domenica 22 novembre 2015

Cambiamento climatico: una gran brutta figura dei chimici e dei fisici italiani



Galileo, Avogadro, Fermi e tanti altri si staranno rivoltando nelle loro tombe. 


Dal blog della società chimica italiana. 

Gli scienziati italiani sul clima ma senza la SCI e la SIF.

(di  Claudio Della Volpe)
Si è tenuta a Roma la conferenza “ROME2015 – SCIENCE SYMPOSIUM on CLIMATE”, che per la prima volta in Italia è una conferenza organizzata  dalle più importanti Società e Associazioni Scientifiche Nazionali per avere una unica voce sulla scienza dei cambiamenti climatici e i suoi vari aspetti.
Le Società e Associazioni Scientifiche Nazionali che hanno partecipato all’organizzazione dell’evento sono:
  1.  SISC – Società Italiana per le Scienze del Clima,
  2.  AGI – Associazione Geofisica Italiana,
  3.  AIAM – Associazione Italiana di AgroMeteorologia,
  4.  AIEAR – Associazione Italiana degli Economisti dell’Ambiente e delle Risorse naturali,
  5.  ATIt – Associazione Teriologica Italiana,
  6.  CATAP – Coordinamento delle Associazioni Tecnico-scientifiche per l’Ambiente ed il Paesaggio,
  7.  COI – Commissione Oceanografica Italiana,
  8.  FLA – Fondazione Lombardia Ambiente,
  9.  GII – Gruppo italiano di Idraulica,
  10. HOS – Historical Oceanography Society,
  11. SIDEA – Società Italiana di Economia Agraria,
  12. SIF – Società Italiana di Fisica,
  13. SMI – Società Meteorologica Italiana,
  14. UNASA – Unione delle Accademie di Agricoltura.
Il comitato scientifico di questa conferenza, che ha incluso i rappresentanti di tutte queste societa ha preparato la “Dichiarazione scientifica sui cambiamenti climatici“, che vi allego in fondo.
La SIF in questa conferenza è stata rappresentata dalla sua presidente: prof.ssa Luisa Cifarelli. Alla fine non ha firmato il testo finale insieme con UNASA ed HOS.
Ma ancor più brilla per la sua assenza perfino ai lavori la Società Chimica Italiana.
Sarebbe bello sapere dal Presidente Riccio la ragione di questa assenza anche ai lavori preparativi; come mai non ci siamo andati? C’è un motivo specifico? Siamo stati invitati o consultati? Non sappiamo I dettagli per cui alcune società scientifiche non hanno frmato, ma rimane che apparentemente la SCI è fuori da queste iniziative.
Cosa ne pensano I due candidati alla presidenza? Continueremo così o cercheremo di partecipare anche noi al generale movimento di iniziative scientifiche e comunicative sul cambiamento climatico, rinunciando a farci rappresentare presso il grande pubblico essenzialmente da posizioni “personali” ed essenzialmente critico-neghiste come quelle presenti sull’ultimo numero de La Chimica e l’industria (Carrà e Mazzullo)?
 Clima: l’appello degli scienziati italiani
dichiarazione che, nell’ambito della conferenza SISC 2015, le società e le associazioni scientifiche italiane hanno sottoscritto per inviare alla COP21 di Parigi un messaggio chiaro dall’Italia: un messaggio di collaborazione e di integrazione transdisciplinare
I cambiamenti climatici costituiscono per la comunità internazionale una delle sfide più complesse e importanti, le cui conseguenze negative hanno un’elevata rilevanza per economie e società, non solo per l’ambiente. Allo stesso tempo, rappresentano anche un’opportunità per rinnovare i sistemi economici e introdurre innovazioni tecnologiche e sociali.
Il Quinto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici dell’IPCC, la più esaustiva e aggiornata raccolta delle conoscenze scientifiche sul clima, contiene un’ampia collezione di dati, informazioni e risultati sui quali converge un consenso condiviso all’interno della comunità scientifica.
I principali risultati possono essere riassunti nel modo seguente:
  • l’influenza umana sul sistema climatico è inequivocabile ed è estremamente probabile che le attività umane siano la causa dominante del riscaldamento verificatosi a partire dalla metà del XX secolo. Il continuo riscaldamento del pianeta aumenta i rischi di impatti gravi, pervasivi e irreversibili sul sistema climatico;
  • gli impatti dei cambiamenti climatici si stanno già manifestando e interessano sia i Paesi in via di sviluppo che i Paesi più sviluppati. Le comunità più deboli da un punto di vista sociale, economico, culturale, politico, istituzionale sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici;
  • dal 1950 ad oggi sono aumentati gli eventi climatici estremi (ad esempio ondate di calore, innalzamento del livello del mare, precipitazioni violente, gravi siccità) e molti di questi sono attribuibili all’influenza delle attività umane;
  • l’esposizione e la vulnerabilità ai cambiamenti climatici e agli eventi estremi, insieme ad eventi pericolosi connessi al clima, costituiscono componenti cruciali per la valutazione e la gestione del rischio di ogni attività economica o sociale.
La comunità internazionale ha incluso i cambiamenti climatici tra i Sustainable Development Goals, l’insieme di obiettivi universalmente riconosciuti per bilanciare le dimensioni ambientale, sociale ed economica dello sviluppo sostenibile. Affrontare i cambiamenti climatici è quindi uno degli obiettivi definiti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite in cui si esprime chiaramente l’urgenza di ridurre le emissioni di gas serra e di affrontare il tema dell’adattamento agli impatti negativi dei cambiamenti climatici.
Le scelte che adottiamo oggi e nel prossimo futuro risulteranno decisive: i rischi legati ai cambiamenti climatici per i sistemi umani e naturali dipendono dalle emissioni complessive di gas serra, che a loro volta dipendono dalle emissioni annuali dei prossimi decenni. Maggiori emissioni di gas serra condurranno a un maggior riscaldamento che amplificherà i rischi esistenti per i sistemi umani e naturali e ne creerà di nuovi.
Strategie di mitigazione e di adattamento sono necessarie per affrontare gli impatti negativi dei cambiamenti climatici, e dovranno necessariamente essere parte di un processo decisionale che prenda in considerazione la percezione del rischio e i bisogni di specifici territori, bilanciando costi e benefici. Il coinvolgimento di governi nazionali e regionali, così come dei settori privati, è indispensabile al fine di sviluppare e implementare politiche climatiche adeguate.
Le società e le associazioni scientifiche che sottoscrivono questo documento richiamano:
  • i decisori politici, a livello nazionale e internazionale, ad assumere la guida delle iniziative sul clima e ad adottare misure efficaci per limitare le emissioni di gas serra. Le scelte politiche dovrebbero definire e realizzare risposte di mitigazione e di adattamento su scale diverse, necessarie ad affrontare i cambiamenti climatici;
  • le istituzioni nazionali e internazionali a sostenere l’impegno della ricerca nell’ambito delle scienze del clima, degli impatti e delle tecnologie, lo sviluppo istituzionale di discipline convergenti sul piano scientifico e tecnologico, e specifici programmi di training e di alta formazione sulle scienze e sull’economia del clima;
  • la comunità internazionale a trovare un accordo alla COP21 di Parigi su efficaci ed equi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, sui meccanismi per la misurazione e la verifica dei progressi verso gli obiettivi definiti, sulle risorse finanziarie necessarie a sostenere la transizione dei Paesi in via di sviluppo verso un’economia “zero carbon”;
  • il settore privato a ridurre il consumo di carburanti derivanti da fonti fossili, ad incrementare l’efficienza energetica in tutte le attività e tutti i settori, ad adottare velocemente tecnologie e processi organizzativi a basso contenuto di carbonio;
  • i settori finanziari a potenziare il sostegno a investimenti in energie rinnovabili e ad integrare i rischi connessi ai cambiamenti climatici nelle proprie strategie di investimento;
  • tutti i cittadini a migliorare la consapevolezza dei rischi derivanti dai cambiamenti climatici per le nostre società e ad accrescere la pressione sui decisori politici e sugli elettori per una rapida ed efficace azione volta alla riduzione delle emissioni di gas serra e a limitarne gli impatti più disastrosi.
Le Società e Associazioni Scientifiche che hanno espresso la loro dichiarazione a ROME2015 – SCIENCE SYMPOSIUM ON CLIMATE sono: SISC – Società Italiana per le Scienze del Clima, AGI – Associazione Geofisica Italiana, AIAM – Associazione Italiana di AgroMeteorologia, AIEAR – Associazione Italiana degli Economisti dell’Ambiente e delle Risorse naturali, ATIt – Associazione Teriologica Italiana, CATAP – Coordinamento delle Associazioni Tecnico-scientifiche per l’Ambiente ed il Paesaggio, COI – Commissione Oceanografica Italiana, FLA – Fondazione Lombardia Ambiente, GII – Gruppo italiano di Idraulica, SIDEA – Società Italiana di Economia Agraria, SMI – Società Meteorologica Italiana.

giovedì 19 novembre 2015

Siria, cambiamento climatico e l'orrore di Parigi

Da “Resource Insight”. Traduzione di MR

Di Kurt Cobb

Mentre il mondo piange coloro che sono morti a Parigi la scorsa settimana con una follia omicida per la quale lo Stato Islamico di Iraq e Siria (ISIS) ha già rivendicato la responsabilità, giornalisti e commentatori hanno discusso le motivazioni che stanno dietro agli attacchi. Non sono certo se qualcuno finora abbia considerato se si possa disegnare una linea che va dalla grave siccità in Siria a queste uccisioni di massa. La mia personale risposta è che se c'è una linea – e credo che ci sia – questa deve avere preso molte curve e deviazioni prima di arrivare a Parigi. Anche così, potrebbe avere senso, per coloro che tra poco si raccoglieranno in questa città in lutto per negoziare un nuovo trattato climatico, capire ogni connessione del genere. Perché sullo sfondo di questi eventi, c'è una Siria assetata di acqua, quasi sicuramente a causa del cambiamento climatico. Uno studio pubblicato all'inizio dell'anno suggeriva che il primo collegamento nella catena causale che ha portato all'attuale conflitto in Siria è stata una grave siccità durata dal 2006 al 2009, una siccità che ha fornito una delle prove più forti fino a questo momento del collegamento fra cambiamento climatico e siccità sempre più estreme. Come ha scritto il The New York Times nel marzo scorso:

Alcuni scienziati sociali, politici ed altri hanno precedentemente suggerito che la siccità ha giocato un ruolo nei disordini in Siria e i ricercatori si sono occupati anche di questo, dicendo che la siccità “ha avuto un effetto catalizzatore”. Hanno citato studi che hanno mostrato che l'aridità estrema, insieme ad altri fattori, comprese politiche agricole e di uso dell'acqua sbagliate da parte del governo siriano, hanno causato la perdita dei raccolti che hanno portato alla migrazione di 1,5 milioni di persone dalle aree rurali a quelle urbane. Questo si andato ad aggiungere agli stress sociali che alla fine sono sfociati nella rivolta contro il presidente Bashar al-Assad nel marzxo del 2011.
Così, il cambiamento climatico non è una spiegazione sufficiente per il conflitto siriano né per gli orribili e brutali attacchi sui civili francesi. Di fatto, l'ISIS aveva minacciato la Francia molto prima che l'esercito francese entrasse nel conflitto alla fine di settembre. Ciononostante, il cambiamento climatico sembra essere il primo collegamento in una lunga catena di eventi che coinvolgono una miriade di gruppi e paesi che alla fine ha portato agli attacchi a Parigi, attacchi che si crede siano una rappresaglia contro gli attacchi aerei francesi contro l'ISIS. Non è tanto che il cambiamento climatico fa diventare violente le persone, quanto che inasprisce le loro tendenze violente. La mancanza d'acqua e la perdita dei raccolti possono rendere le persone molto, molto arrabbiate – arrabbiate e suscettibili con coloro che promettono vendetta contro coloro che vengono percepiti come i perpetratori dei loro problemi. Ma non si può combattere il cambiamento climatico con le pistole. Così, quando escono fuori le pistole, queste vengono puntate contro le persone per motivi che pochi fanno risalire al cambiamento climatico. Rimostranze latenti, vecchie e nuove, possono trovare espressione, pare, nel conflitto armato, quando il calore del riscaldamento globale viene alzato così tanto.

La principale preoccupazione a Parigi ora è per la sicurezza delle migliaia di scienziati, politici, persone in affari, giornalisti e capi mondiali che arriveranno in città per la United Nations Framework Convention on Climate Change fra il 30 novembre e l'11 dicembre. Entrerà nella mente dei partecipanti che i selvaggi attacchi di Parigi sono in qualche modo collegati al cambiamento climatico? La più ampia opinione pubblica mondiale vedrà il collegamento? Noi umani abbiamo una naturale tendenza a combattere per le cose che vogliamo e di cui abbiamo bisogno, come acqua, cibo e risorse energetiche. Il cambiamento climatico renderà la nostra capacità di ottenere tutto questo o più difficile (cibo ed acqua) o più problematica (gas serra da risorse energetiche da combustibili fossili). Un maggiore conflitto su questi fondamentali collegati al cambiamento climatico non possono essere lontani. E ciò significa che i colloqui sul clima in arrivo a Parigi non saranno solo sul clima. Saranno anche sul conflitto e la pace. Senza un progresso sostanziale sul cambiamento climatico è probabile che vedremo sempre più conflitti che cominciano con la privazione portata dal cambiamento climatico, che si trasformano rapidamente in guerra con dimensioni ideologiche, etniche e religiose che inghiottiranno intere regioni. Molti lettori forse conoscono il vecchio adagio sulla relazione fra pace e giustizia: “Se vuoi la pace, lavora per la giustizia”. A questo oggi dobbiamo aggiungere una nuova variazione: “Se vuoi la pace, devi lavorare per politiche e pratiche che affrontino seriamente il cambiamento climatico”. Che i negoziatori di Parigi possano trovare il coraggio di fare proprio questo.



giovedì 12 novembre 2015

I dieci anni che hanno cambiato tutto ed hanno impedito ogni cambiamento

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


Manca un mese dalla COP-21, a Parigi, che dovrebbe cambiare tutto – e che probabilmente non cambierà niente di rilevante. Ma il cambiamento avviene, anche se in modi che spesso ci sorprendono e che potrebbe non farci piacere di vedere. Il decennio scorso è stato un periodo di enormi cambiamenti ed anche un decennio di giganteschi sforzi mirati ad evitare il cambiamento a tutti i costi. E' una delle molte contraddizioni del nostro mondo. Lasciate quindi che vi racconti la storia di questi anni difficili.


- L'accelerazione del cambiamento climatico. Nel 2005, il cambiamento climatico sembrava essere ancora un'animale relativamente domabile. Gli scenari presentati dal IPCC (a quel tempo aggiornati al 2001) mostravano aumenti della temperatura graduali e i problemi sembravano essere lontani decenni – se non secoli. Ma il 2005 è stato anche l'anno in cui è diventato chiaro che limitare il riscaldamento a non più di 2°C era molto più difficile di quanto si pensasse in precedenza. Allo stesso tempo, il concetto che il cambiamento climatico è un processo non lineare ha iniziato a penetrare nel dibattito e il pericolo di un “cambiamento climatico fuori controllo” e stato sempre più compreso. Gli eventi del decennio hanno mostrato la rapida progressione del cambiamento climatico. Uragani (Katrina nel 2005, Sandy nel 2012 e molti altri), la fusione delle calotte glaciali, la fusione del permafrost, che rilascia il suo carico mortale di metano immagazzinato, enormi incendi forestali, stati interi che si prosciugano, la perdita di biodiversità, l'acidificazione degli oceani e molto altro. E' stato scoperto che le temperature alte condizionano gli esseri umani di più di quanto si credesse e, come colpo di grazia, che gli effetti negativi sul comportamento umano dell'aumento della concentrazione di CO2 sono molto più importanti di quanto si credesse. Stiamo scoprendo con orrore che stiamo trasformando il nostro pianeta in una camera a gas e non sappiamo come fermarci.

- L'insorgere del negazionismo. Nel 2005, Il negazionismo della scienza del clima sembrava essere in declino, da seppellire nella pattumiera della storia a causa dell'accumulo di conoscenza scientifica sul clima. Non sarebbe stato così. La campagna contro la scienza ha aumentato il ritmo, usando la gamma completa di tecniche di propaganda a disposizione. Nel 2008, abbiamo visto il cosiddetto scandalo del “climategate”, probabilmente la campagna di PR negativa di maggior successo mai montata. Nel 2011, il meme della “pausa” è stato diffuso dal Daily Mail ed è stato un altro attacco propagandistico di notevole  successo. Poi, i singolo scienziati del clima sono stati molestati, demonizzati, investigati e persino minacciati fisicamente, mentre l'opinione pubblica è stata l'obbiettivo di un bombardamento di informazioni contraddittorie atte a creare incertezza e dubbio. La campagna ha avuto successo, specialmente negli Stati Uniti. Durante la campagna presidenziale del 2012, abbiamo visto entrambi i candidati evitare il problema del cambiamento climatico come se fosse avvelenato. E, nel 2015, vediamo qualcosa di mai visto prima: nessuno dei candidati repubblicani alle presidenziali ammette che il cambiamento climatico sia causato dalle attività umane. E questo è un problema. Il negazionismo rimane un fardello pesante nel cercare di fare qualcosa di pratico per fermare il cambiamento climatico.

- Il picco che non c'è stato. Nel 1998, Colin Campbell e Jean Laherrere hanno riesaminato le idee di Marion King Hubbert che, negli anni 50, aveva introdotto il concetto di “picco” di produzione del petrolio greggio. I loro calcoli indicavano che il picco mondiale – che hanno denominato “picco del petrolio” - sarebbe avvenuto nel 2004-2005. E' stata una previsione ragionevolmente buona in termini di petrolio “convenzionale”, che sembra aver raggiunto il picco fra il 2005 e il 2008. Ma Campbell e Laherrere non avevano considerato il ruolo del petrolio “non convenzionale”, combustibili liquidi come il petrolio di scisto (o tight oil). Usando queste nuove fonti, la produzione di “tutti i liquidi” ha continuato ad aumentare e ciò ha reso il concetto di picco del petrolio popolare più o meno quanto lo era Saddam Hussein  nel decennio precedente. Il tentativo dell'industria petrolifera di produrre da risorse difficili ha portato a diverse conseguenze negative per l'ecosistema (ricordate Macondo nel 2010?), ma quello principale è che le emissioni di CO2 non sono declinate in conseguenza dell'esaurimento, come ci si sarebbe potuto aspettare.

- Lo svanire del verde. Negli anni 90, la sostenibilità era ancora un'idea di moda e i partiti Verdi avevano una rappresentanza considerevole in molti parlamenti europei. Col tempo, tuttavia, il peso politico del movimento ambientalista è stato eroso costantemente. Il destino dei partiti Verdi segue da vicino quello di tutte le idee sulla sostenibilità ambientale, che non sono più parte dell'arsenale degli slogan dei politici vincenti. Persino l'Unione Europea, un tempo bastione della ragione e della consapevolezza ambientale, ha perduto il proprio focus, in particolare con la folle speranza di importare gas naturale dagli Stati Uniti. La maggior parte delle persone sembra essere così impegnata con le proprie preoccupazioni economiche quotidiane da non avere tempo o inclinazione per preoccuparsi di un'entità astratta chiamata “Ambiente”, che sembra essere un lusso costoso che al momento non possiamo permetterci. Sembra che il concetto di “crescita” abbia spazzato via l'Ambiente ovunque, in quanto alla cosa cui teniamo di più.

- Il collasso finanziario. Le cause profonde della grande crisi finanziaria del 2008 non sono mai state comprese realmente e sono state ridotte alla contingenza di cattive pratiche in campo finanziario. Tuttavia, non si è trattato solo di una crisi finanziaria, ha portato la macchina economica mondiale reale quasi all'arresto totale. La crisi è stata superata stampando più soldi e l'economia ha ricominciato a funzionare, ma non si è mai ripresa completamente. E nessuno sa se un altro collasso finanziario sia dietro l'angolo e cosa si possa fare se arriverà. Il collasso finanziario ha mostrato la fragilità dell'intero sistema ed ha fissato l'attenzione della maggior parte delle persone sui fattori finanziari/monetari, portandole spesso a dimenticare che c'è anche il mondo reale, la fuori, e che “l'economia” non sono solo transazioni finanziarie, ma significa anche fornitura di risorse materiali perché la società sopravviva.

 - L'aumento dei conflitti. Il confronto militare e e il conflitto violento sono in aumento. Abbiamo visto carri armati manovrare nel cuore stesso dell'Europa ed una immensa fascia di terra in un confronto militare quasi continuo, dal Nord Africa al Medio Oriente, fino ad arrivare all'Afghanistan. Intere nazioni si stanno sbriciolando sotto i bombardamenti aerei massicci e del conflitto civile, producendo la fuga di centinaia di migliaia di profughi. E' come un fuoco che si è acceso tempo fa e ora sta crescendo, inghiottendo un paese dopo l'altro. E nessuno può dire dove si fermerà il fuoco, se si fermerà. La sola cosa che possiamo dire è che il conflitto distruttivo tende ad esplodere in quegli stati in cui l'economia è stata in gran parte sostenuta dai proventi dell'esportazione dei combustibili fossili e dove l'esaurimento ha portato alla perdita totale o parziale di questi proventi. E' stato il caso, per esempio, di Egitto, Yemen e Siria. La lotta può essere anche collegata al cambiamento climatico ed alla conseguente siccità, come nel caso della Siria. Non possiamo dire con certezza se tutto questo sia il precursore di cose in arrivo in altri luoghi, ma potrebbe tranquillamente essere così.

- Ed altro... Quanto sopra non è un elenco esauriente di tutte le cose che sono successe nel decennio passato. Si potrebbe aggiungere l'erosione della democrazia e della libertà personale in Occidente, il declino o persino il collasso di diverse economie nazionali, la deglobalizzazione in corso, l'aumento della competizione per risorse minerali rare e limitate e molto altro. Ma tutti questi eventi hanno un'origine comune. In tutti i casi, le persone e le istituzioni hanno reagito raddoppiando lo sforzo per trovare più risorse, a tutti i costi, sia dal punto di vista finanziario che ambientale. Ed hanno anche aumentato il loro sforzo per negare l'esistenza e il pericolo del cambiamento climatico. Poi, la maggior parte delle persone hanno cercato di risolvere le proprie difficoltà economiche immediate lavorando duramente ed ignorando le ragioni profonde dei loro guai. Ed eccoci qua: dopo un decennio di sforzo per ignorare e limitare i cambiamenti, siamo di fronte a cambiamenti inevitabili e drastici. E non sappiamo esattamente come adattarci a questi cambiamenti. E' un momento difficile quello che abbiamo di fronte.

D'altra parte, c'è stata almeno una tendenza positiva durante gli ultimi dieci anni.

- La rivoluzione rinnovabile. Le tecnologie solare ed eolica sono migliorate in modo eccezionale sia in termini di costi sia in termini di efficienza. Non ci sono stati miracoli tecnologici, soltanto miglioramenti costanti. Il risultato è che, in dieci anni, le rinnovabili come il fotovoltaico basato sul silicio e le centrali eoliche sono passate dall'essere dei giocattoli per ambientalisti a tecnologie serie che possono produrre energia a costi competitivi con quelli dei combustibili fossili. L'energia rinnovabile è la più grande speranza che abbiamo per un adattamento non distruttivo agli inevitabili cambiamenti che ci aspettano. Non sarà facile, ma è possibile; dobbiamo lavoraci sodo.



martedì 10 novembre 2015

L'estinzione dei dinosauri: non un asteroide ma il cambiamento climatico

La scienza, si sa, avanza per ipotesi e per verifiche. Le ipotesi che non reggono alla prova dei fatti vengono brutalmente eliminate, senza troppi riguardi, non importa quanto siano spettacolari o attraenti. Qualcosa del genere sta succedendo con l'idea che l'estinzione dei dinosauri fu causata dall'impatto di un asteroide. Un'ipotesi indubbiamente spettacolare, che ha dato origine a svariati film e che si è abbastanza radicata nel pensiero comune. Tuttavia, i dati stanno rivelando che l'ipotesi era - se non completamente falsa - perlomeno parziale. E' vero che c'è stato un impatto asteroidale importante; ma questo non è stata la causa dell'estinzione dei dinosauri che, invece, si sono estinti a causa delle emissioni di CO2 generate da una gigantesca eruzione vulcanica. Eh, si, i dinosauri sono stati vittima del riscaldamento globale, proprio come potrebbe capitare a noi se continuiamo così. Questa storia ce la spiega in dettaglio Aldo Piombino nel suo nuovo libro, appena uscito (U.B.)



È USCITO IL MIO LIBRO: Il meteorite ed il vulcano: come si estinsero i dinosauri (Edizioni Altravista, € 23)

Di Aldo Piombino - dal blog "Scienze e Dintorni"

Chi mi segue lo sa: io ho sempre detto che il meteorite caduto nello Yucatan non c'entra nulla con l'estinzione dei dinosauri, che invece si spiega bene con le eruzioni dei basalti del Deccan. Ho studiato parecchio la questione e alla fine ho deciso di scrivere un libro sull'argomento, cercando di presentare un testo originale che dica qualcosa di sconosciuto al grande pubblico – nel quale la corrispondenza fra l'impatto del meteorite e l'estinzione dei dinosauri è cosa certa – e cercare di diffondere un po' quello che è il sentore attuale della Scienza sull'argomento. Il meteorite ed il vulcano: come si estinsero i dinosauri (Edizioni Altravista, € 23) è dunque nelle mie intenzioni un saggio divulgativo alla portata – spero – di tutti, che parla di come sono scomparsi questi animali.

Non c'è dubbio che i dinosauri siano fra gli animali più noti al pubblico, più noti persino di tanti animali attuali. Come non c'è dubbio che la loro estinzione alla fine dell'Era Mesozoica sia uno dei più conosciuti e popolari accadimenti del passato geologico. Ma perché non possiamo più addebitare l'estinzione dei grandi rettili al meteorite caduto nell'odierno Yucatan? Quale dunque è la causa di questo drammatico evento?
Ne parlo in un saggio, facendo il punto della situazione sulle ricerche a proposito della loro scomparsa, che oggi certificano la stretta relazione fra l'estinzione dei dinosauri e le devastanti eruzioni dei Trappi del Deccan, nell'odierna India (1 milione di km cubi, un quantitativo tale da seppellire con 3 km di lave tutta l'Italia, isole comprese. Ovviamente respingo l'impatto del meteorite come fattore scatenante.

Per il libro, oltre a tutto quello che ho citato in bibliografia e all'esperienza di 35 anni di Geologia(e di cui parecchio ho scritto su Sceinzeedintorni), molto mi sono serviti gli atti di Volcanism, Impacts, and Mass Extinctions: Causes and Effectsla conferenza internazionale che riunì nel 2013 i principali esperti del settore al Natural History Museum di Londra, proprio quel museo fermamente voluto e ottenuto da Richard Owen, lo scienziato che coniò nel 1842 il termine Dinosauri, pubblicati in un volume apposito, il 505, delle Special Publications della Geological Society of America.

Ho voluto scrivere il libro con un totale rigore scientifico ma nel contempo ho voluto renderlo chiaro e piacevole. Posso con una certa presunzione – condita da irriverenza! – dire che l'ispirazione del tono spesso un po' divertito l'ho presa da certe pagine di Richard Dawkins....

Nella prima parte introduco a beneficio dei non geologi alcuni concetti fondamentali in modo da rendere accessibile a tutti la trattazione: il tempo geologico, le estinzioni di massa e le grandi province magmatiche (meglio note come Large Igneous Provinces e che d'ora in poi posso indicare con l'acronimo LIP), mostruose e saltuarie eruzioni vulcaniche che producono centinaia se non milioni di km cubi di magmi in poche decine di migliaia di anni; poi con una breve excursus sulla storia dei vertebrati, colloco nel tempo e al loro interno i dinosauri, evidenziandone avi, parenti più o meno prossimi e discendenti viventi (gli uccelli) e faccio una sintesi sulle vittime e i superstiti della strage (per alcuni gruppi il K/T non ha praticamente significato nulla).

La seconda parte, quella più – diciamo così – romanzata è dedicata alla storia delle ricerche sull'estinzione dei dinosauri, e si presta bene ad esserlo già dall'inizio... Le prime scoperte, la certezza già nella prima metà del XIX secolo che la Terra fosse stata dominata in tempi lontani dai rettili, le prime idee sulla loro scomparsa nel dibattito fra catastrofismo e gradualismo (e tra evoluzionismo e antievoluzionismo), le estinzioni di massa rifiutate dalla Scienza perché non “in linea” con il gradualismo evolutivo darwiniano... le idee degli anni '30, quando veniva addebitata ad un forte ed improvviso riscaldamento, come dimostra il celebre lungometraggio della Disney Fantasia, in cui gli ultimi dinosauri combattono una dura battaglia per l'esistenza in un mondo caldo e arido, fino alle prime ipotesi su cause extraterrestri come meteoriti o supernove.

Anche il seguito però non è male: i primi indizi su forti oscillazioni climatiche raccolti con le perforazioni dei fondi oceanici e i due convegni canadesi in cui veniva proprio dato l'accento a queste variazioni climatiche di cui però ancora non si capiva l'origine, fino a quando a Gubbio non nacque nel 1980 l'idea dell'impatto, con un cratere di età e dimensioni eccezionalmente in linea con le aspettative scoperto 10 anni dopo (anzi, riscoperto... perché c'era chi lo conosceva di già ma non sapeva che altri lo stessero cercando...).

La questione sembrava ormai risolta (e questa è l'opinione comune ancora oggi, specialmente al di fuori delle Scienze della Terra), ma molti ricercatori continuavano a non essere d'accordo, individuando come colpevoli gli effetti dei fenomeni vulcanici estremi in corso all'epoca in India. Paradossalmente, proprio la scoperta del cratere è servita per dire che l'impatto non c'entrava niente...

Nella terza parte descrivo la Terra nel Maastrichtiano superiore: una fase veramente difficile fra estinzioni continue, oscillazioni della temperatura, variazioni del livello marino che trasformavano mari poco profondi in pianure costiere e viceversa, acidità delle acque, anossie globali degli oceani, incendi boschivi. Ci mancava giusto la caduta di un meteorite....

Poi passo ad un confronto fra le ipotesi.
L'Iridio a Gubbio nel lavoro degli Alvarez del 1980
Come si vede l'anomalia inizia gradualmente  e non all'improvviso
L'esame dei sedimenti porta delle conclusioni che contrastano con la visione degli impattisti: ad esempio al K/T faceva più caldo e non più freddo di prima, l'ipotesi delle emissioni di CO2 dalla fratturazione dei calcari nella zone dell'impatto appare molto debole rispetto all'idea di una provenienza  dai Trappi del Deccan e ho dedicato diverse pagine a spiegare il perché anche l'Iridio derivi dai magmi indiani e non dal meteorite (e nel lavoro del 1980 gli Alvarez e soci hanno fatto finta di non vedere che il suo aumento è iniziato ben prima di quando il meteorite sarebbe caduto...).

Come anche, parlando della sedimentologia, è contestabile un evento di estinzione improvviso nei microfossili quando invece si tratta di una serie di estinzioni protratte nel tempo che però in molte zone non si evidenziano per un motivo molto semplice: la fase a basso livello marino che ha preceduto il riscaldamento (e la trasgressione marina) delle ultimissime decine di migliaia di anni del Maastrichtiano ha provocato delle lacune nella sedimentazione, che se non riconosciute portano appunto a pensare ad una estinzione improvvisa. Un altro elemento che ci fa capire come le condizioni ambientali stavano peggiorando è il succedersi sempre più fitto delle biozone prima e dopo il K/T.

Ma la cosa più clamorosa uscita dalla conferenza di Londra è che i dinosauri più recenti datati con sicurezza sono oltre 400.000 anni più vecchi del K/T e che dai reperti fossili non è possibile stabilire se i dinosauri si siano estinti improvvisamente o gradualmente. Quante pagine sprecate inutilmente in questa polemica....

Nella quarta parte traccio la storia delle estinzioni di massa e dei fenomeni ad esse legati, dimostrando successivamente la stretta associazione temporale fra esse e la messa in posto di alcune Large Igneous Provinces (la più antica sicuramente accertata è quella del Cambrianoinferiore in Australia, con l'estinzione di fine Toyoniano e la provincia magmatica di Kalkarindji).Mentre l'unico impatto avvenuto più o meno in corrispondenza di una estinzione è quello dello Yucatan.

Quindi correlo l'estinzione di fine Cretaceo con le altre estinzione di massa, facendo notare che anche in questo caso c'è di mezzo una LIP.

Però non può finire qui... nella Scienza non basta che due eventi siano correlati temporalmente per attribuirne al primo la causa dell'altro. Ma il legame è talmente stretto che verrebbe quasi da chiedersi l'opposto e cioè: perché alcune LIP NON hanno provocato delle estinzioni significative?

A quel punto passo in rassegna alcune possibilità per capire come mai alcune LIP sono state dei killer spietati e altre no. Alla fine è facile concludere che una LIP diventa un enorme problema con le sue emissioni di CO2, composti dello zolfo e metalli pesanti alterano pesantemente e a livello globale il chimismo di oceani e atmosfera e il clima. E per spiegare come mai ho tirato fuori l'esempio del “gottino”, il quartino di vino: se prendi un gottino di vino a pranzo e a cena alla fine del mese avrai bevuto 15 litri di vino senza problemi (a parte intolleranze specifiche!), mentre se ne bevi 2 litri in una sera il giorno dopo tanto bene non starai. Allo stesso modo una LIP è un killer quando, come è stato dimostrato, le eruzioni si concentrano in un periodo di poche decine di migliaia di anni in cui vengono messi in posto decine di migliaia di km3 di magmi e liberato un immenso quantitativo di volatili che, al contrario delle emissioni vulcaniche ordinarie, il “sistema – Terra” non riesce ad assorbire

Come pallido esempio di cosa potrebbe essere successo alla fine del Cretaceo ho presentato i problemi arrecati in tutta Europa dall'eruzione del Laki in Islanda nel 1783.

Alla fine spiego perché per la sua semplicità narrativa e per il ruolo ingombrante svolto nella vicenda dal premio Nobel per la fisica Luis Alvarez l'ormai smentita dai dati ipotesi del meteorite abbia avuto e continui ad avere un grande successo. Con un appunto finale: il ruolo delle emissioni di CO2nell'estinzione dei dinosauri e nelle altre estinzioni di massa dovrebbe essere un monito anche per l'umanità attuale.

Una annotazione finale a questo post: dopo la stampa del libro sono apparsi diversi articoli in cui coloro che avevano sempre sostenuto il meteorite come causa dell'estinzione e che i trappi del Deccan non c'entravano nulla, ora sostengono che la violenza di queste eruzioni è stata un effetto della caduta. Cioè che il proiettile è costituito dalle eruzioni ma che il grilletto lo ha tirato, cadendo, il meteorite. Resta il problema che l'unico impatto in corrispondenza con una estinzione di massa è quello dello Yucatan... e le altre estinzioni?


Informazioni personali

lunedì 9 novembre 2015

Il Club di Roma; quasi mezzo secolo dopo

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi



Il Club di Roma ha tenuto la sua assemblea generale a Winterthur, in Svizzera, il 16-17 ottobre 2015. Nell'immagine, potete vedere Ugo Bardi (al centro) insieme ai co-presidenti del Club, Anders Wijkman (a destra nella foto) ed Ernst Von Weizsacker (a sinistra).


Quasi mezzo secolo fa, nel 1968, Aurelio Peccei riuniva per la prima volta il gruppo che in seguito sarebbe diventato famoso come il “Club di Roma”. L'obbiettivo del gruppo non era quello per cui il Club è diventato famoso, “I Limiti dello Sviluppo”. A quel tempo, il concetto di limiti era vago e scarsamente compreso e l'interesse dei membri era, piuttosto, verso una distribuzione equa delle risorse della Terra. Ciò che ha spinto Aurelio Peccei era il tentativo di combattere la fame, la povertà e l'ingiustizia.

giovedì 5 novembre 2015

Ghiacci che si fondono? Non vi preoccupate, non sta succedendo niente...... forse....




(E se pensate che queste scene siano soltanto spettacolari, ma non significative, andate al minuto 4:20, dove il film fa vedere l'accellerazione del ritmo della fusione negli ultimi decenni)

mercoledì 4 novembre 2015

Il ghiaccio dell'Antartide sta fondendo rapidamente

Ha fatto notizia la diffusione di un recente articolo che sostiene che, complessivamente, l'Antartide non sta perdendo ghiaccio, dato che le perdite ai bordi sono compensate da un incremento nelle precipitazioni nevose al centro. La faccenda è complicata e incerta (come descrive Greg Laden nel suo blog). Per prima cosa, va notato che i dati dell'articolo in questione non vanno oltre il 2008; per cui potrebbero non descrivere la situazione attuale. Inoltre, l'indubbio incremento del livello del mare può essere spiegato soltanto come dovuto alla perdita di ghiaccio continentale (vedi questo articolo), e se l'Antartide non sta contribuendo bisognerebbe assumere che la perdita è molto maggiore di quanto non si stimi in altre aree del pianeta. In ogni caso, è chiaro che l'Antartide sta perdendo ghiaccio ai bordi e che le piattaforme glaciali (dette anche tavolati glaciali) rischiano di essere destabilizzate dal riscaldamento globale e far piombare in mare delle enormi quantità di ghiaccio tutte insieme. Questo avrebbe effetti disastrosi sulle coste occupate dall'attività umana, come descritto nell'articolo che segue.


Da “The Guardian”. Traduzione di MR (via Cristiano Bottone)

Una nuova ricerca prevede un raddoppio superficie di fusione delle piattaforme glaciali per il 2050, che rischiano di collassare per la fine del secolo, dicono gli scienziati.


Il collasso delle piattaforme glaciali dell'Antartide potrebbero portare ad un innalzamento dei livello del mare drammatico. Foto: blickwinkel/Alamy

Il ghiaccio dell'Antartide sta fondendo così rapidamente che la stabilità dell'intero continente potrebbe essere a rischio dal 2100, hanno avvertito gli scienziati. Un diffuso collasso delle piattaforme glaciali dell'Antartide – estensioni galleggianti del ghiaccio terrestre che si proiettano in mare - potrebbe aprire la strada ad un drammatico innalzamento del livello del mare. La nuova ricerca prevede un raddoppio della superficie di fusione delle piattaforme glaciali dal 2050. Per la fine del secolo, il tasso di fusione potrebbe superare il punto associato al collasso della piattaforma glaciale, si afferma.

lunedì 2 novembre 2015

Uno specchio lontano: il bimillenario delle campagne di Cesare Germanico

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


(Immagine: una scena di battaglia che mostra le truppe Romane che combattono i Barbari. Questo rilievo è molto posteriore ai tempi di cui si parla in questo post, ma da l'idea di come queste battaglie erano viste ai tempi dei Romani: "Grande Ludovisi Altemps Inv8574" di Autore Sconosciuto - Jastrow (2006).  Concesso in licenza per il dominio pubblico via  Commons ) 


Giulio Cesare Germanico, nipote dell'Imperatore Augusto, è stato chiamato “Germanico” non perché amasse i popoli germanici, piuttosto perché è stato impegnato in una campagna spietata che fatto terra bruciata contro di loro. Ciononostante, è riuscito ad ottenere pochissimo, principalmente mostrare che l'Impero Romano, nonostante tutta la sua grandezza, non poteva conquistare la Germania








Il successo, a volte, mostra i nostri limiti più della sconfitta. E' una lezione che i Romani hanno dovuto imparare in modo duro quando hanno cercato di soggiogare le tribù germaniche ad est del Reno, fra il primo secolo AC e il primo secolo DC. Il tentativo ha richiesto una lunga serie di campagne e, forse, il culmine è stato raggiunto 2000 anni fa, dal 14 al 16 DC, quando i Romani hanno invaso la Germania con non meno di otto legioni sotto il comando di Tiberio Claudio Nero, conosciuto come Germanico, nipote di Augusto e figlio adottivo dell'Imperatore Tiberio. Il numero totale di truppe impiegate poteva essere stato di almeno 80.000 uomini, forse vicino ai 100.000. Circa un terzo dell'intero esercito Romano. Usando un termine moderno, potremmo dire che i Romani stavano cercando di spianare i loro nemici con un rullo compressore.

mercoledì 28 ottobre 2015

“Il picco del petrolio ci salverà dal cambiamento climatico”: un meme che non è mai diventato virale

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Immagine da “Peaksurfer” 


L'idea che il picco del petrolio ci salverà dal cambiamento climatico è saltata fuori di tanto in tanto nel dibattito, ma non ha mai preso realmente piede per una serie di buoni motivi. Uno è che, in molti casi, le persone che la proponevano erano negazionisti climatici e questo li ha resi scarsamente credibili. Infatti, se il cambiamento climatico non esiste (o se non è causato dalle attività umane), come è che ci racconti che il picco del petrolio ci salverà? Aggiungete a questo il fatto che molti negazionisti climatici dalla linea dura sono anche negazionisti del picco del petrolio (visto che, come si sa bene, i due concetti sono parte di una grande cospirazione), quindi non sorprende che il meme “il picco del petrolio ci salverà” non è mai diventato virale.

lunedì 26 ottobre 2015

Pan è morto, Dio pure e l’Uomo sta molto male. E adesso?

di Jacopo Simonetta

Durante il regno di Tiberio un certo Thamus udì una voce che annunciava “Il grande Pan è morto”.

La faccenda fu presa tanto sul serio che l’Imperatore convocò Thamus per farsi raccontare di persona come fosse andata e della faccenda discussero molto seriamente i saggi ed i più alti sacerdoti.   All’epoca nessuno a Roma aveva fatto caso che la fede nella sacralità della Città eterna e nelle divinità tradizionali cominciava ad affievolirsi, mentre in Palestina era comparsa una nuova setta ebraica, molto attiva e capace di fare proselitismo presso qualunque popolo della Terra.   Una volta divenuta maggioranza, la piccola setta di un tempo avrebbe spazzato via la mistica e la mitologia antiche per sostituirle con altre che divennero il fondamento della successiva civiltà europea.

Un paio di millenni più tardi, fu invece un certo Friedrich Nietzsche ad annunciare urbi et obi che Dio era morto e che ovunque si avvertiva il fetore della sua decomposizione.   Un modo un po’ brutale di dire che, ancora una volta, la tradizionale fede degli avi si era ridotta ad una mera abitudine, vuota di significato.   Ma anche in questo caso una nuova divinità stava già prendendo, anzi aveva già preso, il posto di quella “defunta”.
Già da oltre un secolo, infatti, l’Illuminismo aveva propagandato con successo il culto della ragione umana e, giusto una generazione prima di Nietzsche, Auguste Comte aveva proposto un esplicito culto dell’Umanità o, come usa dire oggi, dell’Uomo.   Nei dettagli, nessuna delle due proposte aveva avuto successo.   In compenso il sentimento, ancor più che l’idea, che l’intelligenza umana fosse potenzialmente onnipotente si era profondamente radicato in quasi tutti gli ambienti, comprese le chiese tradizionali.

Certo, c’erano delle differenze importanti.   Nessuno accende candele o sgozza agnelli in onore dell’Uomo, ma in compenso si cambia la geografia del Pianeta e si cancellano con disinvoltura interi biomi e culture semplicemente perché ciò è utile allo sviluppo dell’Uomo.    Anzi, il livello di antropizzazione del paesaggio e di industrializzazione dell'economia sono diventate delle misure dello sviluppo di un paese.

Del resto, non minori erano state le differenze fra le Divinità classiche ed il Dio cristiano o mussulmano.   In ultima analisi, si tratta comunque di archetipi.   Cioè di astrazioni profondamente radicate nell'inconscio collettivo intorno alle quali si struttura un intero modo di pensare, di osservare, capire ed agire.   Sono insomma gli archetipi che danno un significato, un’identità ed uno scopo alla nostra vita.   Insomma che ci mettono in condizione di vivere, per citare un certo Einstein che non era certo un baciapile..   Non a caso la metafisica è puntualmente rientrata dalla finestra, ogni volta che qualche filosofo ha tentato di buttarla fuori dalla porta.

Se lo scopo della religione Romana era stato principalmente quello di perpetuare in eterno l’Urbe e quello del Cristianesimo salvare la propria anima dalla dannazione eterna, la fede nell’Uomo ebbe un fine più immediato: migliorare indefinitamente la nostra presente vita.   Questo ipotetico processo di indefinito ed irreversibile miglioramento prese il nome di “Progresso” e divenne il mito fondante della civiltà industriale.

Già la fede in Roma era stata esportata sulle punte dei pila prima di diventare la narrativa comune dei popoli dell’Impero.   Più tardi, anche la fede in Cristo ed in Allah furono diffuse con gran ricorso alle armi ed alle persecuzioni, prima di diventare la matrice identitaria dei popoli convertiti.   Così, in tempi assai più recenti, il culto dell’Uomo e la mistica del Progresso si diffusero principalmente grazie ai moschetti ed alle navi, ma finirono col conquistare i cuori e le menti dei popoli sopravvissuti alla colonizzazione.

Del resto, come resistere?   Il Progresso assicurava che il paese di Bengodi non fosse una fantasia medioevale, bensì il destino ultimo dell’umanità.   Il paradiso che altri promettevano in cielo poteva essere qui in terra.   Anzi, sicuramente così sarebbe stato, prima o poi, grazie alle infinite risorse dell’Ingegno Umano.

Chi più, chi meno, quasi tutti ci hanno creduto e la grande maggioranza delle persone ancora ci credono.   Ognuno ha la sua variante specializzata.   Per alcuni il futuro è popolato di robot e vi si fanno viaggi intergalattici.   Per altri è un regno di pace e prosperità per tutti.   Per altri ancora un’epoca di profonda consapevolezza, oppure un mosaico di pacifici villaggi contadini e via di seguito.   Ma quale che sia la variante che ci è cara, abbiamo tutti fiducia che il futuro sia migliore del presente e del passato.   Lo consideriamo una specie di diritto inalienabile.

Ma forse sarebbe meglio dire che abbiamo avuto fiducia.   Si, perché circa un anno fa un altro tizio, tal Michael Greer per la precisione, ha annunciato che anche l’Uomo era morto .

A dire il vero, l’annuncio non ha sollevato lo scalpore dei due precedenti, forse perché leggermente prematuro.   In effetti, la fede nell'Uomo sembra ancora viva, anche se sta perdendo pezzi rapidamente.

Si può capire.   La vita della maggior parte degli uomini del mondo, ed in particolare degli occidentali che hanno concepito il mito, non sta migliorando affatto; piuttosto il contrario.   Ancor più rapidamente peggiora la vita di molti fra i popoli che hanno creduto di poter usufruire del nostro stesso opulento stile di vita solo adeguando la propria fede ed imitando i nostri costumi.

Ormai ogni giorno che passa più gente si rende conto che la promessa del paradiso in terra non sarà mantenuta, né dalle sette liberiste, né da quelle socialiste.   Ma quando perdiamo fiducia nel modello mentale che utilizziamo per leggere il mondo ci troviamo smarriti, confusi, spaventati.   Spesso anche bramosi di vendetta.   Si, perché non siamo mai stati noi ad essere ingenui, bensì gli altri ad averci ingannati.

Ma mentre quando morì Pan Cristo era già risorto e quando morì Dio l’Uomo era nel pieno delle sue forze, adesso che quest’ultimo rantola in un reparto di terapia intensiva, non si vedono possibili sostituti all'orizzonte.   O forse, al contrario, ce ne sono troppi.

Possiamo vivere tranquillamente senza officiare a divinità alcuna, ma senza un modello mentale su cui fare affidamento non siamo capaci di vivere a lungo.   A suo tempo, Nietzsche aveva pensato che i suoi tempi fossero maturi per l’apparizione del super-uomo (o oltre-uomo, a seconda delle traduzioni): cioè gente capace di vivere senza fede alcuna, assumendosi la piena responsabilità di ogni cosa gli accadesse.   Ma non fu così.

Allora come oggi, chi perde una fede ne cerca un’altra.   Non c’è infatti niente di arcaico nel diffondersi prepotente di gruppi integralisti in seno a tutte le religioni tradizionali.   Anzi, direi che sia un fenomeno tipicamente post-moderno che caratterizza specialmente i figli ed i nipoti di coloro che avevano creduto nell'Uomo e nel Progresso.   Ed il livello di brutalità praticata è probabilmente proporzionale all'ampiezza del vuoto interiore lasciato dalla delusione.

Altri cercano la strada anche più lontano, ad esempio reinventandosi culti pagani, vagamente ispirati al poco che si sa di quelli antichi.   Oppure rimodellando ancora una volta il modo di vivere ed intendere le religioni tradizionali che hanno già attraversato più di una simile fase di modernizzazione.   Oppure ripensando in chiave ecologica la fiducia nelle capacità della mente umana che, si continua a sperare, sarà comunque capace di rimediare a tutti i malanni che ha prodotto.

Comunque, i più numerosi sono ancora coloro che continuano ad identificarsi con la tradizionale concezione di Progresso e con la capacità umana di dominare gli elementi.   Gli esempi possibili sono innumerevoli, ma vorrei citarne due di natura molto diversa, ma parimenti indicativi:

A Foligno fra il 9  ed il 12 Aprile 2015 si è tenuta la “Festa della Scienza e della Filosofia”; tema: “La scienza ed il futuro”.   Niente di meno!   Due giorni di discussioni e relazioni su argomenti svariatissimi ed interessanti: dalle ricerche sui neutrini all'origine di Homo sapiens; dai rapporti fra Scienza ed umanesimo fino al pacifismo di Einstein.   Ma neanche una parola sull'impatto globale contro i limiti dello sviluppo, la trappola tecnologica, la sovrappopolazione, lo sgretolarsi della nostra civiltà, la morte della Biosfera od un qualsiasi altro argomento che avesse a che fare con la fine del Progresso.

Il secondo esempio è anche più impressionante.   Nella lettera enciclica “Laudato si” (riassunto ufficiale del testo integrale)  che tanto rumore e tanto entusiasmo a sollevato, la parola “Progresso” compare 24 volte.    Per criticarne le deviazioni, certamente, ma non per criticare la fede in un futuro necessariamente migliore del presente.   La parola “Scienza” compare 7 volte, mentre “Tecnologia” compare ben 21 volte;  “Benessere” 5 e “sviluppo” solo 2 volte.    In compenso la parola “Provvidenza” compare 0 volte, come quelle “Penitenza” e “Castigo”.   "Peccato" compare 6 , ma “Redenzione” solo una, neanche nelle conclusioni.   Eppure, mi pare che si tratti di concetti propri della mistica cristiana che si applicherebbero particolarmente bene a quello che sta accadendo al nostro mondo ed alle nostre vite.

Carl Sagan disse che viviamo in una società totalmente dipendente dalla scienza e dalla tecnologia, in cui quasi nessuno sa qualcosa a proposito di scienza e tecnologia.   Direi che è vero, ma non si possono certo sospettare gli organizzatori del convegno di Foligno, né gli estensori dell’enciclica papale di ignoranza!   La spiegazione deve quindi essere un’altra e temo che sia assai più fosca.

Per citare Frank Lloyd Wright: “Un Mito è un arrangiamento del passato, reale od immaginario che sia, in una forma che rinforza i valori più profondi e le aspirazioni di una cultura...  I Miti sono quindi gravidi dei significati coi quali si vive e si muore.   Sono le mappe con cui le culture navigano attraverso il tempo.”

Questo significa che una cultura non può cambiare i propri miti fondanti altro che diventando una cultura diversa ed apparentemente la Scienza non è in grado di modificare i miti che tanto ha contribuito a forgiare.
Già una cinquantina di anni fa divenne infatti scientificamente innegabile che le idee di crescita e di progresso erano delle pericolose utopie.   Anzi, una garanzia di disastro.   Ma dopo un primo vacillare, la reazione fu schiacciante.   Come sempre, i fedeli di una religione in difficoltà reagiscono con energia direttamente proporzionale al grado di minaccia.   Nella fattispecie, il controllo dei media ha consentito ai “progressisti” di impadronirsi del gergo e dei concetti nati per combattere la loro ideologia usandoli a sostegno della medesima.   Così, ad esempio, da elemento principale di rischio la tecnologia è diventata strumento di salvezza e la “crescita zero” è diventata “sviluppo sostenibile”: un’etichetta con cui oramai si coprono le pudenda di qualunque infamia ambientale.   La decrescita, per essere divulgabile, ha dovuto essere addolcita con il paradossale aggettivo “felice”.

I concetti più refrattari a questo tipo di perversione furono invece del tutto obliterati.   Così, ad esempio, mentre la popolazione umana raddoppiava, la parola “sovrappopolazione” svaniva, sostituita da quella paradossale “denatalità”.   Un po’ come se sulla Costa Concordia che cominciava a ingavonare fosse stata censurata la parola “affondiamo” per parlare piuttosto della sagra del granchio sottolio.

Per tornare alla massa montante della gente delusa e smarrita, oggi si fa molto caso ai crimini operati dalle bande di integralisti islamici, indù e quant'altro che, innegabilmente, sono particolarmente odiosi.   Ma si tace sul fatto che l’aver voluto perpetuare il culto dell’Uomo e del progresso, nel giro dei prossimi 50 anni,  costerà la vita ad alcuni miliardi di persone che non avrebbero dovuto mai nascere.

Un apparente paradosso che, invece, è molto coerente:  Nel nome della civiltà e del progresso dell’Uomo si sta preparando il più grande sacrificio umano mai concepito.


sabato 24 ottobre 2015

La vera causa dell'esodo di massa: il picco del petrolio

Da “crudeoilpeak.info”. Traduzione di MR

Di Matt Mushailik

Mentre l'attenzione del mondo si volge alla crisi dei rifugiati, dobbiamo guardare alle cause di questo esodo di massa. 




Fig 1: Rifugiati che camminano lungo l'autostrada ungherese verso l'Austria nel settembre 2015

Nel maggio del 2013, il Guardian aveva un articolo dal titolo “Picco del petrolio, cambiamento climatico e geopolitica degli oleodotti alimentano il conflitto siriano”. Nel marzo del 2015, un gruppo di ricercatori guidato dal climatologo Colin Kelley (Università della California) ha pubblicato uno studio sugli Atti dell'Accademia Nazionale delle Scienze dal titolo “Cambiamento climatico nella Mezza Luna Fertile ed implicazioni della recente siccità in Siria”. Fra il 2006 ed il 2009, il popolo siriano ha sofferto la più grave siccità che il paese abbia mai vissuto dall'inizio delle registrazioni strumentali. "Man mano che l'acqua diveniva scarsa, i raccolti sono andati perduti e il bestiame è morto su una scala enorme. 1,5 milioni di siriani, in una popolazione di poco più di 20 milioni, si sono trasferiti dalle campagne ai sobborghi delle città già traboccanti.”

mercoledì 21 ottobre 2015

Tecnologia, energia, popolazione, capacità di carico e la sesta grande estinzione...

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR



Steven A. LeBlanc, un archeologo del Museo Peabody di Harvard, ha scritto un libro significativo: Battaglie continue: perché combattiamo (2004). Come un altro archeologo controverso, Lawrence H. Keeley, di cui ho parlato in note precedenti, LeBlanc si arrovella per fare un po' di chiarezza sul mito persistente dello stile di vita pacifico dei cacciatori-raccoglitori in equilibrio ecologico col proprio ambiente. Per quanto possiamo dire sulla base dei ritrovamenti archeologici, scrive LeBlanc, le società umane hanno superato le loro risorse di base, denudato la terra, fatto estinguere altre specie con le quali condividevano il territorio, poi si sono spostate per fare la stessa cosa altrove. LeBlanc mostra che lo squilibrio ecologico è sempre stato la causa principale di lotte e guerre. “Il solo filo conduttore che ho trovato in tutta questa guerra... era che era correlata a persone che superano la capacità di carico della loro area. Lo squilibrio ecologico, credo, è la causa fondamentale della guerra”.