mercoledì 23 marzo 2016

Male, molto male, sempre peggio. Temperature planetarie oltre la soglia dei 2°C

Da “Usted no se lo cree”. Traduzione di MR (via Ugo Bardi)


Stato di allarme climatico: sono stati superati i 2°C



Di Ferran P. Vilar

Non avrei mai voluto pubblicare questo post. Non avrei mai pensato che, dovendolo fare, sarebbe successo così presto. Sono del tutto costernato.

Prima di tutto, una notizia in qualche modo “buona”. Negli ultimi due anni le emissioni non sono aumentate. Alcuni credono che le emissioni siano giunte al massimo, che stiamo superando il “picco delle emissioni”. E' possibile che stiamo entrando in un territorio sconosciuto: nemmeno un economista aveva previsto questa situazione negli scenari di futuro l'IPCC aveva loro richiesto ai suoi tempi. Tranquilli, le emissioni, ossia la crescita economica, non avrebbero smesso di aumentare... dicevano. Ora le cattive notizie. Le concentrazioni di CO2 nell'atmosfera hanno visto l'aumento più grande mai registrato: 3,76 ppm da febbraio 2015 a febbraio 2016. Su questo punto bisogna essere cauti nel non confondere i flussi con gli accumuli e credere che una riduzione delle emissioni equivalga ad una minore forzante climatica. Non è così. Ciò che forza il clima è la concentrazione, non le emissioni. Ed è logico che la concentrazione atmosferica di CO2 continui ad aumentare a questo livello di emissioni. Per quanto le emissioni diminuiscano, la concentrazione continuerà ad aumentare, a meno che non siano tanto infime che la biosfera e gli oceani possano assorbirle tutte. Per questo si dice che dovrebbero essere zero... nel 2050!

martedì 22 marzo 2016

Vivere tempi interessanti: le emissioni di CO2 hanno raggiunto il picco?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR





Di Ugo Bardi 

Le proiezioni che stavano circolando durante gli ultimi mesi si sono rivelate corrette. Ora è ufficiale: le emissioni globali di biossido di carbonio (CO2) hanno raggiunto un picco nel 2014 e sono scese nel 2015. E potrebbe trattarsi di un cambiamento epocale.

Non pensate che il picco delle emissioni, da solo, ci salvi dall'imminente disastro climatico, ma se le emissioni di CO2 cominceranno un declino irreversibile, abbiamo bisogno di ripensare diverse ipotesi che abbiamo fatto su come affrontare il cambiamento climatico. In particolare l'esaurimento dei fossili, che di solito solito viene ritenuto un fattore minore nel determinare la traiettoria dell'economia mondiale durante i prossimi decenni; ma potrebbe non essere così. L'esaurimento non è una cosa buona in sé, ma potrebbe aiutarci (forse) a restare entro i limiti “sicuri” ed evitare un disastro climatico.

lunedì 21 marzo 2016

Inutile votare contro le trivellazioni in Adriatico se non ci attrezziamo per fare a meno di petrolio e gas



E' uscito ora un interessante articolo sui piani di cottura a induzione su "QualeEnergia". Mi ha ricordato un articolo sullo stesso argomento che avevo scritto qualche anno fa e che ripropongo qui di seguito.

In sostanza, è inutile andare a votare contro le trivellazioni in Adriatico se non ci attrezziamo per fare a meno di petrolio e gas. E questo bisogna farlo in tutte le applicazioni, anche e specialmente quelle quotidiane.

La strada è lunga, ma non abbiamo altra scelta che percorrerla

______________________________________________

da "Nuove Tecnologie Energetiche" 2010

Cucina a induzione




Cucinare a induzione offre la possibilità di mettere subito in uso l’energia prodotta localmente dalle rinnovabili e di ridurre la necessità per la rete elettrica di adattarsi alle variazioni di produzione che sono tipiche di fonti intermittenti come il fotovoltaico o l’eolico.



C’è un concetto che è ben assodato nell’armamentario delle idee ambientaliste: quello che usare l’energia elettrica per il riscaldamento è – come dicono gli americani – un “no-no”; uno spreco che dovrebbe essere evitato a tutti i costi. Questa idea deriva da un ragionamento corretto nel contesto di una certa ipotesi. Ovvero, se dobbiamo usare il gas per generare energia elettrica, poi questa energia la dobbiamo trasportare a lunga distanza, e poi ritrasformare in energia elettrica per scaldare la resistenza di una stufetta, beh, ovviamente questo non ha senso. E’ questa catena di inefficienze che ha generato il termine molto efficace di “strage termodinamica” per chi usa stufe elettriche per il riscaldamento. Molto meglio, in questo contesto, usare direttamente il gas per il riscaldamento, soprattutto se in caldaie efficienti o, meglio ancora, in cogenerazione.

Anch’io ero convinto di questa idea, tanto è vero che quando abbiamo cambiato la cucina in casa, qualche anno fa, mi ero sbattezzato per trovare un forno a gas che non si esisteva in vendita quasi da nessuna parte. Una volta trovato e montato, mi sono sentito molto “ecologico” ma, ripensandoci oggi, dopo che ho montato un impianto fotovoltaico a casa mia, sono proprio sicuro di aver fatto la cosa giusta? Non è invece che un forno elettrico alimentato da energia solare fotovoltaica sarebbe stato meno inquinante e meno costoso?

Il concetto del riscaldamento elettrico fotovoltaico mi ha incuriosito. Da quando ho l’impianto FV sono diventato molto cosciente dell’energia che consumo nelle varie attività di casa e mi sento molto stimolato a essere efficiente al massimo. Perciò, mi sono messo a fare qualche esperimento per vedere quali sono i metodi migliori per scaldare le cose in cucina.

Ovviamente, le antidiluviane piastre riscaldanti a resistenza non sono una buona idea. Tuttavia, l’ultimo sviluppo tecnologico in cucina è la piastra riscaldante a induzione; molto più efficiente. La piastra funziona secondo il principio, appunto, dell’induzione, ovvero scaldando oggetti metallici per mezzo del campo elettromagnetico generato da un solenoide. Ha il vantaggio che scalda unicamente il metallo. Se non c’è la pentola da scaldare, non funziona; ergo: nessuno spreco di energia. Se le comprate da incasso, le piastre a induzione sono molto care, ma quella che vedete in figura costa poco più di 50 Euro comprata su ebay.it. Messa alla prova, sembra funzionare una meraviglia, ma non basta la prima impressione, bisogna quantificare.

La piastra non permette una misura dell’energia utilizzata e per questo scopo mi sono procurato un misuratore di energia per elettrodomestici comprato su D-mail a una trentina di euro (vedete anche quello nella figura, in basso a destra). Non è che l’oggetto mi entusiasmi molto, il minimo che può misurare sono 10 Wh, che è un po’ poco come sensibilità. Ma per queste misure in cucina dovrebbe andar bene anche questo.

Attrezzato con questi aggeggi, ho fatto un po’ di misure comparative anche con i fornelli a gas e con il forno a microonde, scegliendo 500 cc di acqua come sostanza da riscaldare. Ho usato un pentolino d’acciaio da circa 600 cc, oppure una pentola più grande, oppure, per i test nel microonde, la stessa quantità di acqua l’ho messa in un’insalatiera di vetro. Per quanto riguarda i fornelli a gas, ovviamente l’energimetro di D-Mail mi serviva a poco, ma ho trovato su internet una taratura dei fornelli AEG in kW (che, purtroppo, da allora non esiste più su internet, ma mi sono segnato i dati ). Non so se sono esattamente uguali ai miei fornelli, ma credo che siano misure standard per tutte le cucine.

Ecco i risultati. Non sono misure super-sofisticate, ma servono per dare un’idea.


Adesso vi dico che cosa deduco da queste misure.

1. La piastra a induzione è, effettivamente, molto efficiente. Molto di più del gas, ed è anche più rapida. Possiamo fare un piccolo calcolo di efficienza ragionando che la capacità termica dell’acqua è di 4.2J/k/g, per scaldare 500 cc ci vogliono 168 kJ, ovvero 46e-3 kWh. Notate che la lettura di “50 Wh” sullo strumento che ho usato va letta come un valore compreso fra 50 e 60 per cui se ne conclude che riscaldare a induzione ha un’efficienza dell’ordine dell’80%. Niente male!

2. Notate che c’è una differenza nei risultati a seconda della forma e dimensioni della pentola. Sia l’induzione sia il gas fanno più fatica a scaldare una pentola più grande. Questo è abbastanza ovvio, dato che entrambi devono scaldare una massa di metallo maggiore.

3. C’è una notevole perdita di efficienza a scaldare una pentola piccola su un fornello a gas troppo grande. Molto del calore si disperde nell’aria.

4. Il forno a microonde è la cosa meno efficiente e più lenta di tutte per portare l’acqua all’ebollizione. In realtà, ho il dubbio che questo sia dovuto in parte al fatto che ho usato un recipiente non specifico per le microonde. Può darsi che molta energia sia finita per scaldare il recipiente. Ma è una questione accademica, dato che nessuno usa il forno a microonde per fare la pastasciutta.

5. In termini di costi (senza fotovoltaico), non c’è molta differenza fra gas e induzione. Prendiamo la tariffa attuale per l’energia elettrica di .12 euro per kW. Scaldare 500 cc con l’induzione, richiede .05 kWh, ovvero 0.006 euro (0.6 centesimi) in condizioni favorevoli. Con il gas piccolo, secondo i dati AEG, abbiamo una portata di 0.095 m3/h. Per 9 minuti, fanno 0.014 m3. Al prezzo attuale di 0.320 euro/m3 fanno 0.0045 euro (0.45 centesimi), leggermente meno dell’induzione. Ma se si scalda con la tariffa notturna (0.08 Eur/kWh) allora vince l’induzione. Se poi c’è il FV, ovviamente, non c’è confronto, l’induzione stravince.

6. In termini di emissione di gas serra, se c’è il FV, ovviamente, l’induzione stravince sul gas. In assenza di FV o usando la piastra di sera, è difficile dire. La piastra è molto più efficiente localmente (circa un fattore 3) del gas, ma bisogna considerare tutta la catena di produzione dell’energia elettrica. Quanti gas serra si emettono dipende dalla fonte primaria. Se è idroelettrica, per esempio, le emissioni sono zero. Se è a carbone, al contrario, le emissioni sono alte. Normalmente, l’energia elettrica che utilizziamo arriva da un mix del quale non possiamo conoscere la composizione. Bisogna un po’ vedere dove e quando, ma la piastra a induzione potrebbe essere spesso migliore del gas anche per quanto riguarda l’emissione dei gas serra.

Questa serie di dati, credo, è già sufficiente per rivoltare il concetto che vuole che il metano sia sempre più “ecologico” dell’energia elettrica per applicazioni termiche (non sempre il metano ti da una mano). Se usata con la tecnologia giusta, e soprattutto se generata dal sole, l’energia elettrica in cucina sembrerebbe spesso meno costosa, più rapida e più sicura del gas.

Ora, si tratta di vedere quanto queste considerazioni possono essere estese oltre la cucina dove, tutto sommato, di energia se ne usa abbastanza poca. Possiamo dire che se uno ha il fotovoltaico gli conviene tornare allo scaldabagno elettrico o, addirittura, alle stufette elettriche? Beh, qui non è detto. Un problema è che gli impianti elettrici delle case attuali non sarebbero in grado di reggere il carico di una casa “tutta elettrica”. Allo stesso modo, un impianto fotovoltaico che sta su un tetto non sarebbe probabilmente in grado di reggere il consumo di una casa che usasse solo stufe elettriche a resistenza per il riscaldamento. D’altra parte, è anche vero che esistono dei sistemi di riscaldamento casalingo molto più efficienti delle resistenze elettriche. Mi sembra probabile che un sistema di riscaldamento basato su fotovoltaico e pompe di calore possa essere meno inquinante e meno costoso di un sistema tradizionale a caldaia e, forse, anche di un sistema a cogenerazione. Quest’ultimo, per quanto efficiente possa essere, dipende pur sempre dai combustibili fossili.

Tutte queste cose vanno studiate ulteriormente. Nel frattempo, teniamo conto che la faccenda “mai usare l’elettricità per il riscaldamento” si potrebbe rivelare una leggenda in molti casi.


(ringrazio Emilio Martines per i suoi suggerimenti a proposito della piastra a induzione e Corrado Petri per i suoi commenti a proposito di questa nota)

domenica 20 marzo 2016

Le previsioni demografiche sono diventate impossibili?

di Jacopo Simonetta

Lo studio di come le popolazioni cambiano nel tempo è una delle branche dell’Ecologia e riguarda tutti gli organismi viventi meno uno:  noi.  

In parte questo è dovuto al nostro complesso di superiorità, ma in parte è giustificato dal fatto che le popolazioni umane mostrano dinamiche molto più complesse di quelle degli altri animali.

Principalmente perché rispondono non solo ai fattori ambientali come le altre,  ma anche a fattori culturali e psicologici che riguardano solo noi.

Il problema è che i demografi hanno la spiccata tendenza ad occuparsi solo di quest’ultima categoria, dimenticandosi che siamo comunque una specie animale che interagisce con il suo ambiente.   Non è polemica, è detto chiaro e tondo dal Prof Ronald Lee nientemeno che nella presentazione di un numero speciale di “Science”  del 2011, dedicato proprio alla demografia.  

Ci sono delle ragioni molto precise per questo.   Quando si parla di popolazioni umane le implicazioni politiche sono immediate e consistenti.   Ancora più importanti sono le implicazioni etiche e religiose, per questo è igienico tenersene alla larga.   Per questo chiedo a priori pazienza ai lettori, sperando di riuscire a parlare di cose che ci riguardano tutti senza urtare nessuno.

Dunque, le fluttuazioni delle popolazioni animali, tutte, sono la risultante di tre fattori: natalità, mortalità migrazioni.   Vediamole in ordine.

Natalità
Nell'uomo troviamo caratteristiche riproduttive molto peculiari, come la mancanza dell’estro e la menopausa.   Complessivamente, la natalità è normalmente piuttosto bassa.  

Teoricamente una donna può partorire una dozzina di figli e più nella sua vita (sia pure a rischio della medesima), ma nella realtà pochissimi popoli e solo per finestre temporali limitate hanno avuto tassi di riproduzione così elevati.

Nelle popolazioni primitive che abbiamo conosciuto nei secoli delle grandi esplorazioni, di solito i figli non erano più di 3-5 per donna grazie ad una vasta gamma di comportamenti individuali e sociali, tabù sessuali ed altro che, di fatto, contenevano la riproduzione.  

Anche in Europa sistemi contraccettivi abbastanza efficaci sono stati di uso corrente fino alla Peste Nera, malgrado i fulmini della Chiesa che, viceversa, sosteneva un altro efficace metodo di controllo della natalità: il monachesimo.   Per secoli molto diffuso sia in Europa che in buona parte dell’Asia.

Un altro elemento culturale fondamentale è il grado di autonomia delle donne in materia di riproduzione.  

Nelle società industriali, questo è abbastanza ben correlato con il livello di istruzione femminile, ma vi sono eccezioni e, comunque, in altri tipi di società esistono correlazioni diverse.   Poi vi sono i fattori psicologici: in particolare gli effetti che le condizioni di vita hanno sulla disponibilità delle donne a riprodursi.   Poi ancora fattori economici ed ambientali che non solo influiscono sulla mortalità infantile (ne parliamo dopo), ma anche sul tasso di natalità.

Una regola empirica è che il miglioramento delle condizioni di vita comporta un aumento della natalità, perlomeno finché il livello di benessere (e quindi l’impronta ecologica) non raggiunge livelli estremamente alti e, dunque, ben difficilmente  sostenibili.   Ma lo stesso effetto si verifica quando il miglioramento è solamente immaginato, così come una prospettiva pessimista ha di solito un effetto deprimente sulla natalità, anche se le condizioni attuali sono buone.   Perlomeno, ciò accade nelle società in cui le donne hanno ampio margine di scelta, mentre in società fortemente maschiliste l’effetto può essere addirittura contrario.

La risultante di tutto questo è quindi molto complessa, ma in molto grossolana approssimazione si può dire che spesso limitano la propria natalità le società pre-agricole o parzialmente agricole e quelle post-industriali, quelle in cui le donne hanno un elevato livello di autonomia decisionale, quelle che hanno una visione pessimista del futuro.   Viceversa, tendono ad avere un’elevata riproduzione le società agricole e industriali, quelle fortemente maschiliste e quelle che hanno una visione ottimista del futuro.   Con numerose eccezioni e tutte le combinazioni possibili.

Mortalità

Se la natalità è un argomento delicato, la mortalità lo è ancora di più.   In compenso è più facile da capire e da prevedere in quanto risponde in modo molto diretto alle variazioni nelle condizioni di vita.

Migliori condizioni allungano istantaneamente la vita media.   Peggioramenti economici e/o ambientali la accorciano.   Ma gli effetti demografici possono essere molto diversi a seconda se la maggiore mortalità si riscontra nei bambini (come nel caso di carestie), negli adulti (come nel caso di guerre) o nei vecchi (come quando vengono tagliati servizi sanitari e pensioni).  

Naturalmente si possono verificare casi intermedi e diverse combinazioni.   Quello che qui preme far presente è che la grande longevità potenziale dell’uomo (85 di vita media è probabilmente il massimo realisticamente raggiungibile) fa si che la popolazione umana sia sempre molto vicina al massimo possibile.   Cioè, quasi non ci sono periodi in cui la popolazione risulta nettamente al di sotto della capacità di carico del proprio territorio, come si verifica con altre specie.   E questo comporta uno stato di stress permanente sulle risorse che difficilmente hanno occasione di recuperare da periodi di sovra sfruttamento.   In altre parole, la demografia della nostra specie è intrinsecamente destabilizzante.  Tende cioè a creare condizioni di crisi che si risolvono con morìe o con emigrazioni di massa.

Migrazioni

Quando le risorse non sono più sufficienti l’alternativa a morire è emigrare, che quasi sempre è sinonimo di guerra poiché i gruppi in cerca di un territorio o trovano spazi liberi, o li devono liberare.   In alternativa vengono eliminati dagli autoctoni, o dalle avversità locali, ristabilendo comunque un temporaneo equilibrio.

L’intera storia di Homo sapiens è scandita da ricorrenti crisi, seguite da migrazioni di diversa scala ed entità dal paleolitico ai giorni nostri.   Le prime ondate dei nostri antenati diretti spazzarono via tutte le specie umane più primitive e buona parte della megafauna del mondo.    In seguito, successive ondate di popoli tecnologicamente più avanzati hanno sterminato, marginalizzato o assorbito i popoli discendenti dai precedenti invasori.   L’ultima e maggiore migrazione di massa è stata quella che ha portato gli europei ad occupare quasi completamente l’Asia centrale e settentrionale, Quasi del tutto le Americhe, l’Australia ed una miriade di isole grandi e piccole.

La cosa importante da rilevare è che questa migrazione si è svolta in concomitanza con lo sviluppo della civiltà e dell’economia industriale che ha messo a disposizione armi e mezzi fino ad allora inimmaginabili.

La migrazione di massa globale che sta cominciando in questi anni è, per il momento, molto diversa.   I migranti hanno infatti mezzi tecnici e militari molto inferiori a quelli di cui dispongono i paesi di arrivo.   La migrazione è quindi possibile solo in quanto è accettata e facilitata proprio da coloro che ne sono obbiettivo, una situazione che conta ben pochi precedenti storici.

Principali migrazioni paleolitiche

Principali migrazioni storiche.

Principali migrazioni attuali

Uno degli argomenti più tabù oggigiorno sono le conseguenze di questo fenomeno sia nei paesi di partenza che in quelli di arrivo.    Un argomento non solo politicamente ed eticamente minato, ma anche di un’estrema complessità.

Di solito, si trattano esclusivamente gli effetti economici immediati che si pretendono eccellenti o pessimi a seconda di chi scrive.    Al di la di questo, vi sono  altri aspetti che di solito  non vengono considerati e cui vorrei qui accennare.

In primo luogo è molto probabile che l’emigrazione sia un potente fattore per mantenere alta la natalità nei paesi di provenienza, sia per effetto delle rimesse degli emigrati, sia perché mantiene una visione relativamente ottimista del futuro che, come abbiamo visto, è uno degli elementi che contribuiscono ad incrementare la natalità.

Anche nei paesi di arrivo gli effetti non sono solo economici.   A livello politico il fenomeno sta provocando uno scontro che sta assumendo un ruolo chiave sia nella politica interna dei singoli paesi, sia in quella estera.   La recente parziale sospensione del trattato di Schengen ha di fatto delineato una frattura.

Da una parte due paesi, Italia e Grecia, che favoriscono l’immigrazione, ma intendono poi distribuire i flussi sull'intero continente.   Dall'altra tutti gli altri paesi che, in maniera più o meno raffazzonata, cercano di limitare il fenomeno.   Una situazione che, peraltro, può cambiare repentinamente, come ampiamente dimostrato dalla rapidità con cui vari governi hanno cambiato atteggiamento più volte nel giro di pochi mesi.

Comunque la si pensi, un punto che si tende ad ignorare è che la crescita demografica,  il peggioramento del clima, l’innalzamento del mare, il degrado dei suoli, l’impoverimento delle risorse idriche, eccetera sono tutti fattori che contribuiranno ad incrementare la quantità di persone più o meno disperate.   Gli stessi fattori che sono connessi anche con le ricorrenti crisi economiche e militari che sempre accompagnano l’impatto delle popolazioni contro la capacità di carico del loro territorio.

Nel 2013 l'UNFPA stimava in circa 232 milioni il numero di persone che dagli anni ’90 hanno abbandonato il loro paese d’origine, mentre molti di più sono quelli che si sono spostati all'interno dei vari stati.   E negli anni a venire i flussi non potranno che crescere rapidamente.  
Per fare un solo esempio, il collasso dell’Egitto è quanto meno molto probabile e metterà in strada una parte consistente dei suoi 80 milioni di abitanti.

Dinamica

Ad oggi, il miglior modello che abbiamo per descrivere le dinamiche globali continua ad essere Word3, continuamente aggiornato e verificato.   Tuttavia anche questa icona della scienza dei sistemi presenta dei limiti che occorre tener presenti.

Il primo fu dichiarato dagli autori fin dalla prima edizione: il modello non pretende di prevedere il futuro, bensì di capire il funzionamento del sistema globale analizzando come cambiano gli scenari in relazione a come cambiano le variabili.   Scoprire che la realtà ha seguito lo scenario base (Business as usual) con un’approssimazione superiore al 90% ha stupito e costernato gli stessi autori del lavoro.   Significa infatti che avevano fatto un eccellente lavoro, ma anche che dal 1970 ad oggi l’umanità non ha cambiato di una virgola la propria impostazione socio-economica.   E ciò ad onta di turbinosi progressi scientifici e tecnologici, nonché di sconvolgimenti politici epocali e del tutto imprevisti negli anni ’70.

Anche il secondo limite fu subito messo in chiaro dagli autori.   Il modello è valido solo a livello globale e solo finché le curve della popolazione e quelle della produzione salgono.   Superato il picco, gli algoritmi usati perdono rapidamente di affidabilità perché il sistema tende a disarticolarsi in sub-sistemi sempre più piccoli ed indipendenti che possono quindi seguire rotte divergenti nel tempo.

Il terzo è invece emerso con gli anni ’90 e la quasi totalità dei demografi si sforza di ignorarlo.   Word3 ingloba infatti la teoria della “Transizione demografica” e prevede quindi che, a seguito del collasso economico, sia la mortalità che la natalità crescano rapidamente.   All'epoca si trattava di un’ipotesi perfettamente plausibile, ma oggi non è più così.


Il collasso del blocco sovietico e le crescenti difficoltà delle economie “avanzate”, o ex tali, ha infatti dimostrato che, almeno in molti casi, al peggioramento delle condizioni ambientali ed economiche fa riscontro non solo un aumento della mortalità, ma anche una riduzione della natalità.   Ne consegue un decremento demografico che potrebbe rivelarsi molto più rapido di quanto modellizzato dai Meadows e soci, almeno in ampie regioni del pianeta.


Ancora oggi la quasi totalità dei demografi si sforza di ignorare questi fatti e continua a pubblicare proiezioni  comprese fra i 9 ed il 14 miliardi di persone nel 2.100.   A sostegno delle loro ipotesi adducono il fatto che neppure una guerra importante od una grave pandemia sarebbe in grado di flettere sensibilmente la curva della popolazione.

Ciò è molto corretto ed il XX secolo lo dimostra ampiamente, ma un accorciamento della vita media di alcuni anni ed una stabilizzazione della natalità un po’ al di sotto di quella che abbiamo oggi in Italia potrebbe essere sufficiente a dimezzare la popolazione europea in meno di 50 anni (immigrazione permettendo).    Non uno scenario idilliaco, certamente, ma neppure catastrofico.

Speranza.


Alcuni troveranno questa prospettiva deprimente, mentre è la nostra maggiore speranza.   Nel modello citato, infatti, la popolazione diminuisce più lentamente delle risorse, mantenendo quindi una situazione di disequilibrio che condurrebbe l’umanità del futuro ad un’esistenza di nera miseria senza speranza e senza fine.   Viceversa, se la popolazione decrescesse abbastanza rapidamente, una parte consistente della biosfera potrebbe salvarsi e potrebbe anche avvenire un parziale recupero di alcune risorse rinnovabili come banchi di pesca, suoli, foreste, acqua, eccetera.

Ne conseguirebbe la possibilità, in un futuro non troppo remoto, di una vita tutto sommato gradevole per i nostri discendenti e, chissà?   Anche il fiorire di nuove civiltà.


“La morte è l’artificio mediante il quale si mantiene la Vita”    
Goethe

sabato 19 marzo 2016

Carbone, guerre e belle donne: perché in Italia si parla italiano e non francese

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione, 1837-1899. Ritratto di Michele Gordigiani. Il testo che segue è parte di una conferenza che ho fatto a Parigi il 12 febbraio, al Momentum Institute  (h/t Yves Cochet, Agnes Sinaï e Mathilde Szuba)

Di Ugo Bardi


Nello studio della storia, è di moda usare dati quantitativi il più possibile. Parliamo di fattori finanziari ed economici, della competizione per le risorse naturali, degli squilibri della popolazione, degli effetti del clima ed altro. Eppure, a volte la storia procede secondo il capriccio di un sovrano o dell'altro che fanno errori colossali, da Napoleone a Saddam Hussein. In quel caso, i fattori umani diventano predominanti e solo in alcuni casi possiamo avere uno scorcio di quello che potrebbe essere passato nella mente delle persone al vertice. Un caso del genere potrebbe essere stato quello della contessa Virginia Oldoini, femme fatale del XIX secolo, amante dell'Imperatore Francese Napoleaone III e, forse, l'origine dell'unificazione italiana del 1860. Bella donna, in effetti, e difficile da modellizzare usando la dinamica dei sistemi!

Torniamo all'inizio del XIX secolo. A quel tempo, la rivoluzione industriale era in pieno svolgimento, alimentata dalle miniere di carbone dell'Europa settentrionale, principalmente Inghilterra, Francia e Germania. Questa rivoluzione aveva creato uno squilibrio economico, rendendo i paesi settentrionali molto più ricchi e più potenti di quelli del sud. Non era solo una questione di avere o non avere il carbone. Era questione di trasportarlo. Il carbone è pesante ed ingombrante e, a quel tempo, il solo modo pratico per trasportarlo su lunghe distanze era via mare. Le navi potevano portare il carbone ovunque nel mondo ma, quando si trattava di portarlo nell'entroterra, servivano fiumi navigabili. Niente fiumi navigabili, niente carbone. Niente carbone, niente rivoluzione industriale. E' stata questa la ragione dello squilibrio: i paesi dell'Europa meridionale, proprio come quelli nordafricani, non potevano avere fiumi navigabili a causa della mancanza d'acqua. Per cui, non si sono potuti industrializzare e sono rimasti economicamente e militarmente deboli.

Ecco com'era la situazione nel 1848.


A questa data, le sole regioni mediterranee che avevano fiumi navigabili e si sono potute industrializzare sono state Francia e Nord Italia, Piemonte in particolare. Delle due, la Francia è stata di gran lunga la più potente e, già nel 1848, potete vedere in che modo la Francia ha occupato l'Algeria, strappandola via all'Impero ottomano. Il resto della regione nordafricana era matura per essere sottomessa e persino il Regno di Napoli, nell'Italia meridionale, era militarmente ed industrialmente debole, una preda facile per qualsiasi paese industrializzato. Cosa poteva quindi fermare i francesi dal trasformare l'intero mare Mediterraneo in un lago francese? Questa, apparentemente, era stata l'idea di Napoleone quando ha invaso l'Egitto, nel 1798. Non ha funzionato quella volta, ma era stata un'intuizione strategica che in seguito i governi francesi avrebbero potuto portare avanti.

Ora, mettetevi nei panni dei britannici. Nel grande gioco strategico del XIX secolo, avevano adocchiato l'Egitto, che avrebbero poi occupato nel 1882, ma avrebbero potuto fare poco o niente per impedire alla Francia di occupare l'intera costa nordafricana, fino all'Egitto e forse oltre ad esso. Niente di diretto, cioè, ma se avessero potuto creare un contrappeso strategico per bilanciare il potere francese? E cosa poteva essere quel contrappeso? L'Italia, naturalmente, se poteva essere unificata e trasformata in un unico paese, dalla pletora di staterelli che era a quel tempo.

Così, a metà del XIX secolo, i pezzi strategici del gioco mediterraneo erano tutti al loro posto, come in una enorme scacchiera. L'obbiettivo britannico era condiviso dal Piemonte: unificare l'Italia il più presto possibile e fermare l'ulteriore espansione della Francia. Dall'altro lato della scacchiera, l'obbiettivo della Francia era altrettanto chiaro: evitare ad ogni costo l'unificazione dell'Italia e prendersi quanto più Nord Africa possibile, il più presto possibile.

Chiaro, perfettamente chiaro. E facile per la Francia. Non dovevano fare quasi niente, solo tenere sotto controllo il Piemonte, cosa che potevano fare agevolmente. E' vero che il Piemonte era una piccola superpotenza industriale per i suoi tempi, ma non c'era partita per la più grande, molto più potente e vicina Francia. Ma il presidente francese ed imperatore di quel tempo, Luigi Napoleone, o “Napoleone III”, ha fatto esattamente l'opposto, anche impegnando l'esercito francese a sostegno dell'espansione del Piemonte nell'Italia del nord in una serie di battaglie sanguinose contro gli austriaci, nel 1859. Non che la Francia abbia aiutato il Piemonte per niente, naturalmente. In cambio, i francesi hanno ottenuto una fetta di terra sul lato occidentale delle Alpi, che prima faceva parte del Piemonte. E' stato un guadagno territoriale ma, in termini strategici, non era niente in confronto a quello che la Francia stava perdendo.

Un anno dopo aver sconfitto l'Austria con il sostegno della Francia, il Piemonte partiva per un'altra impresa strategica, questa volta con il sostegno dei britannici. Dal Piemonte, partiva un esercito condotto da Giuseppe Garibaldi ad invadere il Regno meridionale di Napoli. I napoletani hanno contrapposto una resistenza strenua ma, da soli, non potevano farcela e Napoleone III non ha mosso un dito per aiutarli. Col collasso del Regno Meridionale, la completa unificazione dell'Italia è diventata inevitabile, nonostante un ultimo disperato tentativo da parte di Napoleone III nel 1867, quando ha mandato truppe in Italia per impedire a Garibaldi di prendere Roma.

E quindi Italia fu. Ed è ancora. La cosa curiosa è che poteva non essere. Se Napoleone avesse fermato Garibaldi nel 1860 allo stesso modo in cui lo ha fatto nel 1867, probabilmente avremmo ancora un regno di Napoli e il paese che oggi chiamiamo “Italia” sarebbe più che altro un protettorato francese. E, molto probabilmente, il francese sarebbe la lingua dominante in gran parte del paese.

Invece, la Francia aveva perso un'occasione storica per diventare la potenza dominante nel Mediterraneo. In seguito, la Francia è riuscita comunque a ritagliarsi alcuni altri pezzi di Nord Africa, occupando la Tunisia nel 1881 e il Marocco nel 1904, ma tutti gli ulteriori avanzamenti nella regione mediterranea sono stati fermati quando, nel 1911, l'Italia  ha rivendicato ciò che gli italiani vedevano come la loro fetta legittima dell'Impero Ottomano in declino: la regione che oggi chiamiamo Libia.

Quindi, come mai Napoleone III ha fatto un errore strategico colossale del genere? In un certo senso, possiamo dire che è piuttosto normale: i sovrani degli stati spesso sono terribilmente incompetenti nel loro lavoro (pensate solo al nostro George W. Bush). Ma, per Napoleone III, potrebbe esserci stata una ragione che va oltre la semplice incompetenza.

I francesi hanno inventato la frase “Cherchez la femme” (cercate la donna) come spiegazione di molti eventi altrimenti inspiegabili. E, nella storia dell'unificazione dell'Italia, c'è coinvolta una donna: Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione. Era la cugina del Conte di Cavour, primo ministro del Piemonte a quel tempo, ed era stata mandata a Parigi da lui, pare, con l'idea specifica di influenzare Napoleone III. Lei era una fedele patriota italiana e capiva molto bene quello che sarebbe stato il suo ruolo come amante del presidente francese ed imperatore. Doveva convincerlo a fare qualcosa che i francesi non avrebbero mai dovuto permettere: aiutare il Piemonte ad invadere e conquistare il resto della penisola italiana. Secondo quello che si può spesso leggere sui libri di storia, ha adempiuto al suo ruolo e, dai ritratti e dalle fotografie che abbiamo di lei, forse possiamo anche capire come.

Naturalmente, possiamo legittimamente pensare che questa storia sia solo una leggenda. Ma potrebbe essere che Virginia Oldoini abbia davvero convinto Luigi Napoleone a fare quello che ha fatto? In questo caso, la Contessa dovrebbe essere considerata una delle donne più influenti della storia moderna. Ma non saremo mai in grado di saperlo. Ora, lei si trova dall'altra parte dello specchio, forse guardandoci da lì e ridendo di noi.



Un racconto di fanta-storia di Ugo Bardi che descrive quello che sarebbe potuto succedere se Virginia Oldoini non fosse esistita

venerdì 18 marzo 2016

I ricercatori di Energia per l'Italia sul referendum del 17 Aprile




Referendum 17 aprile: una politica energetica per il paese ai tempi della COP21

"Chi vuole dare un segnale politico, fa politica", dicono i due vice segretari del PD. Noi ricercatori di Energia per l'Italia abbiamo svolto un’azione politica chiedendo al Presidente del Consiglio e ai Ministri interessati di aprire un costruttivo dibattito sulla Strategia Energetica Nazionale che l’attuale Governo ha ereditato da quelli precedenti e che poi ha sostanzialmente peggiorato con una serie di decreti.  Non abbiamo mai avuto risposta. Il referendum ha certamente un significato politico perché contesta una Strategia che ignora lo stato di degrado e di pericolo in cui si trova il pianeta evidenziato  dagli scienziati, sottolineato da papa Francesco nell'enciclica Laudato sì e oggetto dell'accordo alla Cop 21 di Parigi, firmato dalle delegazioni di 185 paesi fra cui l'Italia.

Finché c’è gas, ovviamente è giusto estrarre gas. Sarebbe autolesionista bloccarle dopo avere costruito gli impianti, … licenziare migliaia di italiani e rinunciare a un po’ di energia disponibile, Made in Italy. Col risultato che dovremmo acquistare energia nei paesi arabi o in Russia, a un prezzo maggiore scrivono i due vice segretari.

Nel Regno Unito si sta svolgendo la campagna “Keep it in the ground” (letteralmente lasciali nel sottosuolo), perché lo spazio per i rifiuti nella casa comune Terra è quasi esaurito: vi è posto solo per le emissioni di CO2 che corrispondono a un quinto dei combustibili fossili che si trovano nel sottosuolo. Se ne estraiamo più di un quinto, l’aumento di temperatura supererà i 2 °C, la soglia che unanimemente è stata riconosciuta come un limite invalicabile nella conferenza di Parigi. Ecco, perché NON è giusto estrarre gas ed è invece giusto investire sul risparmio energetico e sulle energie rinnovabili.

Sostenere il SI al referendum significa anche definire gli indirizzi strategici della politica industriale del paese. Il principale risultato atteso è la conversione delle aziende del settore oil&gas verso le nuove tecnologie.

Il costo dell’energia è stabilito dal mercato globale e da complessi meccanismi finanziari ed economici. Ad esempio, l’energia in eccesso prodotta dalle fonti rinnovabili, ovvero non consumata da chi la produce, viene venduta a prezzi molto inferiori al costo di mercato. 

Inoltre, l’estrazione di idrocarburi in Italia ha margini di profitto relativamente bassi, perché le quantità totali sono esigue (pari al fabbisogno energetico del paese per 2-3 anni) e perché richiedono procedimenti complessi per la tutela ambientale, quali la re-immissione di acqua per ridurre la subsidenza e l’erosione delle coste.  

Non è chiaro, quindi, perché la produzione italiana dovrebbe ridurre i costi dell’energia per gli utenti finali.

Il referendum è una grande opportunità che il fronte politico riformista dovrebbe cogliere per progettare una transizione energetica coerente con gli accordi di Parigi e che avrebbe conseguenze molto positive sulla nostra economia.

Confermiamo la nostra piena disponibilità a progettare con il Governo questa transizione.

Vincenzo Balzani
coordinatore di Energia per l’Italia


Il viaggio della speranza di Matteo Salvini



di Stefano Ceccarelli

da: Stop fonti fossili!

Narsarsuaq, Groenlandia, novembre 2120. In un austero ufficio del locale Centro accoglienza profughi alcuni uomini con l'aspetto emaciato, stravolti dal lungo viaggio e dalle privazioni subite, sostavano in attesa dell’identificazione e degli adempimenti di rito. In un'altra stanza, donne e bambini ammassati come sardine venivano rifocillati alla meglio dagli agenti della polizia groenlandese. Il responsabile della struttura, il capitano Ulf Olsvig, sbuffando e borbottando entrò nell'ufficio, si sedette alla scrivania e urlò:

"Allora, italiani pizza-e-mandolino, chi è il capo della truppa?"

Un uomo sulla quarantina alzò la mano e nervosamente rispose: "Sono io, capitano! Alla buonora! Finalmente qualcuno si degna di parlare con noi!"

"Stia calmo, per favore! Pensate forse di essere i primi a venire qui in villeggiatura a visitare la terra dei Vichinghi liberata dai ghiacci? Piuttosto, venga, si sieda qui, signor..."

"Salvini. Matteo Salvini, capitano."

"Salvini? Questo nome non mi è nuovo... "

"Beh, le ricordo io dove ha sentito il mio nome: il mio bisnonno, buonanima, da cui ho ereditato il nome di battesimo, è stato capo del governo italiano giusto cento anni fa."

"Uhm… Sì, ora ricordo, me ne parlò mio nonno! – esclamò il capitano Olsvig destandosi improvvisamente dal torpore – Dunque il suo illustre antenato era quel demagogo criminale che schierò l'esercito a protezione delle vostre coste silurando i barconi con a bordo i poveracci che fuggivano dall'Africa e dal Medio Oriente dopo la Grande Siccità del 2018?"

“Come poteva fare altrimenti? – tentò di scusarsi Salvini cercando pateticamente di salvare l’onorabilità del suo avo – Il mio paese stava subendo un’invasione, dovevamo difenderci…”

“Sì, come no… Li conosco i tipi come lei, buoni solo ad alzare la voce e a prendersela con i più deboli. Ad ogni modo, come vede noi non ci siamo comportati come il suo bisnonno, altrimenti lei avrebbe già un bel buco in mezzo alla fronte! Ma poi… non fu proprio in quegli anni che l’Italia sprofondò in una terribile crisi finanziaria proprio a causa delle ingenti spese militari, fino a dover dichiarare bancarotta?”

“Sì, ma non fu colpa del mio bisnonno, ma del debito pubblico lasciato in eredità dai precedenti governi… E poi, come sa, arrivò la Grande Recessione Mondiale che costrinse le nazioni più indebitate al default.”

“Senta, Salvini, lasciamo perdere la Storia e veniamo al sodo: lei lo sa, vero, che io sarò costretto ad espellervi? La nostra nazione è stata finora sin troppo tollerante con i profughi, ma ora siamo saturi e le nostre limitate risorse non ci permettono di accogliere altri migranti. La Groenlandia conta oggi 250 milioni di abitanti, e l’aumento del livello del mare, che non accenna a fermarsi, ci costringerà presto ad abbandonare le vecchie città costiere e a rifugiarci nell’interno. Come faremo a reggere la pressione di tutta questa gente e a tenere a bada quelli come voi originari delle latitudini più basse che durante la lunga notte artica spesso e volentieri danno di matto?”

“La prego, capitano, sia ragionevole! Non può rimandarci indietro proprio ora che abbiamo raggiunto la meta dei nostri sogni! Ma lo sa quanto è durato il nostro viaggio dall’Italia? Otto mesi! Otto lunghissimi mesi di stenti ad attraversare l’Europa da sud a nord su un autobus elettrico scalcinato, con le file interminabili alle stazioni di ricarica, costretti a difenderci di continuo dagli assalti di orde di disperati! Fortuna che prima di partire siamo riusciti a barattare le vecchie batterie al litio delle case che abbiamo abbandonato con armi e munizioni. E non le sto a raccontare quello che abbiamo patito durante la traversata in mare da Rotterdam a Reykjavík e poi fin qui!”

“A proposito, dove avete trovato il gasolio per far navigare il barcone? Non mi dica che vi è avanzato ancora il petrolio proveniente da quei giacimenti nel Mare Adriatico che avete iniziato a sfruttare un secolo fa! Da quel che mi è stato raccontato, il poco petrolio ancora disponibile dopo la Grande Penuria Post-Picco del 2030 fu rapidamente accaparrato da USA, Cina, Germania e pochi altri stati.”

“Macché, capitano, il petrolio dell’Adriatico ci bastò si o no un paio d’anni… Col senno del poi, quella scelta fu un grave errore, se a quel tempo avessimo investito massicciamente sulle energie rinnovabili invece di succhiare quel po’ di greggio dai mari, forse le cose sarebbero andate in maniera diversa e magari ora non saremmo qui…"

"E allora come avete avuto il gasolio? Al mercato nero, immagino, come tutti quelli che arrivano da noi. Vi sarà costato una fortuna!"

“Non solo il gasolio, purtroppo! L’intero viaggio ci è costato una fortuna, capitano, per arrivare fin qui abbiamo investito tutte le risorse accumulate con fatica da noi e dai nostri padri, e ora non ci è rimasto più nulla, possiamo solo ricominciare da zero, e vogliamo farlo in questa terra ancora fertile e ospitale! Non come in Italia, dove ormai chi è rimasto fa la fame, i terreni che una volta facevano crescere ogni bendiddio sono ora inariditi dal caldo torrido e dall’erosione, mentre le aree più vicine alla costa sono diventate sterili a causa del sale del mare che si spinge sempre più all’interno. La supplico, capitano, ci faccia restare! Siamo dei lavoratori onesti, abituati al sudore della fronte, vogliamo integrarci con la vostra gente, rispettare le vostre leggi, e…”

“Basta così, Salvini! – lo interruppe bruscamente Olsvig – Per favore, evitiamo scene strazianti, le ripeto che non posso farvi restare. Ora procederemo all'identificazione, poi passerete la notte nella camerata del Centro profughi, e domattina provvederemo a farvi tornare indietro. Buona fortuna.“

Così dicendo, lasciò il suo posto all'agente incaricato degli adempimenti burocratici, si accomiatò e si ritirò nel suo angusto monolocale attiguo al Centro profughi.

***********

Quella notte Ulf Olsvig non riuscì a prendere sonno. In quella interminabile notte artica di luna nuova il capitano mise da parte i gradi e le stellette e continuava a rigirarsi nel letto in preda a una indistinta inquietudine. Finché ad un tratto udì dei rumori felpati provenienti dall’esterno. In un lampo capì, si affacciò alla finestra e vide gli italiani che, facendosi luce con delle torce, tranciavano le reti di protezione del Centro, apprestandosi a scappare. Si precipitò al telefono, alzò la cornetta, ma un attimo prima di comporre il numero per chiamare i rinforzi, si fermò e chiuse gli occhi.

Una miriade di pensieri affollarono la sua mente in quegli istanti, rivide come in un caleidoscopio i volti delle migliaia di esseri umani che aveva accolto in quegli anni, i bambini denutriti, gli occhi lucidi delle madri, lo sguardo spento di quella gente disperata. Ripensò a tutti quelli che non ce l’avevano fatta, riascoltò in un attimo i mille racconti dei sopravvissuti e le urla di gioia strozzate di chi fu accolto in quel Nuovo Mondo. Si sentì avviluppato dall’abbraccio colmo di gratitudine di milioni di cuori pulsanti che grazie a lui e a quelli come lui continuavano a battere, e scoppiò in un lungo pianto liberatorio.

***********

Il capitano Olsvig non seppe più nulla dei fuggiaschi. Per la verità, le ricerche dei giorni seguenti furono condotte più che altro per salvare la forma, nessuno degli agenti aveva realmente voglia di dover rispedire indietro gli italiani. Quanto a Matteo Salvini, più volte Olsvig ripensò alla sua storia e alle gesta miserabili compiute un secolo prima dal suo bisnonno quando divenne capo del governo, e ripeteva a sé stesso che i figli non devono scontare le colpe dei padri, salvo poi dover ammettere che in effetti i patimenti della sua generazione e delle due che l’avevano preceduta non erano altro che l’ingiusto prezzo pagato per l’avidità e l’egoismo delle generazioni precedenti.

Dopo alcune settimane, al termine di un’altra interminabile notte del lungo inverno artico, Ulf Olsvig fece un sogno. Stava volando, guardava dall’alto uno dei barconi stracolmi di profughi in arrivo sulle coste della Groenlandia, librandosi poi velocemente in alto, sempre più in alto, fino a confondere alla sua vista il barcone dei migranti con la sfera azzurra del pianeta Terra in eterna navigazione in questo angolo dell’Universo. Dopo che fu desto, si alzò e uscì fuori, e si chiese che senso avesse tutto ciò, senza trovare risposta. Sentiva però che doveva esserci Qualcosa che fa navigare i barconi così come i pianeti. Decise che prima o poi gli avrebbe dato un nome.

Per il momento, si accontentò di ammirare lo spettacolo della splendida aurora boreale che magicamente si schiuse davanti ai suoi occhi.