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venerdì 24 marzo 2023

Crollo della Popolazione in Italia?




Con una lentezza degna di un bradipo insonnolito, l'ISTAT pubblica i dati per la mortalità in Italia per il 2022. E sono dati piuttosto preoccupanti. Siamo arrivati a 713.000 decessi. Ovvero, sono tre anni che superiamo i 700.000 decessi, una cosa mai vista prima nei dati storici. 

Sappiamo tutti che con il graduale invecchiamento della popolazione, ci dovevamo aspettare un altrettanto graduale aumento della mortalità che dovrebbe toccare gli 800.000 decessi al culmine dell'ondata demografica, verso il 2050. Ma gli ultimi tre anni hanno visto un sorprendente balzo in alto del numero dei morti. Le previsioni delle Nazioni Unite (che vedete sul grafico di Our World in Data) davano 629.000 decessi per il 2022, ma abbiamo un eccesso di mortalità di oltre 80.000 unità. In sostanza, non siamo ancora rientrati nella curva, anzi ce ne stiamo allontanando rispetto all'anno scorso, dove l'eccesso di mortalità era sotto i 60.000 decessi.
La cosa è sorprendente in particolare considerando che la mortalità annuale tende a oscillare per un "effetto memoria" di quello che è successo negli anni precedenti. Se in un certo anno c'erano stati parecchi morti per qualche ragione, un'ondata influenzale, per esempio, l'anno dopo la mortalità tendeva a diminuire perché l'anno precedente si era portato via le persone più fragili e vulnerabili. Invece, qui abbiamo un aumento di mortalità consistente che dura da tre anni.
Non è una tendenza soltanto Italiana. Il "gradino di mortalità" si vede anche nei dati globali e in quelli di altri paesi, anche se in alcuni è più debole. Per esempio, per la Svezia, nota sulla stampa italiana come il paese degli sterminatori di vecchi, è molto più basso.
A cosa è dovuto questo gradino di mortalità? Come al solito, la risposta varia a seconda delle opinioni politiche di chi la da, per cui io non mi azzardo a dire niente. Mi limito a notare che, comunque la si voglia vedere, rappresenta un fallimento notevole della gestione della pandemia da parte del sistema sanitario.

Immagine da "Mortality Watch.

domenica 25 ottobre 2020

PANDEMIA: E' POSSIBILE CHE QUALCUNO CI ABBIA NASCOSTO LA VERITA'?

 Post apparso il 2 Ottobre 2020 su "Pillole di Ottimismo"

Nota: dalla data di pubblicazione di questo post su Facebook, tre settimane fa, la situazione in Bielorussia non è cambiata in modo sostanziale. I dati che arrivano parlano di un modesto aumento dei casi e di una mortalità che rimane molto bassa, intorno ai 4-5 casi giornalieri. 


Di Ugo Bardi -- Docente presso il dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze. (1)

💊💊💊 Girano non poche leggende a proposito della pandemia di Covid-19. Si dice che i governi ci abbiano taciuto la reale portata dell'epidemia per evitare il panico, oppure, al contrario, che i danni dovuti al vengano esagerati per spaventarci. Tuttavia, se andiamo ad analizzare i dati, vediamo che sono nel complesso affidabili, eccetto in alcuni casi particolari. 💊💊💊

Diceva Andreotti che "a pensar male di solito ci si azzecca." Probabilmente è vero, ma a seguire la regola in modo letterale si rischia di perdersi nel complottismo più becero, quello che va dai falsi allunaggi alle scie chimiche (e tutto il resto). Se però la prendiamo come un invito a verificare tutto quello che ci raccontano, allora è un utile invito alla prudenza.

Nel caso della pandemia da COVID-19, non sono mancate le speculazioni e le leggende. Una è che l'epidemia avrebbe fatto molte più vittime di quelle indicate dai dati ufficiali, ma che i governi non l'hanno detto per non scatenare il panico. L'altra è l'esatto opposto, ovvero che l'epidemia non esiste, se non come un'invenzione dei governi per instaurare una dittatura.

Vi anticipo che un esame dei dati disponibili mostra che queste sono soltanto leggende, perlomeno per quello che riguarda l'Europa e il mondo occidentale. Ma è comunque un esercizio interessante andare nei dettagli per verificare come stanno le cose.

Possiamo cominciare dicendo che non è mai possibile dire con assoluta certezza se qualcosa è vero o falso: un esempio classico è che non è possibile dimostrare che gli unicorni non esistono. Però è possibile basarsi sull'idea che se una cosa è vera deve essere confermata da più di un set di dati indipendenti.

Nel caso della pandemia da COVID-19, siamo di fronte a una storia abbastanza nuova per cui i set di dati che possiamo confrontare non sono tantissimi. Ma possiamo ragionare che la pandemia dovrebbe aver causato un significativo aumento della mortalità generale, un set di dati non direttamente correlati al numero di decessi diagnosticati come causati dal COVID-19. La consistenza di questi due set di dati la possiamo verificare: la mortalità in eccesso deve confermare che l'epidemia ha causato vittime.

Forse vi ricordate che a Marzo c'è stato qualcuno che ha usato questo metodo per sostenere che l'epidemia non esisteva. Ahimé, se uno vuol fare il cacciatore di bufale bisogna che abbia un minimo di competenza nel trattare i dati. Come ho scritto in un mio post di qualche mese fa (2), la pretesa dimostrazione dell'inesistenza della pandemia era semplicemente un abbaglio basato su dati sbagliati.

Fortunatamente, i dati buoni ci sono e possiamo trovarli, per esempio, in un set di dati di 24 paesi europei forniti da "Euromomo," European Mortality Monitor, un'agenzia che lavora in collaborazione con l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). In questi dati, vedete molto bene l'eccesso di mortalità che corrisponde all'effetto della pandemia. (3) 

 

Nella figura, vi faccio vedere i dati per l'Italia. Vedete un picco di mortalità che corrisponde bene al periodo della fase epidemica del COVID-19. E' più intenso di altri picchi stagionali correlati a malattie dell'apparato respiratorio. Questo ci dice che l'epidemia c'è stata e ha colpito duro, NON è stata un invenzione dei governi per imbrogliarci!

Non entriamo ora nei dettagli del confronto quantitativo fra mortalità totale e mortalità da COVID (per una discussione, leggete questo interessante articolo su Nature (4)). Limitiamoci a notare che i paesi Europei coperti dalla rete di Euromomo hanno strutture sociali e sanitarie simili, quindi ci aspettiamo che diano risultati simili in termini di rapporto fra mortalità totale in eccesso e mortalità attribuita al COVID.

Allora, andiamo a mettere i dati tutti insieme nel grafico che vi faccio vedere. Sull'asse X ho messo i dati di mortalità di Euromomo, misurati come l'altezza dei picchi. E' un'approssimazione ma sufficiente per quello che vogliamo vedere. Sull'asse Y ho messo i dati dei decessi da COVID-19 per milione di persone. Notate subito che c'è una certa proporzionalità: la grande maggioranza dei punti si mantengono in vicinanza di un valore medio rappresentato dalla retta che passa attraverso il grafico. (attenzione che la retta non indica i valori "giusti" è semplicemente una media ottenuta per regressione numerica). Certo, alcuni paesi, tipo il Belgio, sembrano aver esagerato nell'attribuire i decessi al Covid-19, mentre altri, come la Grecia, sono stati molto più prudenti nelle loro diagnosi (forse troppo). In ogni caso, un certo accordo c'è, anche se non perfetto. E' una buona indicazione che i dati sono affidabili entro i limiti della normale incertezza di questo tipo di misure.

Ma cosa succede fuori dall'Europa occidentale? Ci sono molti casi nei dati globali dove è difficile fidarsi dei dati forniti semplicemente perché certi paesi sono troppo poveri per potersi permettere un sistema di monitoraggio affidabile dell'epidemia. C'è però un caso interessante sul quale vorrei attirare la vostra attenzione: quello della Bielorussia.

La Bielorussia è un paese europeo, anche se non parte dell'Unione Europea. Quindi, non ci aspetteremmo grandi differenze in confronto al resto dell'Europa. Ma la Bielorussia ha la particolarità di essere uno dei pochi paesi al mondo, forse l'unico in Europa, a non aver preso quasi nessuna precauzione a proposito dell'epidemia (5). Niente lockdown, niente distanziamento, niente mascherine, niente del genere. Il presidente Lukashenko ha esplicitamente dichiarato che in Bielorussia si doveva continure a fare tutto come prima, epidemia o no.

Nonostante la mancanza di misure di contenimento, i dati ufficiali indicano che la Bielorussia è stata pochissimo colpita dall'epidemia di COVID-19. Il governo riporta una mortalità totale di appena 89 decessi per milione di persone, che è sei volte meno del valore per l'Italia. Ma possiamo fidarci dei dati ufficiali?

Ritornando al principio di Andreotti (a non fidarsi, di solito ci si azzecca), diciamo che qualche dubbio sulla bontà dei dati che arrivano dalla Bielorussia è legittimo. Per cercare di verificare come stanno le cose, ho provato a mettere i dati per la Bielorussia nello stesso grafico per altri paesi europei. Attenzione: la Bielorussia non è fra i paesi monitorati da Euromomo, per cui ho dovuto fare una stima a partire dai dati sulla mortalità in eccesso riportati da Mastitsky (6) (ho preso un valore di 6000 morti in eccesso), supponendo che la proporzionalità con lo Z-score sia la stessa che vale per gli altri paesi Europei. La mortalità ufficiale da Covid, invece, si trova nelle banche dati più comuni. Il risultato è che il dato per la Bielorussia è nettamente fuori posto sul grafico.

 

Basta questo risultato a concludere che i dati della mortalità da COVID per la Bielorussia sono stati alterati? No, perché i dati sulla mortalità in eccesso arrivano da fonti non validate e, sempre interpretando Andreotti, è bene non fidarsi di nessuno. Diciamo che abbiamo un'indicazione che qualcosa non va. E ci sono anche altri dati che puntano nella stessa direzione.

Vi ricordate cosa vi dicevo nelle pillole precedenti? Le curve della diffusione dell'epidemia sono normalmente "a forma di campana" (non necessariamente simmetrica) o a volte appaiono come una sovrapposizione di curve a campana. Ora, se guardate la curva per i casi positivi in Bielorussia (in fondo a questo post) vedete che non è proprio "a campana", come nel caso dell'Italia e di tanti altri paesi. La parte centrale è appiattita e il risultato è qualcosa che ha la forma di un cappello. Guardate anche la scala e notate come non sorpassa mai il valore di 1000 casi al giorno, si ferma sempre un po' più sotto. Diciamo che la cosa è un tantino sospetta. Se poi andiamo a vedere la curva per i decessi, in Bielorussia, è piatta con un valore quasi costante di 5-6 morti al giorno. Anche questo lo possiamo vedere come un tantino improbabile. 

 


 

Per finire, vi posso raccontare che ho fatto un test della validità dei dati della Bielorussia usando la "Legge di Benford" che è un metodo statistico per verificare se i dati sono stati manipolati. I risultati di questo test non vanno presi come niente di probante, solo un'indicazione. In ogni caso, viene fuori che i dati Bielorussi non seguono la legge di Benford e quindi sono sospetti (i dati li ho presi da OMS, il test di Benford l'ho fatto usando il sito (7)). Incidentalmente, vi posso dire che l'Italia da il risultato "giusto" al test di Benford -- nessuna indicazione di imbrogli.

Messi insieme, questi risultati ci dicono qualcosa. Come vi dicevo prima, non si potrà mai provare con assoluta certezza che un unicorno non esiste, ed è lo stesso per la manipolazione dei dati in Bielorussia. Però qualche legittimo dubbio ce lo possiamo anche avere. Notate però che c'è comunque un limite a quanto si può intervenire sui dati. Anche il lavoro di Matsitsky (6), che è molto critico nei riguardi del governo, non arriva alla conclusione che in Bielorussia l'epidemia ha fatto danni catastrofici. Secondo i suoi dati, la mortalità è stata circa la stessa che in Italia.

Se allora è vero che la Bielorussia non è andata peggio di altri paesi, qualcuno potrebbe essere tentato di concludere che il lockdown non serve a niente ma, attenzione: non è decisamente il caso di lanciarsi in generalizzazioni globali a partire da un piccolo paese di cui abbiamo solo dati incerti. Fra le altre cose, se consideriamo la mediana dell'età della popolazione, è di 45 anni in Italia contro 40 in Bielorussia. Questo vuol dire che in Bielorussia c'è un numero molto più ridotto di anziani che, come sappiamo, sono i più vulnerabili al COVID-19. Una valutazione dell'efficacia del lockdown richiederà una comparazione di dati molto più completi e la potremo fare solo nel futuro.

Mi sono un po' dilungato sul caso della Bielorussia per farvi vedere come anche per un governo nazionale non è facile imbrogliare sui dati senza farsi scoprire o, perlomeno, senza destare sospetti. Se altri stati l'avessero fatto, qualcuno se ne sarebbe accorto. Su questa base, possiamo dire che i dati sull'epidemia che le varie agenzie governative forniscono sono nel complesso affidabili, perlomeno in Europa Occidentale.

Quindi, qui da noi non c'è ragione di farsi trascinare dall'idea che vorrebbe che l'epidemia sia un complotto dei poteri forti, e nemmeno di farsi prendere dal panico per il sospetto che le cose siano peggiori di come appaiono. Questo non vuol dire che i media non possano esagerare nel modo in cui presentano i dati per farli sembrare più catastrofici di quanto non siano. Anzi, lo fanno quasi sempre per eccesso di sensazionalismo. Così, per sapere come stanno andando veramente le cose in Italia vi suggerisco di leggere le "Pillole" giornaliere di Paolo Spada (8) come antidoto alle esagerazioni dei media.


martedì 7 aprile 2020

Coronavirus: Come siamo messi? I dati veri cominciano ad arrivare


Il coronavirus quello "vero" come appare al microscopio elettronico, non quello di colorato, quasi di peluche, che è la sua immagine comune (foto dal New Scientist) (ammesso che sia proprio quello: se avete mai usato un microscopio elettronico sapete quanto e facile prendere fischi per fisarmoniche)


Avrete notato anche voi che la maggior parte dei vostri interlocutori non riescono a ragionare in termini quantitativi. Un solo esempio: vi site mai sentiti dire che "non è vero che il virus uccide solo le persone anziane: sono morti anche dei giovani."? Provate a spiegare al vostro interlocutore come stanno le cose in termini statistici e vi accorgete con orrore che molta gente proprio non ha il concetto di "probabilità statistica" o perlomeno non riesce a gestirlo nel "modello del mondo" che ha in testa. Per non parlare di essere in grado di leggere un diagramma cartesiano -- anche qui è facile accorgersi con orrore che tantissimi non ci riescono. Figuriamoci a parlargli di modelli epidemiologici

E' quello che succede anche sui media: ogni giorno ci dicono il numero dei morti e, se va bene, lo comparano a quello del giorno prima. Non viene mai comparato alla tendenza, e neppure inquadrato con i dati storici. Il risultato è che molta gente è terrorizzata: non riescono a valutare l'impatto reale dell'epidemia e si sono convinti che moriremo tutti. Altri invece si sono convinti dell'opposto, ovvero che l'epidemia è una bufala messa in giro dai poteri forti per imbrogliarci.

Tuttavia, a parte l'ignoranza diffusa e il complottismo imperante, esiste anche una realtà. Vediamo allora di quantificare un po' la situazione. Come tutti sapete, i dati sulla diffusione dell'epidemia sono molto incerti per tante ragioni, però, ci sono dei dati che non sono inficiati da fattori umani: i morti non si possono nascondere in cantina. Contare il numero totale dei decessi di quest'anno e poi confrontarli on quelli degli anni passati ci da un buon modo valutare il dnno che il coronavirus ci sta facendo. Va fatto con un po' di attenzione, altrimenti si finisce per fare l'errore che ha fatto il sito "Disquisendo" che ha sostenuto che l'epidemia non esisteva. L'approccio era giusto, erano i dati che erano sbagliati.

Quindi, come per tutte le cose, bisogna lavorare sui dati giusti e valutarli criticamente. Qui, però c'è il problema che le tabelle ISTAT con i dati di mortalità nazionali questi dati si fermano per ora al Novembre 2019. Dovremo aspettare qualche mese per avere dati certi, ma questo non vuol dire che non si possa già fare qualche stima.

Da quello che sono riuscito a trovare sul Web, ci sono tre sorgenti di dati aggiornati utilizzabili per una valutazione comparativa della mortalità. 1) ISTAT, 2) Euromomo e 3) Ministero della Salute. Anche il sito dell'istituto superiore di sanità (ISS) fornisce molti dati statistici, ma non ne ho trovati sulla mortalità comparata. Allora, vediamo cosa abbiamo.


 Per cominciare, un inquadramento generale da ISTAT per mettere le cose in prospettiva


Vedete come in Italia muoiono oggi circa 640.000 persone all'anno. Non solo, ma la mortalità aumenta gradualmente. Dal 2004 a oggi, è aumentata a una media di circa 7000 decessi in più ogni anno, un aumento quasi costante di più dell'1% all'anno. Oggi muoiono quasi 100.000 persone in più rispetto a 15anni fa. E' probabilmente il risultato della quota di anziani della popolazione che si avviano a concludere il loro percorso terreno. In più, è possibile che ci siano fattori come l'inquinamento, le ondate di calore, la dieta di bassa qualità che fanno i loro danni. Notate anche le oscillazioni nei dati: nel 2015 ci sono stati quasi 50.000 decessi in più del 2014, e nessuno sa esattamente perché. Fra le altre cose, notate la "forbice" fra nati e morti: è un deficit di 200.000 persone all'anno che continua ad allargarsi -- ma non entriamo in questo argomento.

Adesso vediamo cosa possiamo dire dell'effetto dell'epidemia sulla mortalità


ISTAT: comiciamo dai dati che ha pubblicato ISTAT a proposito di un campione di circa 1000 comuni Italiani, aggiornati al 1 Aprile 2020. Ecco qua i dati: anno e numero di morti

  • 2015: 34339
  • 2016: 30411
  • 2017: 35018
  • 2018: 33520
  • 2019: 33575
  • 2020: 40244
Sono dati interessanti ma non sono utili per una valutazione quantitativa. Non tanto per il campione statistico limitato, quanto per il fatto che ISTAT ha scelto di considerare solo quei comuni dove c'era stato un aumento di mortalità di almeno il 20% rispetto agli anni precedenti. Evidentemente, erano interessati a valutare l'impatto a livello locale. E, in effetti, certi comuni sono stati pesantemente colpiti con aumenti di mortalità anche di un fattore 3. Ma non possiamo estrapolare questi dati a livello nazionale e nemmeno regionale. Ci ha provato Vision ma, onestamente, mi sembra che abbiano sparato a caso. Limitiamoci a dire che questi dati dimostrano che l'epidemia ha fatto grossi danni in certe zone.

Euromomo. Il nome orribile vuol dire semplicemente "European Mortality Monitoring." Loro hanno dei dati abbastanza generali, anche se i grafici che forniscono sono abbastanza orribili anche quelli. Ecco qua il risultato più significativo (è quasi illeggibile, lo so, ma è così che loro lo mostrano). E' la mortalità settimanale in Italia per tutte le regioni e per tutte le classi di età.


Allora, sull'asse Y c'è un "indice di mortalità", su quello X ci sono gli anni. Parte da Maggio 2016 e arriva a comprendere la 13 settimana del 2020, ovvero fino al 31 Marzo. I dati sono "aggiustati" per tener conto del ritardo nella trasmissione dei dati, ma sembra che questo sia un lavoro fatto da professionisti e mi fiderei abbastanza. Vedete che c'è in effetti un aumento della mortalità che possiamo ragionevolmente attribuire al coronavirus. Notate però che la mortalità non è peggiore di quella del gennaio del 2017 (il picco nella parte sinistra nella curva) causata da una combinazione di freddo e influenza. A quell'epoca ci furono circa 20.000 decessi in più rispetto alla media e nessuno ci fece molto caso. Notate anche che il la curva dei decessi sembra aver passato il massimo e cominciare a calare, il che sembrerebbe in accordo con altri dati che indicano che abbiamo passato il "picco" dell'epidemia. Estrapolando, sembrerebbe poter dire che anche il coronavirus causera circa 20.000 decessi aggiuntivi, in accordo con altre analisi.

Ministero della Salute. Qui credo che ci siano i dati più interessanti, riportati sul sito del Dipartimento della Salute del Lazio. Ci sono dati comparativi della mortalità su base nazionale di quest'anno comparata con una media dei 5 anni precedenti. Attenzione che questi NON sono dati completi, ma si riferiscono a un campione di 19 città: (Aosta, Bolzano, Trento, Trieste, Torino, Milano, Brescia, Verona, Venezia, Bologna, Genova, Perugia, Civitavecchia, Roma, Frosinone, Bari, Potenza, Messina, Palermo). Notare che la maggioranza sono città del Nord, il campione è sbilanciato, ma è quello che abbiamo.


Qui vediamo che l'epidemia ha colpito duro al Nord, con quasi il raddoppio della mortalità rispetto alla media giornaliera attesa. Al Centro-Sud, invece, l'aumento è appena percettibile, forse nemmeno statisticamente significativo. Non sappiamo esattamente perché questa disparità. Potrebbe darsi che l'epidemia non si è diffusa al Sud perché è stata bloccata dal lockdown. Ma potrebbe anche essere per via del fatto che la popolazione al Nord è mediamente più anziana che al Sud. Oppure per fattori come il clima e l'inquinamento. Il legame fra inquinamento e epidemia non è stato dimostrato con certezza ma è perlomeno un legittimo sospetto.


Per riassumere


I dati di mortalità comparata indicano che l'epidemia di coronavirus non è assolutamente una bufala: esiste e ha colpito abbastanza duramente il Nord Italia. Non possiamo ancora usare questi dati per stimare quale potrebbe essere il numero totale di vittime, ma dai dati Euromomo e altri sembrerebbe chiaro che abbiamo "scavallato" il periodo peggiore. Le varie proiezioni si assestano sulle 15.000 -20.000 vittime, qualcuno dice 30.000 -- alla fine dell'anno potrebbero essere di più, ma non di ordini di grandezza. Non sono poche, ma sono comparabili alla variabilità statistica osservata nel passato per la mortalità della popolazione italiana.

In sostanza, siamo di fronte a un problema serio, ma non a quello che in inglese si chiama "existential threat" ("minaccia esistenziale"). Ovvero, non è a rischio la sopravvivenza fisica della popolazione italiana e non è nemmeno possibile che il danno diretto da coronavirus metta a repentaglio la capacità del paese di gestire la sua economia e le sue infrastrutture.

Presto avremo dati migliori, ma quello che sappiamo potrebbe essere già sufficiente per pensare al futuro. Si parla già di cominciare a sbloccarre il paese e, in effetti, va assolutamente fatto, altrimenti andiamo in rovina. (e non è detto che non ci andremo: la sopravvivenza economica del "sistema italia" potrebbe essere già stata compromessa in modo irrimediabile)

Purtroppo, come dicevo all'inizio, il problema è la grave carenza culturale del dibattito. Non solo non si riesce a valutare seriamente il problema, ma nessuno sembra riuscire a pensare ad altro metodo per risolverlo che a trovare un trucco per stampare soldi in quantità e distribuirli a pioggia ai propri amici per ricominciare a fare le stesse cose che facevamo prima, incluso inquinare e cementificare ovunque. Ma così stanno le cose. Ho l'impressione che, come sempre, cammineremo verso il futuro a testa bassa e portando occhiali molto scuri.




Nota: qualcuno mi ha fatto notare che questa analisi non tiene conto della diminuzione degli incidenti stradali come effetto del blocco. Vero, ma l'effetto è molto piccolo. In Italia i morti per incidenti stradali sono poco più di 3000 all'anno, ovvero meno di 10 al giorno. Anche assumendo che si siano ridotti a zero col blocco, i numeri dell'analisi non cambiano.


domenica 5 aprile 2020

Ma è vero che ci sono così tanti morti da coronavirus come ci raccontano? Sbufalando una bella bufala



Immagine: dal sito Facebook di Stefano Montanari, come lo si poteva vedere il 5 Aprile. NON è vero niente: è una bufala. Butac ha già correttamente sbufalato questa fesseria, ma io credo di essere andato un pochino più in fondo.



Ha girato su internet la storia che tutta la faccenda del coronavirus sarebbe una bufala perché i dati statistici indicano che ci sono stati meno morti totali in Italia nel primo trimestre di quest'anno in confronto con quello del 2019. L'ha riportata il sito "Disquisendo.org." potevate trovare il post fino a qualche giorno fa a questo link, ma ora lo hanno cambiato. Evidentemente hanno ancora un certo senso di vergogna, anche se non ammettono la fesseria che hanno detto.

Ma in queste cose non è tanto la fesseria in se, ma il tortuoso processo mentale che porta a crearla, e poi tanta gente a crederci. Qui, se guardate l'immagine all'inizio del post, sembra una cosa sensata. In effetti, confrontare i dati quest'anno con quelli dell'anno scorso potrebbe essere un buon modo per capire che danni ci sta facendo l'epidemia. Per certi aspetti migliore, in principio, delle statistiche che ci vengono dagli ospedali, dove non sappiamo esattamente, per esempio, chi è morto DI coronavirus oppure è morto CON il coronavirus. L'aumento di mortalità rispetto al periodo equivalente dell'anno scorso ci dice molto probabilmente quale è stato l'effetto del coronavirus.

Quindi se i dati qui sopra fossero veri, sarebbe vero che tutta la faccenda "Covid-19" è una bufala. E se fossero veramente dati da ISTAT, allora ci sarebbe da arrabbiarsi non poco. Beh, come al solito, è qui che casca l'oritteropo.

Per prima cosa, il sito "Disquisendo" ci da subito un'idea di ben scarsa affidabilità, per non dir di peggio. Sono sciachimisti, anti-scienza del clima, offese a sfare contro Greta Thumberg, Complotti a go-go. Tuttavia, non è detto che debbano avere torto per forza: se hanno letto bene i numeri, potrebbero anche aver ragione (è la storia della scimmia che batte sui tasti della macchina da scrivere).

Come al solito, sempre verificare. Qui, sono stati abbastanza onesti perché hanno riportato il link ai dati ISTAT che hanno usato. Eccolo qui, e qui c'è l'immagine. Sono dati veri e la somma l'hanno fatta giusta.  Nei primi tre mesi del 2019, sono morte in Italia circa 186.000 persone.


Bene fin qui, ma cosa possiamo dire del 2020? Qui, appunto, c'è la buca dove casca l'ornitorinco. Manca il link nell'articolo di Disquisendo ma cercando la figura riportata da Montanari troviamo da dove hanno preso il dato. Da un sito che sio chiama "ItaliaOra" dove ci sono contatori di vari parametri, popolazione, nascite e anche mortalità. Questi contatori sono dei programmi che cercano di stimare in tempo reale quale potrebbe essere il dato in questione ma, come vi potete immaginare, è pura fuffa -- tanto valeva il dato cercarlo su "Topolino". Specialmente in questo caso, come potrebbe il povero contatore sapere che c'è un'epidemia in corso?

Ma abbiamo dei dati veri per il 2020 da confrontare con quelli del 2019? Purtroppo no. I dati nazionali della mortalità da ISTAT si fermano al Novembre 2019, per avere quelli dell'epidemia ci vorranno ancora mesi. Quello che ISTAT ha fatto recentemente è stato selezionare dati da alcuni comuni, facendo vedere che c'è un aumento della mortalità di oltre il 20% rispetto al 2019. Ma più che altro volevano capire quali comuni avevano avuto un incremento particolarmente alto di mortalità. Per questo avevano selezionato i comuni  fra quelli che avevano un aumento significativo del numero dei morti rispetto a quelli dell'anno scorso. Il risultato ci dice solo che il virus sta facendo danni ma non li quantifica veramente. Per questo, ci vorranno ancora mesi. Una discussione dettagliata la trovate su BUTAC.

In ogni caso possiamo già concludere alcune cose. La prima, ma la sapevamo già, che gli sciachimisti sono dei cialtroni spaventosi. Più interessante che Stefano Montanari, che si auto-definisce uno scienziato, si sia fatto infinocchiare in questo modo: ha preso per buono e riprodotto sulla sua pagina un dato preso da un sito così evidentemente inaffidabile come "Disquisendo" e senza minimamente preoccuparsi di verificarlo. Insomma, un'altra bella figuraccia dopo quella del microscopio elettronico del 2006, una storia lunga di bufale e contro-bufale di cui potete leggere qui. Una roba da mettersi le mani nei capelli e scappare urlando.

Sapete anche la storia che Montanari è stato recentemente denunciato da Burioni e un gruppo detto "Il Patto Trasversale per la Scienza" per un'intervista che Montanari ha concesso a Bioblu di Claudio Messora. Anche questa  che ha fatto Burioni è stata una gran fesseria: anche se non paragonabile a quelle che ha fatto Montanari. Denunciandolo, ne ha fatto un eroe della libertà di informazione. Insomma, un'altra di quelle cose che ti fanno venir voglia di mettersi le mani nei capelli e scappare urlando.

Per combattere l'epidemia ci vorrebbero scelte informate fatte da persone competenti. Ma date un'occhiata ai commenti al post di Montanari e vi renderete conto di come ragiona la gente. Siamo in mano al complottismo più becero e disinformato: la gente (non solo Montanari) legge le cose più assurde e ci crede. Poi le diffonde e ne parla come se fossero vere. Non ci siamo proprio. Speriamo che questo coronavirus muoia da solo, perché mi sa che noi non ce la facciamo a sconfiggerlo.



Nota aggiunta dopo la pubblicazione: seppure l'ISTAT non ha dati aggiornati a livello nazionale, ci sono dati più recenti dell' Istituto Superiore della Sanità (ringrazio Alessandro Brollo per la segnalazione). Questi dati sono solo per un campione di 19 città e quindi hanno valore statistico limitato, comunque indicano che al nord la mortalità è significativamente aumentata, fino a raddoppiare. Al centro-sud, invece, l'effetto è minimo anche per gli anziani -- probabilmente non significativo. In sostanza, il danno c'è, anche se non va esagerato.





domenica 24 novembre 2019

Fitta rete stradale: conseguenze agro-ambientali


di Silvano Molfese
In Italia, dopo la ricostruzione bellica, la disponibilità di energia a basso costo ha consentito di ampliare la rete stradale tagliando colline e montagne, costruire ponti, eccetera: molte mulattiere sono state trasformate in strade asfaltate smuovendo milioni e milioni di metri cubi di terreno.

In pratica è stato adottato un sistema di mobilità individuale indotto anche dalla industria automobilistica. L’entusiasmo per la velocità e la libertà di muoversi ha fatto dimenticare che il territorio nazionale è geologicamente giovane, cioè a rischio sismico, ed è costituito per oltre tre quarti da collina e montagna.

La facilità di raggiungere luoghi più lontani ha favorito l’espansione dei centri urbani e la costruzione di numerosi insediamenti industriali e commerciali impermeabilizzando superfici agricole sempre più estese.

I diversi pianificatori del territorio (progettisti, politici, costruttori ecc.), oltre a dimenticare la legge della produttività decrescente, non hanno neanche preso in considerazione gli effetti del cambiamento climatico sulle produzioni agricole.

Alla fine della nota riporto dei calcoli dettagliati; inoltre ho richiamato una bibliografia risalente anche a trenta anni addietro per sottolineare che da tempo si conoscono gli effetti deleteri del sistema di mobilità individuale intensamente motorizzato.

Su questo sistema, particolarmente energivoro, incombe la riduzione delle rese energetiche dei combustibili fossili, in primis il petrolio. (https://www.aspoitalia.it/index.php/articoli/articoli-dei-soci/374-l-eroi-delle-compagnie-petrolifere ; https://aspoitalia.wordpress.com/2015/09/08/il-punto-di-rottura/ )

 

Strade: aumenta la pressione antropica sul territorio
La rete stradale italiana ha raggiunto uno sviluppo molto elevato che da qualche tempo è ritenuto eccessivo in rapporto al territorio. In Italia, ci sono oltre 1.600 km di strade per mille km2, escluse le strade dei centri urbani (Tab. n. 1).

Tab. n. 1- Lunghezza della rete stradale italiana  (km in migliaia )


Autostrade 6,5
Strade ANAS 17,0
Strade provinciali 154,0
comunali extraurbane 310,0
totale 487,5

(Bucchi, 2014)

Ovviamente questa capillare rete stradale asfaltata, associata all’elevato numero di auto e moto circolanti, 45 milioni nel 2017 (statistiche ACI), modifica quantità e qualità della presenza umana sul territorio, oggi molto più di 50 anni addietro, con un radicale stravolgimento degli habitat.

Case, traffico, inquinamento: la pressione antropica è decisamente cresciuta a dismisura.



Strade forestali: con un SUV si raggiungono i posti più sperduti


Il territorio, in questo modo, è diventato un colabrodo: con un fuoristrada o con una moto da cross di fatto si possono raggiungere, in poco tempo, anche le zone più impervie. Inoltre la frammentazione degli habitat comporta anche una riduzione della loro resilienza. (Wolf, 1988)

Mortalità sulle strade


Sulla lapide è scritto: A ricordo della mia cara Mamma


Tra gli effetti negativi di una diffusa ed intensa mobilità individuale la prima cosa che balza agli occhi è l’elevata mortalità registrata negli incidenti stradali.

In Italia dal 1952 al 2018 sono morte quasi 468 mila persone e ne sono rimaste ferite ben 16 milioni (Tab. n. 2). Dietro a questi numeri c’è il dolore dei familiari.


Tab. n. 2 - Incidenti stradali: numero di morti e feriti dal 1952 al 2018.

(morti feriti)


Italia 467.775 16.084.835

media annua 6.982 240.072

(fonte ISTAT)


Rispetto agli anni ’70 del secolo scorso, quando si arrivò ad oltre diecimila decessi annui, nell’ultimo lustro i morti in incidenti stradali si sono ridotti notevolmente ma comunque sono in media pur sempre nove deceduti al giorno di cui si parla molto poco.

Per una completa analisi dei costi umani e sociali sarebbe necessario valutare anche il numero di invalidi permanenti.

A tutto ciò si devono aggiungere gli effetti sulla salute dei gas di scarico.

Aumento dei costi per gli agricoltori


Recinto su bordo strada per limitare le intrusioni

La possibilità di raggiungere le zone più remote in breve tempo comporta anche un aggravio dei costi per gli imprenditori agricoli: per esempio oggi la facilità di accesso per una larga fetta della popolazione comporta un aumento dei rischi per furti; facilità nello scarico delle più varie tipologie di rifiuti: basti pensare agli pneumatici, buste e bottiglie di plastica, lattine ecc. che si trovano lungo i bordi delle strade, anche le più sperdute. Tutto ciò può spingere gli agricoltori a recintare le proprietà con aggravio dei costi di produzione.

Perdite di terreno agrario e di copertura vegetale

Se la lunghezza totale delle strade italiane è di 487.500 km, considerando una larghezza media di 7 metri, incluse le cunette laterali, il terreno occupato dalle strade si estenderebbe su oltre 341 mila ettari: quasi quanto la superficie della provincia di Parma.

(Il calcolo è stato fatto escludendo le strade interpoderali e quelle forestali realizzate in questi ultimi decenni; anche per i 6.500 km di autostrade a due e tre corsie di marcia è stata calcolata una larghezza di 7 m .)

La diminuzione della copertura vegetale comporta una minore emissione di ossigeno ed una ridotta fissazione di biossido di carbonio, gas ad effetto serra, da parte delle piante.


Impermeabilizzazione delle superfici


In seguito alla costruzione di strade e case le superfici impermeabilizzate sono aumentate a dismisura in questi ultimi decenni. L’acqua, anziché penetrare nel terreno a rimpinguare le falde, scorre più velocemente a valle.


Strade e incendi

Uno dei fattori di rischio, considerato di notevole importanza per gli incendi dei boschi, è costituito dalla rete viaria:

“La presenza di strade e quindi una maggiore presenza dell’uomo, rende più vulnerabile il bosco, infatti, molti incendi si sviluppano proprio in prossimità delle vie di comunicazione come risulta dalle analisi condotte sui punti di innesco degli incendi dal Corpo Forestale dello Stato.” (Aloisi et Al. 2011)

Danni alle specie utili all’agricoltura

A mo’ di esempio possiamo considerare l’Erinaceus europaeus, il riccio, che è un insettivoro utile all’agricoltura frequente vittima delle auto sotto le quali rimane schiacciato.

Si ciba prevalentemente di coleotteri, curculioni, stercorari, bruchi, limacce e millepiedi (Pratesi et Al, 1995).




Riccio schiacciato da un’auto

L’azione di disturbo provocata dalle macchine viene esercitata anche sugli aspetti riproduttivi di questi come di altri predatori. Unitamente agli altri fattori come incendi, accumulo di veleni (insetticidi ed antiparassitari), individui schiacciati dalle auto, ecc., si determina una riduzione del numero di questi come di altri utili predatori.

Se non teniamo conto anche di ciò si ridurranno le alternative presenti in natura per la difesa delle colture agrarie.

In altri paesi europei hanno predisposto tunnel e ponti per favorire l’attraversamento delle strade da parte della fauna selvatica. (Otto et Al. 2005)


In bici ridotti consumi energetici


Prendendo come riferimento il consumo energetico di un ciclista, a parità di tragitto, lo spostamento in auto con un solo passeggero richiede una quantità di energia pari a 52 volte quella consumata in bicicletta. (Lowe, 1990).

Consumi energetici con diverse modalità di trasporto (in Joule).





(Modificato da Lowe, 1990) - (*) auto con 1 solo passeggero


Sulle ferrovie maggiore sicurezza e risparmio di terreno

La mobilità delle persone può essere vantaggiosamente assicurata dal treno: su due binari ferroviari viaggiano, in un’ora, tante persone quante ne possono transitare su sedici corsie autostradali! (Lowe, 1993). Pertanto le punte di elevata mobilità possono essere risolte decisamente con la ferrovia e certamente non con le auto.

Sono molto minori i rischi di incidenti su ferrovia rispetto al trasporto su strada.

Si deve tener conto inoltre che la larghezza della piattaforma per una normale linea ferroviaria a doppio binario è di 10 metri (Leonardi, 2009) e si occupa una superficie di gran lunga inferiore a quella utilizzata per sedici corsie autostradali 88 metri (piattaforma di 22 m per quattro corsie).


Con l’ozono, gas di scarico dei veicoli, produzioni agricole più basse
Tra i gas di scarico delle auto bisogna considerare la formazione di ozono (O3 ).  L’ozono è un forte ossidante e, quando la concentrazione al suolo supera i limiti naturali, causa danni alla respirazione cellulare e quindi sia ai vegetali che agli animali. In condizioni normali le concentrazioni di ozono al livello del terreno arrivano fino a 0,025 parti per milione (ppm).

Negli USA è stato riscontrato che i danni dovuti all’eccesso di ozono si verificano sia nelle zone rurali, scarsamente popolate e sia in quelle urbanizzate con intenso traffico auto-veicolare. E’ stato sperimentalmente verificato che concentrazioni medie stagionali di ozono pari a 0,09 ppm causano riduzioni produttive del 13% sul mais e del 31 % sulla soia. (Brown et Al., 1990)


Costi delle strade e veicoli circolanti

Pur essendo diventati un popolo di automobilisti, credo che la maggioranza delle persone non abbia idea di quanto sia costoso costruire le strade e poi farne la manutenzione; ma, quel che è peggio, non si ha la più vaga idea dei costi energetici e delle emissioni di biossido di carbonio (CO2 ) gas climalterante.

L’energia richiesta per produrre cemento risulta pari a 3,2 GJ per tonnellata (https://library.e.abb.com/public/fd0dbf1c5f5dfd66c1257ce0002d0408/Rapporto_ABB_Efficienza_Energetica_Trend_Globali.pdf ) che equivalgono a circa 74 kg di petrolio; le emissioni di CO2 sono di 700 kg per tonnellata di cemento (Pagani, 2008).

Per la produzione di una tonnellata di acciaio servono ben 22 GJ (Bardi, 2011) che corrispondono a 505 kg di petrolio.

Per il costo di costruzione delle strade possiamo considerare la stima fatta per il sistema autostradale-tangenziale del nodo di Bologna da cui si evince che per la viabilità ordinaria di nuova costruzione i costi, rivalutati al 2018, sono quantificabili in circa 1,17 milioni di euro a km, per una piattaforma stradale larga sette metri, a cui si deve aggiungere l’IVA .

Nel novembre 2011, per l’inaugurazione del tratto funzionale della nuova s.s. 106 “Jonica”, furono rendicontate spese di 27,2 milioni di € a km, per un tracciato avente una piattaforma stradale larga 22 metri costituito per l’82% da viadotti e gallerie. (Dati riportati nell’invito per l’inaugurazione della tratta stradale).

Altro dato quasi sconosciuto è il numero di veicoli circolanti in Italia. I dati ripresi dall’ACI, ci dicono che nel 2017 c’erano circa 38,5 milioni di autovetture circolanti e ben 6,5 milioni di moto per un totale di ben 45 milioni: il doppio di auto e moto che erano in circolazione nel 1985!

 

Specifiche tecniche

Per il contenuto energetico del petrolio ho considerato 43.543 kJ per kg

Dati da “Riorganizzazione del sistema autostradale-tangenziale del nodo di Bologna”. Per calcolare il costo chilometrico su viabilità ordinaria ho utilizzato il valore di 135 € /m2 dell’anno 2003 che ho rivalutato al 2018, utilizzando il coefficiente pari a 1,243 (ISTAT). 167,8 € /m2 per i 7.000 m2 si ottiene 1.174.600 € per 1 km di strada larga 7 m . (https://www.cittametropolitana.bo.it/pianificazione/Engine/RAServeFile.php/f/PTCP/studiofattibilita.pdf , pagina 15-10).

Il tratto funzionale della strada statale 106 “Jonica” tra lo svincolo di Borgia e lo svincolo di Simeri Crichi (dati desunti dalla brochure per l’inaugurazione del 7 novembre 2011), è costato circa 326,9 milioni di euro, ha una piattaforma stradale larga in totale 22,00 metri; è lungo 12 km; la lunghezza complessiva delle gallerie è di 7,18 km; la lunghezza complessiva dei viadotti è pari a 2,64 km.


Bibliografia


Aloisi R., Colloca C., Coroniti T., Paone R., Rizzo G., 2011 – Carta del rischio potenziale di incendio boschivo della Regione Calabria (scala 1: 250.000) . ARSSA Monografia divulgativa 2011, 37

Bardi U. , 2011 – La Terra svuotata. – Editori Riuniti University press, 90
 

Brown L.R., Young J.E. 1990 – Sfamare l’umanità negli anni ’90. State of the World 1990 ISEDI, 99-131.

Bucchi, A., 2014. – La storia delle strade. Relazione presentata l’11 dicembre 2014 presso la Scuola di Ingegneria e Architettura dell’Università di Bologna, 18

Leonardi G., 2009 - Infrastrutture ferroviarie. (https://www.unirc.it/documentazione/materiale_didattico/597_2009_217_5722.pdf)

Lowe M.D., 1990 – In bicicletta verso il futuro. State of the World 1990 . ISEDI, 197 - 221

Lowe M.D., 1993 – Riscoprire le ferrovie. State of the World 1993 . ISEDI, 193 - 221

Ott J., Padoa Schioppa E., 2005 – Strade e popolazioni animali: effetti di disturbo. Estimo e Territorio, 6, 2005, 38 – 43

Pagani M., 2008 - Il bel paese di cemento /4 Aumentano le emissioni di CO2 - 6 giugno 2008 su http//ecoalfabeta.blogosfere.it (scaricato all’epoca ma non più presente sul Web)

Pratesi F., Hulsmann E. , 1995 – Alleati sconosciuti. Edagricole, 2-3

Wolf E.C., 1988 - Evitare un’estinzione di massa delle specie. State of the World 1988 ISEDI, 137-1

domenica 20 marzo 2016

Le previsioni demografiche sono diventate impossibili?

di Jacopo Simonetta

Lo studio di come le popolazioni cambiano nel tempo è una delle branche dell’Ecologia e riguarda tutti gli organismi viventi meno uno:  noi.  

In parte questo è dovuto al nostro complesso di superiorità, ma in parte è giustificato dal fatto che le popolazioni umane mostrano dinamiche molto più complesse di quelle degli altri animali.

Principalmente perché rispondono non solo ai fattori ambientali come le altre,  ma anche a fattori culturali e psicologici che riguardano solo noi.

Il problema è che i demografi hanno la spiccata tendenza ad occuparsi solo di quest’ultima categoria, dimenticandosi che siamo comunque una specie animale che interagisce con il suo ambiente.   Non è polemica, è detto chiaro e tondo dal Prof Ronald Lee nientemeno che nella presentazione di un numero speciale di “Science”  del 2011, dedicato proprio alla demografia.  

Ci sono delle ragioni molto precise per questo.   Quando si parla di popolazioni umane le implicazioni politiche sono immediate e consistenti.   Ancora più importanti sono le implicazioni etiche e religiose, per questo è igienico tenersene alla larga.   Per questo chiedo a priori pazienza ai lettori, sperando di riuscire a parlare di cose che ci riguardano tutti senza urtare nessuno.

Dunque, le fluttuazioni delle popolazioni animali, tutte, sono la risultante di tre fattori: natalità, mortalità migrazioni.   Vediamole in ordine.

Natalità
Nell'uomo troviamo caratteristiche riproduttive molto peculiari, come la mancanza dell’estro e la menopausa.   Complessivamente, la natalità è normalmente piuttosto bassa.  

Teoricamente una donna può partorire una dozzina di figli e più nella sua vita (sia pure a rischio della medesima), ma nella realtà pochissimi popoli e solo per finestre temporali limitate hanno avuto tassi di riproduzione così elevati.

Nelle popolazioni primitive che abbiamo conosciuto nei secoli delle grandi esplorazioni, di solito i figli non erano più di 3-5 per donna grazie ad una vasta gamma di comportamenti individuali e sociali, tabù sessuali ed altro che, di fatto, contenevano la riproduzione.  

Anche in Europa sistemi contraccettivi abbastanza efficaci sono stati di uso corrente fino alla Peste Nera, malgrado i fulmini della Chiesa che, viceversa, sosteneva un altro efficace metodo di controllo della natalità: il monachesimo.   Per secoli molto diffuso sia in Europa che in buona parte dell’Asia.

Un altro elemento culturale fondamentale è il grado di autonomia delle donne in materia di riproduzione.  

Nelle società industriali, questo è abbastanza ben correlato con il livello di istruzione femminile, ma vi sono eccezioni e, comunque, in altri tipi di società esistono correlazioni diverse.   Poi vi sono i fattori psicologici: in particolare gli effetti che le condizioni di vita hanno sulla disponibilità delle donne a riprodursi.   Poi ancora fattori economici ed ambientali che non solo influiscono sulla mortalità infantile (ne parliamo dopo), ma anche sul tasso di natalità.

Una regola empirica è che il miglioramento delle condizioni di vita comporta un aumento della natalità, perlomeno finché il livello di benessere (e quindi l’impronta ecologica) non raggiunge livelli estremamente alti e, dunque, ben difficilmente  sostenibili.   Ma lo stesso effetto si verifica quando il miglioramento è solamente immaginato, così come una prospettiva pessimista ha di solito un effetto deprimente sulla natalità, anche se le condizioni attuali sono buone.   Perlomeno, ciò accade nelle società in cui le donne hanno ampio margine di scelta, mentre in società fortemente maschiliste l’effetto può essere addirittura contrario.

La risultante di tutto questo è quindi molto complessa, ma in molto grossolana approssimazione si può dire che spesso limitano la propria natalità le società pre-agricole o parzialmente agricole e quelle post-industriali, quelle in cui le donne hanno un elevato livello di autonomia decisionale, quelle che hanno una visione pessimista del futuro.   Viceversa, tendono ad avere un’elevata riproduzione le società agricole e industriali, quelle fortemente maschiliste e quelle che hanno una visione ottimista del futuro.   Con numerose eccezioni e tutte le combinazioni possibili.

Mortalità

Se la natalità è un argomento delicato, la mortalità lo è ancora di più.   In compenso è più facile da capire e da prevedere in quanto risponde in modo molto diretto alle variazioni nelle condizioni di vita.

Migliori condizioni allungano istantaneamente la vita media.   Peggioramenti economici e/o ambientali la accorciano.   Ma gli effetti demografici possono essere molto diversi a seconda se la maggiore mortalità si riscontra nei bambini (come nel caso di carestie), negli adulti (come nel caso di guerre) o nei vecchi (come quando vengono tagliati servizi sanitari e pensioni).  

Naturalmente si possono verificare casi intermedi e diverse combinazioni.   Quello che qui preme far presente è che la grande longevità potenziale dell’uomo (85 di vita media è probabilmente il massimo realisticamente raggiungibile) fa si che la popolazione umana sia sempre molto vicina al massimo possibile.   Cioè, quasi non ci sono periodi in cui la popolazione risulta nettamente al di sotto della capacità di carico del proprio territorio, come si verifica con altre specie.   E questo comporta uno stato di stress permanente sulle risorse che difficilmente hanno occasione di recuperare da periodi di sovra sfruttamento.   In altre parole, la demografia della nostra specie è intrinsecamente destabilizzante.  Tende cioè a creare condizioni di crisi che si risolvono con morìe o con emigrazioni di massa.

Migrazioni

Quando le risorse non sono più sufficienti l’alternativa a morire è emigrare, che quasi sempre è sinonimo di guerra poiché i gruppi in cerca di un territorio o trovano spazi liberi, o li devono liberare.   In alternativa vengono eliminati dagli autoctoni, o dalle avversità locali, ristabilendo comunque un temporaneo equilibrio.

L’intera storia di Homo sapiens è scandita da ricorrenti crisi, seguite da migrazioni di diversa scala ed entità dal paleolitico ai giorni nostri.   Le prime ondate dei nostri antenati diretti spazzarono via tutte le specie umane più primitive e buona parte della megafauna del mondo.    In seguito, successive ondate di popoli tecnologicamente più avanzati hanno sterminato, marginalizzato o assorbito i popoli discendenti dai precedenti invasori.   L’ultima e maggiore migrazione di massa è stata quella che ha portato gli europei ad occupare quasi completamente l’Asia centrale e settentrionale, Quasi del tutto le Americhe, l’Australia ed una miriade di isole grandi e piccole.

La cosa importante da rilevare è che questa migrazione si è svolta in concomitanza con lo sviluppo della civiltà e dell’economia industriale che ha messo a disposizione armi e mezzi fino ad allora inimmaginabili.

La migrazione di massa globale che sta cominciando in questi anni è, per il momento, molto diversa.   I migranti hanno infatti mezzi tecnici e militari molto inferiori a quelli di cui dispongono i paesi di arrivo.   La migrazione è quindi possibile solo in quanto è accettata e facilitata proprio da coloro che ne sono obbiettivo, una situazione che conta ben pochi precedenti storici.

Principali migrazioni paleolitiche

Principali migrazioni storiche.

Principali migrazioni attuali

Uno degli argomenti più tabù oggigiorno sono le conseguenze di questo fenomeno sia nei paesi di partenza che in quelli di arrivo.    Un argomento non solo politicamente ed eticamente minato, ma anche di un’estrema complessità.

Di solito, si trattano esclusivamente gli effetti economici immediati che si pretendono eccellenti o pessimi a seconda di chi scrive.    Al di la di questo, vi sono  altri aspetti che di solito  non vengono considerati e cui vorrei qui accennare.

In primo luogo è molto probabile che l’emigrazione sia un potente fattore per mantenere alta la natalità nei paesi di provenienza, sia per effetto delle rimesse degli emigrati, sia perché mantiene una visione relativamente ottimista del futuro che, come abbiamo visto, è uno degli elementi che contribuiscono ad incrementare la natalità.

Anche nei paesi di arrivo gli effetti non sono solo economici.   A livello politico il fenomeno sta provocando uno scontro che sta assumendo un ruolo chiave sia nella politica interna dei singoli paesi, sia in quella estera.   La recente parziale sospensione del trattato di Schengen ha di fatto delineato una frattura.

Da una parte due paesi, Italia e Grecia, che favoriscono l’immigrazione, ma intendono poi distribuire i flussi sull'intero continente.   Dall'altra tutti gli altri paesi che, in maniera più o meno raffazzonata, cercano di limitare il fenomeno.   Una situazione che, peraltro, può cambiare repentinamente, come ampiamente dimostrato dalla rapidità con cui vari governi hanno cambiato atteggiamento più volte nel giro di pochi mesi.

Comunque la si pensi, un punto che si tende ad ignorare è che la crescita demografica,  il peggioramento del clima, l’innalzamento del mare, il degrado dei suoli, l’impoverimento delle risorse idriche, eccetera sono tutti fattori che contribuiranno ad incrementare la quantità di persone più o meno disperate.   Gli stessi fattori che sono connessi anche con le ricorrenti crisi economiche e militari che sempre accompagnano l’impatto delle popolazioni contro la capacità di carico del loro territorio.

Nel 2013 l'UNFPA stimava in circa 232 milioni il numero di persone che dagli anni ’90 hanno abbandonato il loro paese d’origine, mentre molti di più sono quelli che si sono spostati all'interno dei vari stati.   E negli anni a venire i flussi non potranno che crescere rapidamente.  
Per fare un solo esempio, il collasso dell’Egitto è quanto meno molto probabile e metterà in strada una parte consistente dei suoi 80 milioni di abitanti.

Dinamica

Ad oggi, il miglior modello che abbiamo per descrivere le dinamiche globali continua ad essere Word3, continuamente aggiornato e verificato.   Tuttavia anche questa icona della scienza dei sistemi presenta dei limiti che occorre tener presenti.

Il primo fu dichiarato dagli autori fin dalla prima edizione: il modello non pretende di prevedere il futuro, bensì di capire il funzionamento del sistema globale analizzando come cambiano gli scenari in relazione a come cambiano le variabili.   Scoprire che la realtà ha seguito lo scenario base (Business as usual) con un’approssimazione superiore al 90% ha stupito e costernato gli stessi autori del lavoro.   Significa infatti che avevano fatto un eccellente lavoro, ma anche che dal 1970 ad oggi l’umanità non ha cambiato di una virgola la propria impostazione socio-economica.   E ciò ad onta di turbinosi progressi scientifici e tecnologici, nonché di sconvolgimenti politici epocali e del tutto imprevisti negli anni ’70.

Anche il secondo limite fu subito messo in chiaro dagli autori.   Il modello è valido solo a livello globale e solo finché le curve della popolazione e quelle della produzione salgono.   Superato il picco, gli algoritmi usati perdono rapidamente di affidabilità perché il sistema tende a disarticolarsi in sub-sistemi sempre più piccoli ed indipendenti che possono quindi seguire rotte divergenti nel tempo.

Il terzo è invece emerso con gli anni ’90 e la quasi totalità dei demografi si sforza di ignorarlo.   Word3 ingloba infatti la teoria della “Transizione demografica” e prevede quindi che, a seguito del collasso economico, sia la mortalità che la natalità crescano rapidamente.   All'epoca si trattava di un’ipotesi perfettamente plausibile, ma oggi non è più così.


Il collasso del blocco sovietico e le crescenti difficoltà delle economie “avanzate”, o ex tali, ha infatti dimostrato che, almeno in molti casi, al peggioramento delle condizioni ambientali ed economiche fa riscontro non solo un aumento della mortalità, ma anche una riduzione della natalità.   Ne consegue un decremento demografico che potrebbe rivelarsi molto più rapido di quanto modellizzato dai Meadows e soci, almeno in ampie regioni del pianeta.


Ancora oggi la quasi totalità dei demografi si sforza di ignorare questi fatti e continua a pubblicare proiezioni  comprese fra i 9 ed il 14 miliardi di persone nel 2.100.   A sostegno delle loro ipotesi adducono il fatto che neppure una guerra importante od una grave pandemia sarebbe in grado di flettere sensibilmente la curva della popolazione.

Ciò è molto corretto ed il XX secolo lo dimostra ampiamente, ma un accorciamento della vita media di alcuni anni ed una stabilizzazione della natalità un po’ al di sotto di quella che abbiamo oggi in Italia potrebbe essere sufficiente a dimezzare la popolazione europea in meno di 50 anni (immigrazione permettendo).    Non uno scenario idilliaco, certamente, ma neppure catastrofico.

Speranza.


Alcuni troveranno questa prospettiva deprimente, mentre è la nostra maggiore speranza.   Nel modello citato, infatti, la popolazione diminuisce più lentamente delle risorse, mantenendo quindi una situazione di disequilibrio che condurrebbe l’umanità del futuro ad un’esistenza di nera miseria senza speranza e senza fine.   Viceversa, se la popolazione decrescesse abbastanza rapidamente, una parte consistente della biosfera potrebbe salvarsi e potrebbe anche avvenire un parziale recupero di alcune risorse rinnovabili come banchi di pesca, suoli, foreste, acqua, eccetera.

Ne conseguirebbe la possibilità, in un futuro non troppo remoto, di una vita tutto sommato gradevole per i nostri discendenti e, chissà?   Anche il fiorire di nuove civiltà.


“La morte è l’artificio mediante il quale si mantiene la Vita”    
Goethe