martedì 31 marzo 2020

Relax con Elena Corna: Saturno contro la Terra


Arrivano buone notizie dal fronte Coronavirus. Sembra che l'epidemia abbia raggiunto il picco. Ora, se tutto va bene e se non facciamo scemenze, inizierà la discesa e #forsetuttotornacomeprima (ma anche no). Nel frattempo, dopo aver tanto parlare di disastri, morte, collassi, eccetera (e accidenti ai catastrofisti), rilassiamoci con un racconto di Elena Corna che ha già contribuito parecchie volte a questo blog. Grande esperta di fumetti, specialmente di quelli di Disney, eccola qui con una storia deliziosa dove Saturno e una delle sue lune sono protagonisti. Con un sottofondo ecologista, però!

*Ah... mi dice Elena che lei non è solo esperta di fumetti disneyani, E' anche una grande esperta di pirati e di pirateria. Non solo, si interessa anche di diritti degli animali. Vedi questa sua intervista.
 

Post di Elena Corna


Registrato il ‘dialogo’ fra Saturno e una delle sue lune, Encelado: le loro voci sono state catturate dalla sonda Cassini due settimane prima della discesa nell’atmosfera del pianeta, con la quale a metà settembre 2017 ha concluso la sua missione.

I suoni sono generati dall’interazione fra i potenti campi magnetici dei due corpi celesti, che formano una sorta di circuito elettrico.

Simili al suono dei venti che soffiano sulla Terra, le voci di Saturno e di una delle sue 62 lune sono state registrate da uno degli strumenti di Cassini, il Radio Plasma Wave Science (Rpws). I segnali sono stati poi convertiti in musica dagli scienziati di Cassini per essere analizzati in dettaglio. 


Fin qui, la notizia data dalla stampa.
Noi però, in esclusiva , abbiamo anche la traduzione in linguaggio verbale.


    - Urka. Cos’è quella robina lì?-

    - Presa. Ce l’ho qui.-

    - Cos’è? Non mi pare di aver mai visto niente del genere.

    - Boh, è una cosina piccola e brutta. Comunque, ora è qui che mi gira attorno.

    - Molto curiosa, questa cosa. Chissà da dove viene. Aspetta, aspetta…So da dove viene. Sai, ho conversato a lungo con la cometa Wosh, (n.d.t.: si tratta della cometa di Halley ma naturalmente loro non la chiamano così) quando è passata di qui.

    - Sei sempre a chiacchiera con le comete, tu.-

    - Certo, o grande signore degli anelli. Si imparano tante cose. Se tu fossi un po’ meno burbero, un po’ più caloroso, ecco, potresti conversare anche tu. E poi, scusa, che dovrei fare, sennò, a parte girarti attorno?

    - Va bene, va bene, sentiamo.

    - Ecco, la cometa mi ha detto che un affarino così è arrivato anche addosso a lei mentre passava nei pressi del terzo pianeta. L’affarino proveniva da lì.

    - Da Gaia? Strano. Che va facendo la ragazza? Gioca al tiro al bersaglio?

    - No, vostra rotondità, il fatto è che Gaia…ecco, mi dispiace dirtelo, ma Gaia non sta bene.

    - Addolorato di sentirlo. Qualcosa di non grave, spero. La cometa sa di cosa si tratta?

    - Si, perché passa spesso vicino a Gaia. Mi consenti un pettegolezzo, o gigantesca gassosità?

    - Ti consento, ti consento, ma smettila di prendermi per il polo sud!

    - Ecco, lei passa volentieri nei pressi di Gaia perchè viene guardata, dipinta, scritta poesie. E’ vanitosa.

    - Tutta invidia, perché lei viaggia e tu no.

    - La invidio, sì. Ma comunque. Dice che l’ha vista deperire tanto ultimamente. Nel tempo di due giri tuoi è irriconoscibile.

    - Addirittura? Mi spiace tanto, Gaia è così bella. La più bella di tutti noi. Ma che cos’ha?

    - Parassiti. Una di quelle specie che ha lei, insomma. Sembravano innocui, anche simpatici, e invece si sono moltiplicati a dismisura e in breve hanno distrutto acque e foreste , cambiato l’atmosfera e il clima. Sono loro che sparano quelle cosine.

    - Che screanzati. Ora gliela rimando addosso, appena trovo come fare. Quanto mi spiace per Gaia. Ma non ha provato a scuotersi?

    - Sì, ha provato a terremotarsi qualche volta, ma non funziona. Sono troppi!

    - Ci vuole una cura drastica, allora. Cosa aspetta? Per tutte le nebulose, che si prenda un bel tarmicida o antiparassitario, ce ne sono a dozzine!

    Forse non vuole eliminarli, sono tutti figli suoi, in fondo.

    Oh beh, quando i figli sono degenerati… Guarda la storia della nostra famiglia, c’è pieno di genitori che mangiano i figli.

    - Credo che Gaia sia troppo materna…Continua a nutrirli, addirittura, ma sono parassiti pericolosissimi! La cometa mi ha detto che intendono contagiare anche Marte.

    - Sì, figurati! Quello ha un sistema immunitario a prova di bomba e poi non si fa tanti scrupoli, col cavolo che si lascerà contagiare. Ma comunque non credo ci sia troppo da preoccuparsi nemmeno per Gaia. Guarirà. Sai com’è con i virus tipo l’influenza, vengono e poi vanno via da soli. Scompaiono.

    - Speriamo. Ma intanto che si fa con quella cosa?

    - Niente. Magari ci gioco un po’ e poi me la mangio.

    - Tu credi, o grande idrogenità, che ci abbia sentiti?

    - Lo escludo. Non può essere intelligente, se è stata fabbricata da parassiti non intelligenti.

    - E come sai che non abbiano intelligenza?

    - Elementare. Degli esseri che distruggono il pianeta che li ospita, ti pare possano essere intelligenti?

    - Vero. Ottima osservazione. Hai veramente una mente arguta, o grande ventosità. Non ci avrei pensato.

    - E’ per questo che sei tu che giri attorno a me e non viceversa.

    - Sempre gentile, eccellenza. Ora ti lascio, ho una partita di golf con Titano e Iperione.

    - Attenzione a Titano, allora. Lui bara, fa delle mosse irregolari.

    - No, eccellenza, quello con i movimenti caotici è Iperione. Possibile che non te ne ricordi?

    - Santi numi, siete 62, siete! Ogni tanto mi sbaglio.

    - Davvero, siamo un esercito qui. Chissà perché vi sono toccate così tante lune, eccellenza.

    - Ovvio, perché io so' Saturno, er mejo der cielo notturno.

    giovedì 26 marzo 2020

    La Vendetta del Pangolino: La Morte Arriva dal Mercato degli Animali Esotici


    Un post di Jacopo Simonetta

    Anni fa, durante una garrula riunione di catastrofisti, ci si chiese cosa, secondo il parere di ognuno, avrebbe potuto distruggere la civiltà industriale. Fra le tante ipotesi, le più gettonate furono una bolla speculativa, il blocco di internet e il picco di tutti i petroli. Il prof. Bardi, con l’aria sorniona di quando ha un’intuizione, disse: “Qualunque cosa blocchi il commercio internazionale per sei mesi”. Premio Cassandra! Anche se credo che neanche lui avrebbe mai immaginato che il collasso della più potente civiltà della storia sarebbe stato scatenato da un pangolino finito illegalmente in un mercato cinese.

    A dire il vero, che il covid-19 si sia originato nei pangolini è solo una delle varie ipotesi al vaglio, come è anche un’ipotesi che questa sia la fine della civiltà industriale. Siamo però certi che il virus nasce da una zoonosi e che il contraccolpo economico sarà violentissimo (le borse hanno già perso molto più che nel 2008), tanto più che in contemporanea ci sono varie altre calamità in corso: dalla siccità in quasi tutto il mondo, all'invasione delle cavallette, passando per vari conflitti locali e dalla guerra sui prezzi del petrolio.

    Certo, una “tempesta perfetta” come usa dire, ma niente che non si sapesse che doveva accadere, come è quindi possibile un tale disastro?

    In fondo, finora, il covid-19 ha contagiato circa 528.000 persone di cui 123.000 sono finite all’ospedale e quasi 24.000 al cimitero (dati Worldometrs 26/03/2020). Anche se i dati sono incompleti e l’epidemia non è vicina a concludersi, siamo ben lontani dai 50-100 milioni di morti provocati dalla Spagnola ed anche dei 2 milioni provocati dalla “asiatica” (su popolazioni ben minori dell’attuale: rispettivamente 1,5 e 3 miliardi circa). Eppure, nessuna di queste due pandemie mise in pericolo l’economia del mondo.

    I fenomeni complessi dipendono sempre da insiemi articolati di concause, ma credo che le principali qui siano due, la prima di natura sistemica e la seconda culturale.


    Primo motivo: la vulnerabilità del capitalismo globalizzato.

    La peculiarità del capitalismo è di essere strutturato su una ridondanza di retroazioni positive. In altre parole, è fatto in modo da dover crescere per forza, altrimenti si disintegra. Non può rallentare, deve per forza accelerare. Era già così ai tempi della Spagnola, ma allora il Pianeta offriva ancora ampi margini di crescita per l’economia e per la popolazione umana; superata la crisi acuta, una vivace ripresa era possibile ed infatti avvenne. Oggi quei margini non ci sono più, anzi ci troviamo in “overshoot” per almeno il 50%, probabilmente di più. Questo significa che passata la crisi acuta, ne comincerà una cronica.

    I mezzi usati per poter continuare a crescere oltre la capacità di carico del Pianeta sono stati sostanzialmente tre: tecnologia, debito e globalizzazione. Nessuno di questi è stata un’invenzione del capitalismo e neppure della civiltà industriale, ma negli ultimi decenni li abbiamo tutti sviluppati fino alle loro estreme conseguenze. Il risultato è stato integrare tutte le economie del globo in un’unica colossale macchina inarrestabile, ma ad una condizione: che i flussi di merci, energia, denaro e persone crescano in maniera regolare e costante.

    Un significativo rallentamento di questi flussi mina infatti alla base l’intero sistema e, quanto più a lungo dura, tanto più aumenta la probabilità di un deragliamento irreparabile. Questo lo sanno bene coloro che gironzolano nelle stanze dei bottoni ed anche per questo in tutti i paesi, a partire dalla Cina, si è ripetuto lo stesso “film”: dapprima negare, poi minimizzare, poi cominciare a fermare gradualmente le attività, fino a giungere ad un blocco totale che oramai ha messo in quarantena miliardi di persone.

    E qui sorgono un paio di domande: Per esempio, perché alcune centinaia di morti per virus sono sufficienti a far scattare misure che non si vogliono prendere neanche di fronte a decine di migliaia di morti per inquinamento od altre cause? Oppure, visto che il blocco totale è ad oggi l’unico modo per fermare l’infezione (almeno temporaneamente), perché non farlo subito?

    Ci sono certamente dei motivi pratici, come l’impreparazione ed il fatto che i provvedimenti contro l’inquinamento sarebbero permanenti, mentre quelli contro il coronavirus si presumono temporanei. Tuttavia, secondo me, ci sono anche motivi più profondi che vanno cercati non già mediante la scienza moderna, bensì usando la mitologia antica.

    Secondo motivo: la vulnerabilità del nostro modello mentale.
    La caratteristica principale che ci rende unici nel mondo e forse nell'universo è il fatto che non ci rapportiamo quasi mai direttamente alla realtà, bensì a dei modelli mentali che la descrivono, ci spiegano come funziona e cosa bisogna quindi fare.

    Se in altre culture la creazione ed il dominio di tutto ciò che era vitale era attribuito a divinità che si potevano implorare in caso di bisogno, nella nostra civiltà gli artefici di tutto ciò che consideriamo importante siamo noi stessi e il dominio universale è il destino ineluttabile dell’umanità. Di conseguenza, quale che sia il nostro credo apparente, a livello subliminale il nostro dio è l’Uomo; inteso come rappresentazione astratta dell’umanità. Non per nulla consideriamo che la vita umana sia “sacra” e seconda in importanza solo al compimento della nostra ascensione dalla caverne alle stelle.

    Neppure questo atteggiamento mentale è un’invenzione moderna, tanto è vero che esistono termini antichi per indicarlo: Hybris, fra gli altri. Ma anche in questo caso la disponibilità di quantità illimitate di energia di ottima qualità quasi gratis ci ha permesso di svilupparlo fino alle sue estreme conseguenze: esattamente quelle che stiamo vivendo e che vivremo.

    Una di queste conseguenze è che qualunque cosa può essere sacrificata per salvare una vita umana, ma migliaia o milioni di persone possono essere tranquillamente immolate in nome e per conto del progresso.  Caso limite: i transumanisti accettano di buon grado perfino l'estinzione della nostra specie, a condizione che prima di scomparire per sempre si dia origine ad una stirpe di macchine pensanti.

    Sembra un paradosso, ma non lo è se si riflette sul fatto che il progresso (in tutte le sue varianti) è esattamente ciò che da senso la vita umana e, a differenza degli altri animali, noi abbiamo un bisogno assoluto di attribuire un significato a noi stessi ed a ciò che facciamo. Chi perde il significato di sé stesso e della propria vita precipita inevitabilmente in patologie anche gravi come la depressione, la droga, ecc. Perciò si può molto filosofeggiare su cosa si debba intendere per progresso, ma negarlo tout court è blasfemo, finanche un’abiura allo stato umano.

    A mio avviso, assieme a considerazioni pratiche ed economiche, questo fatto puramente spirituale contribuisce a spiegare molti degli apparenti paradossi della vicenda in corso. Per esempio, che la morte di milioni di persone per cause connesse con l’inquinamento sia considerato un fatto certo deprecabile, ma inevitabile. Un fatto che si può e si deve cercare di mitigare, ma a condizione che questo comporti lo sviluppo di un’ulteriore tecnologia, non certo tramite la rinuncia ad una qualche importante conquista come, ad esempio, l’auto privata. Più in piccolo, la sacralità attribuita a noi stessi di fronte a qualunque cosa, esclusi i prodotti del nostro stesso ingegno, spiega perché la morte di una persona schiacciata da un albero che cade desta scandalo e dure conseguenze, mentre la contemporanea morte di migliaia di persone schiacciate dalle nostre automobili suscita qualche sospiro. Perfino fra i pochissimi che propugnano una retrocessione tecnologica, la maggior parte la compensa immaginando grandi sviluppi artistici, spirituali o d’altro genere. Insomma, si può fare di tutto, ma non “tornare indietro”, pena cessare di essere veramente umani.

    Vista questa premessa, ammettere che un virus uscito da una foresta o da una savana tropicale possa uccidere impunemente decine, forse centinaia di migliaia di persone senza che l’intero apparato scientifico ed industriale del mondo riesca a fermarlo è psicologicamente traumatizzante, ben al di là dell’effettiva pericolosità del patogeno. L’intrusione di un agente demoniaco all'interno del nostro spazio sacro per eccellenza, la città, significa ammettere che esistono forze che ci trascendono e contro cui siamo impotenti: una constatazione che ci lascia dapprima increduli, poi terrorizzati, infine furiosi.

    Molti leader politici, a proposito di questa pandemia, hanno apertamente parlato di “guerra”, dicendo inconsapevolmente qualcosa di molto profondo: quella in cui siamo impegnati è infatti una vera battaglia mitologica perché non si combatte fra eserciti, bensì fra archetipi.

    Ma non è questa la fine della storia, semmai il contrario. Oramai credo che sia inutile ripetere che la traiettoria su cui si trova l’umanità è intrinsecamente suicida e che l’unica cosa che la può cambiare è un drastico e rapidissimo ridimensionamento dei consumi. Lo sanno soprattutto quelli che non lo vogliono fare, ben coscienti del pesante pedaggio di povertà e di morte che sarebbe ormai necessario per cambiare strada. Ma qualunque pedaggio sarà meno pesante del mantenere la rotta attuale poiché cambiare, almeno, consente la speranza che altre civiltà possano un giorno tornare a fiorire. La promessa del "Business as Usual" è invece un deserto in cui la specie dominante sono i ratti (peraltro animaletti simpatici e molto intelligenti).

    Dunque, forse, il Covid-19, con tutte le sue funeste conseguenze, è la migliore speranza che attualmente ci rimane. Certo, avremmo preferito percorrere un’altra strada, tipo una fra quelle di cui si parla da 50 anni senza farne di nulla; ma abbiamo scelto questa e come diceva Epicuro: “In Natura non esistono premi e castighi, esistono le conseguenze”.

    E se poi, come pare, davvero la fine della civiltà globale fosse dovuta ad uno stravagante e raro abitante di una delle poche foreste ancora in piedi, sarebbe davvero tragicamente comico, come talvolta la storia, effettivamente è.

    Vorrei quindi chiudere con una citazione non già di un illustre filosofo, ma di un cantante contemporaneo:

    “Non voglio essere blasfemo, ma credo che Dio abbia un contorto senso dell’umorismo”. (Martin Gore)


    martedì 24 marzo 2020

    Cancrismo e Pandemia: L'Annientamento del Pianeta


    Terre fossili, di Mario Giammarinaro

    Un post di Bruno Sebastiani

    L’argomento Coronavirus ha ormai monopolizzato ogni discussione sul web e pertanto mi adeguo anch’io a questa “epidemia parolaia” tentando di dare un giudizio su quanto sta avvenendo alla luce della teoria cancrista, ovvero di quella visione del mondo secondo cui l’essere umano sta alla biosfera come le cellule tumorali stanno al corpo dell’ammalato di cancro.
    Qualcuno potrebbe pensare che i sostenitori di una teoria così estrema vedano di buon occhio ogni azione atta a contrastare l’aggressività del genere umano nei confronti dell’ambiente.
    Mi spiace deludere ogni catastrofista (“muoia Sansone con tutti i filistei”!), ma il Cancrismo non è una teoria “pratica”, non intende tradurre le sue idee in comportamenti concreti volti a contrastare l’azione del male.
    I suoi sostenitori non sono una sorta di anticorpi votati al contrasto delle cellule maligne.
    Perché tutto ciò? Per un semplice motivo: perché anch’essi sono esseri umani, e quindi, volenti o nolenti, pure loro sono cellule tumorali della biosfera.
    Pensare che cambiare paradigmi mentali possa essere sufficiente a trasformare l’”uomo - agente distruttivo” in un essere in sintonia con l’ambiente significa non aver minimamente approfondito la teoria cancrista.
    E allora cerchiamo di fare un po’ di luce su tutta la questione.
    Il Cancrismo osserva in modo asettico, con gli occhi alieni di un ipotetico buon dottore planetario, ciò che accade sulla Terra da quando l’accidentale alterazione del patrimonio genetico di un primate ha determinato la crescita abnorme del di lui cervello e lo ha trasformato in Homo sapiens.
    Riprendendo a guardare la realtà con i nostri occhi, gli unici che concretamente possediamo, non possiamo che ritrovarci coinvolti in questo processo di annientamento della biodiversità del pianeta.
    Non è possibile nel breve spazio di un articolo riassumere ogni dettaglio di questo processo, il perché e il per come. Chi volesse approfondire la questione può consultare il sito https://ilcancrodelpianeta.wordpress.com/ o leggere i testi base della teoria.
    In due parole si può dire che il Cancrismo tende a ribaltare di 180 gradi l’opinione che l’umanità ha di se stessa, della sua storia, del suo tanto decantato progresso.
    Tutto ciò premesso, alla luce di questa teoria, che giudizio dare della pandemia nella quale siamo immersi?
    Innanzitutto non fornirò valutazioni escatologiche o complottiste: ho una sincera idiosincrasia per le spiegazioni dietrologiche, che non sono quasi mai in grado di fornire le prove di ciò che affermano. Preferisco usare il buon senso, corroborato da una solida dose di realismo e di verifica sperimentale dei fatti.
    Dirò pertanto che non ci troviamo dinanzi alla fine del mondo. La pandemia passerà, così come ne sono passate tante, anche ben più gravi, nei secoli passati. E poi, purtroppo, l’uomo rimetterà in moto la sua macchina sociale, quella che in questi giorni sta funzionando a scartamento ridotto.
    Il collasso del nostro sistema di dominio della biosfera non avverrà a causa di questo virus, che presto o tardi sarà debellato. Lui è un incidente sulla via che l’umanità sta percorrendo verso il baratro. Il vero black-out si avrà quando le cause del disastro saranno strutturali, non accidentali, ovvero quando non vi sarà più sufficiente energia per alimentare l’intera macchina sociale, né cibo per sfamare miliardi e miliardi di cellule tumorali, quando l’atmosfera sarà tanto calda da sciogliere i ghiacciai e da soffocare la terra.
    Non siamo ancora a questo punto, né faccio previsioni su quando ciò accadrà.
    Qualche indicazione dalla situazione che stiamo vivendo può però essere ricavata.
    I provvedimenti messi in atto per contrastare la diffusione della malattia stanno fornendo le prove che tutti gli atti di accusa nei confronti della società industriale erano più che fondati.
    Poche settimane di riduzione della produzione e del traffico sono state sufficienti per far calare di molto lo smog e di un poco il global warming, ben più dei provvedimenti che gli stati nazionali stavano cercando di adottare per allinearsi alle previsioni del Trattato di Parigi.
    Qualcuno si augura che questo sia di lezione per il futuro.
    Ma a fronte di questi “vantaggi” vi è una enorme quantità di sacrifici richiesti alla popolazione, dal confinamento forzato entro le mura di casa alle separazioni familiari, dalla sospensione di ogni attività sociale al fermo delle attività sportive ecc.
    Vi è soprattutto l’aspetto inquietante delle lunghe file con i carrelli fuori dai supermercati. Credevamo che tali scene si potessero vedere solo nei film di fantascienza, e invece oggi sono sotto le nostre finestre di casa.
    Per tutti questi motivi, pur riconoscendo la positività dello stop alla produzione e al traffico ai fini del benessere ambientale, una volta terminata l’emergenza, tutto tornerà come prima.
    L’uomo è troppo immerso nella sua sfera di benessere individuale per volersene disfare. Di più. Se anche volesse tornare a stili di vita pre-industrializzazione, non sarebbe in grado di farlo, né individualmente, né, soprattutto, collettivamente.
    La pandemia non sarà dunque servita a nulla?
    Vediamo di non essere troppo pessimisti. Auguriamoci che il periodo di inattività forzata sia utile per far riflettere ognuno di noi sul senso della vita.
    In fondo la teoria cancrista ha anch’essa il medesimo scopo.

    sabato 21 marzo 2020

    Ignote quantità: La conservazione senza evoluzione è morte. L’evoluzione senza conservazione è follia







    Un libro da rileggere di questi tempi, e una fessura ad x in un vetro da finestra, veramente improbabile.Fragilissima ed i mpossibile da riprodurre identica. Foto dell'autore:

    Post di Marco Sclarandis

    Mi viene da pensare al fatto stupefacente di essere tuttora così numerosi, nonostante il dis-ordine (dis-ordine) che abbiamo introdotto nella biosfera.

    Sebbene sappiamo che qualsiasi ordine precedente al cosidetto antropocene è sempre stato transitorio,
    e la nostra conoscenza dell'equilibrio esistente fra tutte le specie viventi sia necessariamente molto limitata questa pandemia mi porta a immaginare l'esistenza di una mente cosmica.

    Aiutato dall' aforisma :

    «La conservazione senza evoluzione è morte. L’evoluzione senza conservazione è follia»:

    Così Gregory Bateson descrive lo strano equilibrio che è in ultima analisi alla base del mistero della vita, (citato da Enzo Tiezzi in" Verso una Fisica evolutiva").

    Questa mente cosmica, anzi Mente Cosmica, comincia a diventare per me più di un'ipotesi o l'oggetto di una fede atea, ma la percezione di una realtà fisica tanto concreta quanto incommensurabile.

    Un esempio tratto dall'aritmetica può essere d'aiuto. La radice quadrata del numero due non può essere ottenuta dal rapporto fra due numeri interi. lo sappiamo ormai da millenni, e anche se possiamo calcolare questa radice con numerosissime cifre decimali, non possiamo condensarle in un rapporto così semplice come quello di una frazione. Ma noi Homo Sapiens sapiens siamo particolarmente curiosi e ostinati  nella nostra curiosità.

    Tanto da essere riusciti, in tempi relativamente recenti, a trovare un modo di inscatolare, diciamo così, questo numero, poi chiamato irrazionale, qual è la radice di due (e infiniti altri come le radici di qualsiasi numero primo) in un tipo di frazione, cosidetta "frazione continua". Che è una sorta di frazione di frazione di frazione di frazione..... che si prolunga all'infinito, ma della quale basta ricordare il principio ed inizio del calcolo, altrimenti detto algoritmo.

    Questa stessa specifica curiosità matematica, sorta sicuramente nell'antica Grecia, ma forse ancora più antica ma comune a tutti noi umani, è la stessa che ci ha portato a voler fotografare l'irritrattabile,
    come il buco nero chiamato M87, e a ritrarre questi meccanismi biochimici quali sono i virus e quindi questo ormai famigeratissimo COV19, che sono visibili solo con un microscopio ad altissima risoluzione come quello elettronico.

    Tuttora una altro enigma incontrato dalla nostra mente curiosa rimane irrisolto:
    L'esistenza intera si fonda su una materia infinitamente indivisibile, o, se il contrario, perchè il confine è proprio quello che attualmente conosciamo? (il tempo , la lunghezza, l'energia di Planck sono formulati  in numeri trattabili, in fondo,  ma potrebbero essere molto diversi e così estesi nelle cifre che potremmo non averli nemmeno mai scoperti).

    Ripasso nuovamente al COV 19: sappiamo molte cose dei virus, da quando li abbiamo scoperti e poi
    anche fotografati nella loro inquietante bellezza, tanto che un artista li ha riprodotti lavorando il vetro. 

    Ecco qua, allora, che vedo la Mente Cosmica in azione.

    In fondo, che tutto sia collegato con tutto è un fatto reale, sebbene non come avviene con le reti informatiche, quelle di trasporto e tante altre.Lo sappiamo dagli esperimenti dell"entanglement quantistico, uno dei fenomeni più sconcertanti ed enigmatici del mondo fisico.

    Un altra mente, umana ma splendidamente visionaria , Georg Cantor ci ha fornito una dimostrazione 
    matematica di come un'infinità di cose, numeri, ovvio, ma i numeri sono nomi  e i nomi cose, potrebbero essere collegati con una rete consistente di numeri trascendenti come il pi greco o il numero "e".Ma al prezzo di non poter elencare questo genere di numeri essendo essi "infinitamente infiniti" da cui l'aggettivo datogli dai matematici.

    Aggiungo un solo altro esempio tratto da un'altra mente sublime:Srinivasa Aiyangar Ramanujan
    Anche solo ripartire i numeri interi nei vari modi possibili genera un insieme inelencabile ("troppo infinito"....).

    In altri termini,non possiamo controllare tutto, nemmeno in linea di principio, perchè anche solo adoperando i semplici numeri naturali (1,2,3,4,....) immediatamente saltano fuori innumerevoli cose , come da un vaso di Pandora, e i numeri lo ripeto, sono nomi  e i nomi cose, fatto mai così vero come dal momento che è iniziata l'era informatica.Allora.

    Davvero questa entità ci sta dicendo che dobbiamo evolverci pur conservando?

    Questa è una domanda che a qualcuno potrebbe sembrare "neanche sbagliata" ( dall'ironia perfida del grande fisico Wolgang Pauli) o quantomeno oziosa, ma riprendendo il tema della ricerca della radice di due, anche quella ricerca potrebbe essere considerata derivante da una domanda oziosa.
    Anche per la misura dell'universo conosciuto fino alla precisione di un quark, non occorrono che qualche decina di cifre decimali, e per un tavolo da tinello , nemmeno un paio. 

    Non ho udito questa mente trascendente parlarmi a tu per tu, sia chiaro. Non odo voci o bisbiglii che m'inducano a seguire ordini o dichiarazioni da esclamare dai tetti. Eppure l'idea che questo virus ci abbia avvicinato ad un "orizzonte degli eventi" come quello che gli astronomi denominano il confine oltre il quale c'è la singolare e misteriosa presenza di quel gorgo  buio e mostruoso, il buco nero, mi rinfocola ancor più la mia già attizzata curiosità.

    Vincere vincer.... mhmmmm...meglio lasciare in soffitta questo slogan. No, Arrivare arriveremo. In un mondo nuovo, anche se una parte di tutti noi dovrà andare all'altro mondo.
     
    Qualcuno ci dica dove siamo
    perchè qui siamo stretti ed arrabbiati
    da una furia il divino rasentante
    se è da questa carne ossea che deriva
    o da una super animale mente
    o ancora da un desiderio trascendente
    un abisso d'inimmaginabile potenza
    un vertice di fantasia spasmodica
    fessurati da crepe di delicata compassione
    ce lo dica presto che non portiamo più pazienza
    siamo andati con lo sguardo oltre
    a vedere stelle di notti inaccessibili
    stiamo cercando di accendere perpetui Soli
    in involucri terrestri spinti da illusione
    dubbiosi ma ostinati nel proposito
    vogliamo darci una risolutrice morte
    che tutti ci porti in una vita senza limiti
    mai come adesso siamo sporti
    sulla falesia dritta incerti sul da farsi
    il mare si fa sirena per ghermirci
    fragile il ciglio è pronto a cedere
    andar per Marte per Giove o Venere
    o pianeti roteanti in Andromeda
    solo lenisce appena immensa angoscia
    chi sa parli
    se per questa creatura ha residuo amore
    una parola basterebbe
    una sola universale.

    Marco Sclarandis

















    venerdì 13 marzo 2020

    Il ritorno del Fato. Cosa fare quando nessuna scelta è soddisfacente?


    di Jacopo Simonetta



    L'idea alla base di questo articolo è dell'amico Nicolò Bellanca.

    Si chiana “triage”. E’ ciò che viene fatto nei reparti di emergenza quando l’afflusso dei malati o dei feriti supera le capacità ricettive della struttura. I medici decidono allora chi soccorrere prima e chi dopo, se sarà ancora vivo. Ho sempre pensato che sia la cosa più brutta che possa capitare di fare ad un dottore, ma accade e i medici, come gli altri professionisti dell’emergenza (pompieri, militari, poliziotti, ecc.), sono almeno in parte preparati ad affrontare queste situazioni.

    Noi gente normale no, ma non per questo possiamo esimerci dal fare delle scelte quando anche non-scegliere avrà comunque delle conseguenze.

    Sta infatti svanendo la straordinaria bolla di pace e benessere che ha avvolto l’occidente per 70 anni, rendendoci completamente impreparati ad affrontare il concetto stesso di “tragedia”.

    Non mi riferisco qui alle crisi di isterismo collettivo che ci travolgono ad ogni minima difficoltà, bensì all'incapacità di sostenere il peso della responsabilità di scelte che, qualunque cosa si decida di fare o di non fare, provocheranno gravi danni e sofferenze. Al di fuori della nostra fatiscente bolla, questo tipo di situazioni è invece frequente ed è stato magistralmente illustrato in molti capolavori della filosofia e della letteratura antica.

    E’ la dinamica del Fato: gli uomini non sono semplicemente trascinati da un “destino beffardo”; al contrario sono chiamati a fare delle scelte le cui conseguenze saranno però ineluttabili, tanto che neppure Zeus le potrà modificare. Talvolta, fra la gamma di scelte possibili ve ne è almeno una che potrebbe porre fine alle sofferenze ad alla distruzione. Per esempio Paride potrebbe porre fine alla guerra concedendo ad Elena di tornare a Sparta; oppure Ettore potrebbe vincere, concedendo agli Achei una dignitosa resa ed il rientro in patria.

    In entrambi i casi gli eroi fanno la scelta sbagliata e le conseguenze travolgono loro ed il loro popolo, ma non era inevitabile.

    Vi sono invece casi in cui tutte le opzioni possibili avranno conseguenze disastrose e, ciò nondimeno, l’eroe deve decidere. Il dilemma di Oreste è paradigmatico: è suo sacro dovere vendicare il padre, ma ciò comporta commettere il sacrilegio di uccidere la madre e lui sa bene che qualunque cosa deciderà di fare le conseguenze saranno nefaste. Analogo dilemma dilania Antigone che deve scegliere se seppellire il fratello, contravvenendo ad un preciso ordine del suo re, oppure lasciarlo insepolto, contravvenendo ad un suo preciso dovere.

    Questo tipo di dilemmi è il vero cuore della Tragedia che, non per caso, era strettamente correlata al culto di Dioniso: forse la più antica e certamente la più enigmatica delle divinità greche.

    Abbiamo finto e continuiamo a fingere di essere immuni da questo genere di situazioni, ma la realtà sta bussando alla nostra porta sempre più forte e vistose crepe si sono già aperte nelle barriere fisiche e psichiche che abbiamo eretto contro di essa.

    Facciamo un esempio facile del genere di scelte tragiche che comunque dobbiamo fare. Tassare i viaggi arerei in modo da ridurne drasticamente il numero avrebbe sicuramente impatti positivi sul clima, ma da subito si metterebbero in mezzo alla strada decine di migliaia di persone, la maggior parte delle quali difficilmente troverebbero un altro lavoro.

    Dunque che fare? E’ solo un piccolo dettaglio del tema fondamentale che l’umanità si troverà ad affrontare da ora in poi: la decrescita reale, che si preannuncia assai più problematica di quella teorica.

    Si può infatti discutere molto sui dettagli, ma nessuno in buona fede può negare che l’umanità, nel suo complesso, abbia largamente superato i limiti di sostenibilità del Pianeta. Per ricordare solo qualche cifra, oggi la tecnosfera (alias antroposfera, cioè l’umanità con tutte le sue infrastrutture ed i suoi simbionti) ammonta a circa 40.000 miliardi di tonnellate, pari a circa 4.500 tonnellate a cranio.

    Noi ed il nostro bestiame domestico siamo il 98% circa della fauna terrestre, il 40% circa della superficie terrestre è totalmente artificializzata (urbano, suburbano, agricolo, ecc.), il 37% è composto da habitat naturali pesantemente modificati ad uso antropico (pascoli e la quasi totalità delle foreste), solo il 23% è ancora classificabile come “selvaggia” (alcune remote foreste, ma quasi esclusivamente deserti, vette montane e zone artiche). (dati IPBES Global Assessment on Biodiversity and Ecosystem Services 1919, Laboratory for Anthropogenic Landscape Ecology, 2020).

    In mare va ancora peggio: si stima che solo il 13% degli oceani sia ancora sostanzialmente integro (dati IPBES Global Assessment on Biodiversity and Ecosystem Services 1919).

    Ma tutte queste sono valutazioni molto ottimistiche in quanto fattori come il Gobal Warming e la connessa acidificazione dei mari, la diffusione globale di agenti inquinanti di ogni genere, il moltiplicarsi delle barriere agli spostamenti delle popolazioni selvatiche e la contemporanea diffusione di specie aliene, la pesca industriale e la caccia di specie rare, la moria globale degli insetti e degli anfibi, l’alterazione mondiale di praticamente tutti i cicli bio-geo-chimici ci dicono che la Terra è un pianeta su cui oramai vive praticamente una sola specie (Homo sapiens industriale, alias H. colossus sensu Catton), con i suoi simbionti, commensali e parassiti.

    Tutto il resto sopravvive in condizioni di estrema precarietà negli interstizi della tecnosfera, ma sono solo ed esclusivamente questi superstiti che ancora assicurano che sulla Terra ci siano condizioni favorevoli alla vita biologica.

    Questo significa non solo che una robusta decrescita è l’unica cosa sensata da fare, ma anche che è un fatto ineluttabile. Non possiamo in alcun modo evitarlo e rimandarlo serve solo a pagare un conto molto più salato, un poco più tardi.

    La stragrande maggioranza delle persone rifiuta però questa prospettiva, preferendo immaginare modi anche molto ingegnosi per salvare capra e cavoli. Hanno delle ottime ragioni per farlo perché accettare l' "overshoot" comporterebbe di accettare il prezzo del “debito ecologico” che abbiamo contratto. Ovviamente lo pagheremo comunque, ma non posso dare torto a chi preferisce guardare da un’altra parte. Ho infatti l’impressione che, anche fra i “decrescisti”, siano pochi coloro che hanno riflettuto a fondo su quanto sarà necessario decrescere per stabilizzare il clima e fermare l’estinzione di massa.

    Ovviamente una stima precisa non è fattibile, ma per farsi un’idea di larga massima facciamo un calcolo semplice semplice, usando i consumi di energia come indicatore degli impatti complessivi. E’ un’approssimazione, ma abbastanza vicina al vero.

    A livello globale si stima che l’umanità abbia superato la capacità di carico del pianeta nei primi anni ’70 del ‘900, quando i consumi globali di energia erano nell'ordine dei 70.000 TWh, mentre oggi sono di circa 165.000. Immaginiamo di tornare ai 70.000 di 50 anni or solo, quale sarebbe il consumo pro-capite? Dal 1970 al 2020 la popolazione umana è poco più che raddoppiata, il che vuol dire che per riportare i consumi globali vicino ai 70.000 TWh, la disponibilità pro-capite media dovrebbe scendere a meno di un quarto di quello che è adesso. Significa livelli di consumo analoghi a quelli che attualmente si registrano in Moldavia, Albania, Egitto o Nigeria, per fare degli esempi. Parlando dell’Italia, significherebbe tornare a consumi pro-capite di livello ottocentesco, senza considerare che, probabilmente, società così povere non sarebbero in grado di produrre le tecnologie che consentono di vivere a 8 miliardi di persone, a cominciare dalle sofisticate apparecchiature necessarie per convertire in elettricità la luce del sole ed il vento.

    Con ciò non voglio dire che fra X anni andremo avanti con candele e cavalli, voglio solo chiarire che non si tratta di rinunciare al superfluo, bensì di rinunciare a quasi tutto ciò che riteniamo indispensabile o un diritto acquisito, a cominciare da un’aspettativa di vita ultraottantenne.

    Questo apre una vasta gamma di questioni con cui, volenti o nolenti, ci dovremo confrontare perché quando la coperta diventa troppo corta, si deve per forza scegliere se scaldare i piedi oppure le spalle. Che, tradotto in termini reali, significa decidere chi dovrà essere sacrificato affinché gli altri abbiamo maggiori probabilità di cavarsela.

    Un esempio pratico del tipo di scelte che sempre più spesso saremo chiamati a fare ci viene proprio in questi giorni dalla diffusione dell’epidemia di Covid-19. Abbiamo visto che è particolarmente infido perché si diffonde facilmente e che comporta una mortalità ridotta, a condizione però che siano disponibili cure costose e lunghe.

    Abbiamo molte scelte possibili. - Possiamo cercare di fermare il contagio in tutti i modi, ma questo avrebbe delle ricadute economiche devastanti che potrebbero anche proiettare l’economia mondiale in una crisi ben peggiore di quella del 2008. - Posiamo mantenere operativi i principali flussi economici, ma questo comporterebbe un aumento molto maggiore dei contagi e, quindi, costi sanitari che potrebbero mandare in bancarotta interi stati. Senza contare che la saturazione degli ospedali comporterebbe anche un marcato aumento della mortalità. - Possiamo anche far finta di nulla e seppellire i morti alla chetichella, ma non possiamo prevedere quanti sarebbero, né le conseguenze del panico che travolgerebbe il mondo ben più di adesso. - Possiamo cercare dei compromessi fra le diverse opzioni, ma non possiamo comunque evitare che ci siano conseguenze molto gravi, in gran parte imprevedibili.

    Un altro esempio anche più brutale è il dramma che si sta consumando in questi giorni al confine fra Grecia e Turchia. Indipendentemente dalla complicata storia che ha condotto decine di migliaia di persone a cercare di forzare i reticolati, ci troviamo di fronte un una classica scelta tragica. - Possiamo accogliere i profughi, ma questo avrebbe conseguenze sociali e politiche devastanti in Europa (non c’è bisogno di fare delle ipotesi in proposito perché abbiamo già fatto l’esperimento nel 2015). 
     
    • Possiamo respingerli, ma questa è gente che non può tornare in Siria dove i governativi li ammazzerebbero, né può restare in Turchia perché i turchi li scacciano. 
    • Possiamo confinarli in dei “campi di accoglienza” che sarebbero dei campi di prigionia a tempo indeterminato. 
    • Possiamo accontentare Erdogan affinché se li ripigli ed appoggiarlo nella sua guerra contro la Siria. 
    • Possiamo pensare anche ad altre soluzioni, ma qualunque cosa sia realisticamente fattibile comporterebbe delle conseguenze tragiche per qualcuno.

    Ci sono molti altri campi in cui si presentano dilemmi analoghi: come si affronta la situazione? Perché, alla fine, ognuno di noi dovrà trovare un compromesso fra il proprio modello mentale del mondo e la realtà fisica che sta tornando prepotentemente nelle nostre vite, finora tranquille.

    Direi che abbiamo sostanzialmente due scelte:

    La prima è negare uno o più parti del puzzle, così da semplificarlo e ripristinare la tranquillizzante dinamica dei buoni contro i cattivi. A questo punto si tratta di scegliere il proprio campo e quindi pensare che non funzioni per colpa degli altri, qualunque cosa accada.

    La seconda è prendere atto che in molte questioni chiave del presente e del prossimo futuro abbiamo diverse opzioni possibili, ma nessuna che non comporti grossi danni e sofferenze di cui saremo co-responsabili, anche se si sceglierà di non scegliere perché, comunque, ci saranno delle conseguenze dolorose. Proprio come fu per Oreste e Antigone.



    mercoledì 11 marzo 2020

    M87 COV 19 - Un poema sul virus










    di Marco Sclarandis

    Contemporaneamente lavando le stoviglie
    pensavo al possibile gerundio di giovare
    s'intende al presente singolare coniugato
    quando inaspettatamente Serendippo
    s'insinuò nella mente trovandomi dell'altro
    strano è il vagare col pensiero e stranissimo
    così sentii istantaneamente un dialogo fra due
    due esistenti nello stesso mondo nostro
    ma in luoghi più agli antipodi dei poli
    giovandomi di un frammento d'estasi
    sento quelle voci parlanti in disumana voce
    non posso trascrivere nulla in alfabeto
    né conosciuto inedito o perso nell'oblio
    una è di frastuono d'orripilante gorgo
    l'altra d'affilato microscopico frammento
    vi riferisco fidandomi d'allucinazione e di memoria
    chissà quali arcani si scambiano bisbigliano fra loro
    ed io come riesco in incognito invitato a udirli
    lo saprò un domani ma sento dovere d'ascoltarli
    io solo per ingoiare esisto l'oscura voragine dice
    e tu perchè ci sei e indugi al confine dei viventi
    qual è il tuo mandato chi ti mandò nel Cosmo
    credo per me furono fango e magma stanchi
    di ripeteresi in rovente agitazione e umida abulia
    a mettermi su globi terrosi da soli intiepiditi
    risponde al buio imbuto ostentando irriverenza
    non senza un limite posso allargarmi avidamente
    il tempo anche per me impercettibilmente
    mi svuota il corpo condannandomi all'evanescenza
    in fulgore di luce oltre gamma dovrò svanire
    sì nemmeno io posso dilagare replicarmi senza
    qualcuno che mi dia trasporto e alloggio plurimi
    quasi ospite perfetto avrei trovato eccetto condizione
    che molti posso rendere anche schiavi fino a morte
    purchè parte ne lasci liberi di vivere e a Morte
    permetta di toglierli dal mondo a suo giudizio
    in un lampo mi vidi e i due scomparvero
    uno in ammasso di stelle fu ingoiato al centro
    l'altro si sparpagliò in miriadi d'impalpabili gingilli
    di letale incantevole bellezza apprezzabili forse
    solo da noi umani d'arrogante ingegno permeati
    ora il mio nome stesso più come prima non risuona
    un brusio di folla d'ascendenti lo accompagna
    intervalli di silenzio annunciano nomi futuri
    mi specchio in un piatto da minestra sgocciolato
    sono sorridente.


    Marco Sclarandis













    venerdì 6 marzo 2020

    Il Segno della Terra: Un saluto per i tempi del coronavirus



    Statuette sumere del 2700 a.C., attualmente presso l'Iraq Museum di Baghdad. Cosa stanno facendo? Stanno pregando? O forse stanno cantando? Potrebbe anche essere che questo sia un gesto di saluto. In una leggera variante, le mani tenute in questo modo potrebbero simboleggiare la sfera rotonda della Terra - questo potrebbe essere definito "Il segno della Terra" o "Il segno di Gaia". Potrebbe essere una buona idea resuscitare questo tipo di saluto ai tempi del coronavirus

    English Version

    Gli esseri umani si sono salutati per tutta la loro lunga storia in vari modi. Anche la stretta di mano standard è molto antica, anche se è tornata di moda solo negli ultimi tempi. Principalmente, fu solo durante il diciannovesimo secolo che la stretta di mano sostituì il cappello. Quest'ultimo era considerato elitario perché i cappelli venivano usati per contrassegnare il proprio status sociale.

    Alcuni gesti di saluto hanno un suono inquietante, come il "saluto romano" che i fascisti italiani avevano adottato e diffuso. Al contrario, il tradizionale gesto di saluto buddista non ha quella cattiva fama. Si chiama Anjali Mudra, o Namaste in Hindi. Viene fatto con le mani unite davanti al petto e inchinandosi un po 'in avanti, come fa Richard Gere nell'immagine. In Iran, ho visto persone che si salutavano mettendosi una mano sul petto e inchinandosi leggermente. Penso che sia uno stile un po' passato di moda anche in Iran, ma è un modo gentile per mostrare rispetto reciproco.

    Ognuno di questi gesti e molti altri potrebbero essere utili per un nuovo stile di saluti nell'età del coronavirus, quando non è consigliabile che le persone si tocchino. L'idea sembra diffondersi: in Italia qualche idiota ha persino proposto di tornare al saluto fascista! Personalmente, ho usato spesso il gesto del namaste. È una cosa gentile e vedo che si sta diffondendo, anche se all'inizio è un po' una sorpresa per chi viene salutato in quel modo per la prima volta.

    Ma mi ero posto una domanda anche prima dello scoppio dell'epidemia di coronavirus. Potremmo escogitare qualche gesto nuovo, originale, adatto ai nostri tempi? Qualche settimana fa, ero con la mia collega Ilaria Perissi e stavamo discutendo di questa idea. Quale potrebbe essere un gesto riconoscibile che definirebbe i vari movimenti che chiamiamo "extinction rebellion", "venerdì per il futuro" e simili?

    Avevo già in mente qualcosa come il gesto sumerico, quello che si vede nella figura all'inizio di questo post. Ma prima che potessi dire qualcosa al riguardo, Ilaria ha unito le sue mani a forma di sfera e e ha detto: "Questo è il segno della Terra". Ecco le mani di Ilaria, in una foto scattata proprio quel giorno!



    Sono rimasto di stucco: non avevo immaginato di avere una collega Sumera! Ma mi ha detto che non conosceva il gesto sumero prima che le parlassi. Aveva solo pensato che formare una sfera con le sue mani poteva essere buon modo per simboleggiare la Terra. E penso che abbia ragione: potrebbe essere un nuovo modo di salutarsi, con un cenno ai nostri antichi antenati sumeri (non so se avessero immaginato che la Terra fosse una sfera, ma avrebbero potuto).

    Quindi, stiamo sperimentando questo segno di saluto. Sembra funzionare bene, è molto simile al segno del namaste se accompagnato da un inchino in avanti, ma con il significato aggiunto di un'espressione di rispetto per la nostra Madre Terra. Chissà? È un'idea che potrebbe diffondersi! Alcuni dei miei studenti hanno gentilmente accettato di posare mentre facevano il segno. Eccoli qui, fluttuanti nello spazio.


    Per finire, ecco di nuovo Ilaria mentre fa il segno della Terra. Lo sfondo è coerente con la sua esperienza nell'esaurimento delle risorse marine, argomento del nostro prossimo libro, Il mare svuotato.




















    Se poi volessimo proprio fare i Sumeri, potremmo accompagnare il gesto con le parole sumere  Silim o Silimma Hemeen, entrambi vogliono dire "sii in buona salute", cosa che sembra particolarmente appropriata alla situazione attuuale

    mercoledì 4 marzo 2020

    Filtri identitari, nazionalismo e crisi ecologica




    Un post di Federico Tabellini

    Nei momenti di grande incertezza, negli esseri umani cresce il bisogno d'identità. Gli eventi politici recenti, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, ne sono la prova. Uno spirito anti-globale e localistico ha preso d’assedio le due sponde dell’atlantico. Nonostante la globalizzazione dell’informazione, e forse in parte per sua causa, lo stato-nazione – questo binomio in apparenza inscindibile nel nostro tempo – è riemerso prepotentemente come il frame interpretativo egemone sulla realtà: un vero e proprio manto ideologico che ricopre ogni cosa, alterandone la fisionomia.

    Gli stati fanno appello all’identità nazionale per rafforzare la propria coesione interna. Le nazioni che non sono organizzate in stati (la Catalogna, per esempio) rivendicano un riconoscimento istituzionale: vogliono costituirsi come stati. Oggi più che quindici anni fa, vediamo attraverso le lenti distorsive dello stato-nazione, ci sentiamo parte di esso, e in base a esso ci auto-definiamo nelle nostre interazioni con gli altri. Persino chi nel proprio intimo non vede, non sente e non si definisce in rapporto allo stato-nazione, ne è costretto nei propri rapporti sociali da un lessico culturale comune. L’alternativa è l’incomprensione, l’isolamento socio-semantico. Siamo italiani, cinesi, statunitensi o indiani prima che esseri umani. La domanda ‘sei italiano?’ utilizza il verbo essere in quasi tutte le lingue indoeuropee. Se l’io è un individuo, il noi, quando non specificato, è una nazione; il loro è una nazione.

    L’identità, è fatto noto, nasce dalla distinzione. Per fare parte di qualcosa, occorre auto-escludersi da una realtà più ampia. La mera somiglianza raramente accende la scintilla identitaria. Tutti siamo umani, solo alcuni sono italiani: per ciò, mentre con la specie umana non intratteniamo una relazione emozionale, essere italiani è un sentimento identitario. Essere italiani è un’esperienza, essere umani una mera constatazione. Sappiamo di essere umani ma sentiamo di essere italiani. E poco importa che essere umani costituisca una realtà tangibile, biologica, laddove essere italiani rappresenti un mero costrutto storico-culturale. I costrutti storico-culturali appaiono spesso più reali della realtà, non è forse vero?

    Sì – è vero –, ma cosa c’entra tutto questo con i temi trattati sul blog? C’entra, c’entra eccome. La rinnovata importanza delle identità nazionali si ripercuote sul modo in cui i grandi problemi del presente vengono non solo percepiti, ma anche affrontati (o  ignorati). I problemi locali diventano magicamente problemi nazionali, problemi degli italiani. Lo stato se ne deve assumere la responsabilità legale, certamente, ma sono gli individui ad attribuire ad esso una responsabilità morale. E i problemi globali, o anche solo transnazionali, non avendo un referente identitario chiaro cui fare appello, sono avvertiti come seccature esterne da delegare, o di cui liberarsi al più presto. La colpa è degli indiani, si dice, dei cinesi, o di un altro esterno che, guarda caso, è sempre rinchiuso nei confini semantici dello stato-nazione.

    In Italia tanto il voto alle elezioni regionali quanto quello alle europee è di norma ridotto a un terreno di prova per le elezioni nazionali, le uniche che sembrano avere valore. La stampa e i media di massa privilegiano le notizie di portata nazionale, relegando alle pagine interne tanto quelle locali quanto quelle di portata globale, oppure ponendo l’attenzione su loro aspetti di livello nazionale. I problemi degli italiani diventano così più importanti di quelli dei milanesi o degli europei. La crisi ecologica globale, invece, acquista cogenza e riceve la maggiore attenzione solo quando la sempre più frequente alluvione o (inserisci-qui-un-disastro) colpisce la penisola.

    Il doppio binario con cui si considera lo stato-nazione e qualsiasi altra entità politica fa sì che una riforma sgradita a livello europeo spinga ampie frange della popolazione a voler mandare all’aria l’intera Unione, laddove la medesima riforma a livello nazionale provocherebbe al più la richiesta di un cambio nella gestione dello stato. Dai problemi sovra-nazionali si scappa, solo i problemi nazionali vengono affrontati – spesso male, ma questo è un altro discorso. Tale atteggiamento è uno dei principali fattori alla base della paralisi politica di fronte alle grandi sfide globali del nostro tempo, crisi ecologica in primis. (E la colpa del fallimento, superfluo ribadirlo, è sempre dell’altro, e l’altro è sempre, immancabilmente, uno stato-nazione).

    Vuoi un esempio? Eccone qua uno: accecati dalla nostra visione stato-centrica del mondo, dimentichiamo che i cinesi, pur contribuendo per un quarto alle emissioni globali di Co2, inquinano assai meno degli statunitensi, che concorrono per un ‘mero’ 15%. Eh sì, perché i cinesi sono 1 miliardo e 400 milioni, gli statunitensi ‘solo’ 320 milioni. Però a noi usare gli stati come metro di giudizio fa assai comodo. Utilizzare le emissioni pro capite come metro di giudizio farebbe ricadere la responsabilità sui nostri consumi, sui nostri stili di vita insostenibili. Utilizzare gli stati ci permette di andare in piazza a protestare contro il riscaldamento climatico dopo un pranzo veloce al MacDonald. Grazie alla loro visione stato-centrica del mondo, gli statunitensi possono illudersi di essere virtuosi. Loro (il ‘popolo americano’, non i singoli americani) inquinano meno dei cinesi! E gli australiani? Hanno le più alte emissioni pro capite al mondo dopo l’Arabia Saudita, ma ci sono solo 25 milioni di australiani. Un altro popolo virtuoso. 

    Se solo avessimo il coraggio di scostarci per un istante dagli occhi le nostre preziose lenti identitarie, il mondo ci apparirebbe diverso, assai diverso. Chissà, potremmo persino arrivare a condannare gli australiani più dei cinesi, i tedeschi più degli italiani, gli italiani più degli indiani. Ma sarebbe un errore. Perché non è questo il punto. Non il principale, almeno. Il punto è che sono gli individui che inquinano, non i popoli. Ciò non vuol dire che i governi nazionali, in quanto nucleo del potere politico globale, non abbiano la responsabilità più grande di avviare il cambiamento. Significa però che la ripartizione dell’onere di quel cambiamento non può avere come punto di riferimento esclusivo gli stati. Dividere la popolazione mondiale per le emissioni globali e vedere di quanto sono superiori a un livello di emissioni pro capite sostenibile per il pianeta, e usare quel numero come referente individuale, ha più senso che parlare delle emissioni della Cina, dell’India e degli Stati Uniti. È anche probabile che ci faccia passare dalla parte del tort… ah! Hai visto com’è facile? Ci sono quasi cascato anch'io. Stavo parlando ancora di noi-italiani; mi stavo rimettendo le lenti davanti agli occhi. Invece proviamo a guardarci come individui, e a giudicarci come tali, e a usare un plurale (se proprio dobbiamo) che trascenda i confini immaginari delle nazioni. Un plurale inclusivo, che responsabilizzi tutti in egual misura, senza discriminare secondo la categoria più idiota di tutte: il luogo di nascita. Dovremmo farlo a maggior ragione in questo momento d’incertezza, di crisi identitaria (espressione paradossale, visto che l’identità l’alimenta, la crisi).

    Noi europei, che in gran parte non sentiamo di esserlo, ripudiamo l’Europa invece di renderla, come sarebbe auspicabile, il fulcro  di uno sforzo comune e coordinato verso il cambiamento. Ci rifugiamo nei nazionalismi, quando ciò di cui avremmo disperatamente bisogno è un meta-nazionalismo che ponga al centro l’essere umano. Un eco-umanismo globalizzato che ci faccia vedere il mondo in termini di individui (presenti e futuri) e specie – non solo quella umana, ma anche le numerose altre che stiamo distruggendo giorno per giorno –, anziché in termini di nazioni. Un meta-nazionalismo che ci faccia sentire più europei che italiani, e più umani che europei. E che ci faccia vedere in faccia la realtà.

    Come dici? Non riesci proprio a vederla? Guarda qua, l’ho compressa in una frase e ripulita per bene dalle incrostazioni sovraniste, che di questi tempi quelle si appiccicano ovunque come la muffa. Ecco, sta qui sotto:

    ‘Il futuro dell’Europa conta più del futuro dell’Italia, e il futuro del pianeta infinitamente più di entrambi.’

    Abbiamo fatto l’Italia, abbiamo fatto gli italiani. Ora è tempo di fare l’Europa e gli europei, e l’umanità soprattutto, e gli esseri umani.