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giovedì 13 aprile 2023

Le dieci migliori previsioni a lungo termine della storia

 



Sopra: Ugo Bardi utilizza tecniche di previsione altamente sofisticate. 


Le profezie hanno spesso la cattiva fama di finire con un fallimento, come ho descritto in un post precedente , dove ho elencato dieci delle peggiori previsioni della storia. Qui, cerco di fare il contrario: affrontare previsioni di successo. Nel lavorare a questo post, devo dire che non è stato facile mettere insieme 10 pronostici davvero riusciti. La storia è piena di falsi profeti, poveri previsori, stupidi estrapolatori, disastrosi impiccioni con codici informatici e altro ancora. Le previsioni davvero buone a lungo termine sono estremamente rare. I veggenti dell'antichità e i previsori dei nostri tempi hanno affrontato, e affrontano tuttora, lo stesso problema: se esiste qualcosa come "il futuro", è qualcosa con cui non possiamo fare esperimenti. Forse gli Dei vedono qualcosa che noi non possiamo vedere, ma se lo fanno, non condividono la loro conoscenza con noi.

Quindi, ecco l'elenco delle migliori profezie che ho trovato. Alcuni sono meno che impressionanti, lo so, ma è così che stanno le cose. Forse il segreto della profezia non è cercare di predire il futuro, ma essere preparati ad esso.


1. Seneca e il collasso . Intorno al 60 d.C., il filosofo romano Lucius Annaeus Seneca (4 d.C.-65 d.C.) scrisse che " La crescita è lenta, ma la via per la rovina è rapida ". Come previsione, era alquanto generica, ma non c'è dubbio che si è rivelato corretto molte volte nella storia. Valeva anche per lo stesso Seneca, colpito al culmine di una brillante carriera quando il suo ex allievo, l'imperatore Nerone, gli ordinò di suicidarsi, accusato di tradimento. Molto più tardi, l'osservazione di Seneca fu trasformata in una teoria matematica da Ugo Bardi che lo ha soprannominato "Effetto Seneca" e non c'è dubbio che possa essere applicato a una varietà di casi.

2. Yeshua ben Hananiah e la caduta di Gerusalemme . Flavio Giuseppe Flavio ( 37 d.C.- 100 d.C. ) scrisse il suo “ La guerra giudaica ” alcuni anni dopo la caduta di Gerusalemme, nel 70 d.C. Nel libro, riferisce di un residente di Gerusalemme dell'epoca, Yeshua ben Hanania, che,

... ogni giorno pronunciava queste lamentevoli parole, come se fosse il suo voto premeditato: "Guai, guai a Gerusalemme". Né disse offese a chi ogni giorno lo picchiava, né buone parole a chi gli dava da mangiare: ma questa era la sua risposta a tutti gli uomini; e in effetti nient'altro che un malinconico presagio di ciò che doveva venire.. . Fino al momento stesso in cui vide adempiersi sul serio il suo presagio nel nostro assedioInfatti, mentre girava intorno alle mura, gridava con tutta la sua forza: «Guai, guai ancora alla città, al popolo e alla santa casa». E proprio mentre aggiungeva alla fine: "Guai, guai anche a me stesso", una pietra uscì da una delle macchine Romane e lo colpì e lo uccise immediatamente. E mentre pronunciava gli stessi presagi, passò a miglior vita.

Yeshua aveva ragione: Gerusalemme cadde poco dopo che fu ucciso. Ma va detto che per chiunque avesse accesso ai bastioni, la visione di tre legioni romane accampate intorno alla città, equipaggiate con ogni genere di macchine d'assedio, deve aver reso questa previsione relativamente facile

3. Il crollo della popolazione umana . Il reverendo Malthus (1766 - 1834) è ben noto per il suo " Saggio sul principio della popolazione " dove fu il primo nella storia a notare che"La popolazione, se non controllata, aumenta in modo esponenziale." Ha poi continuato prevedendo che, nel tempo, la crescita della popolazione britannica sarebbe stata fermata da carestie, guerre, epidemie o una combinazione di questi fattori. La cosa curiosa è che Malthus è spesso citato come esempio di previsioni sbagliate , ma se guardi quello che ha scritto, noterete che non ha mai e poi mai detto che il disastro che stava vedendo nel futuro sarebbe avvenuto in qualche data specifica. Malthus era infatti profetico perché la popolazione umana è cresciuta esponenzialmente fino a tempi relativamente recenti. Come interverrà l'ecosistema per porre un limite a ciò è ancora da vedere, ma le profezie di Malthus sono probabilmente le più realistiche mai viste nella storia umana.

4. Il picco del carbone di Jevons.William Stanley Jevons (1835-1882) è stato uno degli economisti più brillanti della storia, riconosciuto per diverse idee chiave nella scienza economica. Era particolarmente bravo a comprendere i fenomeni dinamici, ad esempio sul fatto che i miglioramenti tecnologici che portano a una maggiore efficienza non portano le persone a ridurre il consumo di risorse naturali. È etichettato come "paradosso di Jevons" ma, se ci pensate, vedrete che non è affatto un paradosso. È solo che gli economisti moderni non hanno la visione che aveva Jevons. A proposito di previsioni, Jevons ha fatto centro con il suo libro " The Coal Question " ( 1866) dove ha esaminato la quantità limitata di risorse di carbone in Inghilterra. Sulla base dei dati che aveva, non poteva calcolare una scala temporale esatta, ma scrisse nel suo libro che sarebbe successo "entro un secolo dal tempo presente". In effetti, la produzione di carbone in Inghilterra raggiunse il picco intorno al 1920. Non una previsione esatta, ma rilevante che, come al solito, nessuno ha veramente capito. dati da Newsletter Aspo )



5. Jules Verne e gli uomini sulla Luna . Complessivamente i tentativi di previsione dello sviluppo delle nuove tecnologie andarono molto male ma, in alcuni casi, portarono a brillanti intuizioni. Uno fu quando Arthur C. Clarke propose i satelliti orbitanti come ripetitori per le telecomunicazioni, già nel 1945. Molto prima, nel 1865, Jules Verne (1828-1905) pubblicò un romanzo intitolato De la Terre à la Lune ( Dalla Terra alla Luna ) che fu forse la prima descrizione nella storia di un viaggio interplanetario fisicamente concepibile. Con la sua idea di un proiettile sparato da un lungo e potente cannone, Verne era più avanzato del suo giovane contemporaneo HG Wells, che mandò anche lui i suoi personaggi sulla Luna, ma fece loro usare un improbabile "specchio gravitazionale" chiamato cavorite. Naturalmente, in pratica, sarebbe impossibile sparare persone nello spazio usando un cannone, come descritto nel romanzo di Verne. Ma il vero viaggio sulla Luna è stato reso possibile dai missili che sono stati inizialmente sviluppati come armi che potrebbero avere una gittata maggiore rispetto all'artiglieria convenzionale. Oggi, il concetto di utilizzare un cannone ad alta potenza per inviare oggetti nell'orbita terrestre bassa è talvolta chiamato "Cannone di Verne", anche se non sembra che sia mai stato utilizzato nella pratica.

6. Svante Arrhenius e il riscaldamento globale. Svante Arrhenius ( 1859 – 1927) fu uno dei fondatori della chimica fisica moderna, gli fu assegnato il premio Nobel e ancora oggi le sue scoperte sono alla base della molti campi della chimica. Scienziato poliedrico che studiò anche la fisica dell'atmosfera, fu il primo, nel 1896, a notare il fenomeno che oggi chiamiamo "Effetto Serra". Ha scoperto che la temperatura media della superficie terrestre è di circa 15 C a causa della capacità di assorbimento dell'infrarosso del vapore acqueo e dell'anidride carbonica. Questo è chiamato effetto serra naturale. Arrhenius ha suggerito che un raddoppio della concentrazione di CO2 porterebbe a un aumento della temperatura di 5°C. Questo non è ancora avvenuto, ma è notevolmente vicino ai valori previsti dai moderni modelli climatici.

7. L'ascesa del fascismo negli Stati Uniti. Sinclair Lewis (1885 – 1951) pubblicò nel 1935 un romanzo intitolato " Non può succedere qui"Lewis ha immaginato l'ascesa di una figura populista che diventa presidente dopo aver fomentato la paura tra i cittadini e poi procede a imporre il fascismo negli Stati Uniti con l'aiuto di una spietata forza paramilitare. Era davvero profetico?

8. Picco del petrolio Il geologo americano Marion King Hubbert ha il merito di essere stata il primo a identificare le principali tendenze nella produzione energetica del 21° secolo, quasi 50 anni prima che che si arrivasse al picco. Nel suo articolo del 1956,  Energia nucleare e combustibili fossili, ha presentato la figura sottostante: un audace tentativo di collocare l'esperienza umana con l'energia su una scala di 10.000 anni. Ovviamente Hubbert era eccessivamente ottimista sull'energia nucleare che, in realtà, iniziò a declinare prima dei combustibili fossili. Ma, con questo grafico, Hubbert aveva delineato la situazione umana con diversi anni di anticipo rispetto a "The Limits to Growth" (1972). "Overshoot" di Catton (1980) e molti altri. La produzione di combustibili fossili non ha ancora raggiunto il suo picco, ma sembra molto vicina, quindi la previsione di Hubbert potrebbe essere stata ritardata di qualche decennio. Non molto su una scala di 10.000 anni!

9 Lo sterminio di tutte le creature non umane . Nel 1970 Isaac Asimov pubblicò un racconto intitolato " 2430 AD " in cui raccontava di come la popolazione umana della Terra si fosse espansa fino ad occupare l'intero spazio ecologico del pianeta. La storia parla dell'uccisione degli ultimi animali tenuti in uno zoo. Questo lascia la Terra nella "perfezione", con i suoi quindici trilioni di abitanti, venti miliardi di tonnellate di cervello umano e la "squisita nullità dell'uniformità". Non siamo ancora arrivati ​​a questo punto, ma la tendenza si sta chiaramente muovendo in quella direzione, con il numero di vertebrati selvatici dimezzato negli ultimi 40 anni circa. Se le cose continuano a muoversi al ritmo attuale, non avremo bisogno di aspettare il 2430 per vedere la scomparsa di tutti i vertebrati non umani. Per quanto riguarda la "squisita nullità dell'uniformità", potremmo essere piuttosto avanzati anche in questo.

10. I limiti alla crescita. Nel 1972 un gruppo di ricercatori del MIT di Boston pubblicò i risultati di uno studio che era stato patrocinato dal Club di Roma con il titolo " The Limits to Growth." Era un tentativo ambizioso di prevedere l'evoluzione del sistema economico globale su una scala temporale di oltre un secolo. Lo studio divenne famoso e fu subito rifiutato per aver previsto qualcosa che sembrava impossibile: la crescita economica mondiale si sarebbe arrestata e iniziare un declino irreversibile in un momento del 21° secolo.Secondo lo studio, i dati più affidabili indicano che l'inizio del declino potrebbe verificarsi in un momento prima del 2020. Oggi, nel 2020, sembra che la previsione fosse addirittura troppo buona!


Bonus 11a previsione (forse la migliore della storia!) . Robert A. Heinlein e l'epidemia extraterrestre. Nel 1951, Robert Heinlein pubblicò un romanzo intitolato " The Puppet Masters" dove ha descritto come la Terra era stata invasa da una razza di parassiti ("lumache") provenienti dallo spazio che infettavano e prendevano il controllo degli esseri umani. La presenza dei parassiti era rilevabile sulla pelle delle persone infette, quindi, per combattere l'infezione, il presidente e il congresso emanavano una legge che imponeva a tutti quanti di andare in giro nudi per dimostrare di non essere infetti. E tutti lo fanno senza protestare! Non esattamente quello che è successo con il COVID; ma abbastanza simile sotto certi aspetti. 

sabato 12 novembre 2022

Un limite alla crescita nella produzione alimentare – riflessioni sul suolo inteso come Olobionte


E se non fossimo in grado di aumentare ulteriormente la nostra produzione alimentare? Cosa mangeremo domani?

Di Thorsten Daubenfeld


Mentre stiamo celebrando il 50 ° anniversario dello studio "Limiti alla crescita", mi sono recentemente imbattuto nella domanda "come nutriremo il mondo nei prossimi anni?". Alcune persone potrebbero obiettare che abbiamo già scorte alimentari sufficienti, ma abbiamo solo bisogno di un sistema di distribuzione più efficace ed efficiente del cibo esistente. Tuttavia, già il tardo impero romano si è imbattuto in questa sfida e non è stato in grado di risolverla. Altri sostengono che abbiamo conoscenze sufficienti a nostra disposizione per aumentare ulteriormente la resa delle nostre colture (fertilizzanti, prodotti chimici per l'agricoltura, colture geneticamente modificate) e "la tecnologia risolverà il problema".

Come chimico fisico, amo i dati. E la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) fornisce molti dati su questo argomento. Insieme ad alcuni dei miei studenti, abbiamo deciso di approfondire questo argomento un po' più in dettaglio. La nostra ipotesi chiave è: esiste un chiaro limite alla crescita della produzione alimentare e diventa già visibile.

Per prima cosa abbiamo dato un'occhiata alle prime 40 colture (per quantità di produzione globale) e abbiamo tracciato la resa (in t/ha) per ciascun paese e ciascuno degli ultimi 60 anni. La maggior parte di essi mostrava uno schema simile a quello che abbiamo osservato per il grano (Fig. 1):


Fig. 1: Evoluzione della resa di frumento in t/ha, 1961 – 2020. I punti grigi rappresentano la resa di frumento per paese per il rispettivo anno, la linea arancione rappresenta la resa media globale (ponderata per area di produzione).

A livello globale, negli ultimi sei decenni abbiamo più che triplicato la resa media per ettaro. Quindi, osservando la linea arancione nella Fig. 1, possiamo sostenere che non vi è alcuna indicazione che la crescita della produzione alimentare possa rallentare. Ma ciò che potrebbe essere più interessante è che sembra esserci un massimo assoluto in quante tonnellate di grano si possono produrre per ettaro. Questo numero si aggira intorno alle 10 t/ha da oltre 20 anni. Nessun singolo paese, qualunque cosa facesse per massimizzare il proprio rendimento, qualunque tecnologia fosse a loro disposizione, è stato in grado di superare questo limite. Lo stesso schema può essere osservato per i pomodori, a mio avviso è ancora più impressionante (Fig. 2)

Fig. 2: Evoluzione della resa di pomodoro in t/ha, 1961 – 2020. I punti grigi rappresentano la resa di pomodoro per paese per il rispettivo anno, la linea arancione rappresenta la resa media globale (ponderata per area di produzione).


I Paesi Bassi sono stati in grado di aumentare enormemente la resa della produzione di pomodori coltivando pomodori in serra. Ma ancora, qualunque cosa loro (e altri) siano stati in grado di fare per mezzo della tecnologia: il limite biofisico per la produzione di pomodoro sembra essere di circa 500 tonnellate per ettaro. Nessuna singola contea è stata in grado di superare in modo sostenibile questo limite negli ultimi 30 anni. Nonostante i nostri celebri progressi tecnologici nel campo della genetica e dei prodotti agrochimici.

In tutte le prime 40 colture esaminate, non c'è un solo esempio che mostri segni di crescita (esponenziale), piuttosto una curva sigmoidale come per grano e pomodori che sembra avvicinarsi a un valore massimo. O nessuna crescita del rendimento.

Ora potremmo obiettare che dobbiamo solo imparare dai "paesi ad alto rendimento" e copiare la loro ricetta per il successo in altri paesi. Tuttavia, questo non è stato fatto, né per il grano né per i pomodori, né per nessuno degli altri primi 40 raccolti. Altrimenti, negli ultimi anni avremmo assistito a una crescita molto più ampia. Ma perché?

Guardando di nuovo i dati, abbiamo tracciato la resa per paese rispetto all'area di produzione della rispettiva contea e abbiamo ottenuto l'immagine mostrata in Fig. 3.

  

Fig. 3: Resa di grano per contea rapportata all'area di produzione. Ogni punto rappresenta la resa in t/ha per una contea e un anno (1961-2020).

Nella Fig. 3, vedete tutti i paesi e tutti i raccolti di grano per gli anni 1961-2020. Ovviamente, ciò significa che lo stesso paese viene mostrato più volte. Ma vedi uno schema che emerge: più ampia è la tua area di produzione, minore è la tua resa. E i “paesi a rendimento massimo” sono quelli con la zona di produzione più bassa. Questo modello è simile anche per altre colture e finora, il mio punto chiave sarebbe: non possiamo semplicemente "copiare" la ricetta dei paesi con il rendimento più alto nei paesi con l'area più alta. Per dirla semplicemente: le serre per pomodori potrebbero funzionare per un piccolo paese come i Paesi Bassi (910.000 tonnellate di produzione nel 2017). Ma copiare questo per la Cina (circa 60.000.000 di tonnellate di produzione nel 2017) significherebbe veramente tante (!) serre. 

C'è un'altra parte della storia che può essere soggettiva, ma fa parte di me come olobionte: quando penso ai pomodori, ricordo sempre alcuni giorni trascorsi nella casa di famiglia di un amico da qualche parte a ovest di Pescara (Italia) sulle colline del montagne abruzzesi. Coltivavano frutta e verdura nel loro orto e, nelle sere d'estate, cenavamo insieme fuori casa. Parte della cena erano i pomodori coltivati ​​in casa che erano molto più grandi di qualsiasi cosa avessi mai visto prima poiché una fetta di pomodoro era grande quanto le mie due mani. Accoppiato con olio d'oliva e sale marino, questo è stato uno dei cibi più deliziosi che abbia mai incontrato in vita mia. Si trattava di un pomodoro di un anno in cui l'Italia raccoglieva “solo” circa 52 t/ha. Nello stesso anno, i Paesi Bassi sono stati in grado di produrre più di 450 t/ha di pomodori. Ho anche mangiato molti pomodori dai Paesi Bassi. Ma nessuno di loro è stato in grado di evocare in me sentimenti così forti (olobionte?) come i grandi pomodori italiani della mia storia. Quindi, pensando alla resa e ai numeri dal punto di vista di un olobionte, c'è sicuramente di più nel cibo oltre alla semplice "ottimizzazione della resa".

Ma torniamo ai nostri numeri. Un'altra domanda che vorremmo indagare è come i paesi con alti rendimenti siano riusciti a ottenere quella crescita. La mia ipotesi è che la maggior parte di loro abbia aumentato l'uso di fertilizzanti, prodotti chimici per l'agricoltura o colture geneticamente modificate, che non sono sostenibili (ad esempio, stiamo finendo le miniere di fosfati ad alta concentrazione per avere fertilizzanti fosfatici sufficienti) e se le colture GM siano davvero un "progresso ” resta ancora da vedere. Dopo aver vissuto io stesso in una fattoria per più di 20 anni, avrei messo in dubbio questo. E ci si può anche chiedere se la tecnologia sia in grado di produrre i meravigliosi “pomodori d'Abruzzo”.

Allora, cosa ne pensate? Stiamo correndo verso un limite alla crescita del cibo? O sono troppo scettico? Qual è il “prezzo per la crescita” che paghiamo o pagheremo? Per quanto riguarda quest'ultima domanda, vorrei solo indicare la sfida dell'accumulo di uranio nelle acque sotterranee a causa dell'uso a lungo termine di fertilizzanti fosfatici.

Nel loro studio del 1972 "Limiti alla crescita", Meadows et al. guardavano principalmente all'accessibilità dei seminativi pensando ai limiti della produzione alimentare. Anche se questa è un'altra sfida importante, penso che dovremmo dare un'occhiata a ciò che stiamo realmente facendo quando "ottimizziamo" il rendimento. Tutte le colture devono essere coltivate nel terreno. E il suolo è un sistema molto complesso, forse anche un olobionte nella nostra comprensione. Sottoporre l'olobionte del suolo a uno stress permanente e crescente dovuto alla massimizzazione di una variabile di produzione (tonnellate di raccolto per ettaro) potrebbe non essere il modo più saggio per prendersi cura di questo sistema. 

  

Ringraziamenti: Thorsten ringrazia i suoi studenti Diana Carrasco e Mirijam Uhland per il loro contributo a questo lavoro.

venerdì 8 luglio 2022

Limits and Beyond: il messaggio di Dennis Meadows. Un commento al 3° capitolo

 





Ian Sutton continua a recensire sul suo blog i capitoli del nuovo report recentemente pubblicato al Club di Roma, "Limits and Beyond" ( Exapt Press 2022 )


Abbiamo rivisto i primi due capitoli del nuovo libro Limits and Beyond . Le recensioni possono essere trovate su The Yawning Gap (Capitolo 1) e No More Growth (Capitolo 2) . In questo post diamo uno sguardo al terzo capitolo, scritto da Dennis Meadows, coautore dell'originale "Limiti alla Crescita" (noto in Italia come "I Limiti dello Sviluppo). Il dottor Meadows riferisce di aver tenuto oltre mille presentazioni a un pubblico molto ampio. In questo capitolo l'autore riassume “19 delle domande, commenti e obiezioni più comuni” che ha ricevuto nel corso degli anni. Alcune delle sue intuizioni sono le seguenti:

  • Il modello World3 continua ad essere più utile dei “molti modelli avanzati dagli economisti che hanno confutato il nostro lavoro sin dalla sua prima pubblicazione”.
  • Distingue tra modelli fisici e sociali. Possiamo prevedere con certezza le eclissi solari o il punto di fusione del ghiaccio, ma non possiamo prevedere come agiranno gli esseri umani. Pertanto, il fatto che i computer moderni siano molto più potenti delle loro controparti del 1972 non è necessariamente più utile. (Gli ingegneri esprimono la stessa distinzione quando parlano della differenza tra precisione e accuratezza. "Quando hai una sciocchezza, non importa quanto la analizzi, è ancora una sciocchezza". Oppure, "Un ingegnere è qualcuno che moltiplica 2 per 2 su un regolo calcolatore, ottiene una risposta di 3,9 e approssima a 4”.)
  • “Il cambiamento climatico non era una preoccupazione seria 50 anni fa”. Il Dr. Meadows sostiene che il modello è comunque ancora valido perché "eliminarlo magicamente lascerebbe comunque altri gravi problemi". In altre parole, il cambiamento climatico non è una causa principale; invece è un sintomo di cause profonde più profonde.
  • La minaccia più grande è per il nostro tessuto sociale.
  • Conclude dicendo che il, “. rapporto non ha apportato cambiamenti distinguibili nelle politiche dei leader mondiali”. Tuttavia, ha influenzato il pensiero di molte persone.

Il fatto che il dottor Meadows abbia lavorato così duramente per trasmettere il messaggio di Limits to Growth è impressionante. La domanda rimane, tuttavia, "Perché tale comunicazione per lo più non è riuscita ad avere un impatto distinguibile sul corpo politico?"
Dennis Meadows Limiti alla Crescita
Dennis Meadows
La comunicazione è, ovviamente, un'arma a doppio taglio. Persone come il dottor Meadows parlano, ma altri devono ascoltare. E, come faccio notare in The Coffee Shop e Small Potatoes , la stragrande maggioranza delle persone non "capisce". Nella migliore delle ipotesi, vedono il cambiamento climatico solo come un problema tra i tanti. Forse hanno la sensazione che affrontare i limiti della crescita significhi fare sacrifici e la maggior parte delle persone non vuole andarci. 

Un messaggio che abbiamo sicuramente appreso che presentare semplicemente informazioni ben studiate non è sufficiente. È possibile che abbiamo bisogno di un qualche tipo di "punto di svolta sociale" come ho discusso in Necessario: un punto di svolta .

venerdì 3 dicembre 2021

Limitaristi e abbondantisti





Di Luca Pardi

Il dibattito tra limitaristi (Robeyns, 2017) e abbondantisti si trasforma periodicamente in quello tra catastrofisti e ottimisti-utopisti. I primi hanno una visione generalmente cupa della disponibilità futura di risorse mentre i secondi tendono a credere che fenomeni di penuria, sempre possibili per molte ragioni nel breve periodo, si siano rivelate inesistenti nel lungo periodo. I limitaristi- catastrofisti sono pessimisti anche per quanto riguarda la crisi ambientale e la sua rappresentazione paradigmatica: il cambiamento climatico. Gli ottimisti ribattono che il problema è amplificato da visioni ideologiche anticapitaliste e che una combinazione di tecnologia e politiche locali e globali ci trarrà dagli impicci, come è sempre avvenuto nella Storia. E il dibattito si ripete all'infinito!

C'è un Think Tank chiamato RethinkX che cerca di essere al di sopra o, meglio, più avanti di questo stallo ideologico. Essi sono sia catastrofisti che ottimisti con una fiducia sconfinata nella forza dell’innovazione tecnologica. In un crescendo di iperboli tecno-ottimistiche negli ultimi anni questo Think Tank ha pubblicato una serie di documenti su produzione di cibo, mobilità e trasporto, produzione di energia che raggiunge un apice nel loro ultimo documento Rethinking Humanity nel quale si spingono ad immaginare la seguente previsione:

Il sistema produttivo prevalente cambierà da un modello di estrazione e processo centralizzato di risorse scarse, che richiede grandi dimensioni per estensione e portata, a un modello di creazione localizzata a partire da elementi costitutivi illimitati e onnipresenti: un mondo costruito non su carbone, petrolio, acciaio, bestiame e cemento ma su fotoni, elettroni, DNA, molecole e (q)bit. [pagina 5]

Questa sorprendente dichiarazione riassume e amplifica i risultati dei loro precedenti documenti su cibo, energia e mobilità. Secondo RethinkX in ciascuno dei cinque principali settori produttivi della nostra civiltà globale: produzione di cibo ed energia, estrazione di materiali, mobilità/ trasporto e comunicazione/ informazione, si assisterà molto presto a un salto di almeno un ordine di grandezza in efficienza, grazie a una combinazione di (dirompente) innovazione shumpeteriana e ad una transizione culturale all'interno delle comunità locali. Tutto questo nell'arco di tempo da qui al 2035. Non male!

Ed è qui che si manifesta il lato catastrofista.

Il decennio che ci attende sarà turbolento, destabilizzato sia dalle innovazioni tecnologiche dirompenti che capovolgeranno le fondamenta dell'economia globale sia dagli shock sistemici dovuti a pandemie, conflitti geopolitici, disastri naturali, crisi finanziarie e disordini sociali che potrebbero portare a drammatici punti di svolta per l'umanità, incluse migrazioni e persino guerre. Di fronte a ogni nuova crisi saremo tentati di guardare indietro anziché avanti, scambiando ideologia e dogma con ragione e saggezza, scagliandoci gli uni contro gli altri invece di fidarsi l'uno dell'altro. Se teniamo duro, possiamo emergere insieme per creare la civiltà più ricca, più sana e più straordinaria della storia. Se non lo faremo, ci uniremo ai ranghi di ogni altra civiltà fallita lasciando agli storici futuri di risolverne l’enigma. I nostri figli ci ringrazieranno per aver portato loro un'Era di Libertà o ci malediranno per averli condannati a un'altra epoca oscura. La scelta è nostra. [pagina 6]

Non è esclusa una nuova era oscura, l'esito apparentemente tragico di una transizione non realizzata, dovrebbe spingerci ad agire ora. E questo “noi” non è un “noi” generico siamo proprio noi, voi che state leggendo questo post, così come me che lo sto scrivendo e coloro che, in genere, negli ultimi decenni si sono mostrati preoccupati per il destino dell'umanità e della civiltà. Le classi dirigenti in carica non sono incluse nel "noi", semplicemente non sono in grado di aiutare molto:

Le epoche buie non si verificano per mancanza di sole, ma per mancanza di leadership. È improbabile che i centri di potere consolidati, gli Stati Uniti, l'Europa o la Cina, svantaggiati da mentalità, convinzioni, interessi e istituzioni in carica, possano condurre la transizione. In un mondo globalmente competitivo, comunità, città o stati più piccoli, più affamati e più adattabili come Israele, Mumbai, Dubai, Singapore, Lagos, Shanghai, California o Seattle hanno maggiori probabilità di sviluppare un sistema organizzativo vincente.[pagina 6]

Insomma, non dicono che la salvezza ci sarà, ma che abbiamo i mezzi tecnici e le risorse umane per arrivarci. Si tratta di trovare i mezzi sociali e politici.

Il fatto che la tecnologia sia sempre fonte di nuovi problemi è una verità inutile ed è inutile lamentarsene. Togliere la tecnologia agli umani sarebbe come togliere le zanne ai leoni o il pungiglione alle vespe. Siamo così da prima che fossimo Homo sapiens. Cinque milioni di anni fa Homo habilis faceva già cose che i nostri cugini scimpanzé non possono fare. Gli umani devono seguire il loro percorso fino alla fine perché è il loro. Fortunatamente il percorso non è univoco e la nostra intelligenza deve applicarsi per capire quali percorsi appaiono meno traumatici. La cattiva notizia è che nessuno verrà a salvarci dall'esterno guidando la cavalleria, siamo soli.

Ma è davvero una cattiva notizia?





Robeyns, I., 2017. Wellbeing, freedom and social justice: the capability approach re-examined. OpenBook Publishers, Cambridge, UK.







lunedì 28 settembre 2015

I Limiti della Crescita nell'Unione Sovietica e in Russia: storia di un fallimento

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR



Qui sopra potete vedere la registrazione completa di una lezione del 2012 data a Mosca da Dennis Meadows, uno degli autori del rapporto sui “Limiti dello Sviluppo” del 1972. E' lungo, più di un'ora, se non avete il tempo di guardarlo tutto, vi suggerisco di andare al minuto 21 e guardare Dennis Meadows che mostra questo libro:



Si intitola “Unione Sovietica nel sistema globale”. Secondo Meadows, negli anni 80, Viktor Gelovani, primo autore del libro, ha adattato all'Unione Sovietica il modello del mondo usato per “I Limiti dello Sviluppo” e lo ha fatto girare, scoprendo che l'Unione Sovietica stava per collassare. Poi, Meadows dice “è andato dalla dirigenza del paese e ha detto: 'la mia previsione mostra che non avete alcuna possibilità. Dovete cambiare le vostre politiche'. E i dirigenti hanno detto: 'no, abbiamo un'altra possibilità: tu puoi cambiare la tua previsione'”. 

L'aneddoto di Meadows è di fatto confermato da Rindzevičiūtė, che ha scritto un eccellente articolo che racconta la storia completa. Viene fuori che non è vero che “I Limiti dello Sviluppo" è stato ignorato in Unione Sovietica, come potrebbe sembrare dai documenti disponibili in occidente. Lo studio dei “Limiti” è stato tradotto in russo, anche se è stato distribuito solo in circoli molti limitati (generando, a proposito, un florido mercato nero, come descrive a pagina 6 Rindzevičiūtė). Diversi scienziati sovietici conoscevano molto bene lo studio, avevano contatti coi loro autori e diversi di loro hanno fatto uno sforzo considerevole per avvertire la dirigenza dell'Unione che il sistema stava per collassare. Non hanno avuto un gran successo, come dice Meadows nella sua conferenza. 

Teoricamente, si può pensare che la dirigenza sovietica avrebbe potuto vedere “I Limiti dello Sviluppo” come uno strumento di pianificazione utile. In linea di principio, avevano alcuni modi di mettere in pratica le raccomandazioni ottenibili dai modelli per evitare il collasso. Ma così non è stato. La reazione della dirigenza sovietica è stata la stessa di quella dell'occidente. Sia i dirigenti sovietici che quelli occidentali erano del tutto legati al concetto di “crescita ad ogni costo” e refrattari ai cambiamenti. Quindi l'avvertimento è stato ignorato da entrambi i lati della cortina di ferro. 

Un altro elemento enormemente interessante di questa storia è il modo in cui mostra che il collasso sovietico è stato sistemico. E' stato causato dalle enormi spesi militari e burocratiche che il settore della produzione dell'economia non era in grado di sostenere. In altre parole, sembra chiaro che non è stato causato da Mishka Mecheny (il matto Gorbaciov) o da un piano malvagio dei servizi segreti occidentali (anche se entrambi potrebbero aver giocato un ruolo). Nel complesso, qui abbiamo una conferma notevole della forza predittiva della modellazione del mondo: negli anni 80 è riuscita a prevedere il collasso di un grosso pezzo dell'economia mondiale. Un altro pezzo, persino più grande, sta collassando in questo momento. 

Un ulteriore punto interessante proviene dall'esaminare se l'attuale dirigenza russa ha imparato qualcosa dall'esperienza della vecchia Unione Sovietica. Apparentemente no, perché oggi non sembra esistere un dibattito serio sull'esaurimento dei minerali in Russia. La maggior parte dei russi sembra essere convinta che le loro risorse minerali siano abbondanti e di potervi attingere a volontà nel prossimo futuro. Quindi, l'esaurimento non è un problema di cui si devono preoccupare. 

La conferenza di meadow conferma questa impressione. Anche senza fare attenzione a quello che dice Meadows, guardate le facce e la postura del corpo dei giovani fra il pubblico – vengono di tanto in tanto mostrati nel video. Posso dirvi che negli anni ho sviluppato un certo livello di capacità telepatiche nel comprendere i sentimenti del pubblico. E vi posso dire che gran parte degli studenti che ascoltano Meadows non gli credono affatto – o così sembra a me (anche una mia amica russa ha detto che questo è stata “la conferenza più noiosa che abbia mai sentito”). Notate anche le domande sciocche e marginali che gli studenti hanno posto a Meadows alla fine della conferenza. Lui gli ha raccontato dell'arrivo della fine del mondo e loro gli chiedono se è conveniente investire nelle società che producono acqua... Ma dai!

Ma la mancanza di comprensione dei limiti della crescita in Russia non è niente di speciale. E' la regola in tutto il mondo. In più, la Russia in questo momento è in piena modalità di emergenza e la principale priorità dei russi è quella di salvare la loro economia dagli attacchi esterni. Non si possono biasimare se non hanno (e, probabilmente, non ne hanno bisogno) il gruppo di Cassandre che abbiamo in occidente, gente con i capelli bianchi che continua a raccontare cose oscure e terribili in arrivo e che nessuno ascolta. 

Con o senza Cassandre, la situazione in Russia potrebbe non essere così male. Dmitry Orlov ha descritto in che modo l'economia sovietica fosse meglio attrezzata dell'economia di mercato dell'occidente per adattarsi e sopravvivere al tipo di collasso sistemico descritto da “I Limiti dello Sviluppo”. Le stesse considerazioni potrebbero valere per l'attuale sistema russo. Quindi il futuro, come sempre, è opaco, ma se mi chiedete quale sarà la prossima economia a collassare, non scommetterei che sarà quella russa.



mercoledì 10 giugno 2015

Pensieri sul futuro: estinzione per la specie umana?


Di Giorgio Nebbia (nebbia@quipo.it)


Poche cose hanno attirato l’interesse degli esseri umani come l’interrogarsi sul futuro: quanti abitanti può “sostenere” il nostro pianeta ? ci sarà cibo e acqua e energia per tutti ?

Come è ben noto, una popolazione di esseri viventi animali, e quella umana è una di queste, vive ricavando dall’ambiente dei beni materiali, alcuni rinnovabili come l’acqua o i vegetali, altri non rinnovabili, come il carbone, altri trasformati dalla “tecnica”. Per il principio di conservazione della massa e dell’energia tutto quanto “entra” in un processo, come quello vitale, esce nella stessa quantità ma “degradato”, non più utilizzabile come tale, sia energia, o gas, o acciaio e carta, eccetera, e addirittura sotto forma di scorie dannose per l’ambiente.

Dal momento che, nel caso del pianeta Terra, l’ambiente è fisicamente limitato, a mano a mano che aumenta la popolazione, diminuisce la quantità di beni disponibili e peggiora la “qualità” dell’ambiente stesso. Tutte i discorsi sull’ecologia, la decrescita, eccetera, hanno la loro base nelle leggi della vita che si studiano nei corsi di biologia nel capitolo sulla dinamica delle popolazioni, elaborata negli anni trenta del Novecento dagli studiosi Lotka, Volterra, Kostitzin, Gause.

Tali leggi spiegano che, in un ambiente di dimensioni limitate, il numero degli individui di una popolazione dapprima cresce rapidamente, quando sono abbondanti cibo e spazio; a poco a poco tale numero cresce più lentamente (cioè diminuisce il tasso di crescita percentuale annuo). Il rallentamento della crescita di una popolazione vivente è direttamente proporzionale alla diminuzione della massa di beni materiali disponibili, dovuta alla sottrazione delle risorse naturali dall’ambiente, e alla conseguente crescita della massa di rifiuti tossici immessi nell’ambiente.

Il tasso di crescita r di una popolazione P diminuisce, quindi, a mano a mano che diminuisce la massa dei beni disponibili K, e che cresce l’intossicazione dell’ambiente, espressa da un termine a∫Pdt che dipende dal numero di individui che hanno occupato in passato tale ambiente, moltiplicato per un coefficiente a corrispondente all’inquinamento lasciato da ciascuno di loro:

dP/dt = rP [1 – P/K – a∫Pdt]

Questa equazione integrodifferenziale è stata proposta nel 1934 dal grande matematico Vito Volterra. L’intera storia è raccontata nel libro di Umberto D’Ancona, “La lotta per l’esistenza”, Torino, Einaudi, 1940, che riassume il lavoro di Volterra e quello di Vladimir Kostitzin, il quale ha approfondito lo stesso problema negli stessi anni.

Naturalmente anche la disponibilità di risorse K è funzione della popolazione P proprio come lo è il degrado ambientale qui schematizzato come “inquinamento”. E anche l’intossicazione ambientale dipende dalla capacità della natura di assorbire le sostanze generate dalle attività umane e diminuisce quando diminuisce la popolazione P (gli oceani assorbono parte dei gas generati in precedenza, la radioattività di origine antropica lentamente decade, eccetera).

A questo sistema di equazioni integrodiffenziali si è ispirato, trent’anni dopo, Jay Forrester nella sua analisi dei sistemi utilizzata per le “previsioni” di possibili futuri esposte nel libro del Club di Roma sui “Limiti alla crescita”.

Con un poco di calcoli è facile vedere che, nell’ambiente ipotizzato, per qualsiasi valore positivo di r, K e a, una popolazione P, dopo avere raggiunto un massimo diminuisce e poi scompare. Volterra nel 1938 ha intitolato un suo saggio proprio: “Crescita della popolazione, equilibrio e estinzione”. A questo punto la disponibilità delle restanti risorse naturali resterebbe (abbastanza) stabile e l’intossicazione e il degrado dell’ambiente rallenterebbero e anzi diminuirebbero.





Per gli umani la rapida crescita dalla popolazione è stata resa possibile dagli eventi che, dal Seicento in avanti, hanno assicurato, anche con le scoperte geografiche, a un crescente numero di persone una crescente disponibilità di spazio in cui abitare, di “risorse naturali” da “sfruttare” per ricavarne cibo e di beni materiali.

Da un certo periodo in avanti, diciamo dalla seconda metà del Novecento, si sta osservando un rallentamento del tasso di crescita della popolazione umana (non del numero totale degli individui), una “transizione demografica” dovuta al fatto che in molti paesi industriali le donne lavorano, che la prolificità non è più un valore e che mancano le abitazioni. Al rallentamento del tasso di crescita r della popolazione umana P contribuiscono anche (a) la crescente difficoltà di procurarsi cibo, energia, materie prime e merci, a causa dell’impoverimento delle riserve di risorse naturali (petrolio, terre fertili, foreste, minerali), e (b) il peggioramento della “qualità” dell’aria, delle acque, del suolo e degli spazi abitabili in molti paesi a causa del continuo aumento di agenti inquinanti e di danni ambientali che ogni anno si aggiungono a quelli dovuti alle generazioni precedenti.

Il rallentamento della crescita della popolazione umana comporta anche continue modificazioni non solo del numero totale di individui, ma soprattutto della loro distribuzione per età, con un aumento degli “anziani” e una diminuzione dei “giovani”, il che significa una diminuzione della frazione in età lavorativa e una modificazione del lavoro, dalla produzione di oggetti ai servizi. Fenomeni vistosi nei paesi industrializzati ma che si manifestano ben presto anche in quelli oggi poveri.

Del resto anche una ipotetica società stazionaria, in cui il numero di nati fosse uguale al numero dei morti, non sarebbe sostenibile a causa della diminuzione delle risorse naturali da cui trarre beni materiali e dell’intossicazione dell’ambiente.

Mi rendo conto che la prospettiva del declino di una popolazione, dei consumi, della disponibilità di risorse è sgradevole per una società basata sul principio che soltanto più persone-consumatori e più beni materiali assicurano più ricchezza monetaria, considerata l’unico indicatore del benessere, cioè dello stare bene; la massa di scorie che inevitabilmente accompagna questo cammino è solo un secondario ”irrilevante” disturbo nel cammino della crescita. Tale società si affanna a diffondere la certezza che la scienza, la tecnologia e la stessa crescita della ricchezza qualche soluzione troveranno, il che è poco credibile alla luce sia delle leggi della vita sia della storia dei viventi.

La constatazione che anche la nostra specie umana ubbidisce alle stesse leggi di crescita e declino di tutti gli esseri viventi è motivo non di disperazione, ma di stimolo a cercare il “benessere” non nel continuo sfruttamento e degrado del pianeta per il possesso di più merci, ma nella solidarietà, nel rispetto degli altri, nel vivere “bene”. Del resto perfino il Papa Francesco, in una “lettera” al giornalista Scalfari nell’estate del 2013, ha scritto che un giorno la nostra specie finirà. Quando e come questo avverrà per la popolazione umana --- centinaia, migliaia di anni ? --- non è possibile sapere: innumerevoli specie viventi sono comparse, cresciute e scomparse nella Terra; non scomparirà comunque la vita, almeno fino a quando il Sole diffonderà un po’ delle sue radiazioni di luce e energia.

sabato 11 ottobre 2014

Herman Daly: tre limiti alla crescita.

Di Herman Daly
Articolo pubblicato la prima volta su Center for the Advancement of the Steady State Economy.   
Traduzione e commento di Jacopo Simonetta


Sostanzialmente, quest’articolo riassume gli stessi concetti espressi in un altro, precedentemente tradotto su questo blog.    In un periodo in cui siamo quotidianamente assillati dalla necessità di rilanciare la crescita, forse non è male ricordarsi che la crescita del PIL può generare sia ricchezza che povertà, a seconda del contesto in cui si verifica.

In questo articolo vi è anche un’osservazione circa gli effetti della tecnologia che l’illustre autore discute, ma senza trarne le conclusioni.   Per questo motivo, alla fine dell’articolo mi permetterò un commento alla traduzione.

Man mano che la produzione (PIL) cresce, il suo margine utile declina perché si soddisfano prima i bisogni più importanti.   Allo stesso modo, i costi inflitti dalla crescita aumentano perché, via via che l’economia si espande all’interno dell’ecosfera, sacrifichiamo per primi i meno importanti fra i servizi ecologici (entro i limiti in cui li conosciamo).   L’aumento dei costi e la riduzione dei vantaggi connessi con la crescita è schematizzata nel diagramma seguente.


Nel diagramma possiamo distinguere tre diversi concetti di limite alla crescita.
  
1 – Il “limite della futilità” si raggiunge quando l’utilità marginale della produzione raggiunge lo zero-   Anche in assenza di costi di produzione, c’è un limite a quanto possiamo consumare e goderne.   C’è un limite a quanti beni possiamo utilizzare in un dato tempo così come ci sono limiti al nostro stomaco ed alle capacità sensoriali del nostro sistema nervoso.    In un mondo con molta povertà, ed in cui il povero osserva il ricco che apparentemente gode sempre più della sua ricchezza , il limite della futilità si pensa che sia molto lontano, non solo per i poveri, ma per tutti.   Mediante il postulato di “non sazietà” l’economia neoclassica nega formalmente il concetto di limite della futilità.   Ciò nondimeno, studi dimostrano che al di là di una soglia, la felicità auto-valutata (utilità completa) cessa di crescere con il PIL, rafforzando la rilevanza di questo limite.
  
2 – Il “Limite della catastrofe ecologica”  è rappresentato da una ripida crescita tendente alla verticale della curva dei costi marginali.   Qualche attività umana, o nuova combinazione di attività, può indurre una reazione a catena, od il superamento di un punto critico, ed il collasso della nostra nicchia ecologica.   Il principale candidato per il limite della catastrofe attualmente è il cambiamento climatico indotto dai gas-serra emessi per perseguire la crescita economica.   Dove questo limite si situa lungo l’asse orizzontale rimane incerto, ma devo rimarcare che il presumere un graduale continuo aumento della curva dei costi marginali è assolutamente ottimistico.     Data la nostra scarsa comprensione di come funziona l’ecosistema, non possiamo essere sicuri di avere correttamente sequenziato il sacrificio dei servizi ecologici dai meno ai più importanti.   Perseguendo la crescita, possiamo ignorantemente sacrificare un servizio ecosistemico vitale al posto di uno banale.    Quindi la curva dei costi marginali in realtà cresce zigzagando in modo discontinuo.   Ciò rende difficile separare il limite della catastrofe dal terzo e più importante limite: il limite economico.
  
3 - Il “ Limite economico” è definito dalla parità fra costi e benefici marginali e conseguente massimizzazione del beneficio netto.   La buona notizia con il limite economico è che dovrebbe essere il primo limite che si incontra.    Certamente arriva prima del limite di futilità e facilmente prima del limite della catastrofe anche se ciò, come già osservato, non è certo.   Al peggio, il limite della catastrofe può coincidere con il limite economico.   Perciò è molto importante stimare i rischi di catastrofe ed includerli il più possibile nella curva dei costi.   

Dal grafico risulta evidente che l’incremento di produzione e consumo si può chiamare correttamente “crescita economica” fino al limite economico.   Oltre questo punto diviene crescita anti-economica perché fa crescere i costi più rapidamente dei vantaggi rendendoci sempre più poveri, non sempre più ricchi.   Disgraziatamente pare che perseveriamo a chiamarla “crescita economica”!   Difatti non troverete il termine “Crescita anti-economica” in nessun testo di macroeconomia.   Ogni aumento del PIL è chiamato “crescita economica” anche se fa crescere i costi più rapidamente dei benefici.

Gli economisti noteranno che la logica appena utilizzata è familiare in microeconomia – La parità fra costi marginali e benefici marginali definisce la dimensione ottimale di un’unità microeconomica, sia questa un’azienda od una famiglia.   Questa logica non è tuttavia applicata in macroeconomia il cui obbiettivo è il tutto e non le sue parti.   Quando una parte si espande all'interno di un Tutto delimitato, impone dei costi alle altre Parti che devono stringersi per fargli spazio.   Viceversa, quando il Tutto stesso si espande, si pensa che non imponga costi aggiuntivi in quanto non sposta niente, espandendosi nel vuoto.   Ma il sistema macroeconomico non è il Tutto.    Anch'esso è una parte, una parte di una più grande economia della natura, l’ecosfera, e la sua crescita infligge dei costi al Tutto delimitato che devono essere presi in conto.   Ignorare questo fatto conduce molti economisti a ritenere che la crescita del PIL non possa mai essere antieconomica.
Economisti standard possono accettare questo diagramma come una rappresentazione statica, ma argomentano che in un mondo dinamico la tecnologia sposterà la curva dei benefici marginali verso l’alto e quella dei costi verso il basso, spostando l’intersezione (limite economica) sempre verso destra, cosicché la crescita continua rimane sia desiderabile che possibile.   Tuttavia i sostenitore dello slittamento delle curve macroeconomiche dovrebbero ricordare tre cose.   

Primo, la crescita fisica  della macroeconomica è comunque limitata dalla sua dislocazione di un’ecosfera delimitata e dalla natura entropica della sua produzione.  Secondo, La temporalità delle nuove tecnologie è incerta.   La tecnologia attesa potrebbe non essere inventata o divenire disponibile solo dopo che abbiamo superato il limite economico.   Dobbiamo allora sopportare una crescita antieconomica aspettando e sperando che le curve slittino?    Terzo, ricordiamoci che le curve possono slittare anche in senso contrario, spostando il limite economico verso sinistra.   Lo sviluppo tecnologico del piombo tetraetile e dei clorofluorocarbonati ha spostato la curva dei costi verso l’alto o verso il basso?   E che dire dell’energia nucleare?    

L’adozione di un’economia stazionaria ci consente di evitare di essere spinti al di là del limite economico.   Ci consente di valutare con calma la nuova tecnologia  piuttosto che lasciarla  spingere ciecamente una crescita che potrebbe essere antieconomica.   E la stazionarietà ci assicura contro il rischio di catastrofe ecologica che aumenta con la crescita e l’impazienza tecnologica.


A chiosa dell’articolo di Daly, vorrei osservare che, curiosamente, l'illustre autore non evidenzia il maggiore fra i rischi connessi con lo “slittamento” del limite economico indotto dal progresso tecnologico.   Così facendo, infatti, la tecnologia inevitabilmente avvicina il limite economico a quello di catastrofe, rendendo il superamento di questo sempre più probabile man mano che la tecnologia diviene più potente.

Catastrofi locali indotte da imprese industriali ne sono avvenute e ne stanno avvenendo molte.   Le tar sands canadesi ed il marmo apuano sono due esempi tipici in cui una tecnologia molto avanzata sta mantenendo il limite economico ben oltre il limite della catastrofe.

Catastrofi globali indotte dalla tecnologia non ne abbiamo ancora viste, ma esempi catastrofi di portata regionale in cui intere civiltà sono collassate a cause del superamento dei limiti ecologici ne abbiamo invece a bizzeffe.   Questo è un altro fra i numerosi argomenti che inducono a temere che la tecnologia possa essere in realtà proprio la causa principale delle ricorrenti tragedie che hanno caratterizzato la storia dell’umanità.    Un’ipotesi certamente discutibile, ma che la maggior parte delle persone si rifiuta anche di prendere in considerazione.   

Perfino nel caleidoscopico dell’ambientalismo, del “picchismo” ed affini la fiducia nel potere taumaturgico della tecnologia è profondissimamente radicata. 
Non potrebbe essere altrimenti.    L’uomo, come specie, si è evoluto esattamente sviluppando la capacità di produrre tecnologia.   E’ questa la principale caratteristica distintiva ed identitaria della nostra specie; chiedere ad un umano di diffidare della tecnologia è come dire ad un gatto che i suoi artigli ricurvi potrebbero condurlo in perdizione.   Oppure come diffidare un coniglio dal saltare.   Eppure, se osserviamo i processi che conducono all’estinzione delle specie troviamo che sono proprio le specie più mirabilmente adattate ad una determinata condizione ambientale le prime a scomparire quando l’ambiente cambia.

Che l’ambiente globale stia cambiando molto rapidamente ed irreversibilmente è un fatto su cui non si può che concordare, ma quando si passa a discutere sulla strategia evolutiva da adottare, non esistono due persone che la pensano esattamente allo stesso modo.   Ciò non significa che l’evoluzione non ci sarà.   

Ci sarà, anzi è già in corso, solo che non potremo pianificarla come ci piacerebbe; bensì dovremo procedere per tentativi ed errori, come abbiamo sempre fatto fin dai tempi dei nostri antenati procarioti.


venerdì 5 settembre 2014

Limiti dello sviluppo: ma davvero era possibile che andasse diversamente?

Jacopo Simonetta

Per quasi 50 anni abbiamo ripetuto fino alla nausea che il nostro modello di sviluppo era intrinsecamente suicida e che, se non lo si fosse cambiato in tempo, avrebbe condotto l’umanità ad una catastrofe senza precedenti.  Qualcuno ci ha creduto e molti no.

Di fatto, siamo in orario sulla tabella di marcia.

Ed ora che siamo sommersi da notizie che confermano molte delle più funeste previsioni ci pervade un’ansia crescente che facilmente sfocia in angoscia, panico, depressione o ferocia, a seconda dei casi.
Secondo me, ciò dimostra almeno due cose:

   1- Il sistema socio-economico globale è davvero una struttura dissipativa complessa, vale a dire un sistema termodinamico. Dovrebbe essere una banalità, ma chi pratica un minimo di letteratura economica e politica scoprirà che la maggior parte delle persone ignorano o addirittura negano questo semplice fatto.

   2- Il sistema socio economico globale è totalmente acefalo. Pare strano, ma ad onta di un’intelligenza infinitamente superiore a quella di qualunque altro animale mai esistito, l’uomo ha agito sostanzialmente  come avrebbe fatto se fosse stato privo di qualunque informazione e volontà propria. In altre parole, la sommatoria di parecchi miliardi di cervelli è risultata zero.

Se poniamo una muffa in una scatola Petri con un substrato diversificato, questa comincerà a crescere consumando prima le risorse di migliore qualità e via via le altre.   Nel frattempo, evolverà, “cercando” di sfruttare sempre meglio il sempre meno che le rimane, finché digerirà sé stessa ed Amen.

L’umanità nel suo pianeta ha fatto e continua a fare sostanzialmente questo.  

Fortunatamente, la Terra è un sistema aperto per cui non raggiungeremo mai l’equilibrio termodinamico (alias scomparsa di ogni struttura, vivente o meno) cui ci si avvicina molto nella scatola Petri, ma ciò non toglie che se sostituiamo la parola “tecnologia” con quella “enzimi” la nostra strategia rimane sostanzialmente identica a quella della muffa.

Un fatto che mette a disagio coloro che, come me, hanno predicato invano per decenni.   Che cosa dovremmo fare, da ora in poi?

Molti continuano a mettere in guardia contro un possibile collasso, tacendo pudicamente il fatto che è già iniziato.

Altri, come me, si vanno a rileggere i “sacri testi” della gioventù (Meadows, Georgescu-Roengen, Galbraith, Catton, ecc.) e si domandano: ma davvero era possibile che andasse diversamente?

Autori di vaglia cercano la risposta chi nel ruolo antropologico e simbolico della “macchina”, chi rintracciando le radici della cultura moderna fin nella città medioevale, chi analizzando la termodinamica del sistema produttivo globale, chi studiando il sistema di “pompe di soldi” che muove la finanza mondiale.

Molto più semplicemente, ho fatto alcune riflessioni sull'aspetto demografico della questione, per la semplice ragione che all'atto pratico, sovrappopolazione significa: disoccupazione, deterioramento del territorio e delle risorse, crisi dello stato sociale... Vi ricorda niente?  

Fin da quando, negli anni ‘70,  il problema divenne evidente, l’attenzione fu da subito concentrata sulla necessità di limitare le nascite. In questo modo, si pensava, la crisi di sovrappopolazione sarebbe stata grave, ma passeggera e la fine della crescita demografica avrebbe fermato anche la crescita economica, senza bisogno di dichiararlo troppo apertamente. Magari verso la fine del XXI secolo si sarebbe potuto raggiungere una situazione  “sostenibile”.

Ma non è andata così.
World's mortality rate

 Years
Mortality
Rate %
1950 - 1954
1.97
1955 - 1959
1.74
1960 - 1964
1.56
1965 - 1969
1.34
1970 - 1974
1.16
1975 - 1979
1.09
1980 - 1984
1.03
1985 - 1989
0.96
1990 - 1994
0.94
1995 - 1999
0.90
2000 - 2004
0.88
2005 - 2010
0.85
2011 - 2012
0.83
Dati UN
Un po’  perché i tassi di natalità non sono scesi sufficientemente nella maggioranza dei paesi, ma soprattutto perché la strabiliante crescita demografica della seconda metà del XX° secolo è stata dovuta solo in piccola parte alle nascite.   In gran parte è dipesa, invece, da una spettacolare diminuzione della mortalità; a sua volta conseguenza di un’altrettanto spettacolare miglioramento nella qualità e quantità dei servizi sanitari.
E l’industria sanitaria è forse la più energivora ed inquinante che esista.   Non solo per i servizi che eroga, ma anche per l’apparato di ricerca, sviluppo e produzione che coinvolge massicciamente l’intera società.   Un immensa “macchina” che per vivere e progredire necessita di un substrato socio-economico capace di fornire un flusso continuamente crescente di risorse.  In altre parole, solo il tipo di  crescita economica ed industriale che effettivamente c’è stato poteva consentire un tale progresso della medicina.   Chi, onestamente, sarebbe stato disposto a rinunciarci? 

Passando dal passato al futuro, può forse esserci di aiuto osservare ciò che è accaduto in Europa orientale, ad esempio in Bulgaria.
A partire dai primi anni ’70, il progressivo peggioramento dell’economia e, di conseguenza, dei servizi socio-sanitari e dell’alimentazione, ha causato un progressivo incremento della mortalità, culminato con il collasso delle strutture statali negli anni ’90.   Nei decenni successivi la situazione socio-economica è migliorata e la mortalità diminuita.   E’ interessante notare come vi sia una differenza importante fra uomini e donne, causata dalla molto maggiore incidenza che le morti per violenza, alcolismo, incidenti e suicidio hanno fra i maschi.
Comunque, mentre la mortalità complessiva saliva, la natalità scendeva, per poi tornare a salire quando la situazione è migliorata, ma restando sotto il livello precedente il 1990.   Inoltre, essendo un paese povero e guardingo delle sue frontiere, la Bulgaria ha un tasso di immigrazione negativo. 

Ne consegue che, dal 1990 ad oggi, la popolazione bulgara è in costante diminuzione, contrariamente a quella italiana che, nello stesso periodo, è aumentata di 4 milioni di persone.

Perché è interessante questo? Perché, man mano che la crisi economica peggiorerà e che lo stato taglierà i servizi socio-sanitari, è probabile che succeda qualcosa del genere in tutta Europa. Del resto, in Grecia abbiamo già un incremento della mortalità, associato ad un calo della natalità. Non è bello dirlo, ma questo è uno dei pochi spunti all'ottimismo che la scienza odierna ci fornisce. Quando infatti una popolazione qualsiasi supera la capacità di carico del territorio, la sua crescita può ancora continuare, ma a costo di degradare progressivamente il territorio.   In altre parole, più si rimanda la “resa dei conti”, più questa sarà salata.

E quando la popolazione comincia a diminuire, ci sono sostanzialmente due alternative possibili:
La prima, è che la popolazione diminuisca in modo parallelo o più lento, rispetto al degrado delle sue risorse vitali.   In questo caso non si torna mai ad un equilibrio e si giunge alla distruzione delle risorse ed all’estinzione della popolazione.
La seconda, è che la popolazione diminuisca più rapidamente delle risorse.   In questo caso, dopo un certo tempo, si ritrova un equilibrio.

Purtroppo, la prima ipotesi figura nel celebre modello “World3” che, finora, si è dimostrato spaventosamente affidabile. Ma World3 incorpora fra i suoi algoritmi la teoria della “transizione demografica”  secondo la quale al peggiorare delle condizioni di vita dovrebbe far riscontro un aumento della natalità. L’esperienza reale e recente dell’Europa orientale, ad oggi, è diversa e ci da speranza, perlomeno per i nostri nipoti.