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martedì 13 ottobre 2020

Cosa è "contro natura"? Di Chimere e Cavalli Alati

 

Pegaso, il cavallo alato

Questa volta cercherò di toccare il cuore della Questione (quella con la Q maiuscola).

Tante volte abbiamo sentito condannare i comportamenti “contro natura” dai più disparati pulpiti.

Per lo più a usare questa espressione sono esponenti ecclesiastici. Ma non solo.

Cosa intende dire chi utilizza questa locuzione? Intende dire che in natura per ogni specie, per ogni fenomeno, per ogni evento, esiste un determinato ventaglio di possibilità di accadimenti, e i comportamenti che rientrano all’interno di questo ventaglio sarebbero “secondo natura”, gli altri “contro natura”.

Ma, se tutto è natura, come è possibile che esistano comportamenti non solo al di fuori della natura, ma addirittura contro la natura stessa?

Qui, come si vede, il discorso si ingarbuglia. Ma è un discorso estremamente importante, per cui è opportuno approfondirlo e cercare di sgarbugliarlo.

Iniziamo col dire che effettivamente tutto ciò che conosciamo è natura. Abbiamo un determinato numero di sensi e attraverso loro ci giungono le immagini, i suoni, gli odori, i sapori e le sensazioni che il mondo esterno ci trasmette.

Poi tutti questi “input” vengono elaborati dal nostro organo di comando, il quale è in grado di abbinarli anche in modo da immaginare cose, oggetti ed esseri non esistenti in natura.

Il primo esempio che mi viene in mente per illustrare questo concetto è il centauro, metà uomo e metà cavallo, ma la mitologia ci tramanda molte altre creature inventate di sana pianta, dalla chimera al minotauro, dall’unicorno alla sfinge e così via.

Ecco dunque che troviamo un primo elemento interessante sul percorso che ci dovrebbe condurre a stabilire se esiste qualcosa “contro natura” e, in caso affermativo, in cosa consisterebbe: il cervello umano è in grado di concepire, partendo da elementi della natura, cose che in natura non esistono.

Possono farlo anche i cervelli di altre specie animali? Probabilmente sì, ma solo a livello di rappresentazione onirica. Tutti gli animali dormono e, per analogia con quanto accade a noi, non abbiamo motivo di dubitare che anche essi sognino. In questa fase le cose o gli esseri visti, sentiti, percepiti da svegli probabilmente possono trasformarsi in cose o esseri non esistenti realmente ovvero in rappresentazioni mentali storpiate dal meccanismo del sonno. Ma sono illusioni che terminano al momento del risveglio.

Solo encefali con un grandissimo numero di neuroni possono far credere a chi li possiede che in natura esistano cose o esseri partoriti unicamente dalla fantasia di chi li ha concepiti.

Con questo giro di parole ci imbattiamo nel cosiddetto “pensiero astratto”, ovvero in quella facoltà tipica del cervello umano di dedurre da alcune caratteristiche reali altre caratteristiche non più reali (ovvero non esistenti in natura) ma in grado di raggruppare idealmente un insieme di soggetti all’interno di determinate categorie.

Dal mondo delle idee di platonica memoria in avanti, una infinita schiera di pensatori si è avventurata in questo tipo di esercizio mentale.

L’intera disciplina che si è autodefinita “amante del sapere” (la filosofia), nasce e si basa sulle fantasticherie del pensiero astratto.

Senonché questo tipo di pensiero, che partorisce costruzioni mentali non esistenti nel mondo reale, è in grado poi di trasformare queste creazioni intellettuali in oggetti concreti frutto dell’assemblaggio di “pezzi” di natura (pietre, legni, ossa …) realizzato “ad arte”.

Con questo nuovo giro di parole passiamo dal “pensiero astratto” al “mondo artificiale”, il primo in contrapposizione al “pensiero concreto” e il secondo al “mondo naturale”.

Se questi ultimi due esistono da milioni e milioni di anni, i primi due sono molto recenti (datano poche decine di secoli), e in questo breve volgere di tempo hanno stravolto un equilibrio che era andato consolidandosi con estrema gradualità.

Dalla clava e dall’arco si è passati alla polvere da sparo e alla bomba atomica. Dal cibarsi raccogliendo frutti e andando a caccia si è passati alle monocolture agricole e agli allevamenti intensivi. Con tutte le conseguenze nocive e destabilizzanti che ormai ben conosciamo.

Ma lasciamo per un attimo da parte i concetti fin qui acquisiti e divaghiamo verso un altro tipo di ragionamento, all’interno del quale troveremo elementi utili allo scopo che ci siamo prefissi.

Il fenomeno che ci interessa più da vicino, la vita, ha un andamento lineare? Ovvero: sappiamo che tutto evolve e che la continuità della vita è garantita dalla capacità di riproduzione delle singole specie. Ma questo “meccanismo” non incontra mai intoppi?

La domanda è di tipo retorico, perché in realtà sappiamo che in natura non vi è nulla di lineare, bensì la vita nasce dal caos, dallo scontro infinito e casuale degli elementi.

Non uso il termine di lotta, perché questo implica concetti partoriti dal pensiero astratto, (bene e male, giusto e ingiusto ecc.). Anche l’idea di linea retta e di andamento lineare, nascono da questo tipo di pensiero. In natura esiste un numero infinito di linee e di forme, bidimensionali e tridimensionali. Tra queste vi sono anche la linea retta, il quadrato e il cubo, ma mischiati a infinite altre linee e forme. Solo il pensiero astratto isola le categorie “perfette”, quelle che rispondono a determinati criteri da esso stabiliti.

Nello scontro infinito e casuale degli elementi si verificano situazioni “costruttive” e altre “distruttive”. Con le prime intendo il verificarsi di aggregazioni accrescitive di determinate realtà, con le seconde il verificarsi di fenomeni disgregativi delle medesime.

Se prevalgono le prime la vita prospera, se prendono il sopravvento le seconde la vita soffre e arretra.

L’esempio della malattia ci aiuta a comprendere meglio questo concetto. I virus che ci fanno ammalare o le cellule che da sane si trasformano in tumorali, fanno entrambi parte della natura, ma non per questo favoriscono la diffusione della vita, né la sua conservazione. Anzi la ostacolano in quel continuo accavallarsi di elementi da cui poi fuoriesce l’evolversi di tutti i fenomeni naturali.

Ma allora cosa è “contro natura”, se anche questi elementi ostili alla vita fanno parte della natura?

Praticamente nulla, visto che tutto è natura.

Ma se proprio vogliamo trovare un elemento che contrasta più degli altri con l’ordinato svolgimento della vita sul pianeta, dobbiamo tornare a quel concetto di pensiero astratto cui facevo cenno più sopra.

È lui, solo lui, in grado di contravvenire alle cosiddette leggi di natura. Non a tutte, ovviamente. La legge di gravità, ad esempio, è ineludibile. Ma anche in questo caso, che pare uno dei più inoppugnabili, l’uomo, tramite il pensiero astratto, è riuscito a realizzare dispositivi con cui volare e solcare i cieli.

In un altro articolo recentemente apparso su Effetto Cassandra ho menzionato come anche le consuetudini sessuali e le stagioni degli amori siano stati modificati dall’uomo a seguito delle sue accresciute capacità cerebrali (vedi “La ripugnanza del sesso, perché ci vergogniamo di certe cose”).

Molti altri esempi di questa capacità di plasmare i nostri comportamenti in modo diverso da quanto previsto dall’evoluzione naturale della vita sono rintracciabili negli ultimi millenni e, fatto ancor più rilevante, questi comportamenti “artificiali” sono andati crescendo con un ritmo sempre più accelerato di secolo in secolo, sino all’andamento parossistico dei nostri giorni.

L’avanzamento di questo modus vivendi artificiale si è verificato ai danni di un’infinità di altre specie animali e vegetali, la cui sparizione è andata crescendo in parallelo alla crescita del primo.

Ecco dunque che abbiamo individuato qualcosa che osteggia lo statu quo esistente in natura e il suo lento, pigro modificarsi millennio dopo millennio!

Questo qualcosa, che agisce “contro natura” pur se originato all’interno del mondo della natura, è il cervello dell’uomo dopo il superamento di una imprecisata soglia di crescita.

Il limite è determinato dal formarsi della neocorteccia? Dal numero di neuroni superiore a una determinata quantità? Dalla ragnatela dei collegamenti inter-sinaptici sempre più fitta?

Non è dato saperlo e non è neppure particolarmente importante conoscerlo.

Ciò che conta è che l’intelligenza è cresciuta e ha iniziato a modificare il mondo circostante con criteri diversi da quelli sino a quel momento utilizzati dal caso, il vero motore dell’evoluzione.

Non è stata una colpa (concetto figlio del pensiero astratto), ma un caso (si veda in proposito il mio articolo “Il caso e la colpa” scritto in risposta a un articolo di Igor Giussani dedicato al Cancrismo).

Se dunque esistono atti definibili come “contro natura” (nel senso che contrastano con quanto sarebbe accaduto nel mondo della natura in assenza di interventi determinati dal pensiero astratto) questi sono tutti riconducibili a quell’unico grande evento cui ho fatto cenno più volte, e cioè a quella abnorme evoluzione patìta dal nostro encefalo che ci ha resi più intelligenti di ogni altro essere vivente e proprio per tale motivo ci ha trasformati in cellule tumorali della biosfera.


giovedì 4 giugno 2020

L'impero del cancro del pianeta: il nuovo libro di Bruno Sebastiani

 L'impero del cancro del pianeta


Chi di voi, osservando dal finestrino di un aereo le case, le strade, i capannoni e i campi coltivati sottostanti, non ha avuto l’impressione di trovarsi in presenza di un melanoma, di un vero e proprio tumore maligno ai danni del corpo del pianeta?
In gergo “cancrista” questa si chiama la “prova dell’aeroplano” e ne hanno parlato, tra gli altri, Lewis Mumford e Konrad Lorenz.
Questa raffigurazione terrificante è la conferma visiva di come ormai l’intero globo terracqueo sia diventato un immenso, sconfinato impero dell’essere umano, ovvero del cancro del pianeta.
Ad esso è dedicato il mio nuovo libro, intitolato per l’appunto “L’impero del cancro del pianeta” (Mimesis editore) e sottotitolato “L’organizzazione della società ai tempi dell’ecocidio”.
Per la presentazione dei libri precedenti vedere Il cancro del pianeta e Il cancro del pianeta consapevole.
Ho cercato con questo saggio di scendere metaforicamente dall’aeroplano e di calarmi dentro alla realtà della malattia per vedere come le cellule neoplastiche si sono organizzate al fine di sostenere il loro esorbitante aumento numerico.
Si sa che il cancro è originato da una o più cellule che subiscono un’alterazione genetica tale da rifiutare il meccanismo omeostatico che blocca la proliferazione delle cellule quando il loro numero diventa eccessivo. Venendo meno questo freno, la popolazione delle cellule alterate straborda ovunque, come è accaduto alla nostra specie.
Ogni cellula va nutrita e se il loro numero è elevatissimo, occorre trovare elevatissime quantità di cibo. È il problema con il quale da decenni convive drammaticamente il genere umano, senza che gran parte di esso si renda conto dei problemi e dei drammi che si celano dietro agli scaffali pieni dei supermercati.
Ho cercato di affrontare questa realtà con l’aiuto di altri autori che prima di me l’hanno indagata con grande competenza. Tra questi Raj Patel, Lester R. Brown, Philip Lymbery e Stefano Liberti. Arricchito dai dati, dalle notizie e dai pareri di costoro e di altri autori, ho avuto una ulteriore conferma che quanto accaduto negli ultimi decenni si inquadra perfettamente nell’ottica della teoria cancrista.
Il compito che mi sono assunto, infatti, non è di effettuare una nuova indagine in aggiunta a quelle già esistenti, ma di mostrare all’uomo contemporaneo come i fatti e i processi sociali che si svolgono sotto ai suoi occhi altro non sono che tasselli di un comportamento tipicamente cancerogeno.
Molti autori hanno descritto i mali che affliggono il mondo per cause antropiche, ma poi non sono giunti a trarre le conclusioni più coerenti.
Un nome su tutti, quello di Aurelio Peccei. Il fondatore del Club di Roma nel suo saggio “Cento pagine per l’avvenire” (Giunti Editore, Firenze 2018) scrive:
È […] in uno slancio di creatività eccezionale o in un momento di smarrimento che la Natura produce la sua ultima grande specie […] homo sapiens? È questi il suo capolavoro, o invece non è che un refuso sfuggito al controllo della selezione […]? (pag. 56)
Un […] comportamento aberrante della nostra specie la rende gravemente colpevole davanti al tribunale della vita. Si tratta della sua proliferazione esponenziale, che non si può definire che cancerosa.” (pag. 66)
Siamo per caso una specie di geni, destinati in fin dei conti a trionfare su tutto? O al contrario […] non ci siamo forse trasformati in mostri, magari mostri geniali, che finiranno per restar vittime del loro stesso malsano operare?” (pag. 80)
Questi dubbi e questi atti di accusa non si concretizzano però in una coerente teoria cancrista, ma si stemperano in un atto di fede che sinceramente non condivido:
Pur riconoscendo che questa tesi ha dei punti validi, io sono portato a dare una risposta meno pessimista a questi interrogativi cruciali sulla natura e sul destino dell’uomo. La condizione umana è grave, ma può essere migliorata – a certe condizioni.” (pag. 81)
Questa affermazione fa capire come Peccei, nonostante le sue intuizioni sulla nocività del genere umano, sia sempre rimasto sostanzialmente antropocentrico.
La sua preoccupazione non è per la gravità delle condizioni della biosfera, ma per quella del genere umano.
Per un ulteriore approfondimento del pensiero del fondatore del Club di Roma vedere “Aurelio Peccei precursore del Cancrismo?
È come se un medico si preoccupasse dello stato di salute del tumore anziché di quello dell’ammalato.
Credo che questa metafora renda bene l’idea della inversione di prospettiva operata dalla teoria cancrista: non è del genere umano che ci dobbiamo preoccupare ma della biosfera nel suo complesso, anche perché noi comunque della biosfera facciamo parte e se le sue condizioni di salute migliorassero pure noi ne beneficeremmo.
Ma, al punto in cui siamo, questa opzione non è realistica, al contrario tutto sembra indicare che la strada intrapresa vada esattamente in direzione opposta.
Questo è l’oggetto del mio saggio: vedere come la società si sia strutturata per far fronte alle esigenze alimentari ed energetiche di una popolazione mondiale in costante aumento e, soprattutto, come questa organizzazione non consenta inversioni di rotta, pena l’impossibilità di garantire cibo e energia ai miliardi di uomini e donne che abitano il pianeta.
L’agricoltura intensiva, gli allevamenti concentrazionari e l’acquacoltura sono altrettanti capitoli de “L’impero del cancro del pianeta” dove vengono analizzati origini, sviluppo e prospettive dei sistemi più efficaci per produrre cibo. A guardarli da vicino, questi sistemi non possono che suscitare orrore, ma in un altro capitolo del libro spiego come il pensare di sostituirli con la cosiddetta “agroecologia” sia pura utopia.
È una ulteriore riprova che la via imboccata non ha alternative e non può essere percorsa a ritroso. Anche se la crescita della massa tumorale che noi rappresentiamo per la biosfera un giorno dovesse arrestarsi per mancanza di risorse, ciò avverrebbe al limite di ciò che il Pianeta può offrire in termini di terra coltivabile e di animali macellabili, dopo aver distrutto tutte le cellule sane vegetali e animali esistenti.
Ciò significherebbe comunque il collasso della biosfera, la morte dell’ammalato di cancro.
Il discorso è ancora più drammatico se si pensa alla situazione di quello che ho chiamato il “cibo per le macchine”, ovvero l’energia necessaria a far funzionare i miliardi e miliardi di apparati, dispositivi, congegni e altre attrezzature artificiali realizzate dall’uomo nell’illusione di rendere più comoda la sua vita a tempo indeterminato.
Un apposito capitolo del libro è dedicato a tale realtà e alla disperata ricerca di quelle inesauribili fonti di energia pulita che dovrebbero risolvere ogni nostro problema, ma che appaiono ancora ben lontane dal poter sostituire i combustibili fossili.
A tal proposito il Cancrismo ritiene però che, anche se queste fonti di energia pulita e rinnovabile si rendessero disponibili e fossero in grado di soddisfare le esigenze di tutte le macchine del mondo, la salute della biosfera non ne trarrebbe beneficio.
L’uomo - cancro del pianeta ne approfitterebbe infatti per dilatare a dismisura i suoi consumi ai danni di ogni altra residua realtà sana della biosfera, e con questo suo comportamento non farebbe che affrettare i tempi del collasso.
Non si tratta di pessimismo né di visione cupa della vita. È solo oggettivo realismo che trova la sua spiegazione nella metafora che assimila l’essere umano a una cellula tumorale e l’intera umanità alla massa neoplastica che divora lentamente l’organismo dell’ammalato di cancro.
Pochi pensatori, e non tra i più famosi, hanno sin qui avuto il coraggio di esplicitare una teoria così radicale, e io, giunto al termine della mia “trilogia” su “Il cancro del pianeta”, ho avvertito il desiderio di curiosare in rete per vedere chi mi avesse preceduto nel denunciare il comportamento cancerogeno di Homo sapiens.
È nata così la corposa Appendice su “I precursori del cancrismo” posta in calce al volume. Si tratta del primo documento che riunisce personaggi provenienti da esperienze diverse ma uniti nella visione cancrista dell’essere umano.
Di ognuno ho analizzato i punti di contatto e quelli di divergenza rispetto alla teoria sviluppata nei miei tre saggi.
Ma un elemento su tutti accomuna gli autori presi in considerazione: nessuno di essi ha mai sistematizzato le proprie intuizioni in uno o più lavori storico - dottrinali di ampio respiro, tali cioè da configurare la nascita di una teoria o corrente filosofica sulla nocività dell’essere umano per la biosfera.
Con questo mio nuovo libro e con i due precedenti mi auguro di essere riuscito a colmare almeno in parte questa lacuna nella storia del pensiero, in attesa che altri riprendano questo tema per svilupparlo e diffonderlo in modo ancor più autorevole.