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sabato 26 novembre 2016

Migrazioni, Malthus, mortalità, e tutto il resto

di Jacopo Simonetta


Articolo già pubblicato su: "Matlhus non aveva poi tutti i torti" il 5/11/2016

Nell'odierna, immensa massa umana esiste una pattuglia di persone convinte che il sistema economico attuale stia entrando in un collasso globale e che ciò provocherà conseguenze terribili.   Alcune di queste sono anzi già cominciate, ma la grande maggioranza di noi si rifiuta di riconoscerle per quel che sono: avvisaglie.

C’è una buona ragione per questo: l’illusione più o meno cosciente che, ignorando o negando i fatti, ci si possa proteggere dalle conseguenze dei medesimi.   O, perlomeno, che questo sia un modo per scaricare ad altri la propria quota di responsabilità per qualcosa che, comunque vada, costerà molto caro a molta gente.

Tra i fatti che possiamo negare, ma non evitare, c’è che la Terra è pesantemente sovrappopolata in ogni suo più remoto anfratto.   Ma ammetterlo significherebbe dover poi parlare di politiche demografiche.   Cioè di nascite, morti e migrazioni.   Tutti argomenti che hanno implicazioni psicologiche e spirituali tanto importanti da risultare intrattabili.

Non è un caso se il controllo della natalità è l’unico fattore demografico di cui si parla, sia pure con crescenti difficoltà.   Qui si tratta infatti di decidere se, eventualmente, impedire a qualcuno che ancora non esiste di venire al mondo.   Non c’è niente di terribile in ciò.

Viceversa, parlare oggi di mortalità significherebbe chiedere a gente che esiste di andarsene cortesemente a all'altro mondo per aiutare i suoi compatrioti terrestri a restare in questo.   Non sorprende che nessuno ne voglia parlare, non foss’altro che per scaramanzia.
Delle migrazioni si parla invece tantissimo, perfino troppo, ma senza mai porsi domande imbarazzanti tipo: Quanta gente c’è?   Quale è la capacità di carico del territorio?   Quali sono gli effetti sulle zone di partenza e su quelle di arrivo?   Come stanno evolvendo le condizioni al contorno?

Pillole di storia


Le migrazioni sono un fenomeno antico quanto la nostra specie (anzi molto di più).   Quando in una zona si raggiungono limiti di sovrappopolazione, un certo numero di giovani parte per cercare fortuna altrove.   Se lungo la strada incontrano popoli più agguerriti di loro, vengono uccisi.    Se viceversa incontrano territori poco popolati o genti meno agguerrite, si fanno largo ammazzando o sottomettendo gli autoctoni.

E’ esattamente in questo modo che, per oltre 50.000 anni, ondate successive di uomini hanno popolato il mondo, accavallandosi e sostituendosi fra loro, costruendo e distruggendo civiltà.   La penultima crisi storica di questo genere è stata lo straripare della popolazione europea nel mondo intero.   L’ultima è appena cominciata, ma con un’inversione dei flussi.   Invece che dall’Europa, avviene verso l’Europa (compresa la Russia occidentale) ed il Nord America.

Per fare il caso italiano, durante tutti gli anni ’80, la popolazione italiana si era stabilizzata attorno ai cinquantasei milioni e mezzo.   Poi, dall’89 (collasso degli stati comunisti) ha ricominciato a crescere grazie ad un’immigrazione dapprima modesta, poi sempre più intensa.   Una brusca accelerazione avvenne nel 2002, anno di approvazione della leggendaria “legge Bossi-Fini” che, evidentemente, favorì il fenomeno.   Ad oggi siamo circa sessantadue milioni, con un tasso di incremento di circa 300.000 persone all’anno.

Per circa un quarto di secolo, le autorità pubbliche e le forze politiche dei vari paesi coinvolti non hanno trovato di meglio che altalenare fra posizioni opposte ed un pertinace far finta di niente, sperando che la faccenda si risolvesse da sola.   Ma negli ultimi due anni l’arrivo di milioni di persone ha fatto precipitare la situazione.

Potremmo, credo, distinguere fondamentalmente tre tipi di approccio al problema.   Due paesi, Italia e Grecia, hanno deciso di mantenere aperte le proprie frontiere; anzi l’Italia ha mobilitato mezzi imponenti per recuperare migranti in mare.   Altri paesi dell’UE coadiuvano questo sforzo, pur mancando un accordo sul destino successivo dei naufraghi.

Altri, come diversi paesi balcanici e l’Austria, hanno alzato barriere più o meno efficaci per ostacolare i flussi.   I paesi principali, Germania in testa, si sono accollati finora il grosso del flusso, ma questo ne sta oramai mettendo a repentaglio la stabilità politica.

Nel frattempo, il numero dei morti durante la traversata è diminuito in percentuale, ma aumentato in cifra assoluta poiché la certezza del soccorso porta molta più gente a tentare l’avventura in sempre più precarie condizioni.

Premesse

L’accoglienza è un bene od un male?   Esiste un limite sotto il quale va bene ed oltre il quale no?   A mio avviso, una simile discussione potrebbe essere utile solo partendo dai pochi, ma importanti capisaldi:

1 – Non sempre chi lascia il suo paese lo fa perché costretto dalla miseria, o peggio, ma spesso si.   Perciò non bisogna nascondersi dietro un dito ed essere ben coscienti del fatto che negare l’ingresso a qualcuno significa danneggiarlo, spesso in modo grave.

2 – Esiste una differenza fondamentale tra “migranti” e“rifugiati”.   I primi sono tutti coloro che vanno ad abitare in un paese diverso da quello dove sono nati.   Talvolta fuggono da situazioni terribili, altre cercano semplicemente un lavoro migliore.   I rifugiati sono invece persone che in patria sono attivamente perseguitate per ragioni politiche, religiose, razziali od altro.  Lo status di "rifugiato" viene concesso dai governi in base ad una serie di convenzioni internazionali, perlopiù risalenti agli anni '50 (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali).

Anche i numeri sono diversi.   Per capirsi, solo nel 2014 gli immigrati in Europa sono stati quasi 2 milioni (dati EUROSTAT ) portando il totale degli stranieri a quasi 35 milioni, circa il 7% della popolazione europea.  Nel 2015 e nel 2016 i numeri sono stati sensibilmente maggiori, ma mancano dati ufficiali.  Coloro che ottengono asilo politico normalmente sono invece poche decine di migliaia l’anno, ma c’è stato un brusco incremento negli ultimi due anni: circa 300.000 nel 2014 e circa 600.000 nel 2015 (dati ERUOSTAT).    Un incremento che dipende in parte dall’aggravarsi della crisi siriana, in parte da scelte politiche dei singoli governi nazionali.   Tuttavia, continuano ad essere una netta minoranza del flusso complessivo di gente.

3 – Le migrazioni di massa sono appena cominciate, nei prossimi anni e decenni non potranno che aumentare.   Non bisogna illudersi che il fenomeno si esaurisca da solo; ben al contrario si aggraverà.   Ogni anno ci sono circa 80 milioni di persone in più sul pianeta ed i focolai di instabilità ambientale, economica e/o politica non potranno che moltiplicarsi.   A livello europeo, i flussi sono passati da un ordine di grandezza di migliaia ad uno di milioni di persone all'anno.   La tendenza è verso un ulteriore, consistente incremento.

3 – L’Italia, come tutta l’Europa, gode tuttora di un alto tenore di vita grazie ad una serie di vicende storiche e meccanismi di mercato che finora ci hanno permesso di appropriarci di risorse estere e ridistribuire globalmente parte dei nostri rifiuti.    Ma il sistema economico sta rapidamente cambiando ed almeno in parte implodendo.   La crisi economica peggiorerà ed il ridimensionamento del nostro tenore di vita è appena cominciato.   Disoccupazione e povertà aumenteranno certamente,
anche se non possiamo sapere quanto e come.   E lo faranno comunque, con o senza immigrazione.

4 – Una grande quantità di immigrati non arriva fortunosamente in barca, bensì tranquillamente in aereo.   L’enfasi sugli sbarchi è quindi in parte una strategia di marketing politico, sia da parte di coloro che sono favorevoli, sia di coloro che sono contrari all'accoglienza.

A mio avviso, chiunque ignori e/o neghi uno o più di questi semplici fatti, o è male informato, o è male intenzionato.

Conseguenze.

C’è molto dibattito sulle conseguenze economiche delle migrazioni, con esperti che delineano un quadro idilliaco o disastroso a seconda dei casi.   Personalmente, trovo più interessanti le conseguenze ecologiche e politiche.

Le conseguenze ecologiche sono inevitabili e facilissime da capire.   A livello locale, un aumento della popolazione significa un aumento dei consumi e degli impatti: più alloggi, più acqua, più rifiuti ecc.   Proprio i fattori che secondo alcuni sono favorevoli all'economia, sono certamente deleteri per quello che resta degli ecosistemi.   Anche a livello globale l’emigrazione fa lievitare consumi ed emissioni.   Infatti, benché la maggioranza degli immigrati vada a far parte della fascia più povera dei paesi di accoglienza, i consumi di un una persona che vive in Europa occidentale sono almeno di un ordine di grandezza superiore di quelli di chi abita in molti paesi africani ed asiatici.   Vi sono poi buone ragioni per ritenere che l’emigrazione contribuisca a mantenere elevato il tasso di natalità nei paesi di partenza, ma si tratta di dinamiche molto complesse che possono differire anche parecchio da caso a caso.

Le conseguenze politiche sono più complesse perché non dipendono tanto da ciò che effettivamente accade, quanto da come questo viene percepito.   Man mano che la densità di popolazione cresce e la percentuale di stranieri aumenta, la gente si inquieta.   Può avere torto o ragione, il punto importante qui è che ha paura.   E quando la gente a paura guarda ai suoi leader per essere rassicurata.

Per decenni, la classe politica dominante ha scelto di ripetere che il problema non esisteva, che la crescita economica avrebbe risolto tutto, che la pace avrebbe trionfato, i flussi si sarebbero esauriti grazie ad interventi nei paesi di partenza, eccetera.   Soprattutto, ha evitato molto accuratamente di nominare la causa principale di questa tragedia, la sovrappopolazione sia nei paesi di arrivo che in quelli di partenza.   Ma ha anche cercato di nascondere le conseguenze, cioè la competizione per il lavoro, il degrado dell’ambiente naturale ed urbano, le difficoltà di integrazione ecc.

Beninteso, gli stranieri in Europa sono meno del 10%, quindi ha ragione chi dice che non solo loro IL problema.   IL problema è infatti il collasso della nostra civiltà e dei nostri ecosistemi.   Le migrazioni sono solo un pezzo di questo complesso mosaico, ma un pezzo importante perché, in condizioni precari,e anche spostamenti lievi di fattori chiave possono avere conseguenze importanti.

L’Islam in EU. Si noti come la percezione comune è di una presenza
almeno 4-5 volte superiore al reale.
Comunque, il dato politico è che la vasellina ufficiale tranquillizza sempre meno gente.   Ecco allora che sorge una nuova classe di politicanti professionisti che adottano una strategia altrettanto menzognera, ma opposta.   Anziché negare il problema, lo gonfiano e lo stravolgono facendo immaginare alla gente fenomeni del tutto inesistenti come l’invasione islamica (i due terzi circa degli immigrati sono cristiani), la guerra delle culle (la natalità degli immigrati si livella a quella degli autoctoni in una generazione) ed il complotto sostituzionista (questa poi non merita nemmeno commento).   Bufale che diventano però credibili quando dall’altra parte si insiste a ripetere che tutto si aggiusterà da solo.   Meglio ancora se se una frangia minoritaria, ma consistente, di immigrati si adopera per apparire regolarmente in cronaca nera.

C’è una via d’uscita?

In estrema sintesi, siamo prigionieri di una doppia menzogna.   E’ falso che l’Europa possa continuare ad importare gente dall'estero per la semplice ragione che ci sono già troppi europei. E‘ falso anche che se buttassimo fuori tutti gli stranieri i nostri problemi svanirebbero, perché comunque continueremo ad essere troppi, la qualità delle risorse energetiche continuerebbe a tracollare, il clima a peggiorare, ecc.

In mezzo a tanta disinformazione cresce l'estrema destra, ma non credo che ciò dipenda tanto da un aumento dei neo-fascisti, quanto da un crescente numero di persone che hanno paura.   Se qualcuno volesse evitare che queste formazioni prendano il potere, avrà interesse a pensare ad una gestione delle migrazioni efficace e credibile.

A mio avviso ciò significa principalmente due cose:

1- Una politica demografica unitaria che cerchi di ridurre la popolazione europea nel modo più indolore e tranquillo possibile.   Fra l’altro, stabilendo quanta gente può entrare ed a quali condizioni.   (Fra “tutti” e “nessuno” ci è parecchio spazio).

2 – Un effettivo controllo sulle frontiere esterne e sul rispetto delle regole da parte degli ospiti.   Due cose più facili a dirsi che a farsi, viste le frontiere che abbiamo.    Per questo, ritengo che solo un’organizzazione europea potrebbe svolgere il compito.    Nessuno stato nazionale ha più la forza per controllare da solo la situazione.

Su quest’ultimo punto c’è un barlume di speranza.   La catastrofe delle politiche messe in atto dagli stati negli ultimi due anni ha finalmente permesso la nascita di un corpo di polizia di frontiera comunitario.   Il primo reparto ha preso servizio pochi giorni fa in Bulgaria.   Vedremo come va e quali stati saranno disposti a collaborare.


domenica 20 marzo 2016

Le previsioni demografiche sono diventate impossibili?

di Jacopo Simonetta

Lo studio di come le popolazioni cambiano nel tempo è una delle branche dell’Ecologia e riguarda tutti gli organismi viventi meno uno:  noi.  

In parte questo è dovuto al nostro complesso di superiorità, ma in parte è giustificato dal fatto che le popolazioni umane mostrano dinamiche molto più complesse di quelle degli altri animali.

Principalmente perché rispondono non solo ai fattori ambientali come le altre,  ma anche a fattori culturali e psicologici che riguardano solo noi.

Il problema è che i demografi hanno la spiccata tendenza ad occuparsi solo di quest’ultima categoria, dimenticandosi che siamo comunque una specie animale che interagisce con il suo ambiente.   Non è polemica, è detto chiaro e tondo dal Prof Ronald Lee nientemeno che nella presentazione di un numero speciale di “Science”  del 2011, dedicato proprio alla demografia.  

Ci sono delle ragioni molto precise per questo.   Quando si parla di popolazioni umane le implicazioni politiche sono immediate e consistenti.   Ancora più importanti sono le implicazioni etiche e religiose, per questo è igienico tenersene alla larga.   Per questo chiedo a priori pazienza ai lettori, sperando di riuscire a parlare di cose che ci riguardano tutti senza urtare nessuno.

Dunque, le fluttuazioni delle popolazioni animali, tutte, sono la risultante di tre fattori: natalità, mortalità migrazioni.   Vediamole in ordine.

Natalità
Nell'uomo troviamo caratteristiche riproduttive molto peculiari, come la mancanza dell’estro e la menopausa.   Complessivamente, la natalità è normalmente piuttosto bassa.  

Teoricamente una donna può partorire una dozzina di figli e più nella sua vita (sia pure a rischio della medesima), ma nella realtà pochissimi popoli e solo per finestre temporali limitate hanno avuto tassi di riproduzione così elevati.

Nelle popolazioni primitive che abbiamo conosciuto nei secoli delle grandi esplorazioni, di solito i figli non erano più di 3-5 per donna grazie ad una vasta gamma di comportamenti individuali e sociali, tabù sessuali ed altro che, di fatto, contenevano la riproduzione.  

Anche in Europa sistemi contraccettivi abbastanza efficaci sono stati di uso corrente fino alla Peste Nera, malgrado i fulmini della Chiesa che, viceversa, sosteneva un altro efficace metodo di controllo della natalità: il monachesimo.   Per secoli molto diffuso sia in Europa che in buona parte dell’Asia.

Un altro elemento culturale fondamentale è il grado di autonomia delle donne in materia di riproduzione.  

Nelle società industriali, questo è abbastanza ben correlato con il livello di istruzione femminile, ma vi sono eccezioni e, comunque, in altri tipi di società esistono correlazioni diverse.   Poi vi sono i fattori psicologici: in particolare gli effetti che le condizioni di vita hanno sulla disponibilità delle donne a riprodursi.   Poi ancora fattori economici ed ambientali che non solo influiscono sulla mortalità infantile (ne parliamo dopo), ma anche sul tasso di natalità.

Una regola empirica è che il miglioramento delle condizioni di vita comporta un aumento della natalità, perlomeno finché il livello di benessere (e quindi l’impronta ecologica) non raggiunge livelli estremamente alti e, dunque, ben difficilmente  sostenibili.   Ma lo stesso effetto si verifica quando il miglioramento è solamente immaginato, così come una prospettiva pessimista ha di solito un effetto deprimente sulla natalità, anche se le condizioni attuali sono buone.   Perlomeno, ciò accade nelle società in cui le donne hanno ampio margine di scelta, mentre in società fortemente maschiliste l’effetto può essere addirittura contrario.

La risultante di tutto questo è quindi molto complessa, ma in molto grossolana approssimazione si può dire che spesso limitano la propria natalità le società pre-agricole o parzialmente agricole e quelle post-industriali, quelle in cui le donne hanno un elevato livello di autonomia decisionale, quelle che hanno una visione pessimista del futuro.   Viceversa, tendono ad avere un’elevata riproduzione le società agricole e industriali, quelle fortemente maschiliste e quelle che hanno una visione ottimista del futuro.   Con numerose eccezioni e tutte le combinazioni possibili.

Mortalità

Se la natalità è un argomento delicato, la mortalità lo è ancora di più.   In compenso è più facile da capire e da prevedere in quanto risponde in modo molto diretto alle variazioni nelle condizioni di vita.

Migliori condizioni allungano istantaneamente la vita media.   Peggioramenti economici e/o ambientali la accorciano.   Ma gli effetti demografici possono essere molto diversi a seconda se la maggiore mortalità si riscontra nei bambini (come nel caso di carestie), negli adulti (come nel caso di guerre) o nei vecchi (come quando vengono tagliati servizi sanitari e pensioni).  

Naturalmente si possono verificare casi intermedi e diverse combinazioni.   Quello che qui preme far presente è che la grande longevità potenziale dell’uomo (85 di vita media è probabilmente il massimo realisticamente raggiungibile) fa si che la popolazione umana sia sempre molto vicina al massimo possibile.   Cioè, quasi non ci sono periodi in cui la popolazione risulta nettamente al di sotto della capacità di carico del proprio territorio, come si verifica con altre specie.   E questo comporta uno stato di stress permanente sulle risorse che difficilmente hanno occasione di recuperare da periodi di sovra sfruttamento.   In altre parole, la demografia della nostra specie è intrinsecamente destabilizzante.  Tende cioè a creare condizioni di crisi che si risolvono con morìe o con emigrazioni di massa.

Migrazioni

Quando le risorse non sono più sufficienti l’alternativa a morire è emigrare, che quasi sempre è sinonimo di guerra poiché i gruppi in cerca di un territorio o trovano spazi liberi, o li devono liberare.   In alternativa vengono eliminati dagli autoctoni, o dalle avversità locali, ristabilendo comunque un temporaneo equilibrio.

L’intera storia di Homo sapiens è scandita da ricorrenti crisi, seguite da migrazioni di diversa scala ed entità dal paleolitico ai giorni nostri.   Le prime ondate dei nostri antenati diretti spazzarono via tutte le specie umane più primitive e buona parte della megafauna del mondo.    In seguito, successive ondate di popoli tecnologicamente più avanzati hanno sterminato, marginalizzato o assorbito i popoli discendenti dai precedenti invasori.   L’ultima e maggiore migrazione di massa è stata quella che ha portato gli europei ad occupare quasi completamente l’Asia centrale e settentrionale, Quasi del tutto le Americhe, l’Australia ed una miriade di isole grandi e piccole.

La cosa importante da rilevare è che questa migrazione si è svolta in concomitanza con lo sviluppo della civiltà e dell’economia industriale che ha messo a disposizione armi e mezzi fino ad allora inimmaginabili.

La migrazione di massa globale che sta cominciando in questi anni è, per il momento, molto diversa.   I migranti hanno infatti mezzi tecnici e militari molto inferiori a quelli di cui dispongono i paesi di arrivo.   La migrazione è quindi possibile solo in quanto è accettata e facilitata proprio da coloro che ne sono obbiettivo, una situazione che conta ben pochi precedenti storici.

Principali migrazioni paleolitiche

Principali migrazioni storiche.

Principali migrazioni attuali

Uno degli argomenti più tabù oggigiorno sono le conseguenze di questo fenomeno sia nei paesi di partenza che in quelli di arrivo.    Un argomento non solo politicamente ed eticamente minato, ma anche di un’estrema complessità.

Di solito, si trattano esclusivamente gli effetti economici immediati che si pretendono eccellenti o pessimi a seconda di chi scrive.    Al di la di questo, vi sono  altri aspetti che di solito  non vengono considerati e cui vorrei qui accennare.

In primo luogo è molto probabile che l’emigrazione sia un potente fattore per mantenere alta la natalità nei paesi di provenienza, sia per effetto delle rimesse degli emigrati, sia perché mantiene una visione relativamente ottimista del futuro che, come abbiamo visto, è uno degli elementi che contribuiscono ad incrementare la natalità.

Anche nei paesi di arrivo gli effetti non sono solo economici.   A livello politico il fenomeno sta provocando uno scontro che sta assumendo un ruolo chiave sia nella politica interna dei singoli paesi, sia in quella estera.   La recente parziale sospensione del trattato di Schengen ha di fatto delineato una frattura.

Da una parte due paesi, Italia e Grecia, che favoriscono l’immigrazione, ma intendono poi distribuire i flussi sull'intero continente.   Dall'altra tutti gli altri paesi che, in maniera più o meno raffazzonata, cercano di limitare il fenomeno.   Una situazione che, peraltro, può cambiare repentinamente, come ampiamente dimostrato dalla rapidità con cui vari governi hanno cambiato atteggiamento più volte nel giro di pochi mesi.

Comunque la si pensi, un punto che si tende ad ignorare è che la crescita demografica,  il peggioramento del clima, l’innalzamento del mare, il degrado dei suoli, l’impoverimento delle risorse idriche, eccetera sono tutti fattori che contribuiranno ad incrementare la quantità di persone più o meno disperate.   Gli stessi fattori che sono connessi anche con le ricorrenti crisi economiche e militari che sempre accompagnano l’impatto delle popolazioni contro la capacità di carico del loro territorio.

Nel 2013 l'UNFPA stimava in circa 232 milioni il numero di persone che dagli anni ’90 hanno abbandonato il loro paese d’origine, mentre molti di più sono quelli che si sono spostati all'interno dei vari stati.   E negli anni a venire i flussi non potranno che crescere rapidamente.  
Per fare un solo esempio, il collasso dell’Egitto è quanto meno molto probabile e metterà in strada una parte consistente dei suoi 80 milioni di abitanti.

Dinamica

Ad oggi, il miglior modello che abbiamo per descrivere le dinamiche globali continua ad essere Word3, continuamente aggiornato e verificato.   Tuttavia anche questa icona della scienza dei sistemi presenta dei limiti che occorre tener presenti.

Il primo fu dichiarato dagli autori fin dalla prima edizione: il modello non pretende di prevedere il futuro, bensì di capire il funzionamento del sistema globale analizzando come cambiano gli scenari in relazione a come cambiano le variabili.   Scoprire che la realtà ha seguito lo scenario base (Business as usual) con un’approssimazione superiore al 90% ha stupito e costernato gli stessi autori del lavoro.   Significa infatti che avevano fatto un eccellente lavoro, ma anche che dal 1970 ad oggi l’umanità non ha cambiato di una virgola la propria impostazione socio-economica.   E ciò ad onta di turbinosi progressi scientifici e tecnologici, nonché di sconvolgimenti politici epocali e del tutto imprevisti negli anni ’70.

Anche il secondo limite fu subito messo in chiaro dagli autori.   Il modello è valido solo a livello globale e solo finché le curve della popolazione e quelle della produzione salgono.   Superato il picco, gli algoritmi usati perdono rapidamente di affidabilità perché il sistema tende a disarticolarsi in sub-sistemi sempre più piccoli ed indipendenti che possono quindi seguire rotte divergenti nel tempo.

Il terzo è invece emerso con gli anni ’90 e la quasi totalità dei demografi si sforza di ignorarlo.   Word3 ingloba infatti la teoria della “Transizione demografica” e prevede quindi che, a seguito del collasso economico, sia la mortalità che la natalità crescano rapidamente.   All'epoca si trattava di un’ipotesi perfettamente plausibile, ma oggi non è più così.


Il collasso del blocco sovietico e le crescenti difficoltà delle economie “avanzate”, o ex tali, ha infatti dimostrato che, almeno in molti casi, al peggioramento delle condizioni ambientali ed economiche fa riscontro non solo un aumento della mortalità, ma anche una riduzione della natalità.   Ne consegue un decremento demografico che potrebbe rivelarsi molto più rapido di quanto modellizzato dai Meadows e soci, almeno in ampie regioni del pianeta.


Ancora oggi la quasi totalità dei demografi si sforza di ignorare questi fatti e continua a pubblicare proiezioni  comprese fra i 9 ed il 14 miliardi di persone nel 2.100.   A sostegno delle loro ipotesi adducono il fatto che neppure una guerra importante od una grave pandemia sarebbe in grado di flettere sensibilmente la curva della popolazione.

Ciò è molto corretto ed il XX secolo lo dimostra ampiamente, ma un accorciamento della vita media di alcuni anni ed una stabilizzazione della natalità un po’ al di sotto di quella che abbiamo oggi in Italia potrebbe essere sufficiente a dimezzare la popolazione europea in meno di 50 anni (immigrazione permettendo).    Non uno scenario idilliaco, certamente, ma neppure catastrofico.

Speranza.


Alcuni troveranno questa prospettiva deprimente, mentre è la nostra maggiore speranza.   Nel modello citato, infatti, la popolazione diminuisce più lentamente delle risorse, mantenendo quindi una situazione di disequilibrio che condurrebbe l’umanità del futuro ad un’esistenza di nera miseria senza speranza e senza fine.   Viceversa, se la popolazione decrescesse abbastanza rapidamente, una parte consistente della biosfera potrebbe salvarsi e potrebbe anche avvenire un parziale recupero di alcune risorse rinnovabili come banchi di pesca, suoli, foreste, acqua, eccetera.

Ne conseguirebbe la possibilità, in un futuro non troppo remoto, di una vita tutto sommato gradevole per i nostri discendenti e, chissà?   Anche il fiorire di nuove civiltà.


“La morte è l’artificio mediante il quale si mantiene la Vita”    
Goethe

martedì 12 gennaio 2016

La sovrappopolazione è ancora un tabù

Da “Amerika”. Traduzione di MR (via Population Matters)

Di Frank Azzurro

Ci sono molte persone – alcune delle quali scienziati rispettati – che hanno parlato della sovrappopolazione per decenni. Il dottor Albert Bartlett, persino Isaac Asimov – uomini intelligenti che vedono attraverso le complesse strutture sociali e le condensano nella forma più semplice, di modo che possa essere vista per quello che è. 


La maggior parte delle persone nella società moderna non ama parlare di sovrappopolazione perché non vuole ammettere che non tutte le vite umane sono preziose e vale la pena salvarle – il che nega la semplice realtà che la morte accade; che sia a tarda età o nell'infanzia, è inevitabile. Può accadere in circostanze tragiche o non tanto tragiche. La parte più profonda della nostra esistenza è il fatto che finisce, eppure non riusciamo ancora ad afferrarlo. Se ogni vita umana non vale la pena di essere salvata, il pensiero vaga, allora forse la mia vita non vale la pena di essere salvata, e ciò è inaccettabile praticamente per tutti. Al posto di ammettere semplicemente che siamo una società di idioti narcisisti che ripete a pappagallo cose sui diritti individuali mentre si accaparra e consuma tutte le risorse disponibili, però, proiettiamo quel pensiero nel, “la vita di chiunque è tutt'altro che preziosa, pertanto qualsiasi cosa riduca o limiti i diritti di qualcun altro è un attacco diretto all'umanità ed alla vita stessa”. Naturalmente, ciò è stupido se riferito alla sovrappopolazione, perché la cosa è che meno persone ci sono, più risorse ci sono per tutti.