domenica 4 ottobre 2015

Una recensione del libro di Ugo Bardi "I limiti dello sviluppo rivisitati"


Dal blog di Badiale e Tringali

Pubblico una recensione ad un libro di Ugo Bardi del 2011, che solo recentemente ho avuto l'occasione di leggere.
(M.B.)



Ugo Bardi. The Limits to Growth Revisited, Springer 2011

Ugo Bardi insegna presso il Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze. Gestisce il blog“effetto risorse” e da tempo si occupa dei problemi del “picco del petrolio”. In questo libro ripercorre la storia del famoso testo commissionato dal Club di Roma a un gruppo di studiosi del MIT e uscito nel 1972 con il titolo “The Limits to Growth” (d'ora in poi LTG; in italiano “I Limiti dello Sviluppo”).
Bardi ricostruisce il percorso intellettuale che ha portato al libro, ma soprattutto fa la storia dei dibattiti successivi alla sua pubblicazione. Si tratta di una storia piuttosto interessante, che si può sostanzialmente dividere in tre fasi: un grande successo iniziale, seguito da aspre critiche che portarono, a partire più o meno dagli anni 90, all'oscuramento delle tematiche e delle impostazioni teoriche sviluppate nel testo, e infine una ripresa di interesse in tempi recenti. 

La rassegna di questi dibattiti, svolta da Bardi in vari capitoli del libro, è assai accurata, ed è finalizzata a far meglio comprendere al lettore, proprio grazie al confronto con i critici di LTG, il senso delle tesi fondamentali del libro. Bardi spazza subito via dal tavolo le critiche basate su fondamentali equivoci. Le più note in questo senso sono quelle che accusano lo studio di grossolani errori di previsione. Bardi risponde facilmente che LTG presentava non “una previsione” ma una serie di “scenari”, cioè differenti insiemi di previsioni dipendenti dalle possibili azioni umane nel futuro.Le cosiddette “previsioni sbagliate” su cui ponevano l'attenzione i critici di LTG erano ottenute semplicemente pescando alcuni dati dentro ad uno di questi scenari, dimenticando che appunto si trattava solo di uno scenario possibile fra i tanti delineati dallo studio stesso. Questa osservazione ci porta ad un altro tipo di discussione critica, più avveduta, che Bardi prende in considerazione. 

L'obiezione potrebbe infatti essere non più quella dell'erroneità di LTG, ma quella della sua inutilità: se in sostanza non fa previsioni precise, perché offre piuttosto una “batteria” di possibili previsioni, dipendenti dalle azioni umane, a che serve? La risposta di Bardi, che mi sembra condivisibile, è che lo studio non intendeva fornire previsioni numeriche precise sull'evoluzione dell'economia mondiale nei prossimi decenni (compito probabilmente impossibile), ma piuttosto individuare alcune linee di tendenza generali, che potessero indicare alle forze politiche e sociali prospettive abbastanza chiare per indirizzare l'azione politica. Bardi rileva infatti che, anche senza offrire previsioni numericamente precise, i vari “scenari” concordano nel mostrare che un certo tipo qualitativo di evoluzione appare sostanzialmente inevitabile, in mancanza di radicali cambiamenti della nostra organizzazione politica ed economica. In (quasi) tutti gli scenari delineati in LTG appare un crollo della produzione e della popolazione dopo un periodo di crescita simile all'attuale. Il “quasi” indica appunto che tale crollo si può evitare solo in uno scenario che preveda un deciso intervento umano di correzione degli attuali squilibri.

Abbiamo detto che in tempi recenti si è notata una ripresa di interesse nei confronti di LTG, collegata fra l'altro alle successive versioni dello studio (l'ultima è del 2004, ed è apparsa in italiano nel 2006 col titolo “I nuovi limiti dello sviluppo”). Naturalmente, questo non significa che le conclusioni dello studio siano accettate da tutti gli studiosi, o anche solo dalla maggioranza. Il dibattito infatti prosegue. Ma almeno, stando al resoconto di Bardi, sembra che siano superate le incomprensioni che hanno segnato, e un po', diciamo, “rovinato” il dibattito nei decenni precedenti. Secondo la ricostruzione di Bardi, oggi si tende a riconoscere che l'andamento effettivo delle variabili considerate in LTG, nei quattro decenni seguiti alla prima pubblicazione, ha seguito nella sostanza l'andamento previsto in uno degli scenari delineati all'epoca. Quindi l'obiezione sul fatto che le previsioni di LTG fossero “sbagliate” sembra per il momento aver perso efficacia. La discussione si è spostata su altri piani, a mio parere più interessanti. Si tratta dei temi discussi nei capitoli 8 e 9 del libro, dedicati allo stato attuale del dibattiti sull'esaurimento delle risorse minerali e sul ruolo della tecnologia. La tesi più significativa, fra coloro che rifiutano le conclusioni di LTG, è infatti quella che sostiene il ruolo centrale dello sviluppo tecnologico, e ritiene che il difetto fondamentale di LTG sia appunto quello di non tenerne conto. Secondo i sostenitori di questa tesi, lo sviluppo tecnologico permetterà di sfruttare altre risorse (energetiche, minerarie) quando le attuali saranno esaurite. In questo senso si può sostenere la tesi, che suona certo paradossale alle orecchie di chi si sia formato su testi come LTG, secondo la quale “le risorse naturali sono infinite”. Essa deve appunto essere intesa nel senso che lo sviluppo scientifico e tecnologico metterà a disposizione sempre nuove risorse quando quelle usuali saranno esaurite. Per capirci, il petrolio non era una risorsa energetica nel primo Ottocento: lo è diventato quando è stata sviluppata la tecnologia che permetteva di sfruttarlo. Allo stesso modo, nuove tecnologie permetteranno di far diventare “risorse” aspetti della realtà naturale che attualmente non lo sono. 

È ragionevole questa prospettiva? Bardi la discute a partire dal problema delle risorse minerarie non energetiche, come i metalli. Come è noto, essi sono diffusi ovunque, ma solo in pochi luoghi hanno la concentrazione sufficiente per rendere redditizia l'estrazione. Una possibile versione della tesi che stiamo discutendo, quella cioè che “le risorse naturali sono infinite”, potrebbe allora consistere nell'argomentare che l'esaurimento delle miniere redditizie porterà all'aumento del prezzo dei metalli, e questo a sviluppi tecnologici che renderanno redditizia l'estrazione del minerale a concentrazioni minori di quelle attualmente necessarie, cosicché la risorsa in questione tornerà ad essere estratta.

Il problema di questo schema, nota però Bardi, è quello dell'energia necessaria per l'estrazione, al diminuire della concentrazione. Il rapporto fra queste due grandezze è grossomodo quello della proporzionalità inversa: cioè, se il minerale da estrarre presenta una concentrazione dimezzata, occorre il doppio dell'energia, se la concentrazione si riduce ad un terzo occorre il triplo dell'energia, e così via. Se questa relazione si mantiene stabile al variare delle tecnologie, appare chiaro che l'estrazione di minerali da depositi sempre più poveri troverà un limite nella disponibilità dell'energia (e nei suoi costi). Il problema si sposta allora, appunto, alla disponibilità dell'energia. Il punto essenziale sta nel fatto che per l'estrazione di risorse energetiche sembrano valere principi analoghi. Il concetto di EROEI (Energy Return On Energy Invested), detto anche EROI, serve appunto a precisare questo punto. Esso è definito come il rapporto fra l'energia ottenuta in un processo di estrazione (di petrolio, per esempio) e l'energia consumata per l'estrazione. Indica cioè il “guadagno energetico” del processo di estrazione. Ovviamente, l'estrazione ha senso solo quando l'EROEI è maggiore di uno. Non è facile il calcolo preciso dell'EROEI, come nota lo stesso Bardi altrove, ma sembra comunque che la tendenza sia verso una sua lenta diminuzione, almeno per quella che è attualmente la principale fonte energetica, il petrolio (a questo proposito di veda anche il capitolo 6, pagg. 77-85, del libro di di Luca Pardi “Il paese degli elefanti”, edizioni LUCE, in particolare a pag.81). Questa lenta diminuzione pare essere avvenuta nonostante gli indubbi progressi tecnologici nelle tecniche di estrazione del petrolio. Tali sviluppi, cioè, possono sì rendere possibile estrarre petrolio “non convenzionale” come lo shale oil, ma non invertono la tendenza alla diminuzione dell'EROEI. In questo modo sembra che ci stiamo avvicinando, indipendentemente dagli sviluppi tecnologici, al punto in cui per estrarre un barile di petrolio occorrerà consumare un barile di petrolio, e a quel punto ovviamente il petrolio, per quanto abbondante possa ancora essere, cesserà di essere una risorsa energetica. 

Se queste tendenze venissero confermate in futuro, sarebbe lecito un certo scetticismo nei confronti della tesi che “le risorse naturali sono infinite”. Verrebbe invece corroborata la tesi generale che la nostra organizzazione sociale sta entrando in una fase di “rendimenti decrescenti”, rendendo quindi necessaria una “grande transizione” ad una diversa organizzazione sociale. Queste tesi sono ormai sostenute da diverse voci: per un inquadramento generale, si veda il libro di Mauro Bonaiuti “La grande transizione”, Bollati Boringhieri 2013. Si tratta di temi rispetto ai quali c'è urgente bisogno di un dibattito razionale serio e approfondito e per chi voglia continuare, anche da posizioni diverse, nella pratica del dibattito razionale, il testo di Bardi è senz'altro di grande aiuto.