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martedì 31 agosto 2021

Il Medioevo Sarà Elettrico, Oppure non Sarà

 Un articoletto di qualche mese fa che credo valga la pena ripresentare qui. I dati che riporta rimangono validi: le varie "misure non farmaceutiche" contro la pandemia non hanno avuto un effetto misurabile sul riscaldamento globale. (UB)

Ugo Bardi Arriva proprio in questi giorni dal Noaa (l’ente nazionale per l’amministrazione degli oceani e dell’atmosfera degli Stati Uniti) una discreta doccia fredda (in effetti calda, addirittura bollente) su quelli che speravano che la pandemia avesse aiutato a ridurre il problema del cambiamento climatico. Dice il Noaa che i livelli dei due gas serra principali, biossido di carbonio e metano, “hanno continuato la loro crescita nel 2020, nonostante il rallentamento economico causato dalla risposta alla pandemia” e anche che “la concentrazione di CO2 di oggi è comparabile a quella del periodo caldo del Pliocene, circa 3,6 milioni di anni fa”.

In sostanza, non è cambiato nulla. Eppure in Italia si parla di una riduzione del 10% delle emissioni di CO2 nel 2020. In tutto il mondo ci si attesta sul 6-7% in meno. Come è possibile che questo non abbia avuto effetto sulle concentrazioni atmosferiche? Per alcuni, è una cosa talmente sorprendente che c’è chi ha cominciato a dire che tutta la storia del riscaldamento globale causato dall’uomo è una balla colossale. Ma non è così. Immaginatevi di stare riempiendo di acqua una vasca da bagno. Se chiudete un po’ il rubinetto, ma non del tutto, non vi aspettate di certo che il livello dell’acqua diminuisca. Non diminuisce nemmeno se chiudete completamente il rubinetto, a meno che la vasca non perda dal tappo.

Per quanto riguarda il CO2, c’è un “rubinetto” che sono le emissioni umane, mentre il “tappo” è l’assorbimento dell’ecosistema che elimina circa il 50% delle emissioni umane. Non ci aspettiamo certamente che una riduzione del 7% delle emissioni porti a un calo nelle concentrazioni. Al massimo, dovrebbe mostrarsi come una riduzione della velocità di crescita. Ma, nei dati, questo effetto viene completamente mascherato dalle variazioni stagionali.

Tuttavia, perlomeno le emissioni si sono un po’ ridotte: era un obiettivo che si cercava di ottenere da decenni, senza riuscirci. Se rimangono attivi i vari blocchi e le restrizioni, ci possiamo aspettare altri cali delle emissioni. Se questo continuasse per qualche anno, allora potremmo vedere il CO2 nell’atmosfera rallentare la crescita e potrebbe anche cominciare a scendere. Certo, però, che il prezzo da pagare sarebbe spaventoso se questi metodi drastici sono l’unico modo di arrivarci.

In effetti, se la pandemia ci ha insegnato qualcosa in termini di clima è la differenza fra sogni e realtà. Quando si parlava di ridurre le emissioni, c’era chi parlava di “decrescita felice” e chi di “disaccoppiamento”. Ovvero, si sosteneva che riducendo i consumi saremmo stati più felici e, non solo, sarebbe stato addirittura possibile continuare a far crescere l’economia. Certo, e sarà anche Natale tre volte all’anno. A questo punto, con un milione di posti di lavoro persi nel 2020 e l’economia a pezzi, dovremmo aver imparato che il cosiddetto “disaccoppiamento” non è tanto semplice come sembrava. E che la decrescita è tutt’altro che felice.

E allora? Con l’esaurirsi della pandemia c’è chi spera in un ritorno rapido al mondo di prima. Ammesso che ci si possa arrivare (cosa molto dubbia), questo ci riporterà anche ai problemi di prima: come ridurre le emissioni se continuiamo ad affidarci ai combustibili fossili? Se non le riduciamo, ritornare al Pliocene potrebbe essere anche peggio della decrescita infelice, specialmente se consideriamo che durante il Pliocene faceva molto più caldo di oggi e il livello del mare era circa 25 metri più alto. Per gli australopitechi di quell’epoca andava benissimo, ma per noi sarebbe un po’ dura adattarsi.

E allora dobbiamo cercare di barcamenarci il meglio possibile. Dopotutto, la situazione non è disperata. Gli ultimi dati disponibili indicano che l’energia rinnovabile è diventata la tecnologia di energetica meno costosa in assoluto. Questa è una strada che ci si apre davanti per liberarci dei combustibili fossili senza dover far decrescere rapidamente l’economia, con tutta l’infelicità del caso. Vediamo di imboccarla con decisione, altrimenti saranno guai.

 

mercoledì 18 novembre 2020

Conversione ecologica e conflitto. La Contrazione Pianificata dell'Economia

Articolo già apparso su Apocalottimismo in data 16 ottobre 2020.

Di Jacopo Simonetta

Recentemente, l’Università di Pisa ha avviato un interessante progetto di ricerca, chiamato “Ecoesione”. In sintesi, si tratta di capire quali impatti sociali negativi potrebbero venire da effettive politiche di contrasto al cambiamento climatico per poterli prevenire o, perlomeno, mitigare e gestire, evitando l’esplodere della violenza.

Trovo la cosa molto interessante perché, anche se i pareri su quali provvedimenti siano necessari spesso divergono, tutti concordano che siano indispensabili ed urgenti cambiamenti drastici e rapidi a tutti i livelli ed in tutti i settori. Ed ogni volta che qualcosa cambia, qualcuno ci guadagna ed altri ci perdono, sempre. E’ quindi normale che i perdenti si oppongano con tutti i mezzi a loro disposizione e non è neppure detto che abbiano tutti i torti. Per esempio, i disordini fomentati dai “Gilets Jaunes” hanno finito con l’essere strumentalizzati dall’estrema destra, ma non erano nati per questo e, neppure, sono stati una banale rivolta contro le politiche di contrasto al GW, come qualcuno ha detto. La rivolta aveva infatti radici profonde nella discriminazione molto francese fra Parigi e “provincia”, nell’impoverimento della piccola borghesia e dei lavoratori, nel venir meno di molti servizi in vaste zone della Francia rurale; per non parlare dell’atteggiamento spesso spocchioso di Macron.

Insomma, il rincaro del prezzo del gasolio è stata la classica “goccia che fa traboccare il vaso” per una massa di persone che già vive in condizioni disagiate e che per le proprie necessità (lavoro, acquisti, scuola, sanità, ecc.) dipende interamente da vecchie macchine diesel che non si può permettere di cambiare.

Il progetto dell’Unipi si prefigge esattamente questo: evitare errori di questo genere.
Partecipare come “stakeholder” alla riunione di avvio ufficiale del progetto mi ha suggerito tre domande che, credo, sarebbe utile discutere proprio approfittando dello staff d’alto profilo schierato per questo progetto. Le tre domande che pongo sono queste:

1 – Crescita o non crescita?
2 – Quanta decrescita e per chi?
3 – Bisogna superare il capitalismo?
 

In rapporto ad ognuna di queste avanzerò alcune osservazioni, in tre puntate per ridurre il tedio degli eventuali lettori. Niente di nuovo, ma sono aspetti che in molte discussioni si tende a dimenticare.

Crescita o decrescita?

Konrad Lorenz fece notare che l’uomo odierno è tenuto in scacco da una serie di atteggiamenti mentali profondissimamente radicati in ognuno di noi, forse addirittura a livello genetico. Atteggiamenti che in passato hanno favorito il successo della nostra specie, ma che nel contesto attuale la stanno invece portando diritti verso il disastro. Fra questi, dedica un capitolo all’ Amore per la Crescita. Niente ci da gioia come vedere crescere ciò che si ama: la propria famiglia, il gregge, i libri della biblioteca, il conto in banca, i fiori del giardino e qualunque altra cosa cui teniamo.
In relazione alla crescita economica, a questa atavica passione si aggiunge l’oggettiva esperienza degli indiscutibili vantaggi materiali che questa porta con sé.

Per questo, di solito, i promotori di una qualunque variante di “transizione ecologica” parlano apertamente di “crescita verde” o, perlomeno, lasciano intendere che sia possibile salvare la Biosfera ed il clima, pur rilanciando quella crescita economica che dovrebbe risolvere tutti i nostri problemi.

Siamo sicuri che sia possibile e, se si, che sia compatibile con lo scopo prefissato di fermare la catastrofe ambientale planetaria? L’argomento ha una valenza politica di primo livello ed è infatti molto dibattuto, spesso trascurando alcuni fattori particolarmente sgradevoli, ancorché ben noti.
Limiti delle energie rinnovabili. Troppo spesso si da per scontato che le energie rinnovabili possano sostituire quelle fossili semplicemente mediante sufficienti investimenti, ma non è così.

Innanzitutto, per essere usata, l’energia deve essere prima concentrata cosa di cui, nel caso delle fossili, si sono incaricati i movimenti tettonici nel corso di milioni di anni. Nel caso delle rinnovabili dobbiamo invece farlo noi mediante opportuni mezzi tecnici che ci sono, ma che occorre pagare e che, per funzionare, dissipano parte dell’energia captata. Non possono quindi avere lo stesso rendimento termodinamico delle fossili.

In secondo luogo, sono intermittenti e necessitano quindi di opportuni sistemi di accumulo ed una forte ridondanza di tutte le strutture. Le tecnologie disponibili sono molte ed efficaci, ma tutte comportano un aumento dei costi e dei materiali impiegati, una perdita di efficienza ed un aumento degli impatti ambientali.

Anche le energie rinnovabili hanno infatti degli impatti ambientali sia diretti (per esempio la distruzione di intere valli, fiumi e torrenti mediante le dighe), sia indiretti per l’estrazione e la lavorazione dei materiali con cui vengono costruite e manutenzionate. Oggi sarebbe impossibile realizzare e mantenere efficienti impianti fotovoltaici, dighe e pale eoliche senza disporre di grandi quantità di energia fossile a buon mercato. In futuro potrebbe forse cambiare, ma si entra nel campo della fantascienza.




Infine, oggi le energie fossili coprono poco meno dell'80% dei consumi globali, il legname (la cui rinnovabilità è molto parziale) un altro 9% ed il nucleare poco più del 2 %. Complessivamente, le rinnovabili vere coprono meno del 10% dei consumi attuali (il fotovoltaico circa lo 0,1%).
Semplicemente, non è pensabile una vera transizione energetica senza una molto sostanziale riduzione dei consumi finali, mentre questi continuano ad aumentare. Infatti, ed è il punto più critico di tutti, finora le nuove fonti energetiche non hanno sostituito quote di energia fossile, ma si sono aggiunte a quelle, comunque in crescita. Ma l’impatto complessivo, non solo climatico, dell’umanità sul Pianeta dipende prima di tutto proprio dalla quantità complessiva di energia che dissipiamo.

Limiti del disaccoppiamento. 

Secondo la vulgata, la chiave per mantenere, anzi migliorare le condizioni di vita dell’umanità e, contemporaneamente, ridurre i consumi di energia è il progresso tecnologico che assicurerà un crescente disaccoppiamento. Vale a dire una maggiore produzione di beni e servizi a fronte di minori consumi.

Una approfondita metaricerca ha però dimostrato che si tratta in buona misura di leggende metropolitane. In realtà, i casi documentati di effettivo disaccoppiamento sono molto pochi e molto parziali. Al massimo, abbiamo un lieve disaccoppiamento relativo, vale a dire che i consumi crescono meno della produzione, ma crescono comunque e noi li dobbiamo ridurre.

Si potrà obbiettare che, anche se un vero disaccoppiamento non si è ancora visto, l’efficienza della produzione è comunque aumentata e continua ad aumentare, permettendo di contenere la crescita dei consumi, tanto di energia quanto di materiali (la cosiddetta “dematerializzazione”). Ma anche questo non è vero, se non forse, in qualche caso. Il punto qui è il cosiddetto “effetto rebound” (alias “Paradosso di Jevons”). L’osservazione empirica dei dati storici, dall’introduzione del motore Watt nel 1782 ad oggi, dimostra che l’effetto è anzi contrario: l’aumento dell’efficienza riduce i costi di produzione e di uso di beni e servizi, così da renderli disponibili per masse crescenti di persone. Il risultato finale è quindi un aumento e non di una riduzione dei consumi di energia e materiali. Questo operando in un’economia di mercato; cambiando il contesto politico ed economico le cose potrebbero anche andare diversamente, ma questo ci rimanda alla terza domanda.

Comunque, anche al di la delle esperienze finora maturate, ci sono vincoli fisici invalicabili che ci assicurano che un vero disaccoppiamento non è fattibile, perlomeno non su di una scala neppure lontanamente prossima a quella necessaria. L’unico modo per ridurre i consumi in misura adeguata è quindi ridurre considerevolmente la produzione di beni e servizi, una faccenda molto spinosa da proporre ed ancor più da gestire anche perché accadrà comunque, anzi sta già accadendo in buona parte del mondo, malgrado gli sforzi dei governi.

Limiti dell’economia circolare. 

Il secondo pilastro su cui si regge il sogno di una “green economy” è la chiusura dei cicli produttivi mediante il completo riciclaggio dei rifiuti. E’ certamente vero che in questo campo ci sono ampi margini di miglioramento (a condizione però di ristrutturare radicalmente il mercato e la fiscalità), ma un riciclaggio del 100% non è possibile neppure in via del tutto teorica. Ad ogni ciclo una parte del materiale va inevitabilmente perduto, quali che siano le tecnologie usate ed i finanziamenti disponibili. Perciò un’economia circolare è necessariamente un’economia che utilizza una quantità costantemente decrescente di materiale, oppure che preleva una quantità crescente di materie prime in natura.

Naturalmente non tutti sono d’accordo e molti sostengono che invece è possibile perché il progresso tecnologico consente di ridurre progressivamente la quantità di materiali usati per ogni singolo oggetto.
Il che è vero, ma il vantaggio si perde se si fabbricano più oggetti per più persone. Non solo: la riduzione della quantità di materiale incorporato in ogni singolo oggetto ha talvolta effetti deleteri sulle possibilità di riciclare i medesimi.

Insomma, si potrebbe fare molto per ridurre l’estrazione di minerali, biomassa, ecc. dall’ambiente, ma anche da questo punto di vista, per tornare veramente entro dei limiti di effettiva sostenibilità, bisognerebbe pianificare una consistente contrazione della produzione, con tutto ciò che ne consegue.

Limiti non energetici all’economia. I sostenitori del Green New Deal si focalizzano soprattutto sull’energia. Giustamente perché senza energia non si fa nulla, ma esistono anche altri limiti all’economia. Due di cui si parla comunque assai sono la disponibilità di materie prime e la capacità di smaltire i rifiuti, ma ne esiste un altro di cui non si parla praticamente mai: l’integrità funzionale della Biosfera che ci assicura quelli che riduttivamente chiamiamo “servizi ecosistemici”. Sono questi, infatti, che assicurano non solo la disponibilità delle risorse rinnovabili, l’assorbimento della CO2, la trasformazione finale dei rifiuti e molto altro, ma soprattutto consentono che sulla Terra si mantengano condizioni chimiche e fisiche compatibili con la vita biologica. Per essere chiari, il collasso della Biosfera (forse già iniziato e certamente non lontano) comporterebbe (o comporterà?) anche l’estinzione della nostra specie o, perlomeno, la scomparsa definitiva dei presupposti per l’esistenza di una qualunque civiltà.

Civiltà senza petrolio ce ne sono infatti state migliaia; invece civiltà senza acqua, suolo, foreste, biodiversità, ecc. non ce ne sono mai state, né mai ce ne saranno. Anzi, sono molte le società che si sono estinte proprio perché hanno eccessivamente degradato la Biosfera nel loro territorio. La differenza è che finora si è trattato di catastrofi locali o regionali, mentre oggi qualcosa del genere sta avvenendo a livello planetario.

In definitiva, direi che la risposta alla prima domanda è che pianificare una robusta contrazione dell’economia sia una delle condizioni necessarie affinché un progetto di transizione sia realistico. Ciò condurrebbe sicuramente al conflitto, solo che ogni altra possibile strategia è destinata al fallimento e dunque ad un conflitto ancor più grave. Il che ci porta alla prossima domanda: Quanta decrescita e per chi? Ne parleremo la prossima settimana.





venerdì 17 aprile 2020

La pagliuzza che ha spezzato la schiena del cammello: Il virus causerà un collasso globale?





Questa è una versione dell'articolo che ho pubblicato sul "Al Arabiya" il 26 marzo 2020. Non è lo stesso testo che ho pubblicato lì-ma ho mantenuto la meravigliosa illustrazione di Steven Castelluccia. Trasmette perfettamente il concetto di " Seneca Cliff" . Tradotto da Cassandra's Legacy usando Yandex.ru.


Vi ricordate la storia della pagliuzza che ha spezzato la schiena del cammello? È un'illustrazione di come i sistemi in sovraccarico sono sensibili alle piccole perturbazioni. Quindi, l'epidemia di COVID-19 potrebbe essere la pagliuzza che spacca la schiena dell'economia mondiale?

Come un cammello sovraccarico, l'economia mondiale è sovraccaricata da almeno due oneri giganteschi: uno è l'aumento dei costi di produzione delle risorse minerarie (non fatevi ingannare dagli attuali prezzi bassi del petrolio: i prezzi sono una cosa, i costi sono un'altra). Poi, c'è l'inquinamento, compreso il cambiamento climatico, che pesa anche quello sull'economia. Questi due fattori definiscono la condizione chiamata "overshoot", che si verifica quando un sistema economico sta consumando più risorse di quanto la natura possa sostituire. Prima o poi, un'economia in overshoot deve venire a patti con la realtà. Significa che non può continuare a crescere: deve declinare.

Queste considerazioni possono essere quantificate. E' stato fatto per la prima volta nel 1972 con il famoso rapporto I Limiti dello Sviluppo, sponsorizzato dal Club di Roma. Fortemente criticato e demonizzato quando fu pubblicato, oggi ci rendiamo conto che il modello utilizzato per lo studio aveva correttamente identificato le tendenze dell'economia mondiale. I risultati dello studio hanno dimostrato che il doppio onere dell'esaurimento delle risorse e dell'inquinamento avrebbe portato prima alla cessazione della crescita economica e quindi alla sua caduta, probabilmente a un certo punto durante i primi decenni del XXI secolo. Anche con ipotesi molto ottimistiche sulla disponibilità di risorse naturali e di nuove tecnologie, i calcoli mostravano che il crollo potrebbe al meglio essere posticipato, ma non evitato. Molti studi successivi hanno confermato questi risultati: il collasso risulta essere una caratteristica tipica dei sistemi in overshoot, un fenomeno che ho chiamato il "dirupo di Seneca" da una frase dell'antico filosofo romano Lucio Anneo Seneca.



Lo scenario di base calcolato nella versione del 1972 di " i limiti alla crescita"


Il coronavirus, di per sé, è una piccola perturbazione, ma il sistema è pronto per il collasso e l'epidemia potrebbe innescarlo. Abbiamo già visto nel passato recente come l'economia mondiale è fragile: è quasi crollata nel 2008 sotto la relativamente piccola perturbazione del crollo del mercato dei mutui subprime. A quel tempo, era possibile contenere il danno ma, oggi, la fragilità del sistema non è migliorata e il coronavirus potrebbe essere una perturbazione più forte. Il crollo di interi settori dell'economia, come l'industria del turismo (oltre il 10% del prodotto lordo mondiale), è già in corso e potrebbe essere impossibile impedirne la diffusione in altri settori.

Allora, cosa ci succedera' esattamente? Siccome abbiamo comicnciato menzionando un cammello, possiamo anche citare una famosa dichiarazione dello Shaykh Rāshid che possiamo riassumere come: "mio padre cavalcava un cammello, Guido una Mercedes, Mio figlio cavalcherà un cammello." Quella frase potrebbe essere stata davvero profetica?

In effetti, la prossima crisi potrebbe rivelarsi così pesante da riportarci al Medioevo. Ma è anche vero che tutte le principali epidemie della storia hanno visto un robusto rimbalzo dopo il crollo. Consideriamo che, a metà del XIV secolo, la ”Peste Nera" aveva ucciso forse il 40% della popolazione europea, ma, un secolo dopo, gli europei scoprivano l'America e iniziavano il loro tentativo di conquistare il mondo. Può darsi che la peste nera sia stata determinante in questo rimbalzo: la riduzione temporanea della popolazione europea aveva liberato le risorse necessarie per un nuovo balzo in avanti.

Potremmo vedere un rimbalzo simile della nostra società in futuro? Perche ' no? Dopotutto, il coronavirus potrebbe farci un favore costringendoci ad abbandonare i combustibili fossili obsoleti e inquinanti che usiamo oggi. Gli attuali bassi prezzi di mercato sono il risultato della contrazione della domanda e saranno probabilmente la pagliuzza che spezza la schiena dell'industria petrolifera. Questo lascerà spazio a nuove e più efficienti tecnologie. Oggi l'energia solare è diventata così economica che è possibile pensare a una società completamente basata sull'energia rinnovabile. Non sarà facile, si può fare.

Tutto questo non significa che il collasso a breve termine potrà essere evitato. La transizione verso una nuova infrastruttura energetica richiederà enormi investimenti, impossibili da trovare in un momento di contrazione economica come quello che ci aspettiamo per il prossimo futuro. Ma, nel lungo periodo, la transizione è inevitabile e c'è speranza per un "rimbalzo di Seneca" verso una nuova società basata su energia pulita e rinnovabile, non più  sotto la minaccia dell'esaurimento delle risorse e del cambiamento climatico. Ci vorrà del tempo, ma possiamo guarire la schiena di questo povero cammello.

domenica 3 giugno 2018

Fusione nucleare: vale ancora la pena investirci in un’era di energia rinnovabile a buon mercato?


Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Una panoramica di Giuseppe Cima della situazione della fusione nucleare. L’argomento è complesso, ma Cima identifica il punto cruciale: anche ipotizzando che la fusione nucleare dovesse funzionare come ci si aspetta, sarebbe più costosa delle tecnologie rinnovabili attualmente disponibili. Considerate anche che ci vorrà almeno mezzo secolo prima che possiamo avere reattori a fusioni in grado di produrre energia commercialmente disponibile (forse). Quanto saranno migliori e più a buon mercato le rinnovabili per allora? Considerando che la fusione non è una tecnologia “pulita”, come a volte si dice, né ora né in futuro. Quindi, perché spendiamo ancora soldi e risorse per questa tecnologia? Un esempio ulteriore della fede cieca umana nella tecnologia e nei suoi miracoli (U.B.)



ITER TOKAMAK. Guardando attentamente, in fondo a destra, in un cerchietto rosso, c’è un uomo con un giacchetto giallo. La probabile dimensione del confinamento magnetico del reattore a fusione è enorme ed è il cuore della maggior parte dei problemi.  

Il mio punto di vista sulla fusione nucleare, in poche parole
 Di Giuseppe Cima
Oggigiorno, poche imprese investirebbero in centrali nucleari convenzionali. Negli Stati uniti, anche sussidi del 100% non riescono ad attrarre investimenti privati per una centrale nucleare a fissione, la forma classica di energia nucleare. Per cui le prospettive per una ripresa del nucleare non sono rosee.

Ma c’è un’altra forma di energia nucleare, la fusione termonucleare, quella che alimenta le stelle. La fusione, il fenomeno dei nuclei leggeri che si attaccano, è una reazione nucleare distinta dalla fissione, dove gli atomi pesanti, come l’uranio, si spezzano. La ricerca sull’energia di fusione è stata perseguita sin dagli anni della Seconda Guerra Mondiale in laboratori nazionali e in università in tutto il mondo. Nonostante gli sforzi, però, finora questa non ha fornito un’indicazione chiara del fatto che sia fattibile. Quali sono le attuali prospettive di questa forma di energia?


Tecnologie di fusione

Ci sono due modi di bruciare combustibile per la fusione nucleare calda: farlo reagire molto rapidamente prima che il gas che brucia voli via, che è come funziona la bomba H, o usare un campo magnetico per isolare il plasma dalla pareti del reattore. Il metodo della bomba può essere replicato in una serie di micro esplosioni in laboratorio, ma la frequenza deve essere sufficientemente alta da produrre una corrente elettrica rilevante e questo pone enormi problemi ancora irrisolti. Un gigantesco esperimento di fusione negli Stati uniti, il National Ignition Facility, ha dimostrato quanto sia difficile e costoso produrre una micro esplosione una volta al giorno. Immaginate di farlo centinaia di volte al secondo per anni. Anche con un budget fornito dai militari per lo sviluppo di armi, la fusione a laser è lontanissima dal puntare ad un reattore commerciale credibile.

Pertanto, dall’inizio della ricerca sull’energia di fusione, gran parte degli sforzi sono stati dedicati al confinamento magnetico del plasma caldo a stato stazionario. Dopo 70 anni di tentativi, quasi tutti nel campo si sono concentrati su un progetto che viene chiamato TOKAMAK, un’invenzione russa. I test fatti finora indicano che la dimensione minima del nucleo di un potenziale reattore sarà grande, della dimensione di un grande edificio. ITER è un tokamak attualmente in costruzione in Francia per dimostrare la fattibilità della fusione, è di questa dimensione ma, a parte la dimensione, è così costoso che la sua costruzione sta richiedendo il contributo finanziario di tutta le nazioni sviluppate della terra. 

Il nucleo del reattore a forma di ciambella ITER ha 30 metri di diametro e 20 metri di altezza. Si tratta di un dispositivo estremamente complesso, molto più sofisticato di una centrale nucleare a fissione di potenza equivalente e circa 10 volte il suo volume. Il suo nucleo pesa più di 30.000 tonnellate, solo la base di ITEr utilizza 200.000 metri cubi di cemento.

La dimensione è l’inconveniente più ovvio della fusione: la grande dimensione rende impossibile produrre in massa questi reattori. Questo fattore dà un vantaggio considerevole alla competizione a favore di generatori comparativamente piccoli: le turbine a gas da 50-100 MW, pale eoliche efficienti di pochi MW, pannelli solati FV di meno di un kW. Questi generatori possono essere trasportati da camion e la velocità del loro sviluppo industriale è stata inversamente proporzionale alla potenza di un singolo modulo. Il costo dell’elettricità del fotovoltaico e dell’eolico ha origine principalmente dal costo del capitale investito nel generatore e nella sua attrezzatura ausiliaria, proprio come succede per la fusione deuterio-deuterio in cui il combustibile è quasi gratis. Le centrali a gas naturale bruciano combustibile economico ed hanno il costo del generatore più basso di tutti, ma sono degli inquinatori di CO2, oggigiorno un grave inconveniente. 

Dobbiamo specificare che il combustibile per la fusione è quasi gratis solo nel caso della fusione deuterio-deuterio. L’idea attuale, invece, è quella di usare la reazione più semplice del deuterio col trizio, essendo il secondo un altro isotopo dell’idrogeno. Si tratta di un isotopo molto raro che può essere prodotto nello stesso TOKAMAK che lo brucia, ma non in quantità sufficiente da mantenere attive queste reazioni. Questo è un altro problema dei reattori di tipo ITER, per il momento nascosto sotto al tappeto.

A causa della sua grande dimensione e complessità, è molto difficile immaginare che un reattore a fusione TOKAMAK possa essere meno costoso di un reattore a fissione convenzionale e le stime odierne dettagliate pongono il costo del kWh a più di 12 centesimi (di dollaro), solo per il costo del capitale e prima di conoscere tutti i dettagli di un reattore funzionante.

Invece, l’elettricità commercializzata da FV ed eolico non incentivati è attualmente venduta a prezzi fra i 2 e i 7 centesimi, a seconda del posizionamento, e c’è spazio per ulteriori risparmi. Queste fonti sono intermittenti, la fusione non lo è, ma per una produzione elettrica dominata dalle rinnovabili, il costo aggiuntivo dello stoccaggio dell’energia comporterebbe una frazione del costo della produzione di energia. Si tratta di una considerazione puramente economica: le rinnovabili sono già meno costose della fusione. 

C’è un secondo inconveniente molo rilevante collegato alle grandi dimensione del reattore a fusione: il suo tempo di sviluppo. ITER sperimenterà con vero combustibile di fusione non prima del 2035 e porterà avanti realisticamente gli esperimenti per i 10 anni seguenti. Ciò comporta che questa fase sperimentale, non un prototipo dato che ITER sarà incapace di produrre energia, sarà durata circa 50 anni. 

Per incidere nella produzione mondiale di elettricità si dovrebbero implementare migliaia di reattori della dimensione di 1 GW. Quanto tempo di fase di sperimentazione si dovrebbe considerare per raggiungere l’obbiettivo da quando ITER avrà risposto all’inziale giro di domande? Forse 100 anni, cioè un paio di fasi sperimentali.

Per riassumere, Oltre alla pletora di problemi di progettazione irrisolti, persino sconosciuti, di natura tecnica, la fusione magnetica pone problemi collegati alle enormi dimensioni del nucleo del reattore TOKAMAK: un grande costo del kWh e un tempo di sviluppo molto lungo. Per coloro che sono sensibili alla “pulizia” della fusione devo anche accennare che ITER alla fine del suo ciclo di vita presenterà un conto di circa 30.000 tonnellate di rifiuti fortemente radioattivi senza aver prodotto un singolo kWh. La fusione magnetica non è pulita: i prodotti delle reazioni potrebbero essere poco radioattivi, ma il macchinario no.

Perché il reattore dev’essere grande

Perché un reattore magnetico a fusione dev’essere grande, fisicamente molto ampio? E’ stato dimostrato che il combustibile termonucleare brucia nella bomba H, ma può anche bruciare in modo non esplosivo; pensate al sole. Perché qualsiasi combustibile bruci in stato stazionario, l’energia rilasciata nel volume della materia che brucia è uguale all’energia che ne esce, il calore prodotto equivale al calore perso, l’equazione del bilancio energetico. Il tasso al quale l’energia viene prodotta cresce in proporzione alla densità del combustibile, il numero dei nuclei atomici per unità di volume. La densità di potenza del reattore aumenta con la densità della particelle che reagiscono.

Il plasma in un reattore è un gas di costituenti atomici quasi in equilibrio termico, il suo contenuto di energia cinetica è caratterizzata da una pressione. Se il plasma del TOKAMAK deve essere contenuto in un campo magnetico, la pressione del campo prodotto dai magneti superconduttori esterni sulla posizione del plasma al momento è limitata a meno di 200 atmosfere dalla forza meccanica dei magneti. Sono prevedibili miglioramenti del fronte dei magneti, e sarebbero d’aiuto, ma i materiali magnetici sono essi stessi soggetti alle leggi della natura dei solidi: questi miglioramenti saranno marginali.

Come in un normale gas, la pressione del plasma è proporzionale alla temperatura e alla densità delle particelle. La temperatura di fusione dev’essere nella gamma delle centinaia di milioni di gradi Celsius, quindi, a causa del limite della pressione magnetica, la densità delle particelle risulta essere molto bassa, un milione di volte meno della densità molecolare dell’aria che respiriamo. Il risultato è una densità a bassa potenza. 

Dall’altra parte dell’equazione dell’equilibrio di potenza del reattore, l’energia persa dal plasma è dettata dai movimenti turbolenti del plasma stesso e della dimensione del dispositivo. E stato sperimentalmente dimostrato che la turbolenza è presente ad un livello significativo in tutti i plasma di interesse termonucleare confinati magneticamente, proprio come l’acqua in un canale.

L’analogia è vicina a quella del flusso d’acqua in un canale. Questo flusso è limitato da una irriducibile coda di turbolenza, con una dipendenza trascurabile dai dettagli costruttivi del canale. E’ la stessa cosa per il confinamento dell’energia nel plasma termonucleare, è dominato da inevitabili movimenti turbolenti del fluido. Ma esiste sempre un nucleo in reazione abbastanza grande da raggiungere la parità di energia perché il suo volume (produzione di energia) rispetto alla superficie (perdite) aumenta con la sua dimensione, una considerazione meramente geometrica. Il sole, anche senza un campo magnetico, è certamente grande abbastanza per il pareggio.

Sono queste le ragioni per cui il reattore TOKAMAK dev’essere molto grande. La dimensione necessaria per mantenere l’alta temperatura del nucleo perché il plasma fonda. E’ questo il fattore principale che rende la fusione nucleare costosa e molto difficile.


Il concetto di fondo
 

Per come stanno le cose, le tecnologie rinnovabili di oggi sono considerevolmente meno costose di un potenziale reattore a fusione – anche ipotizzando che funzionasse come ci si aspetta. Il mio lavoro nella fusione ha coinciso con la deregolamentazione di Reagan del settore elettrico quando qualcosa di simile è accaduto fra centrali a gas e a carbone. Lo sviluppo di grandi motori a reazione per l’aviazione ha reso possibile generatori elettrici efficienti, poco costosi e prodotti in serie che si sono dimostrati impossibili da battere e gli investitori in centrali a carbone hanno fallito per permettere all’industria americana di approfittare della tecnologia più nuova e meno costosa. Allora era troppo presto per la rivoluzione dell’eolico e del FV, ma ora sono qui per rendere la fusione nucleare obsoleta prima che si dimostri che funziona.


L’autore

Giuseppe Cimaè stato impiegato in diversi impianti da parte di laboratori di fusione e università in Europa e negli Stati Uniti per gran parte della sua carriera: Euratom Culham nel Regno Unito, ENEA di Frascati e CNR di Milano, the Fusion Research Center dell’Università del Texas ad Austin. Ha pubblicato circa 50 articoli peer-review in questo campo, in gran parte sulle onde EM per la diagnostica del plasma e il riscaldamento, le configurazioni magnetiche, la misurazione delle turbolenze. Dopo aver perso fiducia in un approccio decostruzionista alla fusione, ha dato vita ad un’industria di automazione industriale in Texas. Attualmente è in pensione a Venezia, dove lotta per la proteggere l’ambiente, conservare l’energia ed insegnare tecnologia e scienza.

mercoledì 28 dicembre 2016

Grillo e l'Energia: di chi sono le "Balle Nucleari"?


Luca Longo critica un post apparso sul blog del Movimento 5 Stelle accusandolo Beppe Grillo di raccontare "Balle Nucleari". Ma se esaminiamo bene la faccenda, vediamo che le balle non sono quelle di Grillo!


Luca Longo si era già provato a criticare sul "Linkiesta" le proposte del Movimento 5 Stelle sull'energia in un post che avevo definito "patetico" in quanto vago e privo di argomenti. Adesso, Longo si lancia di nuovo all'attacco con un post dal titolo "Balle Nucleari", riferite a un post del "blog delle stelle", dove si discute la possibilità di eliminare le importazioni di energia elettrica di origine nucleare.

Stavolta, Longo ha provato a mettere insieme un po' di numeri. Ma non ha fatto di meglio, anzi, semmai di peggio. Tutta la sua critica si basa sul fatto che l'M5S proporrebbe di chiudere "di botto" le importazioni di energia e che questo vorrebbe dire che dovremmo trovare il modo di sostituire "il 14,6% dell’elettricità che ci serve," il che sarebbe, evidentemente, impossibile.

Ma è tutto sbagliato: secondo il GSE, le importazioni di energia nucleare nel 2015 in italia sono state del 5,1%, non del 14.6%! Longo ha confuso le importazioni di energia nucleare con le importazioni di energia in generale, che invece sono in gran parte energia idroelettrica dalla Svizzera. Un erroretto di quasi un fattore 3, cosa volete che sia fra amici?

Ancora peggio è sostenere, come fa Longo, che il M5S vuole chiudere "di botto" le importazioni di energia. E' vero che il sottotitolo del post è piuttosto infelice in quanto parla dell' "arco della legislatura di governo." Ma il contenuto del post, invece, non dice assolutamente di fermare le inportazioni né di botto e nemmeno durante una singola legislatura (e notate che nel post su linkiesta NON hanno linkato il post sul blog del M5S, altrimenti sarebbe stato troppo facile per i lettori notare l'incongruenza).

Il post sul blog delle stelle è scritto da Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Qualenergia, che è una persona seria e competente. Sostiene che le importazioni di energia nucleare potrebbero essere gradualmente ridotte fino a eliminarle entro il 2025. E' un obbiettivo certamente possibile se si considera che parliamo del 5% e se pensiamo di cominciare a lavorarci sopra da adesso, promuovendo l'energia rinnovabile. Silvestrini fa anche notare alcuni punti importanti, per esempio il fatto che le centrali nucleari francesi sono vecchie e che dovranno essere presto smantellate, e non sembra che il governo francese abbia le risorse o l'interesse per costruirne di nuove. Per cui, che a uno piaccia il nucleare o no, il problema di svincolarsi dai reattori nucleari francesi si pone; o perlomeno dovrebbe porsi per un governo che abbia seriamente a cuore l'interesse del paese.

Ora, fatemi dire che non sono qui per fare propaganda per il M5S. Tuttavia, devo anche dire che Beppe Grillo e il movimento 5 stelle continuano a essere l'unica forza politica di una certa rilevanza in Italia a considerare come importante il problema energetico e a sostenere la necessità di passare alle rinnovabili. Lo fanno non senza qualche ingenuità e alcune imprecisioni; e dovrebbero anche imparare che non si fanno piani energetici con la politica del no. Ma perlomeno certe cose le dicono e ci si impegnano anche. Invece, il governo Renzi si è impegnato soltanto per affossare le rinnovabili in favore dei fossili.

Queste cose sono importanti perché quando si parla di energia si parla di una risorsa vitale per il paese. Quindi, bisognerebbe fare il possibile per non parlare a caso e, quando uno cita dei numeri, come fa Luca Longo, almeno citi i numeri giusti. Altrimenti, si raccontano davvero delle balle nucleari. 







venerdì 8 gennaio 2016

La follia nucleare di Gates: l'innovazione di cui abbiamo veramente bisogno è la rapida implementazione delle rinnovabili

Da “Counterpunch”. Traduzione di MR


di Linda Pentz Gunter

La prima domanda che mi è venuta in mente leggendo dell'ultima avventura di investimento di Bill Gates è stata: “si tratta di una copertura per dirottare più soldi verso l'energia nucleare?” Gates ha rivelato la sua Coalizione Energetica Innovativa (Breakthrough Energy Coalition) all'inizio dei colloqui sul clima della COP 21 a Parigi con molte fanfare ma pochi dettagli, compresa la dimensione dell'impegno finanziario. I miei sospetti sono stati innescati non solo dall'impegno pubblico già esistente di Gates verso la ricerca sull'energia nucleare, ma dal nome scelto per questo gruppo di 28 fra le persone più ricche del mondo (principalmente uomini). L'Istituto di Innovazione (Breakthrough Institute), dopotutto, è il nome del gruppo nuclearista pseudo-verde i cui membri hanno promosso e interpretato un film di propaganda sull'energia nucleare nel 2013, "La Promessa di Pandora". Ma finora l'Istituto di Innovazione si mantiene ad un profilo basso nella Coalizione Energetica Innovativa, anche se, sospetto, non troppo a lungo.

martedì 5 gennaio 2016

Solare ed eolico hanno appena superato un altro grande punto di svolta

Da “Bloomberg”. Traduzione di MR

Non ha mai avuto meno senso di adesso costruire centrali elettriche a combustibili fossili.

Di Tom Randall


Immagine da BERC

L'energia eolica è ora la forma di elettricità più conveniente da produrre sia in Germania sia nel Regno Unito, anche senza i sussidi del governo, secondo una nuova analisi della Bloomberg New Energy Finance (BNEF). E' la prima volta che viene superata quella soglia da un'economia del G7.
Ma questo è meno interessante di quanto è appena accaduto negli Stati Uniti.

Per rendersi conto di quello che succede lì bisogna capire il fattore di capacità. Si tratta della percentuale del potenziale massimo di una centrale elettrica che viene realmente ottenuta nel tempo.
Consideriamo un progetto solare. Il sole non splende di notte e, anche durante il giorno, varia in intensità a seconda del tempo e delle stagioni. Quindi un progetto che può sfornare 100 megawatt ora di elettricità durante la parte più soleggiata del giorno potrebbe produrre solo il 20% di questi se si fa la media di un anno. Questo gli dà un 20% di fattore di capacità.

Uno dei maggiori punti di forza dell'energia elettrica da combustibili fossili è che possono controllare fattori di capacità molto alti e prevedibili. La centrale elettrica a gas media degli Stati Uniti, per esempio, può produrre circa il 70% del proprio potenziale (non arrivando al 100% a causa della domanda stagionale e della manutenzione). Ma ecco cosa sta cambiando, ed è una cosa grossa.

Per la prima volta, l'adozione diffusa di rinnovabili sta abbassando efficacemente il fattore di capacità dei combustibili fossili. Questo perché una volta che progetti eolici o solari vengono costruiti, il costo marginale dell'elettricità che producono è praticamente zero – elettricità gratis – mentre le centrali a carbone o a gas richiedono più combustibile per ogni nuovo watt prodotto. Se siete una società elettrica che può scegliere, scegliete sempre la roba gratis.

E' un ciclo che si auto-rinforza. Man mano che vengono installate più rinnovabili, le centrali a carbone o a gas vengono usate di meno. Man mano che carbone e gas vengono usati di meno, il costo del loro uso per generare elettricità aumenta. Man mano che il costo dell'elettricità da carbone e gas aumenta verranno installate più rinnovabili.

E' iniziato il circolo virtuoso





Fonte: Bloomberg

Eolico e solare hanno costituito per lungo tempo una piccola percentuale dell'elettricità statunitense – circa il 5% nel 2014. Ma la produzione è aumentata ad un tasso esponenziale e quelle due fonti energetiche ora sono sufficientemente grandi da influenzare quando vengono tenute in funzione le centrali a carbone e a gas naturale, secondo la BNEF.

Ci sono due ragioni per le quali questo passaggio dei fattori di capacità è importante. Primo, si tratta dell'ennesimo segnale dell'ascesa della forza dirompente dell'energia rinnovabile nei mercati elettrici. E' impossibile spazzare via le rinnovabili negli Stati Uniti allo stesso modo in cui sarebbe stato possibile solo pochi anni fa. “Le rinnovabili stanno davvero diventando competitive e stanno competendo in modo più diretto coi combustibili fossili”, ha detto l'analista della BNEF Luke Mills. “Stiamo assistendo al logoramento del tasso di utilizzo dei combustibili fossili”.

Secondo, il passaggio illustra un grave nuovo rischio per le società elettriche che pianificano di investire in centrali a carbone o a gas naturale. Storicamente, un alto fattore di capacità è stato un input fisso nel calcolo dei costi. Ma ora chiunque contempli una centrale elettrica da un miliardo di dollari con un ciclo di vita previsto di decenni deve considerare la possibilità che, man mano che il tempo passa, la centrale sarà usata di meno di quando è stata aperta.


I fattori di capacità fa una inversione netta 




Fonte: Bloomberg, Dati: BNEF

Gran parte del declino dei fattori di capacità è dovuto alle costose “centrali di carico di baseche sono state accese di meno a causa delle rinnovabili”, secondo l'analista della BNEF Jacqueline Lilinshtein. Le centrali progettate per entrare in rete solo durante la parte dell'anno con la domanda più alta, conosciute come centrali di picco, giocano un ruolo minore. In ogni caso, il risultato finale è che l'elettricità alimentata da carbone e gas sta diventando più cara e i profitti meno prevedibili.

Per l'eolico e il solare è vero l'opposto, così come per i nuovi sistemi di batterie che possono essere accoppiati alle rinnovabili per sostituire alcune centrali di picco. L'energia eolica, compresi i sussidi statunitensi, è diventata l'elettricità più conveniente negli Stati Uniti per la prima volta lo scorso anno 4, secondo la BNEF. L'energia solare è leggermente indietro, ma i costi stanno scendendo rapidamente, specialmente quelli associati al finanziamento di nuovi progetti.


I costi più recenti del solare per Stato





Fonte: BNEF, Annotata da Bloomberg



I vantaggi economici dell'eolico e del solare sui combustibili fossili vanno oltre il prezzo. 5 Tuttavia, è notevole che in ogni grande area del mondo, il costo del ciclo di vita dei nuovi progetti di carbone e gas 6 stiano aumentando considerevolmente nella seconda metà del 2015, secondo la BNEF. Aed in ogni grande area il costo delle rinnovabili continua a crollare.

giovedì 9 luglio 2015

Produzione di energia: come stiamo con le rinnovabili?

Utilizzo delle fonti di energia (composizione di immagini)
Sintesi

L’utilizzo delle fonti rinnovabili è aumentato notevolmente negli ultimi anni.
Tanti grafici ci vengono presentati (e lo farò anch'io) con curve esponenziali in cui si vede che: l’installazione di impianti eolici e fotovoltaici sono aumentati notevolmente; allora, come mai c’è tutta questa difficoltà a soppiantare i combustibili fossili?

Capiremo perché le fonti rinnovabili sono marginali nella produzione di energia e di come servirebbe un investimento notevolmente superiore all'attuale; oltre a questo, ci sono alcuni vincoli che ne limitano il potenziale, dovuti al fatto che: solo una piccola parte (circa il 16%) dell’energia utilizzata dall'uomo è sotto forma di energia elettrica.

Introduzione

La nostra società si basa sull'utilizzo di fonti energetiche che forniscono, ogni anno, una quantità enorme di energia.

Continuare ad utilizzare i combustibili fossili a lungo, non è possibile per vari motivi:

1. Sono una fonte esauribile: finiti quelli a disposizione, sarà necessario un lunghissimo periodo (milioni di anni) prima che se ne formino ancora;

2. Sono inquinanti (carbone in primis): se sfruttate intensamente, l’ambiente non riesce a smaltirli;

3. Aumentano la concentrazione di gas serra nell'atmosfera con effetti sul clima nel lungo periodo;

Chiaramente se l’uscita dai combustibili fossili è una cosa desiderabile, è anche vero che bisogna avere un’idea quantitativa delle forze in gioco, per capire come muoversi e con quale velocità. Ogni giorno, l’energia primaria utilizzata dall'uomo nel mondo equivale a circa 260 Mbep/day (Mbep: milioni di barili di petrolio equivalente); chiaramente questa energia non è fornita solo dal petrolio (poco più di 90 Mbep/day) ma da un mix di fonti energetiche. Le fonti energetiche non esauribili (rinnovabili) su cui si sta puntando sono principalmente le seguenti: Eolico, solare (fotovoltaico) e biomasse. Ci sono altre fonti energetiche, ma non sono risultate competitive o hanno potenziali inferiori.

Potenza installata

Se ci concentriamo alla sola energia elettrica abbiamo visto che, negli ultimi anni, la potenza installata, di campi eolici e solari, è aumenta di molto.

(Grafico 1)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

Possiamo vedere che: mentre la crescita, nei primi anni, è aumentata velocemente (maggiore pendenza curva), in questi ultimi anni si è quasi stabilizzata (crescita costante, pendenza costante).

Se inseriamo pure le altre fonti energetiche abbiamo il seguente:

(Grafico 2)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

Si può vedere che: la potenza installata predominante, utilizza ancora i combustibili fossili; la seconda fonte è l’idroelettrico e al terzo posto, superando il nucleare, c’è l’eolico.
I valori del 2014 sono i seguenti:

(tabella 1)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

L’idroelettrico, come si vede, è stata sempre la fonte rinnovabile più usata, ma si può anche notare che essa è cresciuta lentamente e non abbia più grandi potenzialità di crescita. Alcuni parlano di micro dighe, ma la loro manutenzione incide molto sul rendimento ed è “come raschiare il fondo del barile”; non si prevedono grandi aumenti. Analizzare i grafici in potenza installata, però ci potrebbe indurre in errore, in quanto, alla fine, quello che a noi interessa è la quantità di energia prodotta e non quella potenziale.

Energia prodotta

Vediamo l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili

(Grafico 3)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

Si può vedere che la maggiore fonte energetica per la produzione di energia elettrica è l’eolico (escludendo l’idroelettrico), mentre il solare, malgrado abbia metà della potenza dell’eolico, esso ne produce poco più di ¼ di energia (solare 186 TWh, eolico 706 TWh).

Se adesso paragoniamo l’energia prodotta da tutte le fonti rinnovabili con quella delle altre fonti, abbiamo:

(Grafico 4)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

Come si vede, le nuove fonti rinnovabili, tutte messe insieme, stanno guadagnando terreno, ma risultano ancora minoritarie. Il nucleare, che ha una potenza installata inferiore all'eolico, risulta produrre più energia di tutte le fonti rinnovabili messe insieme (eolico + solare + geotermico + …).
Se poi facciamo il paragone con l’energia elettrica prodotta dalle fonti fossili abbiamo:

(Grafico 5)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html


E i seguenti valori:

(tabella 2)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html


Dai quali è possibile fare le seguenti considerazioni:

1. La maggior parte dell’energia elettrica prodotta al mondo, viene prodotta dalle centrali a combustibili fossili. Malgrado nell'ultimo anno, si sia ridotta leggermente la loro incidenza percentuale (- 0,78 %), in valore assoluto, sono continuate a crescere (+93 TWh);

2. La produzione da fonti rinnovabili (escluso idroelettrico) è aumentata dello 0,61 % con un incremento di +167 TWh;

3. L’aumento totale di energia consumata nell'ultimo anno è stato di +410 TWh; quindi le fonti rinnovabili, pur crescendo (+93 TWh), non sono riuscite neanche a soddisfare l’aumento del fabbisogno energetico; questo vorrebbe dire che: le rinnovabili pur crescendo in valore assoluto e in percentuale, rischiano di avere un’incidenza con una curva a campana (aumenta la loro incidenza in %, poi si stabilizza, per poi ridiscendere).

Confronto tra energia primaria ed elettrica

Guardiamo adesso i consumi totali di energia primaria al mondo:

(Grafico 6)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html


Quindi, le rinnovabili (escluso idroelettrico) coprono il 6% del fabbisogno energetico elettrico, il quale è una piccola parte rispetto al totale di energia primaria richiesta.

La percentuale di energia elettrica sul totale di energia primaria è la seguente:

(Grafico 7)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

I cui valori degli ultimi due anni sono:

(tabella 3)
fonte: http://www.bp.com/en/global/corporate/about-bp/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html

L’energia primaria, nell'ultimo anno, è cresciuta di +0,2 Gtep (equivalenti a 880 TWh elettrici).

Come si vede, ci sono voluti ben 30 anni per aumentare l’incidenza dell’energia elettrica dal 31% al 41% (+10%) cioè +3,3% a decennio.

Se la nostra società continuasse con questo ritmo, ci potrebbe essere una migrazione all'uso totale di energia elettrica in circa 180 anni ((100 % - 41 %) / 3.3 * 10).

Chiaramente, se i trasporti riuscissero a passare all'elettrico (invenzione di una pila rivoluzionaria), la crescita della quota dell’elettrico aumenterebbe molto più velocemente.

Ci potremmo soffermare sulle caratteristiche tecniche (pro e contro) di ogni fonte, ma per trarre delle conclusioni, ci bastano i dati che abbiamo analizzato.

Conclusioni

Sono le seguenti:

1. Le fonti rinnovabili eolico e solare, stanno crescendo, ma essi, oggi, rappresentano solo una minima quota dell’energia elettrica prodotta al mondo (circa il 6% dell’elettrico e il 2,5 % dell’energia primaria);

2. Gli investimenti in questo settore sono stati alti da parte di alcuni paesi come: Italia, Germania e Cina; ma l’aumento della loro produzione di energia nell'ultimo anno (+93 TWh) non è riuscito a compensare l’aumento del consumo di energia elettrica (+410 TWh) e ancor meno, l’aumento totale di energia primaria (+0,2 Gtep uguali a 880 TWh elettrici); da questo ne consegue che gli investimenti in rinnovabili sono nettamente inferiori al necessario.

Quindi: è necessario che, i vari settori dell’economia (trasporti, estrazione mineraria, ecc) passino all'elettrico e nel frattempo gli investimenti in fonti rinnovabili dovrebbero aumentare (a livello mondiale) di 25 volte per poter fare una transizione entro il 2035 (20 anni), oppure di 15 volte, per fare una transizione entro il 2050 (35 anni).

Prossime pubblicazioni

Magari, in un prossimo post, metteremo a confronto i maggiori investimenti necessari nelle fonti rinnovabili, con l’andamento a campana della disponibilità dei combustibili fossili.

Della serie:
se stiamo raggiungendo il picco della produzione netta di energia annua, sarà possibile mantenere la società attuale, e nel frattempo investire una parte dell’energia nelle fonti rinnovabili?

By Alessandro Pulvirenti

venerdì 22 maggio 2015

Il collasso del petrolio: sta per succedere qualcosa di sinistro

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Il recente collasso del prezzo del petrolio segnala la fine imminente dell'industria del petrolio e del gas come grande produttrice mondiale di energia. Dovrebbe essere una cosa buona, in linea di principio, ma dal processo potrebbe ancora emergere qualcosa di sinistro (nell'originale "something wicked this way comes" dal "Macbeth" di Shakespeare).


Con il collasso dei prezzi del petrolio in corso, possiamo dire che la festa è finita per l'industria del petrolio e del gas, in particolare per la produzione di petrolio e gas “tight” (o “di scisto”). I prezzi potrebbero anche tornare a livelli ragionevolmente alti, in futuro, ma l'industria non sarà mai più in grado di riguadagnare lo slancio che ha fatto dichiarare ai suoi sostenitori statunitensi “l'indipendenza energetica” e “secoli di abbondanza”. La bolla potrebbe non scoppiare all'improvviso, ma di sicuro si sgonfierà.

Quindi cosa succederà ora? La situazione è, a dir poco, “fluida”. E' in atto una grande corsa per convincere gli investitori a mettere i loro soldi dove c'è ancora qualche possibilità di fare un profitto. Penso che possiamo identificare almeno tre diverse strategie per il futuro: 1) di più del solito (petrolio e gas) 2) una spinta verso il nucleare e 3) una spinta verso le rinnovabili. Cerchiamo di esaminare quale futuro potrebbe essere in serbo per noi.

1) Una spinta per più gas e petrolio. Sembra chiaro che l'industria del petrolio e del gas non ha ancora ammesso la sconfitta; al contrario, sogna ancora di secoli di abbondanza (vedete per esempio questo articolo su Forbes). Sembra impensabile che gli investitori vogliano ancora finanziare imprese incerte come quella di strizzare più petrolio dai giacimenti esausti o, peggio ancora, da tecnologie difficili e costose come la liquefazione del carbone. Ma non si dovrebbe mai sottovalutare il potere del BAU. Se le persone pensano di avere assolutamente bisogno di combustibili liquidi saranno disposte a fare qualsiasi cosa per ottenere combustibili liquidi.

Il problema principale di questa idea non è tanto la fattibilità tecnica. Impiegando tutte le risorse a portata di mano nell'impresa (e mettendo sul lastrico l'intera economia facendolo) non sarebbe impossibile allontanare il picco del petrolio ancora di qualche anno. Il problema è un altro: il tempo sta per scadere col cambiamento climatico. Se continuiamo a bruciare idrocarburi, non ce la possiamo fare. Vale a dire, non possiamo salvare la civiltà dal collasso causato dal clima. Ciò vale se continuiamo a bruciare al “tasso naturale”, cioè secondo la curva a campana. Immaginate se invece continuassimo a crescere con la produzione (come secondo tutti i politici del mondo dovremmo fare).

Tutto ciò sta diventando noto e, di conseguenza, una spinta verso la produzione di idrocarburi (o, Dio ce ne scampi, più carbone) sarà possibile solo se accompagnata da una forte campagna propagandistica destinata a zittire la scienza del clima e l'attivismo climatico. Alcuni sintomi del fatto che ci sia qualcosa del genere in lavorazione sono abbastanza evidenti da essere inquietanti. Considerate che nessuno dei candidati Repubblicani alle elezioni statunitensi del 2016 sostiene la necessità di azione per il cambiamento climatico, che in Florida agli impiegati governativi non è permesso usare il temine “cambiamento climatico” o “riscaldamento globale”, che la NASA ha subito una riduzione dei fondi su qualsiasi cosa abbia a che fare col cambiamento climatico, ed altro. Quindi comincia ad apparire una certa logica: “metti la museruola alla scienza e continua a bruciare”. Sta per succedere qualcosa di molto strano...

2) Una nuova spinta verso il nucleare. Questa opzione non sarebbe male quanto la prima, più idrocarburi. Perlomeno le centrali nucleari non generano gas serra direttamente e sappiamo che è una tecnologia che può produrre energia. Ciononostante, gli ostacoli associati alla sua espansione sono giganteschi. Il primo e principale problema è che la produzione di uranio minerale non è sufficiente per incrementare l'energia nucleare da una piccola percentuale dell'energia primaria mondiale ad una grande – essere in grado di farlo richiederebbe investimenti così grandi da essere sbalorditivi. Per non dire niente della necessità di minerali rari nelle centrali nucleari: berillio, niobio, afnio, zirconio, terre rare ed altro; tutte presenti in quantità limitate. Inoltre ci sono problemi da incubo nello smaltimento dei rifiuti, nella sicurezza e nel controllo strategico.

Ciononostante, se fosse possibile convincere gli investitori a riversare soldi nell'energia nucleare, sarebbe possibile vedere un tentativo di farla ripartire, nonostante i vari problemi e i disastri che hanno dato una fama negativa al nucleare. Un tentativo di fare proprio questo sembra che si stia articolando. Si dice che il presidente Obama stia prendendo in considerazione un ritorno massiccio al nucleare e agli investitori viene detto di prepararsi per un'enorme impennata dei prezzi dell'uranio. Funzionerà? Improbabile, ma non impossibile. Sta per succedere qualcosa di sinistro...

3) Una grande spinta per le rinnovabili. Sorprendentemente, l'industria delle rinnovabili potrebbe avere delle serie possibilità di avere il sopravvento su una senescente industria petrolifera, lasciando l'industria nucleare al palo e ansimante a guardare. Il progresso della tecnologia rinnovabile, specialmente nelle celle fotovoltaiche, è stata semplicemente fantastica nell'ultimo decennio (vedete per esempio il recente rapporto del MIT). Oggi abbiamo una serie di metodi per produrre energia elettrica che possono competere con le fonti tradizionali, watt per watt, dollaro per dollaro. Considerate che le più efficienti di queste tecnologie non hanno bisogno di materiali particolarmente rari e che nessuna ha il problema strategico e di sicurezza del nucleare. Infine, considerate che è stato dimostrato (Sgouridis, Bardi e Csala) che l'attuale tecnologia rinnovabile potrebbe prevalere sulle attuali fonti abbastanza velocemente da evitare grandi danni da parte del cambiamento climatico.

Sembra che abbiamo un vincitore, giusto? Infatti, l'atmosfera intorno alle rinnovabili è di palpabile ottimismo. Se l'energia rinnovabile prende abbastanza slancio, non ci sarà niente in grado di fermarla finché non ci ha tutti catapultati, volenti o nolenti, in un nuovo mondo (più pulito): Però c'è un problema. L'industria rinnovabile è ancora piccola in confronto all'industria nucleare e lo è in modo particolare in confronto a quella del petrolio e del gas. E sappiamo che chi è più grosso di solito riesce a menare chi ha ragione. Il puro e semplice potere finanziario della tradizionale industria energetica potrebbe essere sufficiente a far abortire il cambiamento prima che diventi inarrestabile. Sta per succedere qualcosa di sinistro...




domenica 2 novembre 2014

Bruciare le foreste in nome della sostenibilità. Ideona!


Dagrist.org”. Traduzione di MR (h/t Nate Hagens)

Di Ben Adler

Se si guida attraverso il Sud e si vede un campo spogliato pieno di nuove piantagioni tozze dove un tempo c'era la foresta lussureggiante, la colpa potrebbe essere di un colpevole improbabile: l'Unione Europea e le sue ben intenzionate regole per l'energia pulita. Nel marzo 2007, l'UE ha adottato obbiettivi climatici ed energetici dal 2010 al 2020. I 27 paesi membri hanno stabilito un obbiettivo di riduzione delle emissioni di carbonio del 20% per il 2020 e di aumento delle rinnovabili fino al 20% del proprio portafoglio energetico. Sfortunatamente, hanno sottostimato l'intensità di carbonio dell'uso della legna (leggi, “biomassa”) per fare elettricità ed hanno categorizzato la legna come combustibile rinnovabile.

Il risultato: i paesi della UE con settori rinnovabili più ridotti si sono rivolti alla legna per sostituire il carbone. I Governi hanno fornito incentivi per gli impianti energetici allo scopo di fare questo passaggio. Ora, con un pugno di nuove centrali europee a legna che sono entrate in funzione, gli europei hanno bisogno di legna per alimentare la bestia. Ma in gran parte dei paesi europei non sono rimaste molte foreste da tagliare a disposizione. Quindi importano le nostre foreste, specialmente dal Sud. Naturalmente, la legna è in un certo senso rinnovabile: gli alberi possono essere ripiantati. Ma in altri sensi è più simile ai combustibili fossili che non al solare e all'eolico. Dopotutto, tutta questa ossessione per le rinnovabili non è solo a causa dell'esaurimento dei combustibili fossili. E' perché bruciare combustibili fossili produce CO2 che causa il riscaldamento globale. La stessa cosa vale bruciando legna, a differenza dell'eolico e del solare.

La legna rappresenta una maggioranza di generazione di energia rinnovabile in Polonia e in Finlandia e quasi il 40% in Germania. E' particolarmente attraente per le utility energetiche britanniche, perché il governo britannico offre sussidi generosi per l'energia rinnovabile e la sua industria solare non è nemmeno lontanamente progredita quanto quella della Germania. Drax, una grande utility britannica, ha annunciato lo scorso anno che convertirà tre centrali a carbone a legna. Questa transizione porterà l'azienda a 550 milioni di sterline britanniche all'anno (912 milioni di dollari) di sussidi governativi per le rinnovabili. The Economist chiama questa politica “demenza ambientale”, osservando seccamente: “Dopo anni in cui i governi europei hanno vantato la loro rivoluzione ad alta tecnologia e a basso tenore di carbonio, il principale beneficiario sembra essere il combustibile preferito delle società preindustriali”.

La logica iniziale della UE non era completamente folle – è solo risultata essere del tutto sbagliata. Citando ricerche che suggerivano che gli alberi giovani consumano più CO2 di quelli vecchi, i decisori politici hanno immaginato che bruciare un albero per l'energia poteva essere neutro dal punto di vista del carbonio, se si fosse piantato un albero sostitutivo. Studi più recenti, tuttavia, hanno mostrato che questo era troppo ottimistico. Non tutti gli alberi giovani consumano più CO2 di quelli vecchi – dipende dalla specie e da varie altre condizioni. Il processo di triturazione degli alberi per farne pellet di legna, di spedirlo oltre Atlantico e l'energia coinvolta nel bruciarlo tutto, si aggiungono all'intensità di carbonio totale. “Bruciando pochissimi combustibili di legna mostra un qualche beneficio rispetto al carbone”, dice Scot Quaranda, un portavoce della Dogwood Alliance, un gruppo anti-deforestazione di Asheville, in Carolina del Nord. “In gran parte dei casi è in realtà peggio del carbone o del gas naturale”.

Dogwood ha lanciato una campagna per fare pressione sulle utility americane e britanniche per fermare la combustione di alberi per produrre elettricità (dice che la segatura che rimane nelle segherie è relativamente innocua). Ci sono alcune variabili cruciali da considerare quando si valutano gli impatti climatici della combustione di legna. Una è: cosa sarebbe successo alla legna se non fosse stata bruciata? Molte operazioni di taglio e segherie bruciano mucchi di ramaglie, scarti e segatura, creando più gas serra di quella che potrebbe generare una centrale bruciando pellet fatto con gli stessi “residui”, secondo un rapporto pubblicato lo scorso mese dal Dipartimento Britannico dell'Energia e del Cambiamento Climatico. Ma da una prospettiva climatica, sarebbe meglio lasciare che quei residui si decompongano nella foresta, dice il rapporto. Dipende anche da quanta energia termica è richiesta per seccare il pellet da bruciare e come quell'energia viene prodotta. In media, dice il rapporto, “E stato scoperto che l'elettricità da biomassa richiede ingressi di energia maggiori di gran parte delle altre tecnologie per generare elettricità”. La legna spedita in Europa dalla costa occidentale ha delle emissioni da combustibile molto più alte per via del trasporto di quella spedita dalla costa orientale. Poi c'è la questione di come sarebbe stata usata la terra se non vi fossero stati coltivati alberi.

La linea di fondo è: mentre in certi scenari bruciare pellet di legna può avere un'impronta di gas serra “molto bassa”, dice il rapporto, “altri scenari possono risultare nelle intensità (di gas serra) maggiori di quelle dell'elettricità prodotta da combustibili fossili, anche dopo 100 anni”. E “in tutti i casi, l'ingresso di energia richiesta per produrre elettricità dal pellet nord americano è maggiore di quello dell'elettricità prodotta da combustibili fossili e da altre rinnovabili (eccetto i sistemi FV più energeticamente intensivi) e il nucleare”. In generale, ciò sembra difficilmente una cosa che dovremmo incentivare. Speriamo che le politiche europee stiano al passo con le scoperte dei loro governi.