lunedì 5 ottobre 2015

Ancora sull’EROEI della guerra.

di Jacopo Simonetta

Evoluzione della produzione di idrocarburi liquidi
in energia nettaecondo WEO 2014
In un recente post  Turiel ha affrontato un tema particolarmente scabroso: l’EROEI della guerra moderna.

La guerra è un fenomeno molto complesso che accompagna la nostra specie fin dal suo apparire e forse anche prima, visto che si verificano guerre fra i nostri cugini scimpanzé. Sull'argomento sono stati versati ettolitri di inchiostro, oltre che di sangue, ma l’aspetto evocato a Turiel è originale ed interessante.

Tralasciando tutti gli altri aspetti delle questione, si concentra infatti sull'efficienza energetica dei conflitti, un aspetto indagato da pochi.  Non  pretende, ovviamente, che questo sia l’aspetto principale del problema, ma fa presente che aumenterà di rilevanza in un mondo in cui la disponibilità di energia è destinata fatalmente a diminuire.       Anzi, forse sta già diminuendo.  


Turiel discute il problema dei costi energetici della guerra sulla base di una sua classificazione dei conflitti, basata sullo scopo dei medesimi, specificando che molte altre classificazioni sono possibili.    In questo post, mi propongo quindi di cogliere il suo invito ed affrontare a mia volta la questione, proponendo una classificazione basata invece sui mezzi impiegati.   Penso possa essere utile per rilanciare la discussione avviata da Turiel.

Elencherò le categorie per ordine decrescente di dissipazione di energia.

1 - Convenzionale ad alta intensità simmetrica.   Lo scontro diretto di due stati di potenza circa pari che impiegano aviazione, mezzi corazzati e tutto l'arsenale moderno.   Un esempio relativamente recente è stata la guerra Iran -Iraq.   Abbiamo visto come i danni non si limitino alla zona del fronte, ma riguardino l’intero sistema-paese: infrastrutture, economia, popolazione e molto altro.   Nel caso in cui fossero coinvolte grandi potenze (USA, Russia e Cina), l’entità delle distruzioni sarebbe immensa.

2 - Convenzionale ad alta intensità asimmetrica.   Lo scontro diretto fra stati di potenza assai diversa.    Un esempio tipico è stata la guerra del Kouwait (1990).    Il risultato è scontato e rapido, ma con una dissipazione di energia che Luca Mercalli ha provato a quantificare, sia pure in maniera molto, molto prudente.  Il livello di distruzione dello sconfitto è molto elevato e difficilmente recuperabile nel contesto attuale e futuro.

3 - Non convenzionale alta intensità asimmetrica.   Conflitti che oppongono stati che impiegano mezzi e metodi convenzionali ad organizzazioni che impiegano tecniche di guerriglia e terrorismo (imboscate, attentati, ecc.).   Spesso proseguono indefinitamente per l’impossibilità di entrambi i contendenti ad eliminare l’avversario per ragioni militari o politiche.  Il caso più lampante di questo tipo è la guerra isrelo-palestinese.   Sono pochi i casi in cui una guerra di questo tipo si è conclusa con una vittoria netta.   In Afghanistan vinsero i Mujaheddin dopo molti anni di guerra, ma questo non risolse minimamente la crisi del paese.   A Shri Lanka il governo schiacciò definitivamente la rivolta Tamil massacrando in pochi giorni circa 20.000 persone, indiscriminatamente miliziani, civili ed ostaggi.

4 - Convenzionale a bassa intensità simmetrica.   Forze regolari od assimilabili si affrontano con armi leggere ed artiglieria da campagna (indicativamente fino a 155 mm).   Il ricorso a carri armati, aviazione ed elicotteri da combattimento è marginale.   Di solito sono cose che vanno molto per le lunghe o perché nessuna delle parti ha i mezzi per prevalere, o perché ci sono motivi politici per mantenere basso il livello di scontro.   Un esempio attuale è il conflitto ucraino, fatte salve le due occasioni in cui l’intervento diretto di reparti corazzati russi ha elevato il livello di scontro, ma solo per il tempo strettamente necessario ad ottenere un risultato strategico importante.

5 - Convenzionale a bassa intensità asimmetrica.   Situazione simile a quella vista per il caso 2 (Convenzionale ad alta intensità asimmetrica).   Anche in questo caso la disparità di forze rende scontato il risultato, ma con un molto minore impiego di mezzi pesanti ed aviazione, quindi con una minore dissipazione di energia e un più basso livello di distruzione.   Esempi recenti sono stati la guerra Russia-Georgia e l’offensiva NATO contro la Serbia.

6 - Non convenzionale ad alta intensità simmetrica.   Si tratta di conflitti che oppongono organizzazioni paramilitari o stati di pari forza, ma che non impiegano i mezzi della guerra classica, bensì quelli della guerriglia e del terrorismo.   Comportano l’uso di armi leggere ed esplosivo, autobonba, eccetera.    Il consumo di energia è limitato, mentre il numero di morti ed il livello di distruzione può essere elevato.   Soprattutto generano grandi flussi di fuggiaschi.   Casi attuali di questo genere sono gli scontri fra milizie avverse in Siria e Iraq; negli anni ’90 è avvenuto nella ex-Jugoslavia.

7 - Non convenzionale bassa intensità asimmetrica.   Oppone forze di tipo convenzionale a milizie, ma con un limitato ricorso a mezzi energivori anche da parte del contendente più forte.    Visti i limitati mezzi a disposizione, solitamente sono situazioni che si trascinano molto a lungo.   Un caso particolare di questo tipo è stata la guerra tra Marocco e Fronte Polisario.   Teoricamente ancora in corso, è stata vinta dal Marocco grazie ad un uso offensivo delle fortificazioni campali (i famigerati “muri”) ed al modificarsi del contesto internazionale.

8 - Non convenzionale bassa intensità simmetrica.   Simile al caso 7, ma con minori consumi per la scarsezza delle forze in campo.    Sono di questo tipo molti conflitti civili di cui neanche si parla sulla stampa internazionale.   Possono ciò nondimeno generare notevoli flussi di fuggiaschi, come nel caso di molti conflitti africani (Somalia, Congo, Ruanda, Sudan, fra gli altri).   I mezzi impiegati sono perlopiù armi leggere, autobomba e camionette armate, ma anche armi bianche.

E’ evidente che i conflitti ad alta intensità sono quelli che comportano la massima dissipazione di energia.    Molto indicativamente, i mezzi corazzati consumano 2-3 litri al chilometro, i blindati circa la metà; un aereo da combattimento circa 15.000 litri di cherosene all'ora.    A questo si devono aggiungere l’energia contenuta nelle munizioni, i consumi dell’immenso apparato logistico necessario per mantenere operative truppe corazzate ed aviazione.   Per confronto, i pick-up armati che costituiscono il nerbo della motorizzazione nei conflitti a bassa intensità consumano circa 10 litri per 100 km.

A ciò dobbiamo aggiungere la dissipazione dell’energia incorporata negli oggetti e negli edifici che vengono danneggiati, oltre che l’informazione (intesa in senso termodinamico) che viene distrutta.

E’ ovvio che da tutti questi punti di vista, i consumi di energia sono tanto maggiori, quanto più imponenti i mezzi impiegati.   E’ vero che il contendente che dispone di una maggiore energia e tecnologia ha perdite inferiori, ma solo nel caso di guerre asimmetriche.

Inoltre, nel contesto energetico del prossimo futuro, diventerà sempre più difficile, per non dire impossibile, rimediare ai danni operati dalla guerra.    Un esempio a mio avviso lampante, è il confronto fra la guerra del Kuwait (1990) e quella Irachena (2003).   A seguito della prima, l’industria petrolifera dell’emirato, sistematicamente distrutta dalle truppe in fuga di Saddam Hussein, fu ricostruita in meno di un anno.   A seguito della seconda, i danni prodotti dall'embargo e dalla guerra sono stati riparati solo in parte, malgrado gli enormi interessi coinvolti.   Certo hanno giocato anche altri fattori, ma i pianificatori politici dovrebbero cominciare a pensare alle infrastrutture industriali attuali come a dei beni non sostituibili, in caso di danni gravi.

A titolo di esempio dei livelli di dissipazione energetica oggi impiegati nei conflitti, vorrei citare il rapporto dell’ONU che ha tirato le somme della guerra che ha opposto Israele ad Hamas nel 2014. In 51 giorni le forze israeliane hanno condotto 6000 missioni aeree e sparato 50.000 colpi da terra.   Con ciò hanno demolito una trentina di tunnel usati dal nemico e numerose installazioni e depositi, ma niente che non possa essere sostituito con gli appoggi internazionali di cui ad oggi gode Hamas che, comunque, continua a controllare la striscia di Gaza.   Almeno in parte irreparabili risultano invece i danni fatti alle abitazioni ed alle installazioni civili anche se, bisogna dire, a Gaza la distinzione fra i siti militari e civili è particolarmente fluida.  I morti palestinesi sono stati pare 2.200, di cui circa metà civili. Da parte loro, i miliziani Hamas hanno ucciso nei combattimenti casa per casa 67 militari israeliani. Contemporaneamente, hanno sparato sulle città nemiche 4.881 razzi di vario calibro e 1.753 colpi di mortaio per uccidere 7 civili e fare dei buchi per terra.

La domanda è:  A parte ogni considerazione etica e l’evidente follia politica di entrambi i contendenti, a che scopo tutto ciò?   E poi: Per quanto tempo pensiamo di poterci ancora permettere questo genere di lussi?   Mai come oggi, la guerra è stata un pessimo affare per tutti coloro che vi partecipano.

Rimangono due tipi di guerra, al momento solo potenziali: la guerra nucleare e la guerra batteriologica.   La prima è solo un’ipotesi, ma consistente vista l’ampiezza e la diffusione degli arsenali.   In un’ipotetica guerra di questo tipo, l’impiego di energia da parte delle truppe sarebbe relativamente limitato, visto che i mezzi impiegati sarebbero solo gli ordigni in questione ed i loro vettori.   Viceversa, vi sarebbe un’immensa dissipazione di energia incorporata nelle città e nelle infrastrutture distrutte che, in qualunque futuro prevedibile, nessuno sarebbe mai più in grado di ricostruire.

La guerra batteriologia non dovrebbe essere neppure una possibilità, visto che ad oggi nessuna forza armata dispone di questo tipo di armi.   Ma sono molti i paesi che dispongono della possibilità di costruirne.   Una possibilità anche in futuro, visto che si tratta di armi relativamente economiche da realizzare ed usare.

Da un punto di vista strettamente funzionale, è paradossale che, in un mondo sempre più strettamente minacciato da sovrappopolazione e carenza energetica, le maggiori potenze abbiano deciso di mantenere le armi convenzionali (che diverranno progressivamente inutilizzabili) e quelle nucleari (in grado di distruggere definitivamente ogni economia avanzata).  Mentre, hanno rinunciato alle armi batteriologiche che uccidono le persone senza danneggiare strutture e risorse.   In altre parole, l’unico modo razionale di condurre una guerra oggi e nel prossimo futuro.

E, per favore, non ci dicano che è stato per motivi etici.   Sarebbe molto difficile dimostrare che diffondere epidemia sia meno crudele che bombardare o decapitare la gente.   Semmai il contrario poiché, passata un'epidemia per quanto terribile, i sopravvissuti si ritrovano in un mondo sostanzialmente integro a non in mezzo a macerie, magari radioattive.



Un'istantanea che, mi pare, descriva meglio di mille parole il risultato assurdo,
oltre che inumano, degli attuali metodi di guerra.


domenica 4 ottobre 2015

Una recensione del libro di Ugo Bardi "I limiti dello sviluppo rivisitati"


Dal blog di Badiale e Tringali

Pubblico una recensione ad un libro di Ugo Bardi del 2011, che solo recentemente ho avuto l'occasione di leggere.
(M.B.)



Ugo Bardi. The Limits to Growth Revisited, Springer 2011

Ugo Bardi insegna presso il Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze. Gestisce il blog“effetto risorse” e da tempo si occupa dei problemi del “picco del petrolio”. In questo libro ripercorre la storia del famoso testo commissionato dal Club di Roma a un gruppo di studiosi del MIT e uscito nel 1972 con il titolo “The Limits to Growth” (d'ora in poi LTG; in italiano “I Limiti dello Sviluppo”).
Bardi ricostruisce il percorso intellettuale che ha portato al libro, ma soprattutto fa la storia dei dibattiti successivi alla sua pubblicazione. Si tratta di una storia piuttosto interessante, che si può sostanzialmente dividere in tre fasi: un grande successo iniziale, seguito da aspre critiche che portarono, a partire più o meno dagli anni 90, all'oscuramento delle tematiche e delle impostazioni teoriche sviluppate nel testo, e infine una ripresa di interesse in tempi recenti. 

La rassegna di questi dibattiti, svolta da Bardi in vari capitoli del libro, è assai accurata, ed è finalizzata a far meglio comprendere al lettore, proprio grazie al confronto con i critici di LTG, il senso delle tesi fondamentali del libro. Bardi spazza subito via dal tavolo le critiche basate su fondamentali equivoci. Le più note in questo senso sono quelle che accusano lo studio di grossolani errori di previsione. Bardi risponde facilmente che LTG presentava non “una previsione” ma una serie di “scenari”, cioè differenti insiemi di previsioni dipendenti dalle possibili azioni umane nel futuro.Le cosiddette “previsioni sbagliate” su cui ponevano l'attenzione i critici di LTG erano ottenute semplicemente pescando alcuni dati dentro ad uno di questi scenari, dimenticando che appunto si trattava solo di uno scenario possibile fra i tanti delineati dallo studio stesso. Questa osservazione ci porta ad un altro tipo di discussione critica, più avveduta, che Bardi prende in considerazione. 

L'obiezione potrebbe infatti essere non più quella dell'erroneità di LTG, ma quella della sua inutilità: se in sostanza non fa previsioni precise, perché offre piuttosto una “batteria” di possibili previsioni, dipendenti dalle azioni umane, a che serve? La risposta di Bardi, che mi sembra condivisibile, è che lo studio non intendeva fornire previsioni numeriche precise sull'evoluzione dell'economia mondiale nei prossimi decenni (compito probabilmente impossibile), ma piuttosto individuare alcune linee di tendenza generali, che potessero indicare alle forze politiche e sociali prospettive abbastanza chiare per indirizzare l'azione politica. Bardi rileva infatti che, anche senza offrire previsioni numericamente precise, i vari “scenari” concordano nel mostrare che un certo tipo qualitativo di evoluzione appare sostanzialmente inevitabile, in mancanza di radicali cambiamenti della nostra organizzazione politica ed economica. In (quasi) tutti gli scenari delineati in LTG appare un crollo della produzione e della popolazione dopo un periodo di crescita simile all'attuale. Il “quasi” indica appunto che tale crollo si può evitare solo in uno scenario che preveda un deciso intervento umano di correzione degli attuali squilibri.

Abbiamo detto che in tempi recenti si è notata una ripresa di interesse nei confronti di LTG, collegata fra l'altro alle successive versioni dello studio (l'ultima è del 2004, ed è apparsa in italiano nel 2006 col titolo “I nuovi limiti dello sviluppo”). Naturalmente, questo non significa che le conclusioni dello studio siano accettate da tutti gli studiosi, o anche solo dalla maggioranza. Il dibattito infatti prosegue. Ma almeno, stando al resoconto di Bardi, sembra che siano superate le incomprensioni che hanno segnato, e un po', diciamo, “rovinato” il dibattito nei decenni precedenti. Secondo la ricostruzione di Bardi, oggi si tende a riconoscere che l'andamento effettivo delle variabili considerate in LTG, nei quattro decenni seguiti alla prima pubblicazione, ha seguito nella sostanza l'andamento previsto in uno degli scenari delineati all'epoca. Quindi l'obiezione sul fatto che le previsioni di LTG fossero “sbagliate” sembra per il momento aver perso efficacia. La discussione si è spostata su altri piani, a mio parere più interessanti. Si tratta dei temi discussi nei capitoli 8 e 9 del libro, dedicati allo stato attuale del dibattiti sull'esaurimento delle risorse minerali e sul ruolo della tecnologia. La tesi più significativa, fra coloro che rifiutano le conclusioni di LTG, è infatti quella che sostiene il ruolo centrale dello sviluppo tecnologico, e ritiene che il difetto fondamentale di LTG sia appunto quello di non tenerne conto. Secondo i sostenitori di questa tesi, lo sviluppo tecnologico permetterà di sfruttare altre risorse (energetiche, minerarie) quando le attuali saranno esaurite. In questo senso si può sostenere la tesi, che suona certo paradossale alle orecchie di chi si sia formato su testi come LTG, secondo la quale “le risorse naturali sono infinite”. Essa deve appunto essere intesa nel senso che lo sviluppo scientifico e tecnologico metterà a disposizione sempre nuove risorse quando quelle usuali saranno esaurite. Per capirci, il petrolio non era una risorsa energetica nel primo Ottocento: lo è diventato quando è stata sviluppata la tecnologia che permetteva di sfruttarlo. Allo stesso modo, nuove tecnologie permetteranno di far diventare “risorse” aspetti della realtà naturale che attualmente non lo sono. 

È ragionevole questa prospettiva? Bardi la discute a partire dal problema delle risorse minerarie non energetiche, come i metalli. Come è noto, essi sono diffusi ovunque, ma solo in pochi luoghi hanno la concentrazione sufficiente per rendere redditizia l'estrazione. Una possibile versione della tesi che stiamo discutendo, quella cioè che “le risorse naturali sono infinite”, potrebbe allora consistere nell'argomentare che l'esaurimento delle miniere redditizie porterà all'aumento del prezzo dei metalli, e questo a sviluppi tecnologici che renderanno redditizia l'estrazione del minerale a concentrazioni minori di quelle attualmente necessarie, cosicché la risorsa in questione tornerà ad essere estratta.

Il problema di questo schema, nota però Bardi, è quello dell'energia necessaria per l'estrazione, al diminuire della concentrazione. Il rapporto fra queste due grandezze è grossomodo quello della proporzionalità inversa: cioè, se il minerale da estrarre presenta una concentrazione dimezzata, occorre il doppio dell'energia, se la concentrazione si riduce ad un terzo occorre il triplo dell'energia, e così via. Se questa relazione si mantiene stabile al variare delle tecnologie, appare chiaro che l'estrazione di minerali da depositi sempre più poveri troverà un limite nella disponibilità dell'energia (e nei suoi costi). Il problema si sposta allora, appunto, alla disponibilità dell'energia. Il punto essenziale sta nel fatto che per l'estrazione di risorse energetiche sembrano valere principi analoghi. Il concetto di EROEI (Energy Return On Energy Invested), detto anche EROI, serve appunto a precisare questo punto. Esso è definito come il rapporto fra l'energia ottenuta in un processo di estrazione (di petrolio, per esempio) e l'energia consumata per l'estrazione. Indica cioè il “guadagno energetico” del processo di estrazione. Ovviamente, l'estrazione ha senso solo quando l'EROEI è maggiore di uno. Non è facile il calcolo preciso dell'EROEI, come nota lo stesso Bardi altrove, ma sembra comunque che la tendenza sia verso una sua lenta diminuzione, almeno per quella che è attualmente la principale fonte energetica, il petrolio (a questo proposito di veda anche il capitolo 6, pagg. 77-85, del libro di di Luca Pardi “Il paese degli elefanti”, edizioni LUCE, in particolare a pag.81). Questa lenta diminuzione pare essere avvenuta nonostante gli indubbi progressi tecnologici nelle tecniche di estrazione del petrolio. Tali sviluppi, cioè, possono sì rendere possibile estrarre petrolio “non convenzionale” come lo shale oil, ma non invertono la tendenza alla diminuzione dell'EROEI. In questo modo sembra che ci stiamo avvicinando, indipendentemente dagli sviluppi tecnologici, al punto in cui per estrarre un barile di petrolio occorrerà consumare un barile di petrolio, e a quel punto ovviamente il petrolio, per quanto abbondante possa ancora essere, cesserà di essere una risorsa energetica. 

Se queste tendenze venissero confermate in futuro, sarebbe lecito un certo scetticismo nei confronti della tesi che “le risorse naturali sono infinite”. Verrebbe invece corroborata la tesi generale che la nostra organizzazione sociale sta entrando in una fase di “rendimenti decrescenti”, rendendo quindi necessaria una “grande transizione” ad una diversa organizzazione sociale. Queste tesi sono ormai sostenute da diverse voci: per un inquadramento generale, si veda il libro di Mauro Bonaiuti “La grande transizione”, Bollati Boringhieri 2013. Si tratta di temi rispetto ai quali c'è urgente bisogno di un dibattito razionale serio e approfondito e per chi voglia continuare, anche da posizioni diverse, nella pratica del dibattito razionale, il testo di Bardi è senz'altro di grande aiuto.

sabato 3 ottobre 2015

I sussidi ai combustibili fossili: più di cinquemila miliardi di dollari!

Da “triplepundit.com”. Traduzione di MR (via Daryl Hannah – sì, quella di Blade Runner)

Di Andrew Burger


Le aziende di combustibili fossili beneficeranno della somma di 5,3 trilioni di dollari nel 2015 da parte dei sussidi energetici governativi. E' più di tutta la spesa dei governi del mondo in sanità, secondo la nuova ricerca del Fondo Monetario Internazionale (FMI).

Raccontino dello scorso Agosto: chi si accorge del riscaldamento globale?



La caldissima estate del 2015 ha battuto tutti i record, seppellendo per sempre l'idea che il riscaldamento globale fosse in "pausa". Ma stiamo cominciando ad accorgerci qualcosa? Sembrerebbe di no: questo inverno, ai primi freddi, ci saranno i soliti allocchi che credono di essere originali a ritirar fuori la battuta, condita con una strizzatina d'occhio e un sorriso, "e allora, dov'è finito questo famoso riscaldamento globale?" Sembra proprio un'impresa impossible convincere la gente che la situazione è seria, anche da questo raccontino di una cosa che mi è successa questo Agosto.




Scena: terrazza al quinto piano di una casa di Firenze in un tardo pomeriggio di Agosto. Temperatura circa 35-36 gradi, umidità non quantificata, ma alta. Persone sedute, con un bicchiere di aperitivo in mano. Tutti sono sudati fradici.


Signora: Certo, è proprio caldo, oggi.

Io: Altro ché! E' un mese che stiamo soffrendo.

Signora: Proprio vero; è un caldo!

Io: Eh, si.... del resto era previsto.

Signora: Previsto? Ma come?

Io: Beh, è il calore accumulato negli oceani che viene rilasciato nell'atmosfera. E' per via di un oscillazione nella circolazione oceanica, una cosa che si chiama "El Niño"... Ci sono dei modelli.....

Signora: Ma allora c'è di mezzo il riscaldamento globale?

Io: Certamente..... piano piano, le temperature si alzano. L'anno prossimo sarà peggio.

Signora. Come sarebbe a dire?

Io: Il riscaldamento globale non si ferma. Ogni anno è un po' di più.

Signora: .... Ma, no... ma, no.....  l'anno scorso è piovuto sempre! (scuote la testa e si allontana)




venerdì 2 ottobre 2015

Geoingegneria? Quale geoingegneria?

Da “The Guardian”. Traduzione di MR (via Cristiano Bottone)

I ricercatori hanno dimostrato che anche se venisse scoperta una soluzione geoingegneristica per le emissioni di CO2, non sarebbe abbastanza per salvare gli oceani 


“L'eco chimica dell'inquinamento da CO2 di questo secolo riecheggerà per migliaia di anni”, ha detto il coautore del rapporto Hans Joachim Schellnhuber Foto: Doug Perrine/Design Pics/Corbis

Di Tim Radford

Dei ricercatori tedeschi hanno dimostrato ancora una volta che il modo migliore per limitare il cambiamento climatico è quello di smettere di bruciare combustibili fossili adesso. In un “esperimento mentale” hanno cercato un'altra opzione: la drammatica rimozione in futuro di enormi volumi di biossido di carbonio dall'atmosfera. Ciò riporterebbe l'atmosfera alle concentrazioni di gas serra esistite per gran parte della storia umana – ma non salverebbe gli oceani, hanno concluso.

giovedì 1 ottobre 2015

Mangio, quindi uccido: i limiti del vegetarianismo

Da “The Great Change”. Traduzione di MR

“Perché pensiamo di doverci appropriare di tutte le terre coltivabili del mondo per sfamare gli esseri umani?”

Cavalli islandesi
Di Albert Bates

Siamo tutto ciò che che pensiamo come “individui” in comunità viventi di fatto. Qui in Islanda abbiamo partecipanti a corsi di permacultura da questo paese e da Germania, Stati Uniti, Danimarca, Messico, Canada, Australia, Svizzera, Francia, Norvegia, Svezia, Indonesia, Bulgaria e Costa Rica. Ognuno di noi sta fertilizzando in modo incrociato tutti gli altri col proprio microbioma – le spore e i microbi che trasportiamo dalle nostre bioregioni e trasmettiamo liberamente per contatto attraverso la pelle, l'aria, i fluidi e varie superfici che tocchiamo. Ognuno di noi se ne va con un nuovo microbioma, leggermente alterato e più diversificato di quello con cui è arrivato.

Raccogliamo ed incorporiamo anche nuovi microbi dall'ambiente del luogo. Potremmo ingerire parti e pezzi che sono già passati attraverso il corpo di un antico vichingo, o del suo cavallo, prima che venissero interrate nel suolo per qualche tempo, per poi trovare la loro strada nel cibo e nell'acqua ed ora per venir via con noi per diventare parte del suolo da qualche altra parte. Alla fine, veniamo tutti dalla polvere di stelle e veniamo continuamente riciclati.

Il padre della Permacultura, Bill Mollison, amava canzonare i vegetariani per le loro scelte dietetiche perché pensava che ogni argomentazione per scendere più in basso nella catena alimentare fosse un po' sospetta. “Non ho passato diversi milioni di anni ad arrampicarmi con unghie e denti fino al vertice per poi mangiare tofu”, ci ha detto una volta a pranzo. Abbiamo guardato imbarazzati il nostro tofu.

In quel periodo stavamo partecipando ad un incontro sulla Permacultura a Perth, in Australia Occidentale e al personale della cucina è stato detto che ci si attendevano principalmente persone che mangiavano carne. Sfortunatamente c'erano tre volte più vegetariani fra i permacultori partecipanti, il che ha significato lunghe code per l'opzione vegetariana e che il personale che serviva i pasti ha vissuto una piccola crisi per mancanza di lungimiranza.

Islanda: campi di lava coperti da un leggero strato di erba da pascolo; vaste aree sono adatte soltanto ad allevare animali.

Robyn Francis, che è stata una delle prime studentesse di Bill e lo ha aiutato a compilare il Manuale di progettazione in Permacultura nei primi anni 80, fa a pezzi alcune delle argomentazioni etiche più comuni. “La carne è solo clorofilla concentrata su un bastoncino di calcio”, dice, prendendo a prestito un'intuizione unica nel suo genere da un ex studente.

La rotazione del pascolo dei maiali spezza le zolle e approfondisce il profilo del suolo, rendendolo coltivabile per verdure e cereali.

La banale frase vegana sul non mangiare cose che hanno occhi o che cercano di scappare potrebbe essere divertente, ma come sappiamo da studi sui meccanismi sensori e le “emozioni” delle piante, anche quelle hanno sentimenti, conoscono la paura, cercano di preservarsi la vita e preferirebbero non essere la vostra cena se fosse offerta loro una scelta. Inoltre, ognuna di loro ha un microbioma fatto di molti piccoli animali con occhi che cercano di scappare.

Zoocentrismo: il relegare le piante in fondo alla gerarchia della vita intelligente.

La Robyn ha fatto una slide prendendo spunto da uno studio sulla coltivazione di cereali in Australia che mostra quante cose viventi – rettili, uccelli, furetti, topi di campagna – vengono massacrati ogni anno per ettaro di cereali che viene raccolto dalle mietitrebbie. Nell'area di studio del Nuovo Galles del Sud, i raccoglitori di cereali uccidono 25 volte più animali per ettaro degli analoghi pascoli di mucche destinate al macello. Messa in un altro modo, il rapporto di bulbi oculari di cose che cercano di scappare è circa di 25:1 in sfavore del lato vegano della contabilità. In un'altra slide, la Robyn spiega che possedere un cane pastore consuma il costo di risorsa equivalente di possedere un SUV. Ed è meglio che non parliamo dei gatti domestici.

Diciamocelo. Se siamo vivi lo rimaniamo solo uccidendo qualcos'altro. E' così che circolano i nutrienti fra roccia, suolo, piante, materia in decomposizione, insetti, batteri, funghi ed animali. E' un processo di gruppo, ognuno di noi ha un ruolo, ad un certo punto, come predatore o come preda. Potrebbe non piacerci di mangiare vermi, ma alla fine loro sono più che felici di mangiare noi.

“In pratica, non esiste l'autonomia. In pratica, c'è solo una distinzione fra dipendenze responsabili ed irresponsabili”.

Wendell Berry, L'arte del luogo comune


Pubblicata su Facebook il 27 agosto, 

questa immagine ha 12.000 like e 2877 condivisioni, finora.
Considerate il più ampio problema della fornitura globale di cibo. Gli esseri umani ora sono 7 miliardi e continuano ad espandersi. Fornitura di energia, cibo ed acqua permettendo. Un terzo della massa terrestre della terra è adatta all'agricoltura ma solo un terzo di questa è realmente coltivabile a cereali, verdure, frutta o il tipo di cose che mangiano i vegani. Gli altri due terzi non sono in grado di far crescere vegetali e potrebbero non avere acqua sufficiente per la coltivazione di alberi, ma possono, con una gestione accurata e una giusta presenza di bestiame, sostenere animali commestibili. Infatti, se seguite la discussione di massa sulla rotazione dei pascoli iniziata da Allan Savory, potreste credere che solo le grandi mandrie di animali al pascolo, raggruppati ed in movimento, siano in grado di ripristinare ecologicamente quelle tipologie di terreni danneggiati, ri-sequestrando il carbonio che avevano un tempo e ripristinando i cicli idrologici e climatici del pre-Antropocene – il regime di acqua e suolo un tempo costruito e conservato da bufali, mammut, tigri e lupi.

Ecco un punto di contesa che portiamo con questa discussione, e diamo il benvenuto alla discussione. Per estensione, possiamo dire che se la terra coltivabile è il premio, allora la terra buona con molta acqua dev'essere dedicata ai cereali, alle verdure, alla frutta ed al tipo di cose che mangiano i vegani. Di gran lunga più persone possono essere nutrite con proteine di alta qualità, carboidrati e grassi da quella terra se mangiamo dalla parte bassa della catena alimentare, perché far passare i cereali attraverso gli animali ci fa perdere ritorni nutrizionali di grandi fattori, da 10:1 nel caso del pollame a 40:1 nel caso dei bovini. Secondo la logica usata dalla Robyn, dobbiamo allevare animali domestici esclusivamente sulle terre marginali che non possono sostenere nient'altro. Ciò elimina la fattoria di Joel Salatin in Virginia e molte delle operazioni con animali ad alto rendimento in Nord e Sud America, Europa, Africa, Asia ed Australia. Niente più Manzo di Kobe o Sauerbraten tedesco.

L'argomentazione per mangiare animali da allevamento assume che non possiamo nutrire il mondo se togliessimo l'allevamento di animali e ci concentrassimo sulle piante. Possiamo – solo sulla porzione di terra coltivabile primaria che ha una buona stagione agricola e un sacco di acqua. Un acro di soia biologica, coltivata senza arare, nutrito con biochar che fissa l'azoto e non OGM, non trasformato in mangime animale o plastiche, può fornire proteine di alta qualità come 40 o più acri di bovini. Eliminate l'allevamento di animali nei terreni agricoli migliori e non avrete bisogno di usare l'altro 60% delle terre coltivabili per animali da nutrimento.

Perché pensiamo di doverci appropriare di tutte le terre coltivabili del mondo per sfamare gli esseri umani?

Produrre cibo per le popolazioni umane nei climi secchi o con suoli poveri importandolo da terre migliori è una proposta rischiosa, dato che il paradigma della globalizzazione ora è in vita ed è costruito su uno schema di debito Ponzi che è un vero furto nei confronti dei nostri figli. Il mondo è costretto dall'inesorabilità della fisica dell'energia fossile a rilocalizzare, e rapidamente. Continuare a seguire la curva esponenziale consumistica – di uso di acqua, perdita di suolo, esaurimento del petrolio, estinzione di pesci, popolazione e inquinamento – è pura follia. Al di là di ogni bugia, un Dirupo di Olduvai.

Cavallo islandese arrosto. Il cavallo era
la carne tradizionale del Sauerbraten tedesco. 
In un mondo localizzato, in assenza di un declino indotto catastroficamente, immaginiamo che la popolazione umana frenerà gradualmente verso qualcosa che si avvicina all'equilibrio di stato stazionario fra offerta e domanda in cui gli indigeni erano maestri. Quella era la vecchia normalità prima dell'ultima era Glaciale e andrà probabilmente in quel modo nell'Era delle Conseguenze.

Gli esseri umani delle società locali potrebbero scegliere di equilibrare le loro diete in qualsiasi modo sia più efficace per il loro clima e i loro costumi. Alcuni potrebbero essere vegani, molti probabilmente no.



mercoledì 30 settembre 2015

Lo scioglimento catastrofico del permafrost: una cosa “reale e imminente”.

Da “Robertscribbler”. Traduzione di MR (via Sam Carana)

C'è molto carbonio immagazzinato nel permafrost dell'Artico che fonde. Secondo le nostre migliori stime, intorno ai 1.300 miliardi di tonnellate (vedete Cambiamento climatico e retroazione del permafrost). E' più del doppio della quantità di carbonio già emesso dai combustibili fossili globalmente dagli anni 80 del 1800. E la triste ironia è che il continuo bruciare combustibili fossili rischia di superare un punto di svolta oltre il quale una rapida destabilizzazione e rilascio di quel carbonio diventa irreversibile.


Copertura globale del permafrost come è stata registrata dalla World Meteorological Organization. In generale si pensa che una soglia di riscaldamento globale di 2°C sia il punto in cui una parte sufficiente del permafrost artico si destabilizzerà in modo catastrofico, diventando una retroazione di amplificazione del riscaldamento globale che quindi fonde gran parte o tutto il resto. La soglia di 2°C è stata scelta perché è il limite minimo del Pliocene – un periodo in cui è iniziata la formazione di questa riserva di permafrost. Tuttavia, potrebbero esserci dei rischi che una parte sufficiente della riserva possa diventare instabile a livelli più bassi di riscaldamento – superando quel punto di svolta prima di quanto ci si attende. Fonte dell'immagine: WMO.

martedì 29 settembre 2015

L’invenzione del Progresso.


di Jacopo Simonetta


Per noi il progresso è un fatto auto-evidente che ha portato l’uomo dalle caverne alle stelle e che lo porterà verso sempre più elevate mète.    Al netto di incidenti di percorso, magari drammatici, ma temporanei.   Si tratta di un’idea per noi così scontata e congeniale che ci pare debba essere sempre esistita.
   
Ebbene no. Il progresso è stato inventato nel 1794 dal signor Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet.  Matematico, enciclopedista e rivoluzionario.

Ovviamente, come tutti, anche Condorcet elaborò le sue idee a partire di quelle di altri che lo avevano preceduto.   Può quindi essere di un qualche interesse tracciare l’origine di questa idea che, vedremo, ha parecchio a che fare con quel divorzio fra scienza, filosofia e teologia cui facevo riferimento in un precedente post.

Spesso, quale “padre nobile” del progresso si cita nientedimeno che Leonardo da Vinci, in forza delle centinaia di marchingegni più o meno strampalati che aveva disegnato nei suoi appunti.   Tuttavia, Leonardo studiava le leggi della Natura tramite l’osservazione delle forme e tuonava contro la superbia dell’uomo che osa attaccare il creato.   Un approccio decisamente medioevale alla scienza.
Più appropriatamente, vengono indicati quali precursori dell’idea di progresso alcuni dei padri della rivoluzione scientifica del XVII secolo: gente del calibro di Bacone, Galileo e Cartesio.   Effettivamente,  costoro avevano inteso la scienza come motore di un sempre maggiore potere dell’Uomo sulla Natura, ma non avevano mai letto la storia come una marcia trionfale verso forme di civiltà sempre superiori.   

La vera culla dell’idea di “progresso”, così come oggi lo intendiamo oggi, è stata dunque l’Enciclopedia.   Fu infatti nel circolo di coloro che curarono quest’opera epocale, tutti amici di Condorcet,  che prese corpo l’idea che il costante miglioramento delle conoscenze scientifiche e delle capacità tecniche avrebbe condotto necessariamente ad un miglioramento indefinito delle condizioni di vita umane e, di conseguenza, ad un miglioramento indefinito dell’uomo stesso.   Venendo meno il bisogno, sarebbero infatti venute meno la ferocia, l’avidità e tutti gli altri vizi che da sempre ostacolano lo sviluppo spirituale dell’umanità.   

Non era certo la prima utopia, ma questa presentava alcuni caratteri esclusivi e nuovi che la differenziavano nettamente da precedenti illustri quali “Utopia” (di Tommaso Moro - 1516) e “La Città del Sole” (di Tommaso Campanella - 1602), entrambe di chiara ispirazione platonica.
  
Tanto per cominciare, il Progresso non fu l’idea di un solo pensatore e non fu narrato in un solo libro, descrivendo la società ideale.   Al contrario, fu il prodotto di un’intera generazione di filosofi, scienziati e scrittori; e divenne un modello mentale mediante il quale leggere ed interpretare passato, presente e futuro.
   
Un secondo punto assolutamente nuovo dell’utopia progressista fu l’avere nel suo cuore “La Macchina”.   Non più vista come un mero oggetto utile, divenne lo strumento principe per affrancare l’uomo dalla miseria materiale e morale.    La meccanizzazione divenne quindi sinonimo di progresso ed il progresso sinonimo di un miglioramento della condizione umana che sarebbe avvenuto  grazie, soprattutto, allo sviluppo di macchine sempre più potenti e perfezionate.   Fino, in prospettiva, alla possibilità di sostituire interamente il lavoro manuale con il lavoro meccanico, liberando così del tutto le infinite potenzialità dell’intelletto umano dai ceppi del lavoro manuale.   Insomma, una riedizione della schiavitù, ma priva dei problemi etici connessi con questa.    Un sogno tuttora ben vivo nella cultura contemporanea.

Un terzo punto fondamentalmente nuovo fu che, in questo salvifico disegno, un ruolo fondamentale fu  assegnato alla nascenda scienza economica.   Anche se il principale teorico di questo aspetto del mito fu uno scozzese: un certo Adam Smith, per la precisione.

Infine, un ultimo punto che caratterizzò i principali enciclopedisti, e che influenzò moltissimo il pensiero occidentale seguente, fu il considerare la religione, quale che fosse, un ostacolo anziché un ausilio al sapere.   In pratica, fu l’illuminismo a celebrare il divorzio fra filosofia e scienza da una parte e teologia dall'altra.   La Ragione da una parte, ignoranza e superstizione dall'altra; nel mezzo un baratro incolmabile.

L’utopia progressista, ben prima di essere formalizzata nell'ultimo libro di Condorcet, impregnò di sé l’intera opera dell’Enciclopedia, ma non solo.   Fu divulgata in tutto l’occidente e nelle colonie da un fiume di scritti, opera di un gran numero di entusiasti sostenitori, primo fra tutti François-Marie Arouet, meglio conosciuto come Voltaire (1694-1778).

Un altro canale di rapida diffusione e profondo radicamento di questa idea fu la Massoneria.   Nata in una birreria di Londra nel 1717, agli albori del movimento illuminista, ne divenne il principale strumento di diffusione.   Massone era infatti Condorcet, come lo erano Voltaire e tutti i principali protagonisti di questa stagione del pensiero europeo, assieme a migliaia di anonimi adepti.

Dunque l’idea di progresso fu il frutto di un’intera epoca, ma nel suo “Equisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain” Condorcet fu il primo a riscrivere l’intera storia dell’umanità usando come filo conduttore l’idea di un miglioramento infinito ed inarrestabile della nostra specie.   Per l’appunto quella marcia trionfale dalle caverne alle stelle che ancora da forma al nostro modo di intendere noi stessi, la storia, il mondo che ci circonda ed il futuro che ci attende.
Emblematico il fatto che questo suo testamento spirituale sia stato pubblicato postumo, nel 1795, dopo che il suo autore si era suicidato in carcere per sfuggire alla ghigliottina di quella stessa rivoluzione che egli aveva contribuito a scatenare in nome e per conto del progresso.

Il paradigma progressista fu da più parti respinto. Tutti conoscono Rousseau ed il romanticismo, ma non furono solo scrittori e filosofi a criticare l’ideale del progresso.   Ad esempio, fra la fine del ‘700 ed i primi decenni dell’800, in Inghilterra, i luddisti tentarono di fermare la meccanizzazione della produzione tessile con sommosse ed attentati.   Più pacificamente, nel 1781, sempre in una birreria londinese, nasceva il druidismo moderno.   Una confraternita per molti aspetti simile alla Massoneria, ma di segno filosofico opposto.

Se ci fidiamo di Michel Greer, arcidruido americano ben noto nella ristretta cerchia dei "picchisti", la molla che portò alla nascita di questo movimento fu infatti lo shock psicologico prodotto dalla diffusione delle prime aree industriali nelle periferie urbane.  

Come è andata poi lo sappiamo:  né druidi, né luddisti; né Rousseau né Schelling riuscirono a contrastare la forza del mito del Progresso che, fra continui rimaneggiamenti ed aggiornamenti, è giunto intatto fino a noi.   Anzi, col tempo si è evoluto giungendo ad una nuova sintesi tra filosofia, scienza e religione che ha chiuso il cerchio da cui l’idea moderna di progresso era nata.

Precisiamo.  Se consideriamo “religione” un insieme di credenze afferenti ad una o più divinità, certo l’idea di “Progresso” non può assolutamente essere considerato una religione, semmai il contrario.   Tuttavia, uno dei maggiori storici delle religioni, Georges Dumézil, ha proposto una diversa e, secondo me, scientificamente più valida definizione: “La religione è una spiegazione generale e coerente dell’universo che sostiene ed anima la vita delle società e degli individui.”

In questo senso allargato, la religione è dunque il modello mentale attraverso il quale cerchiamo di capire la realtà e prendiamo le nostre decisioni.   In questo senso dunque, la fede nel progresso è, a mio avviso, pienamente assimilabile ad una religione.   Fra l’altro, una religione che, non avendo divinità proprie, ha potuto svilupparsi sia in maniera atea, sia assorbirsi ad altre religioni precedenti.   Un po’ come aveva già fatto il Buddismo, altra grande religione priva di Dei, oltre duemila anni prima.

Del resto, chi oggi mette in dubbio l’esistenza del progresso facilmente suscita sentimenti assai negativi fra i suoi simili.    In un suo post che non saprei ritrovare, Michael Greer fece un’analogia polemica, ma azzeccata.   In sostanza, sostenne che oggi dire a qualcuno che il progresso e la tecnologia non possono fare niente per risolvere i suoi problemi è come dire ad un contadino medioevale che le ossa del suo santo patrono non possono far cessare la siccità.   Se è di buon umore ti guarda con commiserazione, se è nervoso ti insulta, o peggio.

Si può capire.   E’ indubbio che la sinergia fra scienza e tecnologia sia alla base delle straordinarie conquiste dell’Uomo nei due secoli che seguirono la morte di Condorcet.   Perlomeno nei paesi occidentali abbiamo potuto credere di aver raggiunto o quasi quell'empireo che il progresso aveva promesso ai nostri avi.   E ciò in forza del centinaio di “schiavi meccanici” che, mediamente, ognuno di noi ha avuto a disposizione grazie all'industria petrolifera.   Ma tanto progresso aveva un prezzo nella devastazione della biosfera e del clima, così come nell'annientamento di innumerevoli civiltà, quando non di interi popoli.

Man mano che questi  “effetti collaterali” sono diventati evidenti, sono andati maturando altri divorzi. Quello fra scienza e filosofia, oramai separati in casa da tempo.   E perfino fra tecnica ed alcune delle branche in cui la scienza di è intanto parcellizzata. La prima proiettata verso fare sempre di più, le seconde sempre più preoccupate di ciò che, viceversa,  era bene non-fare.   Di qui il conflitto filosofico, scientifico e religioso che, dalla fine degli anni ’60, anima l’occidente senza peraltro aver finora prodotto alcun risultato pratico.   In fondo, se ad oggi nessun provvedimento serio è stato preso per contrastare la distruzione del Pianeta è proprio per non rinunciare al mito fondante della nostra civiltà.

Tuttavia, qualcosa forse sta cambiando.   Da un lato, abbiamo infatti l’accumulo e la divulgazione di conoscenze scientifiche sempre maggiori al riguardo dei come e dei perché del disastro che si svolge sotto i nostri occhi.   Dall'altro assistiamo al diffondersi di movimenti religiosi di ispirazione “naturalista” come i citati druidi ed altri movimenti neo-pagani, senza dimenticare l’epocale svolta francescana voluta dall'attuale pontefice e l’attenzione all'ambiente del Patriarca di Costantinopoli.

Si tratta di una moda passeggera o dell’inizio di una nuova età nella storia del pensiero?   Lo sapranno i nostri discendenti fra un paio di secoli.   

lunedì 28 settembre 2015

I Limiti della Crescita nell'Unione Sovietica e in Russia: storia di un fallimento

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR



Qui sopra potete vedere la registrazione completa di una lezione del 2012 data a Mosca da Dennis Meadows, uno degli autori del rapporto sui “Limiti dello Sviluppo” del 1972. E' lungo, più di un'ora, se non avete il tempo di guardarlo tutto, vi suggerisco di andare al minuto 21 e guardare Dennis Meadows che mostra questo libro:



Si intitola “Unione Sovietica nel sistema globale”. Secondo Meadows, negli anni 80, Viktor Gelovani, primo autore del libro, ha adattato all'Unione Sovietica il modello del mondo usato per “I Limiti dello Sviluppo” e lo ha fatto girare, scoprendo che l'Unione Sovietica stava per collassare. Poi, Meadows dice “è andato dalla dirigenza del paese e ha detto: 'la mia previsione mostra che non avete alcuna possibilità. Dovete cambiare le vostre politiche'. E i dirigenti hanno detto: 'no, abbiamo un'altra possibilità: tu puoi cambiare la tua previsione'”. 

L'aneddoto di Meadows è di fatto confermato da Rindzevičiūtė, che ha scritto un eccellente articolo che racconta la storia completa. Viene fuori che non è vero che “I Limiti dello Sviluppo" è stato ignorato in Unione Sovietica, come potrebbe sembrare dai documenti disponibili in occidente. Lo studio dei “Limiti” è stato tradotto in russo, anche se è stato distribuito solo in circoli molti limitati (generando, a proposito, un florido mercato nero, come descrive a pagina 6 Rindzevičiūtė). Diversi scienziati sovietici conoscevano molto bene lo studio, avevano contatti coi loro autori e diversi di loro hanno fatto uno sforzo considerevole per avvertire la dirigenza dell'Unione che il sistema stava per collassare. Non hanno avuto un gran successo, come dice Meadows nella sua conferenza. 

Teoricamente, si può pensare che la dirigenza sovietica avrebbe potuto vedere “I Limiti dello Sviluppo” come uno strumento di pianificazione utile. In linea di principio, avevano alcuni modi di mettere in pratica le raccomandazioni ottenibili dai modelli per evitare il collasso. Ma così non è stato. La reazione della dirigenza sovietica è stata la stessa di quella dell'occidente. Sia i dirigenti sovietici che quelli occidentali erano del tutto legati al concetto di “crescita ad ogni costo” e refrattari ai cambiamenti. Quindi l'avvertimento è stato ignorato da entrambi i lati della cortina di ferro. 

Un altro elemento enormemente interessante di questa storia è il modo in cui mostra che il collasso sovietico è stato sistemico. E' stato causato dalle enormi spesi militari e burocratiche che il settore della produzione dell'economia non era in grado di sostenere. In altre parole, sembra chiaro che non è stato causato da Mishka Mecheny (il matto Gorbaciov) o da un piano malvagio dei servizi segreti occidentali (anche se entrambi potrebbero aver giocato un ruolo). Nel complesso, qui abbiamo una conferma notevole della forza predittiva della modellazione del mondo: negli anni 80 è riuscita a prevedere il collasso di un grosso pezzo dell'economia mondiale. Un altro pezzo, persino più grande, sta collassando in questo momento. 

Un ulteriore punto interessante proviene dall'esaminare se l'attuale dirigenza russa ha imparato qualcosa dall'esperienza della vecchia Unione Sovietica. Apparentemente no, perché oggi non sembra esistere un dibattito serio sull'esaurimento dei minerali in Russia. La maggior parte dei russi sembra essere convinta che le loro risorse minerali siano abbondanti e di potervi attingere a volontà nel prossimo futuro. Quindi, l'esaurimento non è un problema di cui si devono preoccupare. 

La conferenza di meadow conferma questa impressione. Anche senza fare attenzione a quello che dice Meadows, guardate le facce e la postura del corpo dei giovani fra il pubblico – vengono di tanto in tanto mostrati nel video. Posso dirvi che negli anni ho sviluppato un certo livello di capacità telepatiche nel comprendere i sentimenti del pubblico. E vi posso dire che gran parte degli studenti che ascoltano Meadows non gli credono affatto – o così sembra a me (anche una mia amica russa ha detto che questo è stata “la conferenza più noiosa che abbia mai sentito”). Notate anche le domande sciocche e marginali che gli studenti hanno posto a Meadows alla fine della conferenza. Lui gli ha raccontato dell'arrivo della fine del mondo e loro gli chiedono se è conveniente investire nelle società che producono acqua... Ma dai!

Ma la mancanza di comprensione dei limiti della crescita in Russia non è niente di speciale. E' la regola in tutto il mondo. In più, la Russia in questo momento è in piena modalità di emergenza e la principale priorità dei russi è quella di salvare la loro economia dagli attacchi esterni. Non si possono biasimare se non hanno (e, probabilmente, non ne hanno bisogno) il gruppo di Cassandre che abbiamo in occidente, gente con i capelli bianchi che continua a raccontare cose oscure e terribili in arrivo e che nessuno ascolta. 

Con o senza Cassandre, la situazione in Russia potrebbe non essere così male. Dmitry Orlov ha descritto in che modo l'economia sovietica fosse meglio attrezzata dell'economia di mercato dell'occidente per adattarsi e sopravvivere al tipo di collasso sistemico descritto da “I Limiti dello Sviluppo”. Le stesse considerazioni potrebbero valere per l'attuale sistema russo. Quindi il futuro, come sempre, è opaco, ma se mi chiedete quale sarà la prossima economia a collassare, non scommetterei che sarà quella russa.



domenica 27 settembre 2015

Ora siamo tutti cinesi: il dilemma dell'apocalisse ecologica

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR

Stavo rileggendo la valutazione rivelatrice di Richard Smith dell'attuale situazione politica, economica ed ecologica cinese (L'apocalisse ecologica comunista-capitalista della Cina) recentemente pubblicata da Truth-Out.org. Raccomando caldamente di leggere l'intero articolo.

Mentre il dilemma descritto da Smith in Cina è dichiaratamente più estremo di quanto sta accadendo nel mondo occidentale industrializzato (perlomeno per adesso...), le due situazioni sono sorprendentemente congruenti nei loro tratti più generali. Infatti, alcune delle analisi sono valide per gli Stati Uniti e il resto del mondo sviluppato praticamente parola per parola, solo cambiando il nome del soggetto.

Questa analogia implica che le considerazioni dell'articolo potrebbero essere un modello utile per pensare a cosa servirebbe per tirar fuori gli Stati Uniti così come la Cina – e, per estensione, tutto il mondo – dal loro attuale carico sul burrone ecologico. Questo esame potrebbe rendere più chiaro ciò che ci possiamo e non possiamo realisticamente aspettare nel tempo che ci rimane prima che i raccolti comincino a mancare sul serio.

Nel resto di questa nota ho estratto alcuni dei punti salienti dell'argomentazione di Richard Smith e le ho leggermente modificate per metterle in un contesto globale. Le mie modifiche sono in corsivo. Ho cercato di cambiare il testo originale il meno possibile, principalmente sostituendo “il mondo” ai riferimenti originali alla Cina. Confido che Smith troverà la mia parafrasi accettabile sotto il cappello delle disposizioni di “uso giusto” del diritto d'autore.

Mi sono fatto le mie opinioni sulla probabilità che tali cambiamenti avvengano realmente e potete probabilmente indovinare quali siano.

"Gli scienziati del clima ci dicono che, date tutte le promesse non mantenute fino a questo momento, la marcia indietro e l'aumento delle emissioni di biossido di carbonio, ora siamo di fronte ad una “emergenza climatica”. Con le attuali tendenze ci troviamo in rotta per un riscaldamento di 4-6°C prima della fine di questo secolo: se non sopprimiamo radicalmente la combustione di combustibili fossili nei prossimi decenni per mantenere il riscaldamento al di sotto della soglia dei 2°C, il riscaldamento planetario accelererà oltre ogni possibilità umana di fermarlo ed il collasso ecologico globale sarà inevitabile. Per avere una possibilità di restare al di sotto dei 2°C, le nazioni industrializzate e la Cina devono tagliare le emissioni dal 40 al 70% globalmente entro il 2050 rispetto a quelle del 2010, cosa che richiederebbe tagli nell'ordine del 6-10% all'anno. La Cina dovrebbe tagliare le sue emissioni industriali dal 30 al 90% rispetto a quelle del 2010, la variazione dipende dai tassi di crescita attesi e da altre ipotesi. 
Il solo modo in cui il mondo potrebbe sopprimere le sue emissioni di gas serra di qualcosa di vagamente simile a quella quantità sarebbe quello di imporre una contrazione economica drastica e a tutto campo, compresi ridimensionamenti e chiusure di gran parte delle industrie che sono state costruite negli ultimi tre decenni di mania di mercato. Sono certo che questo suoni estremo, se non completamente folle. Ma non vedo quale altra conclusione possiamo trarre dalla scienza. Il lato positivo, come ho esaminato sopra, visto che lo spreco di così tante delle risorse e dell'inquinamento del mondo sono semplicemente e completamente non necessari e dannosi, ciò che sembra un'estrema austerità potrebbe dimostrarsi proprio l'opposto: una liberazione, un passo verso quello “stile di vita migliore”. Un tale piano di emergenza dovrebbe comprendere perlomeno gli elementi seguenti: 

  • Chiudere tutte le centrali a carbone tranne quelle essenziali, necessarie come misura temporanea per mantenere le luci e il riscaldamento accesi ed i servizi pubblici essenziali operativi finché le sostituzioni rinnovabili non possano essere messe in servizio. Abbandonare i progetti di gassificazione del carbone ed eliminare gradualmente le centrali alimentate da petrolio e gas il più rapidamente possibile. Forzare una rapida transizione a fonti rinnovabili di energia come eolico, idroelettrico e solare ma con l'obbiettivo di produrre molta meno energia complessivamente, una quantità più vicina a quella che il mondo produceva nei primi anni 80, prima del boom di industrializzazione alimentato dal mercato. Gli Stati Uniti ed altri paesi sviluppati devono essere obbligati a fornire un'assistenza tecnica e materiale estesa per facilitare questa transizione. 
  • Chiudere gran parte dell'industria dell'auto. Questa industria è solo un totale spreco di risorse e costituisce il secondo contributo al riscaldamento globale. La maggior parte del trasporto pubblico dovrà tornare a bici, bus, treni e metropolitane – fondamentalmente una versione modernizzata ed estesa di ciò che i cinesi avevano nei primi anni 80 prima della mania dell'auto. Ma l'aria sarà più pulita, i trasporti più rapidi, le persone saranno più sane e verranno conservate risorse immense.
  • Chiudere gran parte delle industrie esportatrici costiere. Gran parte delle industrie esportatrici costiere del mondo sono orientate alla produzione di prodotti usa e getta insostenibili, come osservato in precedenza. Non c'è semplicemente nessun modo di avere un'economia sostenibile da nessuna parte se non aboliamo le industrie del consumo ripetitivo usa e getta nel mondo. 
  • Ridimensionare o chiudere l'aviazione, le spedizioni via mare ed altre industrie dei trasporti ridondanti ed insostenibili. Abbandonare l'inutile progetto del “superpotere dell'aviazione”. Abbandonare l'ulteriore espansione della rete di treni ad alta velocità. Il mondo ha già costruito più aerei, treni e metropolitane di quanto abbia bisogno secondo un qualsiasi conto delle necessità. La stessa cosa vale per l'industria delle costruzioni navali, gran parte della quale è orientata alla costruzione di navi container e grandi navi. Quest'industria dev'essere drasticamente ridotta, le importazioni ed esportazioni del mondo declinano con la contrazione industriale. 
  • Chiudere gran parte dell'industria delle costruzioni. Persino con l'enorme popolazione mondiale, il pianeta è eccessivamente sovra-costruito e disseminato di edifici, appartamenti, autostrade, ponti aeroporti, ecc. inutili e superflui. Alcuni di questi possono essere riconvertiti. Alcuni devono essere demoliti e le terre ritrasformate in terreni agricoli, zone umide, parchi o ad altri usi benefici. 
  • Abbandonare la spinta all'urbanizzazione e promuovere attivamente la ri-ruralizzazione. La vita urbana ha i suoi vantaggi ma i residenti urbani consumano diverse volte tanto l'energia e le risorse naturali e generano diverse volte tanto l'inquinamento rispetto alle famiglie rurali. Inoltre, gran parte delle centinaia di milioni di persone che sono state spostate verso le città negli ultimi tre decenni non ci sono andate volontariamente, sono state costrette ad andarsene dalle loro fattorie dall'accaparramento di terre, con profitto dei funzionari locali. A questi ex agricoltori che desiderano tornare alla terra deve essere permesso di farlo. Non c'è alcuna legge della natura che dice che le famiglie agricole devono essere povere. Nel mondo di oggi, le famiglie di agricoltori con terra e tecnologia adeguate, che possono vendere i propri prodotti di modo da non essere derubati da intermediari e che non siano sotto il giogo di banche, padroni o padroni di stato, possono passarsela molto bene. I piccoli contadini del mondo sono poveri perché lo stato e delle multinazionali li hanno strizzati per sovvenzionare l'industrializzazione. Il modo migliore per alzare gli standard di vita rurali è dar loro sicurezza nelle loro fattorie e pagar loro prezzi giusti per i loro prodotti. 
  • Abbandonare la colonizzazione di saccheggio imperiale sul mondo in via di sviluppo. Se i governi mondiali abbandonano le loro strategie di sviluppo basate sul mercato, non avrebbero alcun “bisogno” di saccheggiare le risorse naturali del mondo in via di sviluppo. Quelle persone possono essere lasciate in pace a sviluppare il proprio ritmo e in accordo coi propri limiti ecologici. E dopo aver distrutto una così grande parte del loro ambiente, le nazioni industrializzate devono loro un po' di aiuto. 
  • Lanciare un piano globale di emergenza per il risanamento ambientale e il ripristino della salute pubblica. Gli esperti di ambiente e di salute pubblica hanno fatto appello per un piano complessivo integrato per affrontare i problemi ambientali e di salute pubblica del mondo. Gli esperti dicono che ci potrebbero volere generazioni per ripristinare le terre agricole, i fiumi ed i laghi del mondo ad un livello di salute biologica tollerabile, anche se, come osservato sopra, in alcuni posti ciò potrebbe essere impossibile. Una parte significativa dei costi di questa bonifica dovrebbero anche essere portati dalle nazioni occidentali, le cui aziende hanno cinicamente contribuito a questo inquinamento delocalizzando le loro industrie più sporche nel mondo in via di sviluppo.
  • Lanciare un programma nazionale per l'occupazione. Se il mondo dovrà chiudere così tanta della sua economia industriale per frenare la corsa verso il collasso ecologico, allora dovrà trovare o creare nuovi lavori per tutti quei lavoratori disoccupati. (…) Ma aria irrespirabile, acqua imbevibile, cibo non sano, terre agricole inquinate, epidemia di cancro, aumento delle temperature e del livello dei mari lungo le regioni costiere sono problemi più grandi. Così non c'è proprio modo di aggirare questa verità molto scomoda. Il fatto di fare robaccia deve finire. Fermando queste produzioni renderà disoccupati un gran numero di lavoratori e per loro devono essere trovati o creati altri lavori non distruttivi e a basso tenore di carbonio. Per fortuna, non c'è carenza di altri lavori socialmente ed ambientalmente utili da fare: bonifica ambientale, riforestazione, transizione ad agricoltura biologica, transizione all'energia rinnovabile, ricostruzione ed allargamento dei servizi sociali pubblici, ricostruzione delle reti di sicurezza sociale e molto altro. 
Pan Yue è stato di sicuro premonitore: il miracolo cinese (e, per esteso, il miracolo economico globale dell'ultimo secolo) è giunto alla fine perché l'ambiente non può più tenere il passo. La domanda è: il mondo può trovare un modo per afferrare i freni e portare questa locomotiva a fermarsi prima che scagli la civiltà dal burrone?  
Rivoluzione o collasso?
Una cosa è certa: questa locomotiva non verrà fermata finché l'alleanza empia fra le multinazionali e i loro politici ammaestrati ha le mani sui controlli. Il mondo è incastrato in una spirale di morte. Non riesce a tenere a freno il vorace consumo di risorse e l'inquinamento suicida perché, data la sua dipendenza dal mercato per generare nuovi posti di lavoro, deve dare priorità alla crescita rispetto all'ambiente, come fanno i governi ovunque. Finché questo assetto strutturale di fondo calasse/proprietà rimane effettivo, nessuna “guerra all'inquinamento” o “guerra alla corruzione” cambierà questo sistema o interromperà la traiettoria del mondo verso il collasso ecologico. Dato il precedente, non vedo proprio come la spirale del mondo verso il collasso possa essere invertita a meno di una rivoluzione sociale.  
Chi lo sa quale scintilla accenderà la prossima esplosione sociale?"

Post Data del traduttore: sfugge sempre ai più che tra le due, rivoluzione o collasso, ce ne potrebbe essere una terza, più difficile, anche più improbabile, ma sicuramente più efficace e duratura: l'evoluzione.  



sabato 26 settembre 2015

Gli errori dei "contraristi" climatici

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Un nuovo articolo scopre errori comuni fra il 3% dei lavori scientifici climatici che rifiutano il consenso sul riscaldamento globale. 


Galileo mentre dimostra le sue teorie astronomiche. I "contraristi" (dall'inglese "contrarian") climatici non hanno praticamente niente in comune con Galileo. Foto: Tarker/Tarker/Corbis

Di Dana Nuccitelli

Coloro che rifiutano il 97% del consenso fra gli esperti sul riscaldamento globale antropogenico spesso invocano Galileo come esempio di quando una minoranza scientifica ha rovesciato la visione dominante. In realtà, i "contraristi" climatici (dall'inglese "contrarians") non hanno quasi niente in comune con Galileo, le cui conclusioni erano basate su prove scientifiche empiriche, sostenute da molti contemporanei scientifici e perseguitato dall'establishment politico-religioso. Ciononostante, c'è una debole possibilità che la minoranza del 2-3% abbia ragione e il consenso climatico del 97% torto. Per valutare quella possibilità, un nuovo articolo pubblicato su Journal of Theoretical and Applied Climatology esamina una selezione della ricerca climatica contraristae tenta di riprodurre i loro risultati. L'idea è che la ricerca scientifica veritiera debba essere riproducibile e tramite la riproduzione possiamo anche identificare qualsiasi errore metodologico in quella ricerca. Lo studio cerca anche di rispondere alla domanda perché questi saggi contrari giungono a conclusioni diverse rispetto al 97% della letteratura scientifica climatica?

Questo nuovo studio è stato condotto da Rasmus Benestad, me (Dana Nuccitelli), Stephan Lewandowsky, Katharine Hayhoe, Hans Olav Hygen, Rob van Dorland e John Cook. Benestad (che ha fatto la parte del leone nel lavoro di questo articolo) ha creato uno strumento usando il linguaggio di programmazione R per riprodurre i risultati e i metodi usati in alcuni degli articoli che rifiutano il consenso degli esperti sul riscaldamento cui si fa spesso riferimento. Usando questo strumento, abbiamo scoperto alcune cose in comune fra gli articoli di ricerca contraristi. Il Cherry picking è stata una caratteristica molto comune che hanno condiviso. Abbiamo scoperto che molti articoli contraristi hanno omesso informazioni contestuali importanti o ignorato dati chiave che non si adattavano alle conclusioni della ricerca. Per esempio, nella discussione di un lavoro del 2011 di Humlum et al. nel nostro materiale supplementare osserviamo,
Il cuore dell'analisi portata a termine [Humlum et al.] comportava l'adattamento alla curva basata su wavelet, con una vaga idea che la luna e i cicli solari in qualche modo possano condizionare il clima della Terra. Il problema più grave dell'articolo, tuttavia, era che ha scartato una grande frazione di dati dell'Olocene che non si adattavano alle loro dichiarazioni. 
Quando abbiamo provato a riprodurre il loro modello dell'influenza lunare e solare sul clima, abbiamo scoperto che il modello simulava  i loro dati della temperatura in modo ragionevolmente preciso soltanto per il periodo di 4.000 anni che hanno considerato. Tuttavia, per i dati che valgono per i 6.000 anni precedenti, che hanno buttato via, il loro modello non era in grado di riprodurre i cambiamenti di temperatura. Ma non c'è motivo di fidarsi della previsione di un modello se questo non è in grado di riprodurre con precisione il passato.

Abbiamo scoperto che l'approccio del “adattamento della curva” dell'articolo di Humlum è un altro tema comune della ricerca climatica contrarista. L''adattamento della curva' descrive prendendo alcune variabili diverse, di solito con cicli regolari, allungandole finché la combinazione non combaci con una data curva (in questo caso, quella dei dati della temperatura). E' una pratica di cui parlo nel mio libro e della quale il matematico John von Neumann una volta ha detto,
Con quattro parametri posso misurare un elefante e con cinque posso fargli muovere la proboscide.
La buona modellazione limiterà i valori possibili dei parametri usati, così che questi riflettano la fisica conosciuta, ma un cattivo 'adattamento della curva' non limita sé stesso alle realtà fisiche. Per esempio, discutiamo la ricerca di Nicola Scafetta e Craig Loehle, che spesso pubblicano saggi che cercano di dare la colpa del riscaldamento globale ai cicli orbitali di Giove e Saturno. Questa argomentazione particolare mostra anche una chiara mancanza di fisica plausibile, che è stata un tema comune che abbiamo identificato nella ricerca climatica contraria. In un altro esempio, Ferenc Miskolczi sosteneva, in degli articoli del 2007 e del 2010, che l'effetto serra è diventato saturo, ma come anch'io dico nel mio libro, il mito dell''effetto serra saturato" è stato sfatato all'inizio del XX secolo. Come osserviamo nel materiale supplementare del nostro saggio, Miskolczi ha omesso una parte importante della fisica conosciuta per ridare vita a questo mito secolare. Ciò rappresenta solo una piccola parte dei studi contrari e delle metodologie errate che abbiamo identificato nel nostro saggio.

Abbiamo esaminato 38 articoli in tutto. Come osserviamo, lo stesso approccio di replicazione potrebbe essere applicato agli articoli che sono coerenti col consenso degli esperti sul riscaldamento globale antropogenico e, indubitabilmente, alcuni errori metodologici verrebbero scoperti. Tuttavia, questi tipi di errori erano la norma, non l'eccezione, fra gli articoli contraristi che abbiamo esaminato. Come l'autore principale Rasmus Benestad ha scritto,
abbiamo deliberatamente scelto una selezione mirata per scoprire perché avessero ottenuto risposte così diverse e il modo più facile per farlo era quello di scegliere i lavori contraristi più visibili... La nostra ipotesi era che i saggi contraristi scelti fossero validi ed il nostro approccio era quello di falsificare questa ipotesi ripetendo il lavoro con occhio critico. 
Se potevamo trovare errori o debolezze, allora eravamo in grado di spiegare perché i risultati fossero diversi dal mainstream. Altrimenti, le differenze sarebbero la conseguenza di una vera incertezza.
Dopo tutto ciò, le conclusioni sono state sorprendentemente non sorprendenti per me. La replicazione ha rivelato un'ampia gamma di tipologie di errori, difetti ed imperfezioni che coinvolgevano sia la statistica sia la fisica.  

Potreste aver notato un'altra caratteristica della ricerca climatica contrarista – non c'è una teoria alternativa coesa e coerente al riscaldamento globale antropogenico. Alcuni danno la colpa del riscaldamento globale al sole, altri ai cicli orbitali di altri pianeti, altri ai cicli oceanici e così via. C'è un 97% di consenso degli esperti su una teoria coesa che è sostenuta in modo schiacciante dalle prove scientifiche, ma il 2-3% dei saggi che rifiutano quel consenso sono del tutto sconclusionati, persino in contraddizione fra di loro. La sola cosa che sembrano avere in comune sono gli errori metodologici come il cherry picking, l'adattamento delle curve, l'ignorare dati scomodi e il trascurare la fisica conosciuta. Se mai qualcuno dei bastian contrari fosse un Galileo dei giorni nostri, presenterebbe una teoria supportata dalle prove scientifiche e non una basata su errori metodologici. Una tale solida teoria convincerebbe gli esperti scientifici e comincerebbe a formarsi un consenso. Invece, come mostra il nostro saggio, i contraristi hanno presentato una varietà di alternative contraddittorie basate su errori metodologici, che pertanto non hanno convinto gli esperti scientifici. La teoria del riscaldamento globale antropogenico è la sola eccezione. E' basata su prove scientifiche schiaccianti e coerenti e pertanto ha convinto oltre il 97% degli esperti scientifici che è giusta.



La Risultante

Guest post di Gianni Tiziano




Immaginiamo un grande prato, con l'erba bassa.

Al suo centro, una donna, in piedi.

Alla sua vita, una cintura.

A questa cintura, lungo tutta la sua circonferenza, sono attaccate tante corde colorate di varia lunghezza, al cui capo sono altre donne, disposte a formare un cerchio, che tirano.

Ogni donna che tira ha forza diversa dalle altre donne.

La donna al centro si sposterà in una direzione che sarà determinata dalle varie forze nelle varie direzioni applicate alla sua cintura, supponendo che lei non opponga forza propria alcuna.

Questa è la RISULTANTE.
.----
Sostituiamo la donna con la mente di un singolo essere umano, uno dei 7 miliardi e 300 milioni che popolano il pianeta Terra.

La sua mente prenderà le convinzioni e le decisioni come risultante di tutte le forze applicate ad essa.

Tali forze sono soggettive in ogni individuo, e possono essere:

.- la fame
.- la sete
.- l'amore per i figli
.- il bisogno di soldi
.- il bisogno di lavorare
.- il bisogno di una casa
.- la voglia di divertimento
.- la voglia di stare sereni
.- le credenze derivanti dalla religione
.- le credenze derivanti dall'istruzione ricevuta da scuola e genitori
.- le credenze derivanti da letture di libri, visione di documentari e film, partecipazione a dibattiti e seminari, a blog
.- eccetera

I divulgatori del problema del Cambiamento Climatico (scienziati ed altri), applicano poca forza sulla mente della maggioranza dei singoli individui.

La Stampa e la Televisione potrebbero avere grandissima forza divulgativa circa i pericoli derivanti dal Cambiamento Climatico, ma la mente di chi ci lavora ha delle forze che l' inducono a non occuparsene.


La politica tende a non occuparsene perchè è un argomento scomodo da trattare e a quasi tutti i personaggi politici interessa altro (secondo me si salva un solo movimento, in Italia).

Allora ?

Col BAU (Business As Usual, Sistema Vigente), ci siamo infilati in un vicolo cieco alla fine del quale c'è un muro terribile contro cui ci schianteremo (secondo me prima del 2100 d.C.).

Allora ?

SIAMO FREGATI.

Allora ?