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venerdì 19 dicembre 2014

Il picco mondiale della pesca

Da “roperddl.com” Traduzione di MR (h/t Antonio Turiel)

Di L. David Roper
http://arts.bev.net/roperldavid
29 giugno 2014

Introduzione

Gran parte dell'evoluzione umana è avvenuta vicino le coste di mari ed oceani, quindi gli esseri umani evolvono a livello nutrizionale a privilegiare i frutti del mare. Quindi è importante conoscere la disponibilità di frutti del mare in futuro. Questo è un tentativo di misurare i dati delle catture di pesce negli oceani mondiali per proiettarle nel futuro. I dati indicano che la pesca oceanica mondiale ha raggiunto un picco. La piscicoltura sta rapidamente crescendo per colmare il divario.

Dati sulla pesca

Adattare i dati

Ci sono almeno quattro modi per adattare i dati di cattura del pesce esposti qui sopra per proiettarli nel futuro:
1.  Gli esseri umani continuano a pescare negli oceani finché tutto il pesce non verrà sterminato (adattamento Verhulst).

2.  La pesca si livella circa al punto in cui si trova ora per il futuro a lungo termine (adattamento tanh).

3.  La pesca raggiunge il picco circa al punto in cui si trova ora e quindi diminuisce ad un certo livello quasi costante di circa la metà del valore attuale (adattamento tanh a metà).

4.  La pesca raggiunge un picco e poi diminuisce a circa la metà del valore attuale (adattamento tanh a metà aggiunta).

I quattro tipi di adattamento sono:


L'adattamento tanh è




, dove a a = 0, b = 91.4, t0 = 1967 = anno di inflessione e w = 25.3 .

Alcuni commenti sugli adattamenti:

1.  Adattamento Verhulst: l'adattamento viene assunto come simmetrico. Tutti i parametri sono determinati dall'adattamento. Man mano che diventano disponibili altri dati in futuro, i parametri dell'adattamento cambieranno senza dubbio.

2.  Adattamento tanh: tutti i parametri sono determinati dall'adattamento. Man mano che diventano disponibili altri dati in futuro, i parametri dell'adattamento cambieranno senza dubbio. E' improbabile che le catture rimangano costanti per molti anni perché le riserve di pesce vengono esaurite molto rapidamente. Rimarrebbero alte solo grazie a nuove tecniche di pesca.

3.  Adattamento doppio-than: viene fatta un'ipotesi secondo la quale il valore quasi stabile finale sarà di circa la metà di quello attuale, il punto di rottura nel secondo tanh è il 2050 con un'ampiezza di 20 anni.

4.  Doppio-tanh aggiunta alla funzione Verhulst: viene fatta un'ipotesi secondo la quale il valore quasi stabile finale sarà di circa la metà di quello attuale, il punto di rottura nel secondo tanh è il 2050 con un'ampiezza di 30 anni.
Il grafico seguente mostra la cattura di pesce pro capite per i tre casi futuri considerati sopra:


Il picco è poco dopo il 1980 in tutti e tre i casi. Il grafico seguente mostra la cattura globale di pesce e l'aumento della concentrazione biossido di carbonio atmosferico (ppmv):


Notate che l'anno di inflessione della cattura di pesce, il 1967, si verifica poco dopo che le concentrazioni di CO2 cominciano rapidamente a salire.

Piscicoltura

Quando la pesca di pesce in ambiente naturale ha cominciato a entrare in stallo negli anni 90, la piscicoltura ha accelerato:


La curva arancione è un adattamento esponenziale dei dati della piscicoltura fra il 2000 e il 2011.

Sembra che la piscicoltura supererà la pesca in mare aperto circa nel 2016.

Ci sono molti problemi ambientali con la piscicoltura.

Declino del fitoplancton

Il fitoplancton è responsabile dell'immissione di circa la metà dell'ossigeno in atmosfera. Il krill si alimenta di fitoplancton e il krill viene mangiato da balene, foche, pinguini, calamari e pesce. Quindi una certa densità di fitoplancton nell'oceano è necessaria per mantenervi altra vita acquatica e per rimuovere biossido di carbonio dall'atmosfera e convertirla in ossigeno. Uno studio recente [Nature 466, 591-596 (29 luglio 2010) “Declino globale del fitoplancton durante il secolo scorso”] ha mostrato che la densità del fitoplancton è diminuita durante gli ultimi 50 anni circa. Per esempio i dati dell'Oceano Artico e di tre regioni dell'Oceano Atlantico sono:


Notate come fosse molto maggiore la densità nell'Oceano Artico rispetto a quella dell'Oceano Atlantico fino al 2000, stessa cosa anche confrontando l'Oceano Artico con l'Oceano Pacifico. Come per tante altre cose, l'Artico è il “canarino nella miniera” riguardo agli effetti del riscaldamento globale sulla densità del fitoplancton. Così, da ora in avanti considero solo la densità del fitoplancton nell'Oceano Artico. I dati si fermano al 2000, ma si afferma che la densità del fitoplancton sia diminuita di circa l'1% all'anno da allora. I dati della densità del fitoplancton (il cibo dei pesci) e la diminuzione ipotizzata di circa l'1% nell'Oceano Artico, insieme con le catture di pesce, sono:



Il punto di inflessione tanh della cattura di pesce (1967) si trova approssimativamente dove comincia il declino del fitoplancton. I dati insieme alla concentrazione di biossido di carbonio atmosferico (ppmv) sono:



Il rapido declino della densità del fitoplancton artico si verifica molto in prossimità dell'inizio del rapido aumento della concentrazione di CO2. Il declino iniziale del fitoplancton artico deve aver qualche altra causa. Il grafico seguente mostra un adattamento di secondo grado ed uno di legge di potenza del declino del fitoplancton artico dal 1960 all'aumento della concentrazione di CO2:




  •  L'equazione dell'adattamento di secondo grado è  AP = 140.7 - 0.7383*CO2 + 0.7722*CO2^2/1000 .
  •  L'equazione dell'adattamento di legge di potenza è AP = 0.2446 + 5.071*CO2^(-13.2257)*10^33 . Questo è un adattamento del 32% migliore di quello di secondo grado.

Conclusione

La pesca oceanica mondiale ha raggiunto un picco, probabilmente dovuto al rapido declino del fitoplancton negli oceani. Questo lavoro usa i dati per fare ipotesi plausibili su quanta pesca mondiale possa essere praticata in futuro: la stessa di adesso, di qualche livello inferiore o zero. Zero sembra essere la meno probabile delle tre. Quella pro capite.

Riferimenti











  •  Piscicoltura: “La piscicoltura è aumentata drammaticamente negli ultimi 15 anni ed ha più che compensato la perdita di produzione delle catture oceaniche. All'inizio sembrava una soluzione, e lo è in parte, ma ci sono dei limiti. L'inquinamento causato dalle grandi popolazioni di pesci e gamberi allevati in grandi recinti negli estuari sta causando un danno significativo agli ecosistemi locali, in particolare in Thailandia, dove ci sono pesanti concentrazioni di allevamenti di gamberi. C'è anche il problema del cibo. Attualmente una quantità significativa del cibo per allevare il pesce consiste di pasti a base di pesce. Nella misura in cui del pesce allo stato naturale viene catturato e deliberatamente trasformato in pasti per alimentare il pesce allevato, il sistema e controproducente. Ci voglio circa 2,250 kg di pasti a base di pesce per ottenere 0,450 kg di pesce allevato, più molto carburante e spese. Allo stesso tempo i pesci dell'oceano vengono privati del loro cibo. Meglio lasciare il pesce nell'oceano perché venga consumato dai loro predatori naturali e catturare i pesci più grandi. E' vero che parte dei pasti del pesce allevato è fatto di prodotti di scarto dell'industria del pesce, ma questo è prossimo al suo limiti, quindi altro cibo dovrà provenire dall'agricoltura, che sta affrontanto a sua volta i propri limiti”.








domenica 2 novembre 2014

Bruciare le foreste in nome della sostenibilità. Ideona!


Dagrist.org”. Traduzione di MR (h/t Nate Hagens)

Di Ben Adler

Se si guida attraverso il Sud e si vede un campo spogliato pieno di nuove piantagioni tozze dove un tempo c'era la foresta lussureggiante, la colpa potrebbe essere di un colpevole improbabile: l'Unione Europea e le sue ben intenzionate regole per l'energia pulita. Nel marzo 2007, l'UE ha adottato obbiettivi climatici ed energetici dal 2010 al 2020. I 27 paesi membri hanno stabilito un obbiettivo di riduzione delle emissioni di carbonio del 20% per il 2020 e di aumento delle rinnovabili fino al 20% del proprio portafoglio energetico. Sfortunatamente, hanno sottostimato l'intensità di carbonio dell'uso della legna (leggi, “biomassa”) per fare elettricità ed hanno categorizzato la legna come combustibile rinnovabile.

Il risultato: i paesi della UE con settori rinnovabili più ridotti si sono rivolti alla legna per sostituire il carbone. I Governi hanno fornito incentivi per gli impianti energetici allo scopo di fare questo passaggio. Ora, con un pugno di nuove centrali europee a legna che sono entrate in funzione, gli europei hanno bisogno di legna per alimentare la bestia. Ma in gran parte dei paesi europei non sono rimaste molte foreste da tagliare a disposizione. Quindi importano le nostre foreste, specialmente dal Sud. Naturalmente, la legna è in un certo senso rinnovabile: gli alberi possono essere ripiantati. Ma in altri sensi è più simile ai combustibili fossili che non al solare e all'eolico. Dopotutto, tutta questa ossessione per le rinnovabili non è solo a causa dell'esaurimento dei combustibili fossili. E' perché bruciare combustibili fossili produce CO2 che causa il riscaldamento globale. La stessa cosa vale bruciando legna, a differenza dell'eolico e del solare.

La legna rappresenta una maggioranza di generazione di energia rinnovabile in Polonia e in Finlandia e quasi il 40% in Germania. E' particolarmente attraente per le utility energetiche britanniche, perché il governo britannico offre sussidi generosi per l'energia rinnovabile e la sua industria solare non è nemmeno lontanamente progredita quanto quella della Germania. Drax, una grande utility britannica, ha annunciato lo scorso anno che convertirà tre centrali a carbone a legna. Questa transizione porterà l'azienda a 550 milioni di sterline britanniche all'anno (912 milioni di dollari) di sussidi governativi per le rinnovabili. The Economist chiama questa politica “demenza ambientale”, osservando seccamente: “Dopo anni in cui i governi europei hanno vantato la loro rivoluzione ad alta tecnologia e a basso tenore di carbonio, il principale beneficiario sembra essere il combustibile preferito delle società preindustriali”.

La logica iniziale della UE non era completamente folle – è solo risultata essere del tutto sbagliata. Citando ricerche che suggerivano che gli alberi giovani consumano più CO2 di quelli vecchi, i decisori politici hanno immaginato che bruciare un albero per l'energia poteva essere neutro dal punto di vista del carbonio, se si fosse piantato un albero sostitutivo. Studi più recenti, tuttavia, hanno mostrato che questo era troppo ottimistico. Non tutti gli alberi giovani consumano più CO2 di quelli vecchi – dipende dalla specie e da varie altre condizioni. Il processo di triturazione degli alberi per farne pellet di legna, di spedirlo oltre Atlantico e l'energia coinvolta nel bruciarlo tutto, si aggiungono all'intensità di carbonio totale. “Bruciando pochissimi combustibili di legna mostra un qualche beneficio rispetto al carbone”, dice Scot Quaranda, un portavoce della Dogwood Alliance, un gruppo anti-deforestazione di Asheville, in Carolina del Nord. “In gran parte dei casi è in realtà peggio del carbone o del gas naturale”.

Dogwood ha lanciato una campagna per fare pressione sulle utility americane e britanniche per fermare la combustione di alberi per produrre elettricità (dice che la segatura che rimane nelle segherie è relativamente innocua). Ci sono alcune variabili cruciali da considerare quando si valutano gli impatti climatici della combustione di legna. Una è: cosa sarebbe successo alla legna se non fosse stata bruciata? Molte operazioni di taglio e segherie bruciano mucchi di ramaglie, scarti e segatura, creando più gas serra di quella che potrebbe generare una centrale bruciando pellet fatto con gli stessi “residui”, secondo un rapporto pubblicato lo scorso mese dal Dipartimento Britannico dell'Energia e del Cambiamento Climatico. Ma da una prospettiva climatica, sarebbe meglio lasciare che quei residui si decompongano nella foresta, dice il rapporto. Dipende anche da quanta energia termica è richiesta per seccare il pellet da bruciare e come quell'energia viene prodotta. In media, dice il rapporto, “E stato scoperto che l'elettricità da biomassa richiede ingressi di energia maggiori di gran parte delle altre tecnologie per generare elettricità”. La legna spedita in Europa dalla costa occidentale ha delle emissioni da combustibile molto più alte per via del trasporto di quella spedita dalla costa orientale. Poi c'è la questione di come sarebbe stata usata la terra se non vi fossero stati coltivati alberi.

La linea di fondo è: mentre in certi scenari bruciare pellet di legna può avere un'impronta di gas serra “molto bassa”, dice il rapporto, “altri scenari possono risultare nelle intensità (di gas serra) maggiori di quelle dell'elettricità prodotta da combustibili fossili, anche dopo 100 anni”. E “in tutti i casi, l'ingresso di energia richiesta per produrre elettricità dal pellet nord americano è maggiore di quello dell'elettricità prodotta da combustibili fossili e da altre rinnovabili (eccetto i sistemi FV più energeticamente intensivi) e il nucleare”. In generale, ciò sembra difficilmente una cosa che dovremmo incentivare. Speriamo che le politiche europee stiano al passo con le scoperte dei loro governi.