domenica 7 giugno 2020

Ma il Lockdown ha veramente ritardato la diffusione dell'epidemia? Il dilemma dell'Azteco




Scena: L'interno del tempio in cima alla grande piramide di Tenochtitlán

Personaggi: L'Arciprete (Maestro) e il giovane sacerdote (Apprendista)


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Apprendista: Maestro, dove sei? (cammina in giro, guardando). Maestro?

Arciprete: Uh...? Apprendista, sei tu?

Oh... eccoti qui, Maestro. Sono io. Sì. Mi dispiace disturbare la tua preghiera, ma...

Hmmmm... Stavo facendo un pisolino. Che succede?

Maestro. Ho bisogno di consiglio.

Ah...?

Maestro, il tempo del sacrificio di oggi sta arrivando.

Si', certo, lo so... Lo so. Dobbiamo iniziare a prepararci. Devo avere il mio coltello di ossidiana da qualche parte.... Per le zanne di XipeTotec, si sta già facendo buio. Dobbiamo prepararci. . .

Maestro, volevo dire una cosa.


Ah...? Si, apprendista, abbiamo ancora un po ' di tempo. Ma dove Xochiquetzal è il mio coltello di ossidiana.....

Maestro, ho un problema....

Oh, si', eccolo qui. Buon vecchio coltello... Così tanti cuori che ho ha strappato via! Ma cosa stavi dicendo, Apprendista?

Maestro, stavo pensando a qualcosa.

Hmmmm.... Ora ho bisogno della mia maschera di Mictlantecuhtli, dovrebbe essere in giro. E a cosa stavi pensando?

Maestro, diciamo sempre che se non sacrifichiamo una persona ogni giorno al dio del sole Huitzilopochtli, il sole non sorgerà il giorno dopo.

Eh... Sì.... questo è il punto del rituale del sacrificio umano, ovviamente. L'hai studiato al seminario, giusto? Ma dove diavolo è quella maschera....

Maestro, ma come facciamo a saperlo?

A sapere cosa?

Che il sole non sorgerà domani se non facciamo il sacrificio.

Apprendista, tu sei un ragazzo intelligente. Sai che il dio Huitzilopochtli apprezza i nostri sacrifici. E questo è dimostrato dal fatto che il sole sorge ogni mattina. A cosa stavi pensando, per il grande Xochiquetzal?

Pensando che, beh, e se per una volta saltassimo?

Saltassimo cosa?

Il sacrificio, maestro.

Saltare il sacrificio? Sei fuori di testa, apprendista?

No, Maestro, dicevo, abbiamo mai mancato uno dei sacrifici serali?

Apprendista, lo sai che abbiamo sempre sacrificato almeno un prigioniero al dio del sole ogni sera. E che il sole è sempre sorto la mattina dopo.

E ' quello che intendo dire, Maestro. Potremmo saltare il sacrificio per una volta.

Uh.....?

Il fatto è che mi sono sempre chiesto perchè non abbiamo mai provato.

Hmm......

Voglio dire, certo, so che se non facciamo il sacrificio, il sole non sorgerà domani mattina. E la gente sarà terrorizzata. Ma poi faremo dei nuovi sacrifici e il sole ritornerà. La gente ne sarebbe felice, credo.

Ah... ecco la mia maschera Mictlantecuhtli. Ne avevo bisogno.

Maestro, cosa pensa della mia idea?

Apprendista, dammi retta.

Sì, Maestro?

Apprendista, lo sai che il fatto che il sole sorge ogni mattina è la prova che i sacrifici funzionano.

Sì, Maestro, lo so. Ma, a dire il vero, ho pensato che, forse, potremmo fare un test. . .

Apprendista, ho sempre detto che eri un bravo ragazzo. Ora, supponiamo di non fare il sacrificio stasera. Immagina che il sole sorga comunque domani mattina.

Maestro, questo non può essere. Il dio del sole sarebbe terribilmente arrabbiato e. . . .

Immaginatelo, idiota!

Ah.... Beh, si, mi posso immaginare. Ma Maestro, me l'hai insegnato tu che. . .

Lascia perdere quello che ti ho insegnato, cretino matricolato che non sei altro. Sai benissimo cosa succederebbe. La gente di Tenochtitlán scalerebbe questa stupida piramide, poi ci strapperebbero il cuore dal petto a tutti quanti noi e se li mangerebbero arrosto. Come facciamo noi con le vittime del sacrificio. E questo non sarebbe bene, per niente bene. Capito, brutto imbecille?

Si, si, giusto, Maestro, ma sono sicuro che il dio Huitzilopochtl non farebbe sorgere il sole se non facciamo il sacrificio. Di certo.

Certo, Apprendista, certo. Ma ora, ho una buona idea. Vado a organizzare il sacrificio per stasera. Tu resta qui finchè' non torno. 

Maestro, ma dovrei aiutare con i preparativi...

Resta qui, ho detto.

Si, Maestro, ma perché....?

Resta qui e aspetta, Apprendista. E grazie per esserti offerto volontario per il sacrificio di stasera.


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giovedì 4 giugno 2020

L'impero del cancro del pianeta: il nuovo libro di Bruno Sebastiani

 L'impero del cancro del pianeta


Chi di voi, osservando dal finestrino di un aereo le case, le strade, i capannoni e i campi coltivati sottostanti, non ha avuto l’impressione di trovarsi in presenza di un melanoma, di un vero e proprio tumore maligno ai danni del corpo del pianeta?
In gergo “cancrista” questa si chiama la “prova dell’aeroplano” e ne hanno parlato, tra gli altri, Lewis Mumford e Konrad Lorenz.
Questa raffigurazione terrificante è la conferma visiva di come ormai l’intero globo terracqueo sia diventato un immenso, sconfinato impero dell’essere umano, ovvero del cancro del pianeta.
Ad esso è dedicato il mio nuovo libro, intitolato per l’appunto “L’impero del cancro del pianeta” (Mimesis editore) e sottotitolato “L’organizzazione della società ai tempi dell’ecocidio”.
Per la presentazione dei libri precedenti vedere Il cancro del pianeta e Il cancro del pianeta consapevole.
Ho cercato con questo saggio di scendere metaforicamente dall’aeroplano e di calarmi dentro alla realtà della malattia per vedere come le cellule neoplastiche si sono organizzate al fine di sostenere il loro esorbitante aumento numerico.
Si sa che il cancro è originato da una o più cellule che subiscono un’alterazione genetica tale da rifiutare il meccanismo omeostatico che blocca la proliferazione delle cellule quando il loro numero diventa eccessivo. Venendo meno questo freno, la popolazione delle cellule alterate straborda ovunque, come è accaduto alla nostra specie.
Ogni cellula va nutrita e se il loro numero è elevatissimo, occorre trovare elevatissime quantità di cibo. È il problema con il quale da decenni convive drammaticamente il genere umano, senza che gran parte di esso si renda conto dei problemi e dei drammi che si celano dietro agli scaffali pieni dei supermercati.
Ho cercato di affrontare questa realtà con l’aiuto di altri autori che prima di me l’hanno indagata con grande competenza. Tra questi Raj Patel, Lester R. Brown, Philip Lymbery e Stefano Liberti. Arricchito dai dati, dalle notizie e dai pareri di costoro e di altri autori, ho avuto una ulteriore conferma che quanto accaduto negli ultimi decenni si inquadra perfettamente nell’ottica della teoria cancrista.
Il compito che mi sono assunto, infatti, non è di effettuare una nuova indagine in aggiunta a quelle già esistenti, ma di mostrare all’uomo contemporaneo come i fatti e i processi sociali che si svolgono sotto ai suoi occhi altro non sono che tasselli di un comportamento tipicamente cancerogeno.
Molti autori hanno descritto i mali che affliggono il mondo per cause antropiche, ma poi non sono giunti a trarre le conclusioni più coerenti.
Un nome su tutti, quello di Aurelio Peccei. Il fondatore del Club di Roma nel suo saggio “Cento pagine per l’avvenire” (Giunti Editore, Firenze 2018) scrive:
È […] in uno slancio di creatività eccezionale o in un momento di smarrimento che la Natura produce la sua ultima grande specie […] homo sapiens? È questi il suo capolavoro, o invece non è che un refuso sfuggito al controllo della selezione […]? (pag. 56)
Un […] comportamento aberrante della nostra specie la rende gravemente colpevole davanti al tribunale della vita. Si tratta della sua proliferazione esponenziale, che non si può definire che cancerosa.” (pag. 66)
Siamo per caso una specie di geni, destinati in fin dei conti a trionfare su tutto? O al contrario […] non ci siamo forse trasformati in mostri, magari mostri geniali, che finiranno per restar vittime del loro stesso malsano operare?” (pag. 80)
Questi dubbi e questi atti di accusa non si concretizzano però in una coerente teoria cancrista, ma si stemperano in un atto di fede che sinceramente non condivido:
Pur riconoscendo che questa tesi ha dei punti validi, io sono portato a dare una risposta meno pessimista a questi interrogativi cruciali sulla natura e sul destino dell’uomo. La condizione umana è grave, ma può essere migliorata – a certe condizioni.” (pag. 81)
Questa affermazione fa capire come Peccei, nonostante le sue intuizioni sulla nocività del genere umano, sia sempre rimasto sostanzialmente antropocentrico.
La sua preoccupazione non è per la gravità delle condizioni della biosfera, ma per quella del genere umano.
Per un ulteriore approfondimento del pensiero del fondatore del Club di Roma vedere “Aurelio Peccei precursore del Cancrismo?
È come se un medico si preoccupasse dello stato di salute del tumore anziché di quello dell’ammalato.
Credo che questa metafora renda bene l’idea della inversione di prospettiva operata dalla teoria cancrista: non è del genere umano che ci dobbiamo preoccupare ma della biosfera nel suo complesso, anche perché noi comunque della biosfera facciamo parte e se le sue condizioni di salute migliorassero pure noi ne beneficeremmo.
Ma, al punto in cui siamo, questa opzione non è realistica, al contrario tutto sembra indicare che la strada intrapresa vada esattamente in direzione opposta.
Questo è l’oggetto del mio saggio: vedere come la società si sia strutturata per far fronte alle esigenze alimentari ed energetiche di una popolazione mondiale in costante aumento e, soprattutto, come questa organizzazione non consenta inversioni di rotta, pena l’impossibilità di garantire cibo e energia ai miliardi di uomini e donne che abitano il pianeta.
L’agricoltura intensiva, gli allevamenti concentrazionari e l’acquacoltura sono altrettanti capitoli de “L’impero del cancro del pianeta” dove vengono analizzati origini, sviluppo e prospettive dei sistemi più efficaci per produrre cibo. A guardarli da vicino, questi sistemi non possono che suscitare orrore, ma in un altro capitolo del libro spiego come il pensare di sostituirli con la cosiddetta “agroecologia” sia pura utopia.
È una ulteriore riprova che la via imboccata non ha alternative e non può essere percorsa a ritroso. Anche se la crescita della massa tumorale che noi rappresentiamo per la biosfera un giorno dovesse arrestarsi per mancanza di risorse, ciò avverrebbe al limite di ciò che il Pianeta può offrire in termini di terra coltivabile e di animali macellabili, dopo aver distrutto tutte le cellule sane vegetali e animali esistenti.
Ciò significherebbe comunque il collasso della biosfera, la morte dell’ammalato di cancro.
Il discorso è ancora più drammatico se si pensa alla situazione di quello che ho chiamato il “cibo per le macchine”, ovvero l’energia necessaria a far funzionare i miliardi e miliardi di apparati, dispositivi, congegni e altre attrezzature artificiali realizzate dall’uomo nell’illusione di rendere più comoda la sua vita a tempo indeterminato.
Un apposito capitolo del libro è dedicato a tale realtà e alla disperata ricerca di quelle inesauribili fonti di energia pulita che dovrebbero risolvere ogni nostro problema, ma che appaiono ancora ben lontane dal poter sostituire i combustibili fossili.
A tal proposito il Cancrismo ritiene però che, anche se queste fonti di energia pulita e rinnovabile si rendessero disponibili e fossero in grado di soddisfare le esigenze di tutte le macchine del mondo, la salute della biosfera non ne trarrebbe beneficio.
L’uomo - cancro del pianeta ne approfitterebbe infatti per dilatare a dismisura i suoi consumi ai danni di ogni altra residua realtà sana della biosfera, e con questo suo comportamento non farebbe che affrettare i tempi del collasso.
Non si tratta di pessimismo né di visione cupa della vita. È solo oggettivo realismo che trova la sua spiegazione nella metafora che assimila l’essere umano a una cellula tumorale e l’intera umanità alla massa neoplastica che divora lentamente l’organismo dell’ammalato di cancro.
Pochi pensatori, e non tra i più famosi, hanno sin qui avuto il coraggio di esplicitare una teoria così radicale, e io, giunto al termine della mia “trilogia” su “Il cancro del pianeta”, ho avvertito il desiderio di curiosare in rete per vedere chi mi avesse preceduto nel denunciare il comportamento cancerogeno di Homo sapiens.
È nata così la corposa Appendice su “I precursori del cancrismo” posta in calce al volume. Si tratta del primo documento che riunisce personaggi provenienti da esperienze diverse ma uniti nella visione cancrista dell’essere umano.
Di ognuno ho analizzato i punti di contatto e quelli di divergenza rispetto alla teoria sviluppata nei miei tre saggi.
Ma un elemento su tutti accomuna gli autori presi in considerazione: nessuno di essi ha mai sistematizzato le proprie intuizioni in uno o più lavori storico - dottrinali di ampio respiro, tali cioè da configurare la nascita di una teoria o corrente filosofica sulla nocività dell’essere umano per la biosfera.
Con questo mio nuovo libro e con i due precedenti mi auguro di essere riuscito a colmare almeno in parte questa lacuna nella storia del pensiero, in attesa che altri riprendano questo tema per svilupparlo e diffonderlo in modo ancor più autorevole.

venerdì 29 maggio 2020

Le balene e io: la strana storia di un libro

"Il Mare Svuotato" di Ugo Bardi e Ilaria Perissi (con Ugo in mezzo alle balene). Si può già ordinare dall'editore. Disponibile dagli altri distributori a partire dal 4 Giugno. Qui vi racconto qualcosa dell'origine di questo libro che non parla solo di balene, ma parecchio di balene. Poi vi darò qualche ulteriore dettaglio di cosa contiene il libro in futuri post.


Tutta la storia comincia, credo, negli anni 1980, quando mi trovai al largo di San Francisco in una crociera di "Whale Watching". L'idea era di vedere le balene dal vero. Quel viaggio è stata la mia unica esperienza come baleniere e vi posso raccontare che non abbiamo visto neanche una balena -- solo qualche spruzzo in lontananza, e forse solo nell'immaginazione di chi ha detto di averlo visto. Per quanto riguarda me, per la maggior parte del viaggio sono stato a pregare che finisse presto e con quello finisse il mal di mare che mi ha fatto star male come non ero mai stato prima in vita mia. Le onde dell'Oceano Pacifico non perdonano i marinai dilettanti.

Eppure, vi devo anche dire che ho un certo feeling per le balene nonostante non ne abbia mai vista una viva e vegeta nel suo ambiente naturale. Non solo un feeling, proprio una cosa particolare, un interesse che non so da dove venga fuori, ma c'è. Altro che se c'è! Per le balene ci sento enormemente, tantissimo, una cosa che mi manda fuori di testa!

Forse sarà che uno dei primi libri che ho letto da piccolo è stato "Moby Dick", forse perché ho vissuto in California, dove le balene sono un vero culto. Ma credo di non essere il solo ad avere questo feeling particolare. Le balene sono creature aliene, ma veramente tanto aliene. Eppure, abbiamo un antenato comune che ha vissuto su questo pianeta forse 65 milioni di anni fa. Ed è questa la cosa affascinante. Noi siamo esseri umani, loro balene: siamo così diversi ma abbiamo qualcosa in comune.

Non so se questo spiega perché mi sono messo a scrivere questo libro insieme alla mia collaboratrice Ilaria (una terragna anche lei). Il libro non parla solo di balene, parla anche di tante altre cose, ma le balene ricompaiono qua e là praticamente in tutti i capitoli. Ma, come per tante cose, si trova una ragione anche dove forse non c'è. O forse si. Ma andiamo avanti.

Allora, le balene sono qualcosa di ricorrente nella mia vita, ogni tanto mi ritrovo a ragionarci sopra per un motivo o per un altro. E così, anni fa è successo che quando ho cominciato a occuparmi di petrolio mi sono messo a cercare un modello matematico che descrivesse il processo di estrazione. E, non so come, mi sono trovato a cercare dati sull'industria baleniera. Li ho trovati e mi sono sorpreso a scoprire che le curve di produzione dell'olio di balena avevano la stessa forma di quelle di produzione del petrolio. Si, la "curva a campana" detta la "curva di Hubbert" -- quella del famoso "Picco del Petrolio."

E così succedono le cose: impegnarsi in un nuovo campo di studio è un po' come innamorarsi. Prima una certa persona non la consideravi neanche, poi trovi che ha degli aspetti che ti incuriosiscono. Poi ti accorgi che è una persona interessante, poi che è anche bella, in effetti molto bella. E poi ti trovi completamente preso: non riesci a pensare a niente altro che a quella persona. Nel mio caso, erano le balene. Ci si può innamorare delle cose più cose strane, sapete? In effetti, si dice che l'amore e cieco (e le balene non è che ci vedano bene).

La storia prosegue con il primo modello che ho fatto della caccia alla balena che ho sperimentato un giorno che ero a letto con l'influenza. Non sapevo che fare e avevo tra le mani un computer portatile così vecchio e brutto che non so come è stato comunque in grado di far girare un algoritmo di fitting fatto alla buona. E, miracolo, dimostrando che il modello funzionava. Da lì, sono nati altri modelli e, si, anche quello dell' Effetto Seneca di cui parlo spesso.

Poi c'è stato il mio allievo e poi collaboratore Alessandro Lavacchi, molto più bravo di me a maneggiare numeri ed equazioni che mi ha aiutato a fare un modello migliore. E poi Ilaria Perissi, anche lei mia allieva e poi collaboratrice, anche lei molto più brava di me in tante cose, che ha applicato il modello a casi diversi di pesca oltre a quello delle balene, trovando che funzionava quasi sempre. A furia di lavorarci sopra, abbiamo trovato che gli esseri umani stanno veramente svuotando il mare. Proprio così, distruggendo ogni forma di vita che nuota, e va sempre peggio. E non solo quello, abbiamo scoperto tantissime cose che hanno a che vedere non solo con il mare, ma con come stiamo distruggendo mezzo pianeta, anzi, piano piano, proprio tutto.

E alla fine ci siamo detti, io e Ilaria, "Beh, se abbiamo trovato tutte queste cose interessanti, perché non ci scriviamo un libro sopra? Una cosa semplice, magari che piaccia ai bambini, senza perderci troppo tempo. Abbiamo troppe altre cose da fare." Ma scrivere un libro è come avere un figlio, è un impegno che non è mai leggero, e non ti puoi mai aspettare di non perderci troppo tempo. E così è stato. L'abbiamo scritto, è stato un gran lavoro, ma ora c'è -- come un bambino che è nato (fra le altre cose, è il primo libro di Ilaria).


Quindi, ci siamo trovati con questo manoscritto in mano, un po' titubanti. Il curioso di questa faccenda è che né io né Ilaria siamo esperti di pesca o di cose marine. Siamo tutti e due terragni fiorentini e Firenze non è che sia nota come una città di mare. Anzi, si diceva una volta che c'erano tanti fiorentini che non avevano mai visto il mare. E, chissà, forse c'è ancora qualche vecchio fiorentino che davvero non il mare non l'ha mai visto. E allora, come fanno due fiorentini a scrivere un libro sul mare?

A quel punto mi è venuto in mente di sentire quello che è probabilmente il più grande esperto mondiale di pesca, Daniel Pauly, che sta in Canada e che mi era capitato di incontrare una volta in Svizzera. Sempre un po' titubanti, gli abbiamo chiesto, "ma tu che ne penseresti di un libro così e così?" Lui ci ha risposto, "mandatemelo. Io non parlo italiano, ma sono di madrelingua francese, forse una scorsa glie la posso dare."

Il bello della vicenda è che il libro gli è piaciuto talmente tanto che si messo a decifrarlo parola per parola anche senza sapre bene l'Italiano e poi si è offerto di scrivere l'introduzione. E nell'introduzione ha scritto qualcosa tipo, "guardate, questi due tali, Bardi e Perissi, non sono esperti di pesca, ma proprio per questo gli esperti di pesca dovrebbero leggere il loro libro per imparare certe cose che non sanno. Come ne ho imparate io!"

Beh, nella vita ci sono delle soddisfazioni e questa è stata piuttosto notevole, ma non la sola. Alla fine, è venuta fuori anche una versione in inglese del libro che sarà stampata da Springer e che diventerà anche un "Rapporto al Club di Roma" della stessa serie che ha come capostipite il famoso, famosissimo, "I Limiti dello Sviluppo" del 1972. Uscirà prima dell'estate. Anche questa è stata una bella soddisfazione!

E così questa è la storia del libro. Piano, piano, vi racconterò altre cose in proposito su questo blog, nel frattempo stiamo già pensando al prossimo, anche se non abbiamo ancora deciso quale sarà il soggetto. La vita è tutta una scoperta e continui sempre a innamorarti di cose nuove. Così, vi lascio con una foto di io e Ilaria davanti alla statua in grandezza naturale del capodoglio Giovanni che è stato per un po' di tempo nel "Giardino dei Semplici" a Firenze. Il vantaggio della statua è che per vederla da vicino non c'è bisogno di farsi venire il mal di mare!





mercoledì 27 maggio 2020

Foreste: ancora una risposta al ministero


Lo sfruttamento delle foreste da parte di Zio Paperone in una classica storia di Carl Barks. (immagine cortesia di Elena Corna)



Qui di seguito, le osservazioni che Jacopo Simonetta a inviato al MIPAAF (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) riguardo alla "predisposione della Strategia Forestale Nazionale". Se avete voglia di scrivere anche voi qualcosa, potete farlo a questo link. Non costa niente ed è una piccola soddisfazione che ci possiamo prendere. Attenzione che la data di scadenza per presentare osservazioni è il 28 Maggio!


OSSERVAZIONI AL DOCUMENTO DI STRATEGIA FORESTALE NAZIONALE.

di Jacopo Simonetta


1 - Osservazioni di carattere generale. 

Il documento di Strategia Forestale pubblicato presenta aspetti interessanti, ma anche difetti di forma e di contenuti.

Per quanto attiene alla forma, si osserva che i documenti pubblicati non sono di facile lettura perché non offrono una visione generale per contestualizzare le azioni previste. Il susseguirsi di elenchi, schemi e sigle, schede tutte uguali disorienta e distrae.

Nei contenuti si osserva che, nonostante siano citati grandi temi come la Biodiversità ed i Servizi Ecosistemici, ciò che emerge come priorità assoluta è l’incremento delle attività commerciali legate al legno, lasciando sullo sfondo la tutela del capitale naturale e degli ecosistemi. Ci si concentra infatti sulle filiere economicamente più promettenti nell’immediato, tralasciando invece quelle filiere che offrono benessere ambientale e sociale, mentre il “valore” degli alberi viene confuso con il “prezzo” del legname.

Si pianifica di soddisfare la domanda crescente di legname, senza porsi il problema della sostenibilità di questa, se non con l’enunciazione di principi validissimi, ma che non trovano poi applicazione in molte delle azioni previste. Sono forniti numeri che indicano quantità senza alcun giudizio di qualità, come il 27 % dei boschi delle aree protette, senza considerare le condizioni di tali foreste, fra l’altro in parte già attualmente sfruttate ben oltre i limiti di sostenibilità.

Il tema del Cambiamento Climatico con le controindicazioni che comporta (siccità e ondate di calore, danni fisiologici a molte specie ed ecosistemi forestali, defoliazione precoce e riduzione dei tassi di crescita, aumento della respirazione e riduzione della fotosintesi in estate, maggiore vulnerabilità ai parassiti e diffusione di patogeni anche esotici, maggiore ossidazione dei suoli, perdita di biodiversità, maggiore frequenza e violenza degli incendi) viene citato come uno dei fattori, anziché costituire l’asse portante della strategia, come invece dovrebbe essere. Termini tipici del gergo commerciale come “competitività”, “sviluppo sostenibile” ed “efficienza” sono parole chiave, mentre scarseggiano termini come “limite” e “sufficienza” che, come sappiamo fin dai tempi di Jevons, è necessario accompagni l’”efficienza” affinché questa sia funzionale a ridurre consumi ed impatti, anziché ad aumentarli come accadrà sicuramente con l’applicazione di questa strategia.

Si chiede quindi che l’impostazione venga rovesciata, dando la priorità al ruolo ecologico e climatico delle foreste, mentre la produzione di legname dovrebbe essere considerato un sotto-prodotto da valorizzare commercialmente nella misura in cui ciò non lede le funzioni prioritarie del bosco.


2 - Osservazioni specifiche.

2-1 – Obbiettivi.

La relazione dichiara di perseguire i medesimi obiettivi indicati dall’UE:

A. Gestione forestale sostenibile e ruolo multifunzionale delle foreste, per offrire molteplici prodotti e servizi in maniera equilibrata e garantire la protezione delle foreste;

B. Efficienza nell’impiego delle risorse, con l’ottimizzazione del contributo delle foreste e del settore forestale allo sviluppo rurale, alla crescita e alla creazione di posti di lavoro;

C. Responsabilità globale delle foreste, con la promozione della produzione e del consumo sostenibile dei prodotti forestali.


Si osserva che già nella pratica attuale l’obbiettivo B è spesso in conflitto con gli obbiettivi A e C; per armonizzarli si dovrebbero elaborare dei sistemi di supporto alle decisioni di cui non si fa cenno nel documento.

Inoltre si pone in evidenza che sembra irrealistico poter soddisfare una domanda prevista in crescita esponenziale (da 3 miliardi di metri cubi annui nel 2020 a 8,5 miliardi nel 2030 e 13 miliardi nel 2050) in un contesto climatico in rapidissimo peggioramento, che già oggi pone le foreste italiane sotto forte stress. Previsioni di crescita di tale importanza dovrebbero essere giustificate anche sul piano economico, tenuto conto tanto delle crescenti difficoltà sia a livello locale che globale, quanto della complessa situazione energetica mondiale.

Riteniamo che gli obbiettivi principali della strategia forestale dovrebbero essere la conservazione ed il miglioramento delle foreste (aumento della biodiversità, aumento dell’età media e massima delle piante, tutela dei suoli e della vita biologica che contengono, protezione contro l’erosione, lotta anti-incendio, ecc.). Queste sono infatti uno dei principali ed di gran lunga il più economico fra gli strumenti che abbiamo a disposizione per contrastare la crisi climatica e l’estinzione di massa.

Chiediamo dunque che tra gli Obiettivi della Strategia Forestale Nazionale non vengano considerati la “valorizzazione” e l’ “impiego innovativo” delle biomasse per la produzione di energia, fatta eccezioni per casi particolarissimi e di nicchia come, ad esempio, l’autonomia energetica di piccole frazioni montane (anche in questo caso sub-condicione, viste le numerose esperienze negative in proposito). Altrettanto dicasi per le bioplastiche, i biocarburanti, i biomedicinali ed altri prodotti “innovativi” la cui validità sotto il profilo energetico è spesso molto discutibile, mentre concorrono ad aumentare la pressione antropica sulle zone boschive sia a livello locale che globale. Non si chiede di bandirli, ma di gestirne la produzione con le dovute regolamentazioni e prudenza.

Inoltre si chiede di sostituire l’elaborazione di “piani di sviluppo” con quella di “piani di resilienza”, con l’obbiettivo di organizzare una gestione delle risorse in linea con la riduzione dell’impronta ecologica nazionale ed un uso sostenibile (in senso proprio) delle risorse. Si ricorda che lo stato spesso scadente in cui si trova la grande maggioranza delle foreste italiane dipende proprio dalla “gestione attiva” che ne è stata fatta in passato.

Quanto al riconoscere e remunerare i servizi di interesse pubblico, si ritiene che la conservazione delle funzioni sociali, ecologiche, idrogeologiche ecc. del bosco debba essere la base per il rilascio dei permessi e non debba quindi essere remunerato. Incentivi possono invece essere previsti per operazioni di vero restauro ambientale che, necessariamente, non possono essere economicamente remunerativi.

A tale scopo si chiede che la contabilità delle esternalità venga inserita quale supporto alle scelte di Piani, Programmi, Interventi grandi e piccoli.



2-2 – Analisi SWOT.

Si rilevano le seguenti incongruità:

Fra i Punti di Forza sono annoverati:

· L’elevata presenza di aree forestali protette. Corretto, ma a condizione di verificare le effettive condizioni ecologiche di questi boschi che, nella realtà, sono assai spesso già sotto forte stress per diverse combinazioni di fattori fra cui, spesso, tagli boschivi eccessivi e/o mal fatti.

· Incremento annuale della provvigione molto superiore ai tassi di utilizzo. Da quello che si desume dal documento, questa valutazione riposa su stime ricavate da medie storiche e non tiene conto né delle conseguenze del brusco peggioramento climatico avvenuto nel corso specialmente degli ultimi 10 anni, né del ben più grave peggioramento che avverrà nel corso dei prossimi 30 anni, né dell’accresciuta pressione speculativa sugli ecosistemi forestali.

· La consolidata tradizione di gestione forestale su basi naturalistiche e la diffusa consapevolezza circa la necessità di gestire il territorio agro-silvo-pastorale in modo sostenibile, con un approccio multidisciplinare. Tutti fattori di cui si parla molto negli atenei, ma che al momento non trovano applicazione alcuna. Semmai, sul terreno, si nota la tendenza opposta.


Fra le Debolezze si ne elencano alcuni fattori che non è detto che lo siano:

· Scarsa gestione del territorio e del patrimonio forestale, anche per abbandono delle attività agro-silvo-pastorali in collina e in montagna, con conseguente allungamento dei turni di gestione. In molti casi, l’allungamento dei turni di gestione non è una debolezza, semmai il contrario; tanto da essere uno dei principali moventi dell’attuale interesse commerciale per i boschi. In altri casi si sono effettivamente create situazioni difficili che però richiedono numerosi interventi molto graduali perché diradamenti improvvisi provocano generalmente il collasso degli ecosistemi, forte erosione e mineralizzazione dei suoli, ecc.

· Insufficiente rete viaria e difficoltà di accesso alla proprietà. Questa è una debolezza solo dal punto di vista commerciale, mentre dal punto di vista dell’ecologia forestale è un punto di forza, dal momento che la viabilità rappresenta uno dei principali fattori di pericolo da molti punti di vista (erosione ed instabilità dei versanti, penetrazione di persone non autorizzate, rischio di incendio, tagli abusivi, ecc.).


Fra le Opportunità si annoverano voci che, nella realtà, spesso costituiscano delle minacce:

· Elevata richiesta di materia prima legnosa per l’industria del legno e della carta. Rappresenta un’opportunità sul piano commerciale, ma è anche una delle principali minacce per la stessa esistenza dei boschi.

· Ottima diffusione delle certificazioni di tracciabilità dei prodotti forestali (Italia: 2° Paese al mondo per numero di certificati). In teoria si, ma l’esperienza sul terreno dimostra che non sempre la tracciabilità è sinonimo di buona gestione forestale.

· Possibilità di miglioramento delle prestazioni energetiche degli impianti termici familiari e di consolidamento di una filiera foresta-legno-energia correttamente dimensionata alle reali capacità di approvvigionamento locale. Una legge economica che risale a Jevons e che non conosce eccezioni di rilievo è che l’aumento di efficienza riduce i consumi unitari, ma aumenta i consumi totali. La cosa costituisce dunque una minaccia, a meno che non si prevedano dei sistemi efficaci per calmierare l’offerta e/o razionare la domanda. Cose che il documento non prevede, semmai il contrario.

· Possibilità di ammodernamento delle dotazioni strutturali ed infrastrutturali nelle utilizzazioni forestali. In genere si traducono in cantieri e macchine operatrici di grandi dimensioni che impattano moltissimo sui suoli.

· Possibilità per sviluppare forme associative e consortili di gestione delle proprietà attraverso l’accorpamento di aree forestali per una gestione unitaria e lungimirante di ampie superfici. Anche questo punto è teoricamente un’opportunità, ma nella pratica attuale i consorzi forestali hanno l’unico scopo di “fare cassa” sfruttando la biomassa accumulata in passato. Inoltre, il nuovo Testo Unico Forestale introduce norme che potrebbero portare allo sfruttamento coatto dei boschi privati, con conseguenze potenzialmente deleterie sia sul piano ecologico-forestale, sia su quello della legalità e dell’ordine pubblico.


Fra le Minacce si annoverano :

· Spopolamento delle aree montane e rurali. Questo è stato esattamente il fattore che ha permesso il raddoppio della superficie boschiva del paese, cioè la creazione di quella risorsa che ora si vuole sfruttare. Annoverarla fra la Minacce appare assolutamente anacronistico.

· Progressiva riduzione di aree aperte con conseguente riduzione di biodiversità floristica e faunistica e di habitat di interesse europeo. Questo è vero in determinati contesti e non in altri. Per non sembrare un mero pretesto, questo punto dovrebbe essere ben circostanziato.



2-3 - Azioni


Si richiede di promuovere in particolar modo le azioni di seguito elencate:

· tutelare la Biodiversità degli ecosistemi forestali e i servizi socio-culturali che offrono (sotto azioni A41, A42, A43).

· Contrastare la produzione e il commercio di legno ed altri prodotti forestali d’origine illegale.

· Favorire la diffusione di Consumi e acquisti responsabili, tenendo presente che il legno è un materiale ecologico con dei limiti nella sua rinnovabilità che nel documento non vengono invece affrontati.

· diffondere la conoscenza con azioni di formazione (sotto-azione B2), informazione e sensibilizzazione pubblica, in sinergia con le azioni mirate a prevenire gli incendi. Evitare invece di investire per la promozione di informazioni surreali sul ruolo svolto dalla selvicoltura nel mantenimento della stabilità delle foreste, quando la gestione forestale mira esattamente a mantenere la vegetazione in stato di disequilibrio per aumentarne la produttività.

· Sostenere la ricerca, la sperimentazione e il trasferimento della conoscenza non limitandola al trasferimento dell’innovazione tecnologica e soprattutto rinunciando alla, “produttività scientifica”. Specialmente in materia di alberi e boschi si applica l’adagio che dice “presto e bene non vanno mai insieme”

· Ridurre i danni di eventi estremi basandosi più sulla prevenzione che non sulla gestione dell’emergenza e della post emergenza, sviluppando meglio le sinergie tra le differenti azioni. Una cosa di cui il documento effettivamente parla, ma solo in modo marginale, mentre pone l’enfasi sull’incremento dello sfruttamento commerciale del patrimonio arboreo e sulla gestione emergenziale che richiede sempre consistenti investimenti. Si potrebbe avere perfino l’impressione che la gestione di fondi pubblici possa essere più interessante della razionale gestione delle foreste.

· Promuovere la prevenzione degli incendi modificando quanto riportato sulla pianificazione forestale di indirizzo territoriale e nei “Piani di gestione forestale” di cui all’Art.6 c.6, D.lgs..n. 34/2017 (sotto azione A.5.2.b ed e). Si tiene a sottolineare che gli incendi si contrastano soprattutto attraverso una responsabilizzazione dei cittadini e il loro coinvolgimento attivo nelle segnalazioni, tramite campagne di formazione e informazione (sotto azione A.5.2.d) ed incremento delle pene previste, così come della vigilanza. Altrettanto importante risulta l’adozione di misure che vietano pratiche agropastorali basate sulla bruciatura di potature e stoppie. Così come fondamentale è il potenziamento del servizio antincendio cui non si fa cenno nel documento.

· Tutelare Il patrimonio genetico forestale con l’individuazione, caratterizzazione e conservazione di popolamenti e singole piante importanti e la conservazione degli alberi monumentali, così come dei boschi vetusti. Le regole di gestione devono proteggere assolutamente sia la biodiversità che le piante di età maggiore rispetto al loro contesto, così come delle piante giovani destinate a sostituire quelle anziane, man mano che moriranno. Dovrebbero essere vietate tutte le operazioni di taglio invasive e distruttive, elaborando una normativa che garantisca una maggiore tutela rispetto la legge 10 del 2013

· Promuovere nuove tecniche silvicolturali basate sulla tutela del “Wood Wide Web”.

· Mirare alla cura degli alberi, e alla diffusione dei filari alberati e delle foreste urbane e periurbane con misure più incisive di quelle previste.

· Favorire lo Stato di conservazione degli ecosistemi insieme alla stesura della Lista Rossa degli ecosistemi provvedendo ad azioni più articolate per fermarne la distruzione

· Prevedere nella Azione Specifica 7 misure specifiche di tutela per Boschi ripariali e planiziali esistenti, oltre che al loro incremento.

· Restaurare situazioni di degrado (sotto-azione A.5.1) e prevenirne la cause (sotto-azione A.5.2), evitando di ricorrere a interventi invasivi come quelli prospettati al punto A.5.2.

· La conservazione/incremento dei Servizi Ecosistemici dovrebbe costituire la “contitio sine qua non” per la concessione dei permessi di taglio, anziché essere incentivata tramite varie forme di defiscalizzazione, come previsto nel documento (v. Sotto-Azione A.2.1).

· Tutelare e ampliare le aree protette come “stock” di Biodiversità, seguendo le nuove direttive ed indirizzi europei.

· Dare importanza e diffusione alle azioni di monitoraggio per verificare la giustezza delle scelte attuate.

· Sviluppare funzioni di difesa del territorio e di tutela delle acque, sviluppando le sotto azioni A31 e A32

· Mitigare i Cambiamenti Climatici come indicato nelle sotto azioni A61 e A62 in particolare:
“Riconoscendo e incentivando l’adozione di pratiche selvicolturali volte a migliorare le capacità di resistenza e resilienza dei popolamenti forestali ai cambiamenti climatici” (disetaneizzazione dei popolamenti, diversificazione della composizione e della struttura, migrazione assistita, ecc.), “Promuovendo l’aumento della diversità forestale al fine di favorire dinamiche naturali in linea con il cambiamento climatico”.
Viceversa, è sicuramente pericoloso che “le molteplici funzioni svolte dal settore forestale siano legate ad una garanzia di redditività della gestione e delle filiere connesse”. Semplicemente, se tagliare in maniera ecologicamente corretta non risulta remunerativo in assenza di incentivi, non si dovrebbe procedere al taglio. La pratica di incentivare pratiche anti-economiche a carico del contribuente non ha senso. Fanno eccezione gli interventi di restauro ambientale da realizzare seguendo progetti specifici che non prevedono la vendita di legname. Questi devono essere necessariamente essere finanziati.

· Curare gli Imboschimenti e i rimboschimenti artificiali realizzati in Italia nel secolo scorso, evitando il ricorso al taglio a raso, per non esporre il sottobosco e il suolo alle alte temperature e ai livelli elevati d’insolazione che, insieme ai periodi prolungati di siccità, si registrano sempre più di frequente in tutta Italia

· Incrementare “la superficie forestale su superfici agricole abbandonate o nude, prioritariamente in aree di pianura, periurbane e degradate, preservando nei territori collinari e montani la diversificazione delle forme d’uso del suolo e valorizzando le specie autoctone di provenienza certificata dando rilievo alle sotto azioni A.” Concordiamo in pieno, salvo il riferimento a “valorizzare” che solitamente significa aprire a pratiche di tipo speculativo sempre molto impattanti sul territorio. Semplicemente, riteniamo che si dovrebbero applicare le sotto azioni A7 (soprattutto per quanto riguarda l’A.7.3.b).

· Proteggere le formazioni forestali artificiali storiche, di elevato valore conservazionistico, sociale, paesaggistico e culturale.

· Sviluppare mercati dei prodotti legnosi dagli scarti di produzione dell’industria del legno, ricercando e promuovendo standard qualitativi elevati per quanto riguarda gli impatti ambientali, ponendosi l’obiettivo non di rincorrere la domanda ma di perseguire la rinnovabilità delle risorse. Modificando in tal denso la Sotto-Azione B.3.1.

· Escludere dalle azioni operative la filiera dell’energia, soprattutto se industriale perché, fatta eccezione di casi particolari, questa filiera ha un bilancio energetico nettamente negativo, con costi esterni elevati in termini di inquinamento atmosferico che minano la salute dei cittadini e li rendono più vulnerabili alle pandemie (Covid 19 insegna). Assolutamente falso è quanto riportato nella nota 4: al contrario, esiste una letteratura scientifica che certifica che l’utilizzo delle biomasse legnose a fini energetici riduce la quantità di carbonio accumulato nella biomassa e nel suolo. Inoltre, generalmente aumenta lo stress climatico sugli ecosistemi, riducendone l’attività fotosintetica, mentre la combustione di pellet è una delle principali fonti di polveri sottili negli ambienti urbani. Sul piano meramente energetico, il legno è ancora meno efficiente del Carbone e gli alberi sono una risorsa rinnovabile, ma limitata ed esauribile. Sensibili riduzioni degli stock possono essere recuperati solo in tempi lunghi, non prevedibili vista la situazione climatica attuale e futura.
La filiera energetica del legno ha senso solo in un’ottica di autoconsumo per le frazioni montane, ma se sviluppata a livello industriale è causa di degrado socioeconomico e non merita alcun tipo di finanziamento. Non ultimo, è in netto contrasto con la sotto-azione B.5.2.b (promozione del “marchio comunitario “zero deforestation” - vd. Conclusioni del Consiglio del dicembre 2019 sulla comunicazione "Intensificare l'azione dell'UE per proteggere e ripristinare le foreste del pianeta")”.

· Educare al concetto di limite, riconoscendo il legno come risorsa rinnovabile, ma limitata. Di conseguenza apprezziamo la sotto-azione B.6.3a sulla promozione della cultura del riciclo e del reimpiego. Meno sostenibile è promuovere l’acquisto di prodotti a base di legno vergine (edilizia, mobili, carta, packaging, ecc.), così come sono da evitare agevolazioni ed incentivi economici e fiscali per l’acquisto dei prodotti legnosi o a base di legno di origine nazionale (sotto-azione B.6.2.a)

· Elaborare nella Gestione della Strategia Forestale norme efficaci che non hanno bisogno di essere semplificate.

· Mirare ad applicare nella pioppicoltura tecniche agricole a basso impatto ambientale nella prima fase d’impianto, specie per quanto riguarda l’uso di prodotti fito-sanutari.


martedì 26 maggio 2020

Foreste: una risposta al ministero




Questo video, prodotto da Walt Disney nel 1958, mostra il mitico boscaiolo americano Paul Bunyan, sconfitto dalla sega a vapore in un orgia di distruzione della foresta -- ovviamente i veri sconfitti sono gli alberi, ma a quel tempo a queste cose non si faceva caso.

Qui di seguito, la lettera che io e Ilaria Perissi stiamo sottomettendo al MIPAAF (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) per invitare a una maggiore cautela nel considerare le foreste soltanto come un "servizio ecosistemico" da sviluppare al massimo possibile. Mi veniva in mente di scrivere alla fine, "e in ogni caso i boschi non sono una risorsa economica ma un dono della Dea" -- ma forse è meglio che non lo faccia. 

Non che ci daranno retta, è solo per farsi sentire. Se avete voglia di scrivere anche voi qualcosa, potete farlo a questo link. Non costa niente ed è una piccola soddisfazione che ci possiamo prendere. Fra i protestatori, anche il nostro Jacopo Simonetta (vi passerò le sue osservazioni nel prossimo post). Attenzione che la data di scadenza per presentare osservazioni è il 28 Maggio!

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Al Mipaaf
Oggetto: strategia forestale nazionale
 

Gentile ministro,
Ci permettiamo con queste osservazioni di far notare alcuni difetti di fondo insiti nella struttura del documento sulla Strategia Forestale Nazionale: quello di considerare la biomassa legnosa come una significativa fonte di energia rinnovabile e di altri usi sostitutivi del petrolio e degli idrocarburi fossili in generale
Questo appare chiaro fin dall’inizio del documento, dove si dice per esempio che si prevede (p. 6):
un aumento, a partire dai Paesi a più alto tasso di sviluppo, dei consumi energetici per produzioni termiche, ma anche di energia elettrica e di bio-fuel per il settore dei trasporti”
E, come si legge nella stessa pagina, si prevede
. un aumento correlato ai consumi di biomasse legnose conseguente alle politiche di de-carbonizzazione e quindi all’affermazione di nuovi impieghi di materie prime rinnovabili nella bio-economia: bio-plastiche, bio-tessili, bio-medicinali, prodotti ingegnerizzati per l’edilizia e tutti gli altri nuovi materiali in grado di sostituire prodotti ricavati da fonti non rinnovabili. “
Questa visione rappresenta un errore fondamentale nel contesto della transizione energetica che il nostro paese sta affrontando, come pure gli altri paesi definiti come ad “Alto tasso di Sviluppo” nel documento. Un errore sottolineato dalla terminologia usata, con l’uso di concetti quali “servizi ecosistemi” – non credo che ci sia bisogno di sottolineare che il concetto che l’ecosistema è “al servizio” dell’umanità è basato su una visione ottocentesca dell’economia e che oggi è, quantomeno, fuori luogo.
Andando nel dettaglio, va detto che è ancora diffusa l’idea che la biomassa legnosa sia sfruttabile come fonte di energia rinnovabile e sostenibile, un valido strumento per mitigare il problema del riscaldamento globale. Ma anche questa si sta rivelando una visione obsoleta. La ricerca più recente (vedi i riferimenti bibliografici) ha evidenziato i limiti di questa idea.
Se è vero che, in teoria, il biossido di carbonio immesso nell’atmosfera dalla combustione delle biomasse verrà prima o poi riassorbito dall’ecosistema, il processo è dinamico e ha un suo ciclo la cui lunghezza decennale incompatibile con gli obbiettivi di decarbonizzazione stabiliti dal trattato di Parigi del 2015.
In aggiunta, i risultati dell’analisi di processo mediante LCA (life cycle analysis) indicano come l’energia da biomassa sia un processo sempre poco efficiente, che alle volte richiede un consumo di energia fossile paragonabile o anche superiore a quello che produce. Ovvero, il parametro noto come EROEI (energy return of energy invested) è spesso vicino a 1 o anche inferiore.
Questo basso ritorno energetico è particolarmente vero per i biocombustibili, i quali sono in ogni caso una tecnologia perdente per via della loro bassa efficienza di produzione (per non parlare del loro uso in motori termici a bassa efficienza anche loro).
In sostanza, bisogna dire con chiarezza che la biomassa NON è una forma di energia rinnovabile e, in particolare, NON è una forma di energia adatta al nostro paese, se non per applicazioni locali e marginali. Sappiamo tutti molto bene che l’Italia non è non un paese che possiede ampie risorse sfruttabili di biomassa. Stabilire una strategia nazionale basata sull’idea di una crescita dello sfruttamento delle foreste rischia di sprecare preziose risorse economiche e danneggiare seriamente l’ecosistema boschivo anche di più di quanto non è danneggiato attualmente e in modi che non sarebbero rimediabili se non in tempi molto lunghi.
L’Italia, come tutti sappiamo, è il paese del sole ed è dal sole che deve trovare l’energia di cui ha bisogno per il futuro usando tecnologie moderne e ad alta efficienza come per esempio, ma non solo, l’energia fotovoltaica.
Dr. Ilaria Perissi
Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Scienza e la Tecnologia dei Materiali (INSTM)

Prof. Ugo Bardi,
Dipartimento di Chimica, Università di Firenze



Bibliografia


CO2 emissions from biomass combustion for bioenergy: atmospheric decay and contribution to global warming. F. Cherubini, G.P. Peters, T. Berntsen, A. H. Stromman E. Hertwich
GCB Bioenergy, Volume 3, Issue 5, 2011

Does replacing coal with wood lower CO2 emissions? Dynamic lifecycle analysis of wood bioenergy
John D Sterman, Lori Siegel, and Juliette N Rooney-Varga3
Environmental Research Letters, Volume 13, Number 1

The Biofuel Delusion: The Fallacy of Large Scale Agro-Biofuels Production
Authors Mario Giampietro, Kozo Mayumi, Earthscan, 2009












domenica 24 maggio 2020

Sul piacere di rileggersi: è soltanto narcisismo?


Un post di Bruno Sebastiani


Ho appena terminato di correggere le bozze del mio prossimo libro (al quale dedicherò un articolo a tempo debito) e tale attività ha indotto in me una riflessione che può condurre a interessanti approfondimenti di tipo “neuro-pseudo-scientifico”.

Ho provato -lo confesso- un intimo piacere nel rileggere le pagine da me scritte e con esse ho sperimentato una sincera consonanza.

Bella forza, voi direte! Ci mancherebbe che l’autore non sia d’accordo con le sue tesi!

Ma credo che la questione meriti un’analisi di maggior spessore: essere l’autore preferito di se stessi è semplice manifestazione di narcisismo o sottintende questioni neurologiche più complesse?

Avevo già sperimentato il fenomeno. Ogni volta che prendo in mano un mio libro o un mio articolo, lo leggo e rileggo approvando mentalmente ogni singolo passaggio, e la lettura scorre veloce senza incepparsi come spesso capita con gli scritti altrui.

Certo, quando leggo Dostoevskij o Manzoni vengo rapito dal loro modo di scrivere e riconosco che non sarò mai in grado di raggiungere la loro perfezione stilistica né il loro livello di approfondimento psicologico dei personaggi.

Eppure essi il più delle volte scandagliano abissi al di fuori dei miei interessi primari.

È importante, fondamentale la lettura di altri autori, perché aiuta a mostrarci sfaccettature della realtà da noi poco o per nulla percepite.

Ma poi i nostri pensieri, pur arricchiti da questi apporti, tornano a ruotare intorno ai “perni” propri della nostra visione del mondo.

Cosa si nasconde dietro a questo meccanismo neurologico?

Io credo che nel cervello super-evoluto di ognuno di noi i neuroni e le sinapsi si dispongano e si colleghino in modo tale da rendere più probabile l’insorgere di un determinato tipo di ragionamento anziché di un altro. È una questione “meccanica”, seppur di altissima precisione.

Non chiedetemi quali neuroni, quali sinapsi e quali collegamenti siano responsabili di tutto ciò. Non so rispondervi io, ma temo che non saprebbe rispondervi neppure il più illustre dei neuroscienziati.

Però mi pare indubitabile che dietro ad ogni tipo di ragionamento vi sia un “set” di dispositivi fisici scatenanti. Le idee non nascono dal nulla e l’estrema complessità della nostra materia grigia non deve costituire alibi per “smaterializzare” gli apparati che producono i pensieri.

Le nozioni di hardware e software ci vengono incontro per illustrarci, pur in modo assai approssimativo, quale sia il meccanismo alla base di ogni ragionamento.

E l’hardware di ciascun essere umano è affine a quello di tutti i suoi simili, ma non identico, esattamente come ognuno ha un naso, due occhi, due orecchie, ecc., ma con differenze più o meno marcate.

Le differenze a livello di architettura neuronale si trasformano in differenze di vedute, sensazioni, opinioni.

Che sia così è senz’altro un bene. Pensate alla tristezza di una totale uniformità di vedute abbinata alla completa prevedibilità di ogni comportamento umano.

Ma l’abnorme sviluppo del nostro cervello ha comportato anche l’insorgere di una ulteriore caratteristica nella nostra specie, e cioè la possibilità di modificare l’architettura neuro-sinaptica in base a input di natura culturale. È un po’ come se il software potesse modificare l’hardware di un computer (a chi volesse approfondire questo argomento consiglio la lettura di questo articolo).

Dunque all’interno della nostra scatola cranica non sempre i nostri ragionamenti ruotano attorno ai medesimi perni.

Dal che ne discende un importante corollario alle affermazioni poste in apertura di questo articolo: capita ad alcuni (non a tutti) di prendere in mano propri libri o articoli scritti in anni passati e di non trovarsi più in consonanza con i medesimi. Cosa è accaduto? Non siamo più noi stessi? Perché abbiamo sostenuto certe teorie e ora non le riconosciamo più come nostre?

Semplicemente abbiamo appreso strada facendo nel corso della vita nuove nozioni, siamo entrati in contatto con nuove teorie che hanno modificato il nostro modo di pensare. Probabilmente i neuroni sono gli stessi (o si rinnovano?), ma i collegamenti tra le sinapsi si sono modificati. Il nostro modo di pensare ruota attorno a nuovi perni e ci ha fatto perdere la sintonia con i nostri lavori più o meno giovanili.

Così accadde a Nietzsche nei confronti de “La nascita della tragedia” e della sua infatuazione giovanile per il wagnerismo, così accadde a Lorenz che rinnegò in gran parte “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà”, così pare sia accaduto a Lovelock, che all’età di 97 anni avrebbe rinnegato il suo pessimismo di oltre trent’anni prima nei confronti del destino di Gaia (a dimostrazione di come le modifiche “culturali” non conoscano limiti di età).

Dunque noi amiamo il nostro modo di ragionare e siamo in completa sintonia con noi stessi, ma le forme del pensiero non sono fisse.

Le nostre argomentazioni sono in grado di influenzare il modo di pensare altrui, che a sua volta può indurre modifiche nel nostro.

Ognuno sostiene con vigore le proprie affermazioni, ritenendole in assoluto le migliori. Ma vi sono visioni del mondo più coerenti di altre e alla lunga queste tendono a diffondersi, in special modo se avvenimenti del mondo della natura spingono in tal senso.

Oltre che dal pensiero altrui, infatti, il nostro modo di ragionare può essere prepotentemente condizionato da ciò che accade nel mondo reale.

Quest’ultima osservazione rafforza in me il convincimento che la mia teoria, il Cancrismo (ma anche ogni altra visione radicale sulla nocività umana), potrà purtroppo trovare ampia diffusione solo in concomitanza con l’esaurirsi delle risorse e con l’insorgere di gravi crisi economico – sociali – ambientali.

Siete in sintonia con questo modo di pensare? O le vostre connessioni inter-sinaptiche fanno ruotare i vostri pensieri attorno ad altri perni?

giovedì 21 maggio 2020

La Nuova Strategia Forestale Nazionale: Cosa vogliamo fare delle foreste italiane?



 Paul Bunyan è una figura leggendaria del folklore nordamericano. In questo filmato di Walt Disney del 1957, lo vediamo glorificato nella sua forma più classica: un uomo gigantesco e gioviale, in grado di abbattere un albero (anche più d'uno) con un singolo colpo d'ascia. E che non si chiede perché. Possiamo prenderlo come una metafora di un atteggiamento nei riguardi delle nostre foreste che poteva ancora andar bene negli anni 1950 (forse) ma che oggi non dovrebbe più aver spazio nella nostra visione del mondo. Purtroppo, sembra che sia ancora popolare in Italia.


Qui di seguito trovate un testo di Fiorenza Adriano e dei Liberi Pensatori a difesa della natura riguardo alla recente "predisposione della Strategia Forestale Nazionale" da parte del ministero delle politiche agricole. E' un documento che ha anche qualche cosa buona, ma più che altro in termini di chiacchere. Se poi vai a vedere la sostanza, viene fuori che vede ancora le foreste principalmente come una risorsa economica. Una risorsa da tagliare per massimizzare i profitti. E, cosa ancora peggiore, rimane legata alla visione obsoleta che le foreste sono una sorgente di energia rinnovabile che non contribuisce al riscaldamento globale. Ma, come sempre, quando considerazioni di profitto prevalgono, si finisce per fare danni -- anche molto grossi.

La questione è discussa in dettaglio nel testo qui sotto. Se vi sembra che i "Liberi Pensatori a Difesa della Natura" abbiano ragione, potete fare qualcosa anche voi per aiutare. Andate sulla pagina del Ministero e dite la vostra. Al link trovate un modulo da compilare con delle osservazioni, delle critiche, dei pareri. E' un'opportunità di intervenire. C'è tempo fino al 28 maggio per inviare i moduli. (UB).


Su Facebook, trovate il gruppo dei Liberi Pensatori.

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Testo di Fiorenza Adriano e Liberi Pensatori a difesa della natura.


Siamo in Italia, immersi nel verde, in un paese ricco di boschi. Ha senso qui parlare di attacco alle foreste e alla biodiversità? Tenendo conto poi che il nostro stile di vita non può fare a meno del legname e dei suoi molteplici usi, che vanno dalla produzione di carta ai mobili al riscaldamento all'impiego nell'edilizia...Perché dunque da più parte i cittadini, quasi sempre invano, protestano e si oppongono ai tagli? C'è una petizione, sostenuta dal gruppo “Liberi Pensatori a Difesa della Natura” che chiede che la gestione delle foreste passi dalla competenza del Ministero delle Politiche Agricole al dicastero dell'Ambiente, in quanto ora il patrimonio boschivo viene inteso più che altro in modo produttivistico. E come mai, essendo il numero di firme cresciuto fino alle 80.000, la stampa tace e nessuna fonte ufficiale ne parla?

Attualmente è in corso una Consultazione Popolare riguardo alla nuova Strategia Forestale Nazionale proposta dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, consultazione a cui bisogna partecipare, perché è un modo di far valere la nostra opinione.

Vorrei qui far sentire la voce di alcuni rappresentanti del gruppo “Liberi Pensatori a difesa della natura”, impegnato sul fronte della tutela del nostro patrimonio boschivo. Le domande potrebbero essere molte, ma cercherò di limitarmi a quelle, a mio giudizio, essenziali.

PRIMA DOMANDA: Come mai si dice che le foreste italiane siano aumentate, nell'ultimo secolo?

LIBERI PENSATORI. Se teniamo conto soltanto della superficie occupata dai boschi, possiamo dire che le foreste siano in espansione. Il problema è prendere come punto di riferimento la volumetria dei nostri boschi, che dovrebbe essere, come media minima, di 250/300 metri cubi per ettaro. Per le foreste vetuste,anche di 500/600. La media italiana è invece adesso di 150 metri cubi per ettaro, cioè molto bassa e sta ad indicare che gran parte della superficie che noi intendiamo come ricoperta da foreste sia in realtà occupata da boschi poveri, cioè estesi come superficie, ma poveri come biomassa.
Il bosco poi ogni anno cresce, ma mancano dati certi sulla volumetria dei prelievi che, secondo alcune rilevazioni, paiono essere superiori a quelli della ricrescita, andando così ad impoverire costantemente il bosco.

Nella Proposta di Legge del Ministero delle Politiche Agricole notiamo la mancanza di una politica forestale chiara e mirata ad indicare l'incremento dei volumi di biomassa per ettaro, come previsto dagli accordi internazionali, nonché la carenza di fonti ufficiali dirette ed affidabili sulla volumetria dei prelievi legnosi. Lo stato di salute e di effettiva importanza e realtà delle foreste su un territorio sono direttamente indicati dai dati riguardanti la loro volumetria e non solo dalla superficie da esse occupata.

SECONDA DOMANDA: Che cosa comporta per i nostri boschi il fatto che le risorse forestali siano state inserite fra e fonti di energia rinnovabile? Quali sono i dati relativi ai prelievi di biomassa dalle foreste?

LIBERI PENSATORI La definizione “biomassa=rinnovabili”, adottata nel 1997 a Kyoto, con la conseguente erogazione di incentivi per favorire l'uso di tale fonte energetica, ha provocato un eccessivo sfruttamento dei boschi mondiali mettendoli in pericolo. In Italia molti affermano che i boschi siano scarsamente sfruttati e che occorrerebbe incentivare ulteriormente l'uso delle biomasse solide (legna da ardere, altri materiali legnosi e sottoprodotti) per la produzione di energia. I maggiori esperti del settore forestale affermano invece che i dati nazionali ed europei sui prelievi boschivi presentano incertezze anche gravi. In caso di incertezza e indeterminazione sarebbe saggio adottare la cautela, mentre pare prevalga una arbitraria temerarietà.

TERZA DOMANDA:Il taglio e il prelievo degli alberi incidono sul suolo, elemento importante per la biodiversità e pozzo di CO2, nonché deterrente allo scorrere impetuoso delle acque piovane verso valle, in quanto capace di diventare come una spugna che assorbe l'acqua e le consente di penetrare lentamente nel terreno. Come si trasforma il suolo con le ceduazioni e con quali conseguenze per la biodiversità e per gli alberi rimasti?

LIBERI PENSATORI A questo riguardo si parla di “pozzo” e di “fonte” di CO2. Pozzo è un serbatoio di CO2, che la cattura e la trattiene(sequestro). Fonte è l'origine di una diffusione di CO2, che la rilascia nell'aria (emissione).

“Pare dunque che i boschi italiani, e non solo, siano destinati a passare dalla condizione, per noi favorevole, di pozzo di CO2 a quella di fonte di CO2. Invece di trattenere e togliere dall'aria la CO2 possono diffonderla."

Gli effetti della gestione forestale sono rilevanti e possono alterare profondamente il bilancio del carbonio degli ecosistemi forestali. I boschi diventano fonte o pozzo in relazione alla direzione che assumono i flussi di scambio con l’atmosfera. A livello di ecosistema, il bilancio del carbonio è rappresentato dalla quantità fissata attraverso la fotosintesi, detta produzione primaria lorda. Una quota viene respirata dalle piante per i processi di sintesi e di mantenimento, un'altra quota viene respirata dalla componente eterotrofa attraverso la degradazione della sostanza organica. La Biomassa prodotta è uguale alla produzione primaria netta, ossia produzione lorda meno respirazione autotrofa. Una foresta è sink /pozzo o source /fonte a seconda del bilancio produzione primaria netta meno respirazione eterotrofa. Questa si chiama produzione netta di ecosistema. I tagli boschivi riducendo la fotosintesi ed esaltando la respirazione , (maggiore luce e calore nel suolo ) rendono le foreste sorgenti di CO2 per decenni.

In un bosco tagliato tutto il carbonio accumulato nei secoli dentro il suolo , a causa della maggiore luce che passa tra le chiome ridotte, ridiventa pericolosa CO2 , che si riversa nell’atmosfera.”
Per non parlare poi del danno al sottobosco e all'humus che, dopo un disboscamento o un diradamento degli alberi, impiegherà un numero molto alto di anni per ricostituirsi.

QUARTA DOMANDA: Il testo della Nuova Strategia Forestale Nazionale pare non essere adeguato ad una giusta conservazione e tutela delle nostre foreste. In quali punti pensate sia particolarmente carente?

LIBERI PENSATORI L'economia circolare ha come obiettivo la riduzione della pressione sulle risorse naturali. Si può parlare delle tre R: riciclo, riuso, risparmio del legno, per non incentivarne i consumi. Ci pare che invece la Nuova Strategia Forestale sia lontana dai principi dell'economia circolare e che, presupponendo erroneamente che le risorse forestali siano in crescita, si ponga l'obiettivo di incentivarne l'uso, a beneficio delle attività produttive ad esse collegato.

Noi riteniamo invece che le risorse forestali non siano affatto in crescita, ma in sofferenza. La mancanza di dati certi sui prelievi e sull'effettiva volumetria, ci pare molto grave e altrettanto grave la mancanza di esperti del settore che possano compiere studi e ricerche per arrivare a delle conclusioni serie. Non possiamo equiparare un bosco povero, lavorato a ceduo, con alberi radi e giovani, ad una foresta matura con alberi secolari e con una volumetria nella norma fissata dalle direttive europee. Non possiamo quindi accettare il concetto di superficie forestale in espansione. Riteniamo invece che le aree in cui ci sono foreste mature vadano assolutamente tutelate e protette, per favorirne, nel tempo, l'espansione. Riteniamo che non si possa più in alcun modo utilizzare foreste per attività collegate alla filiera del legno né tanto meno per fornire biomassa alle centrali.
Al fine di produrre legname per le attività collegate alla filiera del legno, pensiamo che la soluzione più ragionevole sia un processo graduale che operi il passaggio dalla selvicoltura alla arboricoltura con foreste messe a dimora in spazi agricoli non utilizzati. Pensiamo che le foreste mature debbano essere lasciate alla loro evoluzione naturale, per poter svolgere le loro funzioni ecosistemiche. In questo modo realmente si svilupperebbe un'economia basata su valori di conservazione e non ti taglio delle foreste.

QUINTA DOMANDA: attraverso la Consultazione Popolare ogni cittadino può esprimere la sua opinione riguardo alla nuova Strategia Forestale Nazionale proposta dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. La scadenza per inviare le nostre osservazioni è il 28 maggio. A livello pratico, come possono fare gli interessati per mandare al Ministero le loro osservazioni che, naturalmente, più saranno numerose e più avranno la possibilità di fare la differenza?

LIBERI PENSATORI La Consultazione Popolare è un mezzo di democrazia diretta che dovrebbe stimolare tutti a cercare di conoscere l'argomento. C'è poi un modulo da compilare. Ecco il link: 
https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/15339

ULTIMA DOMANDA: Volendo quindi riassumere in poche parole la vostra critica nei confronti della nuova Strategia Forestale, che cosa potete dire?

LIBERI PENSATORI Chiediamo una politica mirata alla conservazione e alla tutela del nostro patrimonio boschivo, con dati sicuri sui prelievi e sulle volumetrie dei boschi. Chiediamo inoltre che le foreste non siano più intese come fonti di energia rinnovabile per la produzione di energia. Riteniamo infine che la protezione della biodiversità sia un obiettivo primario da perseguire.