: la concentrazione di CO2 si è gradualmente ridotta mantenendo la temperatura entro i limiti necessari per il mantenimento della vita.

Oggi, come fa notare Hansen, ci troviamo in una situazione in cui il sole non è mai stato così intenso come nel passato e - contemporaneamente - stiamo immettendo nell'atmosfera una gran quantità di gas serra a una velocità mai sperimentata nel passato del pianeta. Gli effetti di queste due condizioni combinate sono imprevedibili. Può darsi che non succeda niente di veramente grave a parte un riscaldamento di qualche grado; oppure può darsi che tutto il sistema vada fuori equilibrio - appunto - la sindrome di Venere.

Attenzione: questo non vuol dire che ci aspettiamo che una cosa del genere accada in tempi brevi. Anzi, ci sono ragionevoli argomentazioni per dire che potrebbe non accadere mai. Ma non possiamo escludere l'ipotesi peggiore. E, comunque, non importa nemmeno finire come Venere. Basterebbe qualcosa di simile a quello che è successo alla fine del Permiano per spazzare via la specie umana e la maggior parte dei vertebrati. Questa è una cosa che è già successa e quindi è provato che potrebbe succedere di nuovo.

Fatemelo ripetere: questi sono scenari, non previsioni. Una previsione è qualcosa che uno si aspetta che accada in un tempo specifico. Uno scenario è qualcosa che potrebbe accadere - non si sa quando ma per il quale è bene essere preparati. Uno si mette la cintura di sicurezza quando entra in macchina non perché prevede un frontale contro un TIR proprio quel giorno. Se la mette perché lo scontro con un TIR (o cose del genere) è un evento possibile. E' uno scenario, non una previsione.

Su questo punto, non è il solo Hansen a notare la reticenza degli scienziati. Parlare chiaramente di certi rischi non è cosa molto popolare. Fate caso al quarto rapporto dell'IPCC: la faccenda del rischio connesso con gli idrati di metano non c'è nella "sintesi" e meno che mai nel "summary for policymakers". La trovate solo nelle sezioni I e II, si, ma bisogna andarsela a cercare.


Quindi, alla fine dei conti, il problema posto da Hansen è un problema di comunicazione. E, in effetti, il dogma fino ad oggi nella comunicazione pubblica sul cambiamento climatico è stato di non allarmare la gente. Il terrore è quello di essere tacciati di "catastrofismo", di scatenare reazioni imprevedibili e forse anche violente, di allontanare la gente spingendola verso chi gli racconta bugie rassicuranti.

Però, pensateci solo un attimo: tutto questo è esattamente quello che sta succedendo. Gli scienziati sono tacciati di catastrofismo e allarmismo, oggetto di minacce di morte e di cacce alle streghe e c'è pieno, là fuori, di gente che fa successo raccontando bugie rassicuranti. Quindi, è possibile che sia stato un clamoroso autogol quello di cercare a tutti i costi di non allarmare troppo la gente?

A questo punto, ci accorgiamo che il problema è uno di strategia di comunicazione. Come dobbiamo comunicare il pericolo del cambiamento climatico? Con quali dati? A chi? Con quali obbiettivi?

Appena ci poniamo queste domande, vediamo che una strategia di comunicazione non esiste. Sono domande che, semplicemente, nessuno si è mai posto in modo professionale. Gli scienziati non sono preparati in questo campo. Non è il loro mestiere e questa è probabilmente una delle ragioni principali del clamoroso insuccesso del tentativo di prendere misure serie contro il cambiamento climatico.

Ora, io non sono uno specialista di comunicazione e non so se veramente potrebbe essere opportuno un cambiamento di strategia nel modo in cui comunichiamo certe cose. Vedo però che peggio di così le cose non potrebbero andare. Allora, non sarebbe il caso di provare a smettere di sforzarsi di indorare la pillola a tutti i costi?

Attenzione: questo che sto dicendo non vuol dire lanciare allarmi ingiustificati. Assolutamente no; ripeto che vuol solo dire che dobbiamo raccontare le cose come stanno. Vuol dire che la fisica del cambiamento climatico ci indica che eventi catastrofici sono possibili, e non li possiamo ignorare. E se non li possiamo ignorare, vuol dire che dobbiamo dire pubblicamente e con chiarezza che questi rischi esistono.

Questa, perlomeno, è la posizione di Hansen; che anche lui è uno scienziato, non uno specialista in comunicazione. Io tenderei a essere d'accordo con lui, ma c'è qualcuno che legge che è un professionista in queste cose e che ci può dare un'opinione informata? E, anche se non siete specialisti, che cosa ne dite?


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Ah.... sul "runaway greenhouse effect" potete dare un'occhiatina a questo link - vale la raccomandazione fatta all'inizio. Evitate di avere vicino a voi oggetti taglienti o contundenti.


http://csep10.phys.utk.edu/astr161/lect/venus/greenhouse.html

Oppure anche potete guardare questo video, alquanto agghiacciante, di Stephen Hawking

http://www.youtube.com/watch?v=weHr1aTC5-o&feature=related



martedì 9 novembre 2010

Insegnare la scienza del clima


Ugo Bardi impegnato in una lezione sulla scienza del clima. Sullo schermo, un diagramma che usa i simboli di Odum per descrivere la dinamica di interazione di un sistema a flusso, come il nostro pianeta illuminato dal sole. 

La generazione di chimici che è venuta prima della mia non ha trovato la meccanica quantistica fra le materie che si insegnavano all'università; perlomeno non nella facoltà di Chimica. Se la sono dovuta studiare a pezzi e a bocconi, un po' da soli e un po' inserita nei programmi di corsi che non la comprendevano ufficialmente. Qualcosa di simile lo vediamo oggi con la scienza del clima o, meglio detto, la scienza degli ecosistemi terrestri. Le novità scientifiche, anche se importanti, ci mettono un po' di tempo ad arrivare nei corsi universitari.

La scienza degli ecosistemi sta avendo oggi una vera e propria rivoluzione galileiana con la scoperta e la chiarificazione dei meccanismi dell'ecosfera. E' una rivoluzione altrettanto eccitante e affascinante quanto quella della meccanica quantistica negli anni '30; al tempo di Bohr e Einstein. Ma non la si insegna nei corsi di chimica. Chi vuole impararla deve farlo a pezzi e a bocconi; un po' da solo, e un po' di straforo in dei corsi che non la prevedono direttamente.

Bene, mi sono provato a colmare questa lacuna insegnando un po' di scienza del clima a un corso che sto tenendo questo semestre. E' un corso che verte principalmente sulle tecnologie per la sostenibilità, ma mi è parso ragionevole cominciarlo spiegando una delle ragioni principali per la quale dobbiamo lavorare per la sostenibilità, ovvero il cambiamento climatico.

La scienza del clima è cosa di incredibile complessità e personalmente non pretendo certo di poterla approfondire ai livelli di un vero esperto. Però, in due lezioni di un paio d'ore ciascuna si possono chiarire i concetti fisici di base e sgombrare il campo dalle infinite fesserie che si raccontano in giro. Se questi concetti li racconti a persone che hanno una discreta preparazione di base di fisica e termodinamica - studenti di chimica del corso di specialistica - vedi che il messaggio passa. Ho fatto qualche domanda di verifica è ho visto che le cose le hanno capite; e anche discretamente bene.

Questa breve esperienza di insegnamento sul clima è stata una boccata d'aria rispetto alle polemiche che si fanno di continuo su internet. Vedete, insegnare è una cosa che ha una tradizione che va indietro a Socrate e ancora prima, a quando gli anziani della tribù insegnavano ai giovani cacciatori come seguire le tracce dei bisonti. E' un rapporto fra insegnante e studente dove ognuno ha il suo ruolo specifico.

Attenzione; il fatto che tu sia l'insegnante non ti da il diritto di raccontare qualsiasi fesseria mentre il fatto che tu sia studente non vuol dire che ti devi sorbire supinamente quello che ti viene raccontato. Ma c'è questo rapporto di fiducia che fa si che chi insegna fa del suo meglio per insegnare e chi impara fa del suo meglio per imparare.

Se funziona questo rapporto fra insegnante e studente, l'insegnamento funziona e il tutto è proficuo e piacevole sia per chi insegna che per chi apprende. Se si rompe, però, è un disastro. Nessuno può imparare nulla se a ogni affermazione di chi insegna questo viene accusato di imbrogliare per incompetenza o tornaconto personale.  C'è chi racconta balle per soldi, certamente, ma questi sono politici; non insegnanti. Non si può imparare nulla nel dibattito che si svolge oggi, caratterizzato dalla totale sfiducia verso chi è ingrado di insegnare.

Quindi, credo che il rapporto insegnante-studente sia un po' il paradigma del processo di apprendimento e che - forse - dovremmo tener conto di questa unità basilare della comunicazione. Ovvero, è bene parlarsi faccia a faccia; guardandosi negli occhi. Dalla mia esperienza, sembra che funzioni. Forse dovremmo farlo più spesso.



domenica 7 novembre 2010

Il picco dei leader



Elettore: Bene, ho deciso che il cambiamento climatico non è una cosa reale, e io ho l'ultima parola.

Il clima reale: la penultima


Sotto tutti gli aspetti, Barack Obama ha delle qualità di leadership rare fra i capi di stato di oggi. Idee, intelligenza, delle cose da dire e quella "presenza" o "carisma" che è fondamentale per un leader. Per non parlare, poi, della grande novità di rappresentare i neri americani per la prima volta alla presidenza degli Stati Uniti.

Eppure, questa qualità di leader non è venuta fuori e, oggi, Obama si trova di fronte a tutti i problemi ormai tipici dei presidenti Americani a metà termine. Non ha fatto meglio, nelle stesse condizioni, del suo predecessore George Bush Jr.; che di qualità di leader aveva assai di meno. Ma Obama, con tutte le speranze che aveva suscitato, come mai si ritrova in queste condizioni? E' non è solo un problema americano. I tutti i paesi del mondo, o quasi, la gente si lamenta della mancanza di leader. E' probabile che sia il risultato del sistema propagandistico che è stato messo in atto negli ultimi decenni distrugge ogni tentativo di leadership che possa venir fuori. Abbiamo passato, apparentemente, il picco dei leader.


Se esaminiamo il caso Obama, vediamo che il presidente si trovava davanti a scelte difficilissime. Gli Stati Uniti sono in una crisi economica ormai quasi terminale, schiacciati da spese militari spaventose e dal problema planetario della scarsità di materie prime. Obama poteva scegliere di raccontare alla gente le cose come stanno, ma avrebbe fatto la fine di Jimmy Carter - che lo ha fatto ai suoi tempi. Non lo possiamo biasimare per questa scelta; ma è una scelta di sopravvivenza, non da leader. Un vero leader è uno che può anche chiedere alla gente di fare dei sacrifici. Uno che campa solo finchè promette regali non è un leader; è Babbo Natale.

Uno dei problemi è che la gente è ormai quasi completamente sedata dai media e disabituata a sentirsi raccontare cose anche vagamente spiacevoli nel senso che implicano una sia pur minima necessità di fare dei sacrifici. George Bush Jr. ha avuto grande successo raccontando alla gente che "lo stile di vità degli americani non è contrattabile". Era un'ovvia bugia. Ma la gente preferisce sempre una bugia rassicurante a una verità scomoda. Sembra che ormai il mestiere del politico non sia più altro che raccontare alla gente delle balle rassicuranti. Funziona, ma non è il mestiere del leader.

Così, Obama ha scelto di concentrarsi sulla riforma dell'assistenza sanitaria, probabilmente ispirandosi al "New Deal" di Roosevelt e sperando di innescare una reazione positiva nell'opinione pubblica che gli avrebbe permesso di prendere altre decisioni, necessarie ma impopolari, come la riduzione delle emissioni. Gli è andata male, ma come mai esattamente gli Americani hanno preso una misura così ovviamente necessaria e salutare come un sistema sanitario nazionale come un insulto e un tentativo di instaurare una dittatura comunista?

Il problema è che al tempo del New Deal di Roosevelt non c'era il sistema propagandistico sofisticato e collaudato che invece esiste oggi. Non c'era quella cosa che oggi chiamiamo "propaganda virale" oppure "tecniche di spin" il cui punto centrale è di nascondere l'origine della propaganda stessa; mascherandola come "movimenti spontanei" (è una tecnica detta anche "astroturfing") Con queste tecniche e con pochi soldi rispetto al loro budget, le grandi lobby industriali sono in grado di scatenare delle campagne virali di efficacia devastante - delle vere e proprie armi di distruzione di massa del pensiero umano.

Jim Hoggan racconta come i "tea parties" americani siano un'emanazione della lobby del petrolio e del carbone, e, in particolare dei soldi dei fratelli Koch, petrolieri americani. E' impressionante come con relativamente pochi soldi siano riusciti a creare un movimento politico importante; fatto in grandissima maggioranza di persone che ci credono veramente di lottare per difendere l'america dal socialsmo e che non si rendono conto di essere state manipolate - ma è questo il fulcro di queste tecniche.

Il successo dei fratelli Koch nel maneggiare la propaganda non si limita ai Tea Party. Sono loro che hanno finanziato la maggioranza delle azioni di propaganda anti-scienza che hanno ridotto enormemente il consenso degli americani sulla necessità di agire contro il cambiamento climatico. Oggi, con le elezioni mid-term sono riusciti a mandare in Senato una pattuglia di agguerriti senatori anti-scienza che negano esplicitamente il ruolo umano sul cambiamento climatico e promettono la caccia alle streghe contro i climatologi.

A questo punto, a Obama non resta che vivacchiare sperando che alle elezioni per il secondo mandato le dinamiche perverse del partito repubblicano gli mandino contro un candidato veramente impresentabile, tipo Sarah Palin ("drill, baby, drill"). Diciamo che gli potrebbe andar bene; ma questa è sopravvivenza politica, non leadership. Nel frattempo, i problemi globali si aggravano - quello climatico per primo - e non c'è nessuno che abbia il prestigio sufficiente per fare qualcosa di serio in proposito.

Sembra che siamo veramente troppo bravi a inventare cose. Questa della propaganda virale è veramente una grande invenzione; un vero trionfo della scienza della comunicazione del ventesimo secolo. La sofisticata propaganda di nuova generazione ha sostituito la vecchia, rozza propaganda del tempo dei regimi fascisti e nazisti. Di fronte alle nuove tecniche di "spin" che nascondono la loro origine, la gente è completamente spaesata, non si rende nemmeno conto di essere manipolata. Questo succede sia in politica come in campo scientifico; dove tantissimi assatanati oppositori della scienza del clima lo sono in buona fede.

La propaganda virale è un arma talmente potente che, come la bomba atomica di una volta, ci ha messi in una condizione di stallo totale: ogni leader che si presenta con qualche nuova idea viene automaticamente distrutto e ridicolizzato con poca fatica. Chi è al potere si può difendere soltanto utilizzando a sua volta le stesse tecniche, come fa il nostro Silvio Berlusconi con un certo successo. Ma non è leadership nemmeno questa. Berlusconi sta a galla finché racconta balle rassicuranti, ma nemmeno lui sarebbe in grado di sopravvivere politicamente se raccontasse alla gente come stanno veramente le cose.

C'è qualche speranza di uscire dallo stallo? A breve scadenza, forse no - ma con un po' di pazienza ci sono delle speranze. La propaganda virale ha un punto debole: funziona solo finché i manipolati non si rendono conto di essere manipolati. E il fatto che ci stanno manipolando sta piano piano emergendo. In California, per esempio, gli elettori hanno sonoramente sconfitto la "proposizione 23" contro le energie rinnovabili. Era troppo ovvio che era un'operazione finanziata dell'industria petrolifera (fra gli altri, i soliti fratelli Koch) ed è proprio questo argomento che è venuto fuori e che ha sconfitto i petrolieri. Questa è una grossa novità nel panorama mediatico/politico. Allora, vedete, c'è speranza che le azioni di "spin" politiche comincino a ritorcersi contro chi le fa. Riusciremo a ritrovare anche dei veri leader? Perché no?

mercoledì 3 novembre 2010

Astrofili e climofobi: un altro autogoal degli scienziati




Non è rimasto molto dei telescopi che costruivo da ragazzo. Questi che vedete sono un paio di pezzi superstiti: un obbiettivo da rifrattore e un puntatore ausiliario (notate le viti di regolazione). Il tutto fatto con cartone e nastro adesivo e costruito quando avevo, penso, circa 12 anni. Non era un'attrezzatura di prima qualità, però mi ricordo ancora la soddisfazione che mi dava fare questi aggeggi. Purtroppo, nel campo della scienza del clima non ci sono - in pratica - equivalenti degli "astrofili", dilettanti appassionati di astronomia come lo ero io. Ci sono, semmai, dei "climofobi", ovvero persone che si occupano di clima in contrasto e in contrapposizione alla scienza ufficiale. Ce ne sono molti esempi, uno è il sito "new ice age" (NIA).


Non credo che sarei quello che sono oggi se non fosse stato per il "cannocchiale Max" che mio zio mi regalò quando avevo, penso, 8 anni. Era un aggeggio in plasticaccia nera zigrinata con un treppiede che lo teneva su a stento; ne facevano la pubblicità su "Topolino" negli anni 1950. Ma era sufficiente per vedere gli anelli di Saturno. E vedere gli anelli di Saturno con il tuo telescopio quando hai 8 anni è un'esperienza che ti segna per la vita.

Credo che molta gente abbia cominciato così una carriera scientifica. Con l'università, mi sono dedicato ad altri soggetti di ricerca, ma mi ricordo ancora le serate passate a guardare le stelle dalla mia terrazza con i telescopi che mi ero costruito. I miei coetanei dell'epoca, invece, si dedicavano piuttosto alle ragazze. Vabbé, non ho mai detto che non sono stato un nerd

C'è chi usa l'astronomia come una rampa di lancio per una carriera scientifica e chi rimane per tutta la vita un appassionato. Sono quelli che chiamiamo "astrofili." Alcuni si costruiscono da se i loro telescopi, altri usano telescopi professionali. C'è chi si impegna in un lavoro molto serio che va in parallelo a quello degli astronomi in campi dove i professionisti non hanno tempo o risorse per impegnarsi, come la ricerca di comete e asteroidi. E' un rapporto di aiuto e rispetto reciproco.

Ci sono molti altri appassionati che lavorano in campi scientifici senza essere scienziati professionisti; da quelli che collezionano farfalle a quelli che studiano gli insetti o le piante grasse. Ce ne sono anche nel campo della meteorologia che hanno piccole stazioni di misura casalinghe, si occupano di nuvole e c'è anche chi da la caccia alle trombe d'aria.

Ma, se passiamo alla scienza del clima: ahimé, la situazione è completamente diversa. Non esistono "climofili" e il rapporto degli scienziati del clima con quelli che si interessano di clima senza essere scienziati è pessimo, per non dire di peggio. Invece di "climofili", qui abbiamo decisamente dei "climofobi".

A parte i siti-civetta di pseudo-climatologi pagati per imbrogliare, ci sono siti internet di persone che sono appassionate di clima ma che, purtroppo, l'hanno capita al contrario e invece di collaborare con i climatologi si sono messi in conflitto con loro. Il sito di "New Ice Age" è un po' l'immagine di tutte queste contraddizioni. E' un sito che si occupa di macchie solari e della relazione dell'attività solare con il clima terrestre. Non si sa chi siano esattamente i frequentatori del sito, di solito appaiono con dei nick; ma danno l'impressione di essere persone giovani e entusiaste. Sembra anche che abbiano messo insieme una notevole competenza sul sole e sulle macchie solari, facendo anche delle loro osservazioni.

Ora, se questi del NIA volessero collaborare con i climatologi sulla questione delle macchie solari, credo che potrebbero svolgere un ruolo utile. In pratica, si sono messi in una posizione di contrapposizione e di rifiuto. Mi pare di capire da quello che leggo che sono convinti che il sole sta andando verso un nuovo "minimo di Dalton" e che questo dovrebbe causare una nuova era glaciale ("new ice age"). Magari ci sono delle buone ragioni per prendere questa posizione, personalmente non sono abbastanza esperto di macchie solari per poter giudicare. Il problema è la posizione aggressiva del gruppo di NIA che si sono convinti che c'è un complotto per nascondere il vero andamento delle macchie solari, e che vanno a pubblicare dei post dove si rinnegano (o si capiscono al contrario) i principi elementari della fisica.

Questo è veramente un peccato perché, da quello che si può leggere, sembrerebbe che questi ragazzi (o magari hanno 60 anni?) potrebbero fare del lavoro utile se la smettessero col complottismo e si facessero un po' di basi di fisica del clima che vada oltre la focalizzazione sul sole soltanto.

D'altra parte, non credo che sia il caso di dare tutta la colpa a loro; al contrario. Se dei ragazzi (oppure 80enni che scrivono dall'ospizio?) si sono trovati a credere veramente che ci sia un complotto degli scienziati per far credere che ci sono più macchie solari di quante non ce ne siano veramente (o il contrario, non sono sicuro di aver capito), beh, c'è qualcosa di profondamente sbagliato in tutta la vicenda.

Che cosa abbiamo sbagliato? Da una parte ci sono dei problemi oggettivi: la questione del clima va a impattare su tutte le certezze che avevamo fino ad oggi e molta gente non riesce proprio a digerirla. Ma, evidentemente, è vero anche che gli scienziati hanno fatto degli enormi errori di comunicazione - e continuano a farne. Uno dei tanti, è stato quello di non coinvolgere minimamente persone che non sono scienziati. Molto spesso, l'atteggiamento degli scienziati è stato: "noi siamo i professionisti: questi sono i dati e questa l'interpretazione. La scienza è roba nostra, a voi spetta solo fare le manifestazioni e andare in giro con i cartelli". In altre parole, non è stato dato nessuno spazio a chi poteva lavorare sul clima in modo amatoriale ma corretto.

Qualche volta, ho provato a proporre ai professionisti che si facesse qualche cosa di pratico per studiare il clima e l'effetto serra; dei kit per le scuole, degli strumenti accessibili al pubblico; qualcosa del genere. Il meglio che ho ottenuto è stato qualche vaga espressione che "si, forse ci si potrebbe anche pensare". Più spesso, un netto rifiuto: "è una perdita di tempo e comunque non si può fare." Alle volte, mi hanno anche preso in giro, "Si, e allora che facciamo? Mandiamo i pensionati a fare i carotaggi in Antartide?"

Bene. Così stiamo e i risultati si vedono. La conflittualità ha raggiunto livelli ormai preoccupanti. Siamo ancora in grado di rimediare e di ricucire la frattura fra climatologi e climofobi? Sembrerebbe difficile, ma forse ci si potrebbe provare.

Io credo che non sia impossibile: dopotutto basta una macchina fotografica per documentare i cambiamenti climatici locali. Questo si può fare, come dimostra questo post su Climalteranti, dove l'associazione Macromicro ha fatto un interessantissimo lavoro di documentazione sul progressivo ritiro dei ghiacciai. Sul loro esempio, mi riprometto di documentare i cambiamenti climatici nella mia zona; è una cosa che possono fare tutti con un minimo di lavoro.

Allora, perché non incoraggiare di più questo tipo di cose? In fondo, credo che potremmo imparare qualche cosa da "new ice age." NON la termodinamica, per carità, ma l'entusiasmo e l'indipendenza di pensiero, quello si.

venerdì 29 ottobre 2010

Non c'è più la buona, vecchia propaganda di una volta.....


Con la vecchia propaganda, perlomeno sapevi benissimo chi ti stava imbrogliando e perché. Oggi, con l'informazione liberalizzata, la propaganda si è fatta molto più sottile: non sai più chi ti sta imbrogliando, e neppure perché (anche se lo puoi sospettare).

Il sistema informativo monopolizzato  dai governi totalitari ha parecchi difetti. Fra questi il fatto che chi riceve l'informazione sa benissimo che questa è filtrata e falsificata a seconda delle esigenze di chi la produce. In altre parole, si sa benissimo che è propaganda: non la si può mascherare come qualche altra cosa.

Nonostante tutto, la propaganda totalitaria classica ha una certa efficacia. Questo ha a che vedere col fatto che molti di noi preferiscono di gran lunga una bugia rassicurante a una verità scomoda. Tuttavia, non tutti ci cascano e con gli anni il pubblico si abitua a fare una robusta tara alle fesserie che si sente raccontare dal proprio governo. Infatti, i metodi propagandistici dei regimi totalitari del passato sono stati generalmente abbandonati, a parte certi posti molto disgraziati come la Corea del Nord con il suo leader supremo Kim Jong-Il. La stessa parola "propaganda" ha preso un significato negativo.

Ma la propaganda non è scomparsa; anzi, ha acquistato nuova vita in un regime mediatico pluralistico. Oggi, la propaganda può usare tecniche immensamente più sofisticate di quelle rozze e banali del tempo del Duce o di Stalin. In particolare, un metodo che si rivela estremamente efficace è quello di nascondere l'origine del messaggio; spacciando per opinioni "spontanee" quelle che sono invece messaggi che hanno dietro la difesa degli interessi di organizzazioni private o governative. Questi metodi prendono il nome di "disinformazione" o "astroturfing". Quest'ultimo termine si riferisce a un erba artificiale per i campi sportivi: sembra erba vera, ma non lo è.

Negli ultimi tempi, sembra che queste tecniche abbiano raggiunto un grado di sofisticazione e di diffusione impressionante. Un buon esempio sta nella campagna anti-rinnovabili degli ultimi tempi. Un recente volantino anti-eolico è un esempio addirittura plateale di astroturfing. Ma rimane sempre molto difficile avere prove precise. Per esempio, la mia proposta che il recente (e disgustoso) film "No Pressure" sia una forma di disinformazione diretta contro il movimento ambientalista ha suscitato alcune reazioni negative anche piuttosto aggressive. Questo mi fa sospettare di essere nel giusto, ma devo ammettere di non avere prove (ma non ha nemmeno prove chi sostiene il contrario di quello che sostengo io)

Ci sono, tuttavia, diversi casi nella storia dove l'azione di disinformazione e/o astroturfing è stata provata. Uno è quello dell'azione propagandistica dell'industria del tabacco negli Stati Uniti, che ha usato estesamente queste tecniche per screditare gli scienziati che trovavano effetti dannosi del fumo sulla salute. Nell'articolo che vi incollo, in fondo, George Monbiot ci porta evidenza che il movimento di estrema destra "Tea Party" negli Stati Uniti è stato creato e finanziato dai fratelli Koch delle Koch industries. Ovvero, è stato creato dalla lobby petrolifera con lo scopo di combattere la legislazione che mira a mettere dei limiti alle emissioni e ai danni fatti all'ambiente.

Monbiot non menziona in questo testo il ruolo che hanno avuto (e hanno) i fratelli Koch nella campagna di disinformazione lanciata di recente contro la scienza del clima, ma su questo punto si può leggere la storia raccontata da Jim Hoggan e Richard Littlemore.

Questo tipo di campagne di disinformazione hanno un'efficacia veramente devastante, soprattutto per il loro carattere virale. Iniziano con un gruppo di professionisti ben pagati. Ma poi c'è gente che ci crede veramente e diffonde il messaggio generando un fenomeno a cascata che alla fine prende dimensioni incontrollabili. E' il caso dei "Tea Parties" Americano, ma anche il caso di persone che hanno creduto in buona fede al messaggio anti-scientifico della lobby del petrolio e del carbone diffuso contro la scienza del clima.  

In sostanza, come dice Monbiot  "Nothing is real any more. Nothing is as it seems." Non c'è più niente di reale, nulla è quello che sembra. Lo spazio mediatico è diventato un labirinto di specchi: vedi immagini di questa o quest'altra cosa, ma non sai esattamente se l'immagine che vedi è reale o è una falsa riflessione di qualcosa di completamente diverso. Come si vede in questa suggestiva immagine dal New York Times.




Vi lascio ora all'articolo di George Monbiot; preziosissimo anche per i riferimenti bibliografici che fornisce. In ogni caso, ricordatevi che - là fuori - non sapete chi vi sta imbrogliando e neppure perché; ma perlomeno potete sospettarlo.

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http://www.monbiot.com/archives/2010/10/25/toxic-brew/


Toxic Brew
The Tea Parties didn’t arise spontaneously: they were boiled up by big business
by George Monbiot, published in The Guardian, 26 October 2010
The Tea Party movement is remarkable in two respects. It is one of the biggest exercises in false consciousness the world has ever seen. And it is the biggest "astroturf operation" in history. These accomplishments are closely related.
An astroturf campaign is a fake grassroots movement: it purports to be a spontaneous uprising of concerned citizens, but in reality it is founded and funded by elite interests. Some astroturf campaigns have no grassroots component at all(1). Others catalyse and direct real mobilisations. The Tea Party movement belongs in the second category. It is mostly composed of passionate, well-meaning people who think they are fighting elite power, and who are unaware that they’ve been organised by the very interests they believe they are confronting. We now have powerful evidence that the movement was established and has been guided with the help of money from billionaires and big business. Much of this money, as well as much of the strategy and staffing, were provided by two brothers who run what they call “the biggest company you’ve never heard of.”(2)
Charles and David Koch own 84% of Koch Industries, which is the second-largest private company in the United States. It runs oil refineries, coal suppliers, chemical plants and logging firms. It turns over roughly $100bn a year, and the brothers are each worth $21bn(3). The company has had to pay tens of millions of dollars in fines and settlements for oil and chemical spills and other industrial accidents(4,5). The Kochs want to pay less tax, keep more profits and be restrained by less regulation. Their challenge has been to persuade the people harmed by this agenda that it’s good for them.
In July 2010, David Koch told New Yorker magazine, “I’ve never been to a Tea Party event. No one representing the Tea Party has ever even approached me.”(6) But a new fascinating film, "(Astro)Turf Wars," by Taki Oldham, tells a fuller story(7). Oldham infiltrated some of the movement’s key organising events, including the 2009 Defending the Dream summit, convened by a group called Americans for Prosperity. The film shows David Koch addressing the summit. “Five years ago,” he explains, “my brother Charles and I provided the funds to start Americans for Prosperity. It’s beyond my wildest dreams how AFP has grown into this enormous organisation.”
A convenor tells the crowd how AFP mobilised opposition to Barack Obama’s healthcare reforms. “We hit the button and we started doing the Twittering and Facebook and the phonecalls and the emails, and you turned up!” Then a series of AFP organisers tell Mr Koch how they have set up dozens of Tea Party events in their home states. He nods and beams from the podium like a chief executive receiving rosy reports from his regional sales directors. Afterwards, the delegates crowd into AFP workshops, where they are told how to run further Tea Party events(8).
Americans for Prosperity is one of several groups set up by the Kochs to promote their politics. We know their foundations have given it at least $5m(9), but few such records are in the public domain, and the total could be much higher. It has toured the country organising rallies against healthcare reform and the Democrats’ attempts to tackle climate change. It provided the key organising tools which set the Tea Party movement running. The movement began when the CNBC reporter Rick Santelli called from the floor of the Chicago Mercantile Exchange for a bankers’ revolt against the undeserving poor(10). (He proposed that the traders should hold a tea party to dump derivative securities in Lake Michigan to prevent Obama’s plan to “subsidise the losers”: by which he meant people whose mortgages had fallen into arrears.) On the same day, Americans for Prosperity set up a Tea Party Facebook page and started organising Tea Party events(11).
Oldham’s film shows how AFP crafted the movement’s messages and drafted its talking points. The New Yorker magazine, in the course of a remarkable exposure of the Koch brothers’ funding networks, interviewed some of their former consultants(12). “The Koch brothers gave the money that founded [the Tea Party],” one of them explained. “It’s like they put the seeds in the ground. Then the rainstorm comes, and the frogs come out of the mud -- and they’re our candidates!” Another observed that the Kochs are smart. “This right-wing, redneck stuff works for them. They see this as a way to get things done without getting dirty themselves.”
The AFP is one of several groups established by the Koch brothers. They set up the Cato Institute, which was the first free market thinktank in the US. They also founded the Mercatus Center at George Mason University, which now fills the role once played by the economics department at Chicago University: as the originator of extreme neoliberal ideas(13,14). Fourteen of the 23 regulations that George W. Bush put on his hitlist were, according to the Wall Street Journal, first suggested by academics working at the Mercatus Center(15).
The Kochs have lavished money on more than 30 other advocacy groups, including the Heritage Foundation, the Manhattan Institute, the George C. Marshall Institute, the Reason Foundation and the American Enterprise Institute(16). These bodies have been instrumental in turning politicians away from environmental laws, social spending, taxing the rich and distributing wealth. They have shaped the widespread demand for small government. The Kochs ensure that their money works for them. “If we’re going to give a lot of money,” David Koch explained to a libertarian journalist, “we’ll make darn sure they spend it in a way that goes along with our intent. And if they make a wrong turn and start doing things we don’t agree with, we withdraw funding.”(17)
Most of these bodies call themselves “free market thinktanks,” but their trick, as "(Astro)Turf Wars" points out, is to conflate crony capitalism with free enterprise, and free enterprise with personal liberty. Between them they have constructed the philosophy which informs the Tea Party movement: its members mobilise for freedom, unaware that the freedom they demand is freedom for corporations to trample them into the dirt. The thinktanks the Kochs have funded devise the game and the rules by which it is played; Americans for Prosperity coaches and motivates the team.
Astroturfing is now taking off in the United Kingdom. Earlier this month, Spinwatch showed how a fake grassroots group set up by health insurers helped shape the Tories’ NHS reforms(18). Billionaires and corporations are capturing the political process everywhere; anyone with an interest in democracy should be thinking about how to resist them. Nothing is real any more. Nothing is as it seems.
References:
1. See, for example, the exposure of astroturfing in Chapter 2 of my book "Heat: how to stop the planet burning," 2006.
2. http://www.portfolio.com/executives/features/2008/10/15/Profile-of-Billionaire-David-Koch/index3.html
3. http://www.guardian.co.uk/world/2010/oct/13/tea-party-billionaire-koch-brothers
4. http://www.greenpeace.org/usa/Global/usa/report/2010/3/koch-industries-secretly-fund.pdf
5. http://www.newyorker.com/reporting/2010/08/30/100830fa_fact_mayer?currentPage=all
6. http://nymag.com/news/features/67285/
7. http://astroturfwars.org/
8. http://astroturfwars.org/
9. Greenpeace’s report on funding by the Koch brothers and their foundations shows that they spent $5m on AFP’s Hot Air tour alone. http://www.greenpeace.org/usa/Global/usa/report/2010/3/koch-industries-secretly-fund.pdf
10. http://www.cnbc.com/id/29283701/Rick_Santelli_s_Shout_Heard_Round_the_World
11. http://astroturfwars.org/
12. http://www.newyorker.com/reporting/2010/08/30/100830fa_fact_mayer?currentPage=all
13. http://www.newyorker.com/reporting/2010/08/30/100830fa_fact_mayer?currentPage=all
14. http://www.greenpeace.org/usa/Global/usa/report/2010/3/koch-industries-secretly-fund.pdf
15. http://mercatus.org/media_clipping/rule-breaker-washington-tiny-think-tank-wields-big-stick-regulation
16. http://www.greenpeace.org/usa/Global/usa/report/2010/3/koch-industries-secretly-fund.pdf
17. Interview with Brian Doherty, reported by The New Yorker. http://www.newyorker.com/reporting/2010/08/30/100830fa_fact_mayer?currentPage=all
18. http://www.spinwatch.org.uk/blogs-mainmenu-29/tamasin-cave-mainmenu-107/5391-private-health-lobby-out-in-force-at-tory-conference

martedì 26 ottobre 2010

Le cassandre di Barcellona: Joseph Tainter e il collasso della società


Nel post precedente, ho accennato a come la presentazione di Joseph Tainter al convegno "AES2010" di Barcellona abbia generato una certa angoscia nel pubblico. In questo post cerco di spiegare perché Tainter è così pessimista, a mio parere con molte buone ragioni. Per una esposizione completa e dettagliata delle idee di Tainter, potete guardarvi questo suo post su "The Oil Drum".


E' interessante notare come si sia evoluta la visione degli storici riguardo al collasso delle società del passato. Per gli storici romani, che lo vivevano, il collasso era completamente invisibile. Anche molti secoli dopo, storici moderni come Edward Gibbon, erano incapaci di vedere il crollo dell'Impero Romano come qualcosa di più complesso che il semplice risultato dell'invasione militare dei barbari. Soltanto oggi, con il collasso della nostra stessa società imminente, o già in corso, riusciamo a vedere il parallelismo fra i nostri antenati del tardo impero romano e la nostra situazione. Lo storico moderno che ha analizzato in dettaglio questa analogia è Joseph Tainter e i risultati non sono forieri di ottimismo.

Tainter parte dal concetto di "complessità." Pur senza definirlo in modo esatto, lo intende come la somma di tutte quelle strutture economiche, sociali, burocratiche e militari che fanno parte di quella cosa che chiamiamo "civiltà". Il concetto di fondo che Tainter propone è che la civiltà reagisce a ogni crisi aumentando la propria complessità. Ovvero, crea delle strutture burocratiche, militari, o quant'altro, destinate a risolvere la crisi.

Ovviamente la complessità ha un costo. Più strutture complesse si creano, più si mette sotto stress l'economia della società che deve supportare queste strutture. Il punto cruciale della faccenda, secondo Tainter, è la contraddizione che si crea quando il problema da risolvere è la scarsità di risorse. La società cerca di risolvere il problema della scarsità creando strutture che lo aggravano. A lungo andare, è questa contraddizione che genera il collasso - un destino comune a tutte le società che conosciamo nella storia umana.

Pensiamo all'Impero Romano, il punto di partenza dell'analisi di Tainter. Nel terzo secolo a.d. l'Impero aveva un grosso problema: insufficienti risorse per mantenere sotto controllo tutto il territorio. La soluzione pensata da Diocleziano fu di aumentare le tasse e con quelle pagare più legioni. In pratica, Diocleziano raddoppiò le dimensioni dell'esercito e allo stesso tempo creò una pesante burocrazia per strizzare quanti più soldi possibile dai cittadini romani. Questa complessa struttura riuscì a risolvere il problema - per un po' - tenendo fuori i barbari dai confini dell'Impero. Ma, a lungo andare, ebbe l'effetto di strangolare l'economia dell'Impero di Occidente che finì per scomparire completamente un paio di secoli dopo.

Se ci pensiamo sopra, vediamo che la nostra società sta facendo qualcosa di simile. Non abbiamo un problema militare, abbiamo un problema di risorse (intese anche come la capacità dell'atmosfera di assorbire i prodotti della combustione dei fossili senza surriscaldarsi). La risposta che diamo al problema è di creare strutture sempre più complesse. Pensiamo a come il problema energetico veda come soluzioni proposte, per esempio, quella di strutture enormemente complesse come le centrali nucleari. Il problema climatico vede come soluzione proposta la creazione di una complessa burocrazia di "crediti di carbonio" e - anche quello - le centrali nucleari. Ci sono molti altri esempi che mostrano come, di fronte al problema di scarsità di risorse la società risponda con un aumento della propria complessità; ovvero creando strutture che lo dovrebbero risolvere ma che, in pratica, sono costose e lo aggravano.

L'interessante della faccenda è che per supportare queste nuove strutture la società fa del suo meglio per diventare più "efficiente". Per esempio, in Italia abbiamo deciso che una struttura come l'educazione superiore, ovvero le università, deve essere resa più efficiente. In pratica la stiamo smantellando, ma probabilmente ne rimarrà in piedi una versione molto snella e efficiente (talmente snella e efficiente da rischiare di fare la fine dell'asino il cui padrone gli insegnava a non mangiare). Ora, si può discutere sull'opportunità o meno di mandare i baroni universitari a lavorare nei campi, come si faceva al tempo della rivoluzione culturale in Cina. Ma, indipendentemente da questo, il punto da considerare è che le risorse risparmiate smantellando l'università non vengono veramente "risparmiate". No, sono semplicemente spostate in aree che il governo (o, più esattamente, le lobby economiche che lo controllano) giudica più interessanti: centrali nucleari, la tratta ad alta velocità, il ponte sullo stretto, eccetera. In pratica, la società continua a consumare risorse al massimo ritmo possibile.

Quindi, la visione di Tainter si può considerare come una versione "forte" del principio di Jevons (impropriamente detto "paradosso"). Ovvero, un incremento di efficienza non porta a una riduzione dei consumi di risorse. Questo effetto è profondamente legato al modo in cui l'economia e la società funzionano, e lo si vede anche da un'analisi della situazione fatta con la "dinamica dei sistemi." Era già il risultato ottenuto quasi 40 anni fa con lo studio noto come "I limiti dello sviluppo." La società si comporta come un sistema complesso stabilizzato da una serie di "feedback" negativi che si oppongono a qualsiasi cambiamento. E' questo sistema di feedback che genera strutture sempre più complesse. Ma, notate, che non c'è nessun meccanismo nella società per favorire il cambiamento; ce ne sono soltanto per impedirlo (il che vuol dire, al massimo, ritardarlo).


Dove l'analisi di Tainter arriva a risultati veramente agghiaccianti e sulla questione del cambiamento climatico. Per il problema energetico, in fondo, si può pensare a soluzioni individuali: uno si può fare la casa ecologica, mettere pannelli fotovoltaici sul tetto, andare a lavorare in bicicletta, eccetera. Chi si organizza in questo modo avrà dei vantaggi sugli altri via via che il problema della scarsità di risorse si farà più grave. Ma il principo di Jevons ci dice che il problema climatico non si risolve in questo modo. Singoli o gruppi che si impegnano a consumare meno risorse ottengono il solo risultato di mettere a disposizione queste risorse a chi si impegna a consumarne di più. In altre parole, se io vado a lavorare in bicicletta metto a disposizione la benzina che non consumo a qualcuno che invece a lavorare ci va con la SUV. Quindi, le emissioni di gas serra continuano al massimo ritmo possibile. Il problema con il principio di Jevons è che non ti lascia scampo.

Evidentemente, pur con tutte le nostre super-tecnologie, alla fine dei conti non stiamo facendo meglio degli antichi Romani. Al tempo della crisi, il compito per i Romani era di cambiare la loro risorsa di base: passare da un'economia basata sulle conquiste militari a una basata sull'agricoltura. Non ci sono riusciti; anzi, hanno distrutto la loro agricoltura a furia di tasse eccessive e sovrasfruttamento del suolo. Il nostro compito è simile: si tratta di sostituire la nostra base economica. Dobbiamo passare da un'economia basata sui combustibili fossili, a una basata su risorse rinnovabili. Da come stanno andando le cose, è chiaro che non ci stiamo riuscendo - anzi, sembra che la crescita delle rinnovabili degli ultimi anni stia generando un fortissimo movimento di opposizione. E' il risultato dei sistemi di autoconservazione della società complessa.

Quindi, il collasso è inevitabile? Sembrerebbe proprio che lo sia, o perlomeno questa è l'impressione che ti resta dopo avere ascoltato Joseph Tainter analizzare la situazione. D'altra parte, è anche vero che la società si trasforma comunque, indipendentemente dagli sforzi che facciamo per mantenerla sempre uguale a se stessa. Il collasso non è niente altro che una transizione rapida e incontrollata verso una situazione che si sarebbe potuto raggiungere anche in modo graduale e controllato. I Romani non ci sono riusciti. C'è riuscito il collasso che li ha trascinati, volenti o nolenti, nel Medio Evo. Il Medio Evo, in un certo senso, era una soluzione ai problemi che l'impero cercò di risolvere senza riuscirci. Con il Medio Evo sparì la pesante burocrazia imperiale, si poterono ridurre le spese militari e la terra potè riposare per qualche secolo e recuperare la fertilità perduta.  Se a fare queste cose non c'era riuscito l'impero, c'è riuscita la realtà; anche se il processo non è stato piacevole per tutti.

Così, nel nostro caso, i problemi che fronteggiamo saranno comunque risolti a dispetto di tutti i nostri sforzi per negarne l'esistenza o di proporre soluzioni che li peggiorano. Un collasso è comunque una soluzione molto spiacevole e che dovremmo cercare di evitare. In effetti, dall'analisi di Tainter emerge un'interessante conseguenza; ovvero che dovremmo utilizzare le risorse che rimangono per costruire strutture che riducano l'impatto del collasso. Per esempio, usare risorse fossili per costruire impianti di energia rinnovabile vuol dire negare queste risorse a chi vorrebbe invece sprecarle per scopi inutili, tipo bruciarle nel motore dei SUV. Ogni impianto costruito oggi è un piccolo cuscino per ridurre l'impatto del collasso imminente - non dobbiamo darci per vinti!

Tuttavia, è possibile che una nuova società basata su risorse rinnovabili non riuscirà veramente ad emergere se non dopo il collasso di quella vecchia, basata sui fossili. E' un peccato che non si riesca a gestire il cambiamento in modo consapevole e graduale, ma - in ogni caso - la realtà la vince sempre sulla fantasia e questa è l'unica cosa sulla quale possiamo essere sicuri.

Quindi, allacciamo le cinture di sicurezza, ragazzi: la realtà ci sta facendo fare un bel giro di ottovolante. Non è detto che tutto sarà piacevole, ma molte cose saranno estremamente interessanti; alcune anche troppo. Buon viaggio a tutti!

domenica 24 ottobre 2010

Le cassandre di Barcellona


Joseph Tainter parla al convegno "Advanced Energy Studies" di Barcellona. E' uno storico che ha un particolare interesse nello studio del collasso delle civilizzazioni, di cui ha parlato nel suo libro "The Collapse of Complex Societies" del 1990. Tainter parla con una voce profonda e un'estrema chiarezza - non ti lascia scampo. Quando hai cominciato a sentire le prime due frasi, sei catturato per tutta la presentazione; anche se il contenuto può non piacerti. In effetti, in questa occasione, dalla platea si sono levate alcune voci un po' angosciate, dicendo "un po' più di ottimismo, per favore!" Ma, purtroppo, il mondo va per la sua strada, indipendentemente dal fatto che uno sia ottimista o pessimista.


Normalmente, i convegni internazionali sulla sostenibilità soffrono di una contraddizione di fondo: centinaia di persone arrivano tutte in aereo per discutere su come risparmiare energia - non è proprio il massimo della coerenza. Quando mi invitano a una di queste conferenze, dico quasi sempre di no, ma ho fatto un'eccezione per questo convegno di Barcellona "Advances in Energy Studies (AES-2010)" perché è una cosa particolarmente interessante (qui trovate il link alla pagina del convegno).

Il convegno era destinato a studiare il "metabolismo della società" continuando l'approccio del maestro che è stato Howard Odum. E, invero, non capita spesso di vedere tutti insieme dei veri maestri della sostenibilità in tanti campi, come Charles Hall, Joseph Tainter, Mario Giampietro, Sergio Ulgiati e tanti altri, ma anche tanti giovani entusiasti che sono venuti da tanti paesi del mondo.

Devo dire che il convegno non ha deluso le mie aspettative. Molte presentazioni di alto livello, interessanti anche i poster dei giovani ricercatori entusiasti. Il problema, però, è sempre più o meno lo stesso: i tempi sono cambiati, non è più solo questione di parlarsi fra ricercatori. Tutti bravi, si, ma fuori da quei 200-300 partecipanti, cosa succede?

Da quando tengo il blog "Cassandra" mi sembra di essere sulla linea del fronte, a prendermi le cannonate delle forze dell'anti-scienza. E' una lotta durissima e non la si fa nei convegni fra scienziati. E questa cosa, purtroppo, molti colleghi non l'hanno ancora capita. Credono che basti fare quello che hanno sempre fatto: fai la tua ricerca, pubblica un articolo, presentalo al convegno, ripeti il ciclo. Non basta più.

Credo che ci stiamo rendendo conto tutti gradualmente dell'estrema urgenza della situazione; ma, ancora, un convegno di alto livello come "AES-2010" non aveva nessuna sezione di "policy" o di "comunicazione". Si presume, tuttora, che gli scienziati facciano il loro lavoro, si parlino fra di loro, e i "policy-makers" in qualche modo, ne tengano conto. Magari questo succede anche, col tempo. Ma è un processo lento e se c'è qualche lobby che lo vuole fermare lo può fare senza problemi con una campagna di PR come quella che stiamo vedendo per bloccare ogni tentativo di fare qualcosa contro il riscaldamento globale.


Alla fine dei conti, sembra che la presentazione di Joseph Tainter abbia perfettamente inquadrato il problema: le società non hanno nessuna struttura per gestire il cambiamento, soltanto ne hanno per impedirlo.

domenica 17 ottobre 2010

Tutte bufale..... oppure no? Telefonini, tumori e clima


La storia che si può cuocere un uovo con due telefonini è una classica bufala. Ma questo non vuol dire che i telefonini non facciano male. Ultimamente. mi sono capitati in mano un paio di studi (*) che dimostrano che non si può escludere un effetto dannoso dei telefonini sulla salute umana. Perciò, qui come per tante altre cose (incluso il cambiamento climatico) è bene essere prudenti. 


Girano talmente tante bufale su internet che certe volte fa l'impressione che tutto sia una bufala. Catene di sant'Antonio, falsi allunaggi, telefonini che fanno le uova sode e magnati africani che ti vogliono regalare qualche milione di euro... Insomma, abbiamo tutti sviluppato un discreto senso di diffidenza su qualunque cosa appaia su internet. Tutto è bufala, un atteggiamento che alcuni hanno preso come una vera filosofia di vita.

Un buon esempio di un campo pieno di bufale è quello dell'effetto dei telefonini che, secondo alcuni, provocherebbero tumori cerebrali.  Se cerchi di approfondire usando internet su questo argomento ti ritrovi davanti un'incredibile quantità di affermazioni e contro-affermazioni, molte delle quali palesemente false e inventate. Sulla faccenda del telefonino che cuoce  le uova, per esempio, ci è cascato anche Beppe Grillo e molta gente ci ha creduto.  Curiosamente, nessuno sembra aver molto interesse a domandarsi chi è che ha messo in giro questa storiella e perché. Un buontempone? Un pazzo? Uno che ha agito da solo, o qualcuno che fa esperimenti di comunicazione di massa? Comunque sia, qualsiasi fesseria colpisca la fantasia della gente rimbalza e si ingigantisce fino a diventare leggenda.  Le dinamiche della crezione e della diffusione delle false informazioni sul web sono incredibilmente complesse e poco studiate.

Eppure, l'internet è anche una sorgente di informazioni vere, se solo sappiamo filtrarle. E i filtri esistono, sono il buonsenso e quel tanto di buona volontà che ci vuole per andare a cercarsi l'origine delle notizie che ti arrivano. Quasi tutte le bufale su internet sono ampiamente sbufalate e basta poca fatica per accorgersi che la faccenda delle uova cotte dal telefonino è, appunto, una bufala di bassa lega.

Ciò detto, da internet possiamo appurare un certo numero di cose a proposito dell'effetto dei telefonini sulla salute umana

- Per prima cosa,  è facile dimostrare che l'energia coinvolta con la radiazione a bassa frequenza emessa dai telefonini non è sufficiente per rompere i legami chimici. Siccome sappiamo che i tumori sono causati da danni di questo tipo al DNA cellulare, questo esclude che la radiazione dei telefonini possa causare direttamente i tumori. (ma attenzione alla parola "direttamente"!)

- Tuttavia, ci sono gli studi epidemiologici che cercano una correlazione statistica. In questo caso, alcuni studi indicano che i telefonini, se usati continuativamente per oltre 10 anni, raddoppiano la probabilità di un tumore cerebrale (*). Non è una cosetta da scherzarci sopra: i tumori cerebrali rappresentano circa il 2% dell'incidenza di tutti i tumori nella popolazione adulta. Raddoppiare questa probabilità non è un pensiero piacevole. (ma attenzione all'incertezza di questi studi, il 2% è un valore significativo?)

Quindi,  non si può escludere che i telefonini abbiano qualche effetto indiretto che può generare tumori. Ne consegue che il problema non va esagerato, ma nemmeno ignorato. Si tratta di giudicare con un po' di buon senso e di moderazione e, nel dubbio, non trascurare gli avvertimenti che ci vengono dati.  Per quanto riguarda i telefonini, una buona strategia, che io cerco di seguire, è di usarli poco. Una strategia, fra le altre cose, che fa bene alla salute mentale evitandoti lo stress di telefonate in continuazione in tutti i momenti della giornata. (Non ho detto che ci riesco, ho detto che ci provo!)

Questo tipo di strategia può essere utilizzato in modo generale per tante cose che ci preoccupano in questo vasto e complicato mondo: da quello che mangiamo, a come curarsi, a come evitare danni da inquinamento. Si tratta di filtrare via le bufale, e poi giudicare con buonsenso quello che resta.

E' una strategia che possiamo applicare anche all'argomento del riscaldamento globale. Qui, non c'è dubbio che ci sono bufale a non finire a partire da quella del "Climategate" per non parlare delle fesserie che ci racconta il visconte stralunato Cristopher Monckton.

Una volta eliminate le sciocchezze, rimane la scienza del clima con le sue ovvie incertezze, ma anche i suoi avvertimenti su quello che sta succedendo.  In questo caso,  sappiamo enormemente di più su come i gas serra influenzano il clima di quanto non sappiamo su come le radiazioni elettromagnetiche dei telefonini possano generare dei meccanismi che provocano tumori. Quindi, gli avvertimenti che ci da la scienza del clima a proposito del riscaldamento globale sono ben più pesanti e preoccupanti di quelli che ci danno gli studi statistici sull'effetto dei telefonini.

Comunque la si voglia vedere, quindi, anche per quanto riguarda il clima è bene prendere le cose con prudenza e non trascurare gli avvertimenti.


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Bibliografia

* Se avete accesso a "sciencedirect.com" cercate questo articolo: Cell phones and brain tumors: a review including the long-term epidemiologic data, Vini G. Khurana, Charles Teo, Michael Kundi, Lennart Hardell, and Michael Carlberg, pubblicato su  Surgical Neurology  Volume 72, Issue 3, September 2009, Pages 205-214 

Vedi anche questo  rapporto recente (Agosto 2009) che non solo descrive i rischi, ma sostiene che alcuni degli studi fatti nel passato, e che non avevano trovato rischi, erano falsati, probabilmente un tentativo di disinformazione. 

Infine, questo articolo su Scientific American sembra decisamente molto "di parte" ma descrive correttamente il fatto che la radiazione elettromagnetica emessa dai telefonini non è sufficiente per rompere i legami chimici e quindi non causa direttamente tumori.