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martedì 27 marzo 2018

Spiegazione del Dirupo di Seneca: un modello complessivo tridimensionale del collasso

Il dirupo di Seneca continua a colpire!!

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Mr

Un modello complessivo tridimensionale del collasso



In questo post Geoffrey Chia illustra una delle caratteristiche fondamentali del “Effetto Seneca”, conosciuto anche come “collasso”, cioè il fatto che questo si verifichi in sistemi interconnessi dominati da interazioni di retroazione. Questa è un'interpretazione qualitativa del collasso che completa i modelli più quantitativi di cui ho parlato nel mio libro “L'Effetto Seneca”.  (U.B.)


Post di Geoffrey Chia

I limiti dello sviluppo (LtG) è stato pubblicato nel 1972 da un gruppo di scienziati di livello mondiale, usando la modellazione matematica computerizzata migliore disponibile all'epoca. Lo studio proiettava il collasso futuro della civilta globale industrializzata nel XXI secolo, se l'umanità non avesse frenato la sua popolazione, il consumo e l'inquinamento. E' stato messo alla berlina da molti economisti “crescita infinita in un pianeta finito”, nei decenni.

Tuttavia, i dati aggiornati e la modellazione computerizzata moderna degli ultimi anni (in particolare da parte del Dottor Graham Turner dello CSIRO nel 2008 e 2014) ha mostrato che in realtà siamo seguendo da vicino le tracce del modello standard di LtG, con collasso industriale e moria di massa previsti prima, piuttosto che dopo. Il futuro è adesso.

LtG ha preso in considerazione solo 5 parametri, il riscaldamento globale era solo un sottoinsieme dell'inquinamento. L'accelerazione drastica della fusione del ghiaccio e gli eventi meteo senza precedenti e sempre più frequenti degli ultimi due decenni dimostrano chiaramente che il riscaldamento globale procede di gran lunga più velocemente e in modo più grave di quanto chiunque potesse aver immaginato negli anni 70. Il riscaldamento globale merita certamente una categoria separata da considerare di per sé stessa, a prescindere dalle altre manifestazioni dell'inquinamento.

LtG non includeva una categoria specifica che considerasse le dinamiche umane della finanza, dell'economia e delle manovre politiche. Il che era giusto, perché è impossibile modellare matematicamente una tale irrazionalità capricciosa. Gli economisti potrebbero non essere d'accordo, sebbene non sia mai stato mostrato alcun modello economico matematico che riflettesse accuratamente il mondo reale, né che prevedesse coerentemente qualcosa di utile (a differenza di LtG ed altri modelli dimostrati basati sulla scienza), non ultimo a causa delle loro ipotesi economiche irrimediabilmente incomplete e profondamente errate. Entra spazzatura, esce spazzatura. Nel 2013, il premio “tipo-Nobel” per l'economia (denominato opportunamente il Premio della Banca di Svezia) è stato assegnato congiuntamente a diversi economisti che hanno modellato matematicamente idee diametralmente opposte. E' stato come conferire il premio per la fisica a due scienziati che “mostravano” l'uno che l'universo si sta espandendo e l'altro che si sta contraendo.

Nonostante ciò, sostengo che dovremmo includere la finanza, l'economia e la politica nei nostri quadri concettuali delle meccaniche del collasso, perché i guai finanziari ed economici fungono da inneschi per sconvolgimenti politici che possono portare al conflitto e al collasso di stati nazionali. La Siria né è un esempio. Questa categoria inqualificabile, nonostante sia soggettiva ed imprevedibile, contribuirà comunque in modo significativo alla moria della popolazione, proprio come ogni altra categoria quantificabile come il riscaldamento globale, l'esaurimento delle risorse o la distruzione dell'ecosistema può causare, e causerà, moria di esseri umani. Il collasso economico può portare alla perdita di assistenza sanitaria, mancanza di alloggi e fame. La follia politica può innescare una guerra termonucleare globale in qualsiasi momento, causando la nostra estinzione.

Tutte le categorie che contribuiscono al collasso sono profondamente interrelate ed intrecciate. E' la base del pensiero sistemico, che è essenziale per esprimere giudizi realistici sul futuro e mitigare i guai che abbiamo di fronte. Come possiamo passare idee così complesse all'opinione pubblica in modo chiaro e comprensibile e che però non comprometta l'accuratezza o il dettaglio?

Ho fatto per la prima volta allusione al modello complessivo tridimensionale del collasso durante la mia presentazione all'Ecocentro della Griffith University nel marzo del 2017.

Si tratta di un perfezionamento del mio vecchio modello bidimensionale, meno completo “i tre cavalieri e un enorme elefante dell'apocalisse”, concepito originariamente per scherzo, un gioco sulla trita frase biblica, anche se con un intento serio.



Quando diversi esperti cercano di analizzare materie inerenti la sostenibilità, la loro più grande mancanza spesso è la visione col paraocchi o a tunnel. Si concentrano solo su un problema ignorando gli altri. Gran parte delle “soluzioni” al riscaldamento globale sostenute dagli attivisti del clima coincidono con questa descrizione. Ipotizzano una disponibilità di energia senza limiti per realizzare infrastrutture di energia rinnovabile enormi e fantasie su un massiccio sequestro di carbonio per permettere ad una parvenza di business as usual di sostenere 10 miliardi di persone per metà secolo.

In realtà siamo destinati a cadere dal dirupo della disponibilità netta di energia molto presto (1,2) e nemmeno le fantasie di sequestro del carbonio più ottimistiche (che richiedono tutte input energetici colossali e delle quali nessuna è stata provata) saranno in grado di farci tornare ad un clima stabile, a meno che l'impronta totale umana non venga a sua volta ridotta drasticamente ed immediatamente (3) (cosa che non accadrà salvo per una guerra nucleare globale – che però a sua volta rilascerà esponenzialmente gas serra, devasterà gli ecosistemi rimasti e distruggerà la civiltà industriale e quindi la nostra capacità di sequestrare tecnologicamente i gas serra).

I punti di vista col paraocchi producono pseudo soluzioni sbagliate, che se vengono tentate spesso peggiorano altri problemi o, nel caso limite, sono un totale spreco di tempo ed energia.

Ecco un video di 10 secondi, il mio primo tentativo di fare un modello tridimensionale nella vita reale, "La condanna spiegata con l'abuso di dolciumi"

Nel mio modello tridimensionale ho mantenuto la posizione centrale dell'impronta totale umana come “l'enorme elefante”, per enfatizzare che se questo non viene affrontato, niente viene affrontato. Pochi commentatori sostengono una decrescita energetica volontaria, la riduzione del consumo o la semplificazione degli stili di vita, tuttavia si tratta di strategie essenziali per ridurre la nostra impronta. Sono ancora meno quelli che parlano di riduzione della popolazione. Questo modello tridimensionale è un modo di gran lunga superiore di visualizzare il dilemma che abbiamo di fronte, in confronto a punti di vista sparpagliati e sconnessi monodimensionali o in confronto a semplici titoli mnemonici. Per esempio, le tre “E” di energia, economia e ambiente (Environment) rappresentano un elenco semplicistico ed incompleto, senza nessuna dimostrazione grafica dei collegamenti fra ogni “E”.

E' probabile che cercare di suddividere, perfezionare o complicare  ulteriormente questo modello sia controproduttivo. Così com'è, questo modello tridimensionale, una doppia piramide con sei lati con un tumore che prolifera al suo centro, probabilmente rappresenta il limite di complessità che può facilmente essere immagazzinato nella mente media come visione istantanea. Si tratta di un'immagine facilmente ricordata che può essere evocata a cena scarabocchiando su un tovagliolo o costruendo il vero modello con pezzetti di carne e spiedini, sia per intrattenere sia per terrificare i vostri ospiti.

Separare i vari problemi globali intrecciati è ovviamente un approccio artificiale, ma è necessario per aiutarci a capire le dinamiche altamente complesse coinvolte. E' necessario allo stesso modo in cui separare lo studio della Medicina in cardiologia, gastroenterologia, neurologia, nefrologia, ecc. un approccio artificiale ma di provata efficacia per comprendere i meccanismi molto complessi all'interno del corpo umano. Proprio come i diversi sistemi del corpo (cuore, intestino, cervello, reni, ecc.) interagiscono direttamente ed influenza ogni altro sistema, ogni componente del mio modello tridimensionale a sua volta interagisce direttamente ed influenza ogni altro componente.

Esempi:

R condiziona F: Ogni grande crisi petrolifera (1973, 1979) ha sempre portato ad una recessione economica. Un altro esempio di R che condizione F: le diminuite  risorse pro capite portano a disagi economici, aspettative deluse e rabbia fra la popolazione, il che porta all'ascesa di demagoghi fascisti megalomani, moltiplicando il rischio di conflitto globale.

R condiziona F, che condiziona R, che condiziona E e P: il declino della produzione convenzionale di petrolio da quando ha raggiunto il picco nel 2005 ha portato alla disperata raccolta di petroli non convenzionali spinti tramite l'inganno politico, mistificazioni fraudolente di mercato e distorsioni finanziarie ed economiche. Questo schema Ponzi porterà ad un inevitabile crollo del mercato che farà sembrare insignificante la truffa dei mutui sub-prime. Ha anche portato a gravi peggioramenti di E e P.

R causa C: è ovvio.

C condiziona R che condiziona C: man mano che le ondate di calore peggiorano, l'uso di aria condizionata e quindi di combustibili fossili aumenta, liberando più gas serra e peggiorando il riscaldamento globale.

Sfortunatamente con lo stato avanzato di malessere planetario di oggi, gran parte delle retroazioni sono retroazioni autoalimentate "positive", o dannose. Poche sono retroazioni di autocorrezione "negative", o buone. Il lettore sarà senza dubbio in grado di pensare a molti altri esempi di retroazioni bidirezionali fra componenti, sia positive che negative.

Io sostengo che ogni articolo che parli di sostenibilità (o della sua mancanza) dovrebbe essere inserito nella parte, o nelle parti, di questo modello tridimensionale a cui appartiene, per apprezzare quanto questo articolo possa essere globale o incompleto e per permettere che altri discorsi collegati siano inseriti nelle posizioni adiacenti, in modo da costituire un quadro più olistico.

In quanto animali visivi, credo che questo sia uno strumento per educarci. Può essere usato anche nelle scuole primarie come parte del loro curriculum scientifico di studio (ma verrebbe senza dubbio proibito fra i gruppi negazionisti del riscaldamento globale o dalle madrasse dell'economia neoclassica/neoliberale. I bambini possono fare questi semplici modelli tridimensionali con kit di coi kit di costruzione giocattolo o con la plastilina e degli stecchini. Probabilmente dovrebbero essere scoraggiati dal giocare col loro cibo, a differenza di noi adulti, che siamo comunque degli ipocriti terribili.



Geoffrey Chia MBBS, MRCP, FRACP, Novembre 2017


Geoffrey Chia è un cardiologo di Brisbane, Australia, che ha studiato e scritto di problemi che riguardano la (in)sostenibilità) per più di 15 anni.

sabato 26 novembre 2016

Migrazioni, Malthus, mortalità, e tutto il resto

di Jacopo Simonetta


Articolo già pubblicato su: "Matlhus non aveva poi tutti i torti" il 5/11/2016

Nell'odierna, immensa massa umana esiste una pattuglia di persone convinte che il sistema economico attuale stia entrando in un collasso globale e che ciò provocherà conseguenze terribili.   Alcune di queste sono anzi già cominciate, ma la grande maggioranza di noi si rifiuta di riconoscerle per quel che sono: avvisaglie.

C’è una buona ragione per questo: l’illusione più o meno cosciente che, ignorando o negando i fatti, ci si possa proteggere dalle conseguenze dei medesimi.   O, perlomeno, che questo sia un modo per scaricare ad altri la propria quota di responsabilità per qualcosa che, comunque vada, costerà molto caro a molta gente.

Tra i fatti che possiamo negare, ma non evitare, c’è che la Terra è pesantemente sovrappopolata in ogni suo più remoto anfratto.   Ma ammetterlo significherebbe dover poi parlare di politiche demografiche.   Cioè di nascite, morti e migrazioni.   Tutti argomenti che hanno implicazioni psicologiche e spirituali tanto importanti da risultare intrattabili.

Non è un caso se il controllo della natalità è l’unico fattore demografico di cui si parla, sia pure con crescenti difficoltà.   Qui si tratta infatti di decidere se, eventualmente, impedire a qualcuno che ancora non esiste di venire al mondo.   Non c’è niente di terribile in ciò.

Viceversa, parlare oggi di mortalità significherebbe chiedere a gente che esiste di andarsene cortesemente a all'altro mondo per aiutare i suoi compatrioti terrestri a restare in questo.   Non sorprende che nessuno ne voglia parlare, non foss’altro che per scaramanzia.
Delle migrazioni si parla invece tantissimo, perfino troppo, ma senza mai porsi domande imbarazzanti tipo: Quanta gente c’è?   Quale è la capacità di carico del territorio?   Quali sono gli effetti sulle zone di partenza e su quelle di arrivo?   Come stanno evolvendo le condizioni al contorno?

Pillole di storia


Le migrazioni sono un fenomeno antico quanto la nostra specie (anzi molto di più).   Quando in una zona si raggiungono limiti di sovrappopolazione, un certo numero di giovani parte per cercare fortuna altrove.   Se lungo la strada incontrano popoli più agguerriti di loro, vengono uccisi.    Se viceversa incontrano territori poco popolati o genti meno agguerrite, si fanno largo ammazzando o sottomettendo gli autoctoni.

E’ esattamente in questo modo che, per oltre 50.000 anni, ondate successive di uomini hanno popolato il mondo, accavallandosi e sostituendosi fra loro, costruendo e distruggendo civiltà.   La penultima crisi storica di questo genere è stata lo straripare della popolazione europea nel mondo intero.   L’ultima è appena cominciata, ma con un’inversione dei flussi.   Invece che dall’Europa, avviene verso l’Europa (compresa la Russia occidentale) ed il Nord America.

Per fare il caso italiano, durante tutti gli anni ’80, la popolazione italiana si era stabilizzata attorno ai cinquantasei milioni e mezzo.   Poi, dall’89 (collasso degli stati comunisti) ha ricominciato a crescere grazie ad un’immigrazione dapprima modesta, poi sempre più intensa.   Una brusca accelerazione avvenne nel 2002, anno di approvazione della leggendaria “legge Bossi-Fini” che, evidentemente, favorì il fenomeno.   Ad oggi siamo circa sessantadue milioni, con un tasso di incremento di circa 300.000 persone all’anno.

Per circa un quarto di secolo, le autorità pubbliche e le forze politiche dei vari paesi coinvolti non hanno trovato di meglio che altalenare fra posizioni opposte ed un pertinace far finta di niente, sperando che la faccenda si risolvesse da sola.   Ma negli ultimi due anni l’arrivo di milioni di persone ha fatto precipitare la situazione.

Potremmo, credo, distinguere fondamentalmente tre tipi di approccio al problema.   Due paesi, Italia e Grecia, hanno deciso di mantenere aperte le proprie frontiere; anzi l’Italia ha mobilitato mezzi imponenti per recuperare migranti in mare.   Altri paesi dell’UE coadiuvano questo sforzo, pur mancando un accordo sul destino successivo dei naufraghi.

Altri, come diversi paesi balcanici e l’Austria, hanno alzato barriere più o meno efficaci per ostacolare i flussi.   I paesi principali, Germania in testa, si sono accollati finora il grosso del flusso, ma questo ne sta oramai mettendo a repentaglio la stabilità politica.

Nel frattempo, il numero dei morti durante la traversata è diminuito in percentuale, ma aumentato in cifra assoluta poiché la certezza del soccorso porta molta più gente a tentare l’avventura in sempre più precarie condizioni.

Premesse

L’accoglienza è un bene od un male?   Esiste un limite sotto il quale va bene ed oltre il quale no?   A mio avviso, una simile discussione potrebbe essere utile solo partendo dai pochi, ma importanti capisaldi:

1 – Non sempre chi lascia il suo paese lo fa perché costretto dalla miseria, o peggio, ma spesso si.   Perciò non bisogna nascondersi dietro un dito ed essere ben coscienti del fatto che negare l’ingresso a qualcuno significa danneggiarlo, spesso in modo grave.

2 – Esiste una differenza fondamentale tra “migranti” e“rifugiati”.   I primi sono tutti coloro che vanno ad abitare in un paese diverso da quello dove sono nati.   Talvolta fuggono da situazioni terribili, altre cercano semplicemente un lavoro migliore.   I rifugiati sono invece persone che in patria sono attivamente perseguitate per ragioni politiche, religiose, razziali od altro.  Lo status di "rifugiato" viene concesso dai governi in base ad una serie di convenzioni internazionali, perlopiù risalenti agli anni '50 (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali).

Anche i numeri sono diversi.   Per capirsi, solo nel 2014 gli immigrati in Europa sono stati quasi 2 milioni (dati EUROSTAT ) portando il totale degli stranieri a quasi 35 milioni, circa il 7% della popolazione europea.  Nel 2015 e nel 2016 i numeri sono stati sensibilmente maggiori, ma mancano dati ufficiali.  Coloro che ottengono asilo politico normalmente sono invece poche decine di migliaia l’anno, ma c’è stato un brusco incremento negli ultimi due anni: circa 300.000 nel 2014 e circa 600.000 nel 2015 (dati ERUOSTAT).    Un incremento che dipende in parte dall’aggravarsi della crisi siriana, in parte da scelte politiche dei singoli governi nazionali.   Tuttavia, continuano ad essere una netta minoranza del flusso complessivo di gente.

3 – Le migrazioni di massa sono appena cominciate, nei prossimi anni e decenni non potranno che aumentare.   Non bisogna illudersi che il fenomeno si esaurisca da solo; ben al contrario si aggraverà.   Ogni anno ci sono circa 80 milioni di persone in più sul pianeta ed i focolai di instabilità ambientale, economica e/o politica non potranno che moltiplicarsi.   A livello europeo, i flussi sono passati da un ordine di grandezza di migliaia ad uno di milioni di persone all'anno.   La tendenza è verso un ulteriore, consistente incremento.

3 – L’Italia, come tutta l’Europa, gode tuttora di un alto tenore di vita grazie ad una serie di vicende storiche e meccanismi di mercato che finora ci hanno permesso di appropriarci di risorse estere e ridistribuire globalmente parte dei nostri rifiuti.    Ma il sistema economico sta rapidamente cambiando ed almeno in parte implodendo.   La crisi economica peggiorerà ed il ridimensionamento del nostro tenore di vita è appena cominciato.   Disoccupazione e povertà aumenteranno certamente,
anche se non possiamo sapere quanto e come.   E lo faranno comunque, con o senza immigrazione.

4 – Una grande quantità di immigrati non arriva fortunosamente in barca, bensì tranquillamente in aereo.   L’enfasi sugli sbarchi è quindi in parte una strategia di marketing politico, sia da parte di coloro che sono favorevoli, sia di coloro che sono contrari all'accoglienza.

A mio avviso, chiunque ignori e/o neghi uno o più di questi semplici fatti, o è male informato, o è male intenzionato.

Conseguenze.

C’è molto dibattito sulle conseguenze economiche delle migrazioni, con esperti che delineano un quadro idilliaco o disastroso a seconda dei casi.   Personalmente, trovo più interessanti le conseguenze ecologiche e politiche.

Le conseguenze ecologiche sono inevitabili e facilissime da capire.   A livello locale, un aumento della popolazione significa un aumento dei consumi e degli impatti: più alloggi, più acqua, più rifiuti ecc.   Proprio i fattori che secondo alcuni sono favorevoli all'economia, sono certamente deleteri per quello che resta degli ecosistemi.   Anche a livello globale l’emigrazione fa lievitare consumi ed emissioni.   Infatti, benché la maggioranza degli immigrati vada a far parte della fascia più povera dei paesi di accoglienza, i consumi di un una persona che vive in Europa occidentale sono almeno di un ordine di grandezza superiore di quelli di chi abita in molti paesi africani ed asiatici.   Vi sono poi buone ragioni per ritenere che l’emigrazione contribuisca a mantenere elevato il tasso di natalità nei paesi di partenza, ma si tratta di dinamiche molto complesse che possono differire anche parecchio da caso a caso.

Le conseguenze politiche sono più complesse perché non dipendono tanto da ciò che effettivamente accade, quanto da come questo viene percepito.   Man mano che la densità di popolazione cresce e la percentuale di stranieri aumenta, la gente si inquieta.   Può avere torto o ragione, il punto importante qui è che ha paura.   E quando la gente a paura guarda ai suoi leader per essere rassicurata.

Per decenni, la classe politica dominante ha scelto di ripetere che il problema non esisteva, che la crescita economica avrebbe risolto tutto, che la pace avrebbe trionfato, i flussi si sarebbero esauriti grazie ad interventi nei paesi di partenza, eccetera.   Soprattutto, ha evitato molto accuratamente di nominare la causa principale di questa tragedia, la sovrappopolazione sia nei paesi di arrivo che in quelli di partenza.   Ma ha anche cercato di nascondere le conseguenze, cioè la competizione per il lavoro, il degrado dell’ambiente naturale ed urbano, le difficoltà di integrazione ecc.

Beninteso, gli stranieri in Europa sono meno del 10%, quindi ha ragione chi dice che non solo loro IL problema.   IL problema è infatti il collasso della nostra civiltà e dei nostri ecosistemi.   Le migrazioni sono solo un pezzo di questo complesso mosaico, ma un pezzo importante perché, in condizioni precari,e anche spostamenti lievi di fattori chiave possono avere conseguenze importanti.

L’Islam in EU. Si noti come la percezione comune è di una presenza
almeno 4-5 volte superiore al reale.
Comunque, il dato politico è che la vasellina ufficiale tranquillizza sempre meno gente.   Ecco allora che sorge una nuova classe di politicanti professionisti che adottano una strategia altrettanto menzognera, ma opposta.   Anziché negare il problema, lo gonfiano e lo stravolgono facendo immaginare alla gente fenomeni del tutto inesistenti come l’invasione islamica (i due terzi circa degli immigrati sono cristiani), la guerra delle culle (la natalità degli immigrati si livella a quella degli autoctoni in una generazione) ed il complotto sostituzionista (questa poi non merita nemmeno commento).   Bufale che diventano però credibili quando dall’altra parte si insiste a ripetere che tutto si aggiusterà da solo.   Meglio ancora se se una frangia minoritaria, ma consistente, di immigrati si adopera per apparire regolarmente in cronaca nera.

C’è una via d’uscita?

In estrema sintesi, siamo prigionieri di una doppia menzogna.   E’ falso che l’Europa possa continuare ad importare gente dall'estero per la semplice ragione che ci sono già troppi europei. E‘ falso anche che se buttassimo fuori tutti gli stranieri i nostri problemi svanirebbero, perché comunque continueremo ad essere troppi, la qualità delle risorse energetiche continuerebbe a tracollare, il clima a peggiorare, ecc.

In mezzo a tanta disinformazione cresce l'estrema destra, ma non credo che ciò dipenda tanto da un aumento dei neo-fascisti, quanto da un crescente numero di persone che hanno paura.   Se qualcuno volesse evitare che queste formazioni prendano il potere, avrà interesse a pensare ad una gestione delle migrazioni efficace e credibile.

A mio avviso ciò significa principalmente due cose:

1- Una politica demografica unitaria che cerchi di ridurre la popolazione europea nel modo più indolore e tranquillo possibile.   Fra l’altro, stabilendo quanta gente può entrare ed a quali condizioni.   (Fra “tutti” e “nessuno” ci è parecchio spazio).

2 – Un effettivo controllo sulle frontiere esterne e sul rispetto delle regole da parte degli ospiti.   Due cose più facili a dirsi che a farsi, viste le frontiere che abbiamo.    Per questo, ritengo che solo un’organizzazione europea potrebbe svolgere il compito.    Nessuno stato nazionale ha più la forza per controllare da solo la situazione.

Su quest’ultimo punto c’è un barlume di speranza.   La catastrofe delle politiche messe in atto dagli stati negli ultimi due anni ha finalmente permesso la nascita di un corpo di polizia di frontiera comunitario.   Il primo reparto ha preso servizio pochi giorni fa in Bulgaria.   Vedremo come va e quali stati saranno disposti a collaborare.


giovedì 14 gennaio 2016

LA SOVRAPPOPOLAZIONE È UN PROBLEMA ?


di Jacopo Simonetta

Articolo tratto da  "Overshoot n. 7", Bollettino dell'Associazione Rientrodolce. 

Le parole hanno un significato e da come si usano si può capire come funziona la mente di chi parla o scrive.

Prendiamone una che oggi si incontra spessissimo: problema.

In pratica, quando una determinata situazione viene definita “un problema” s’intende dire che è una cosa più o meno spiacevole, magari anche pericolosa, ma che opportune azioni possono, almeno in teoria, ricondurre il tutto entro l’alveo della normalità (altro termine su cui ci sarebbe molto da dire).
Dunque è questo che intendiamo quando diciamo che la sovrappopolazione è un problema?  Se si, vuol dire che ci devono essere delle azioni atte a risolverlo, questo problema; altrimenti utilizzeremmo altri termini come, ad esempio, “catastrofe”.

Ma che vuol dire “catastrofe”? Comunemente, lo sappiamo, indica un evento improvviso, tale da provocare danni molto elevati, anche irreparabili.
In un contesto scientifico, indica più genericamente un cambiamento molto rapido e consistente nell'andamento di una funzione. Un modo molto asettico di indicare eventi che, spesso, hannoconseguenze devastanti, perlomeno alla scala dimensionale cui ci si sta riferendo.

Insomma, riferito alla realtà quotidiana di tutti noi, vogliono dire la stessa cosa, ma il significato scientifico ci interessa perché si porta dietro la spiegazione di come avviene la formazione di una catastrofe. Impariamo così che se gli effetti sono repentini, le cause, al contrario, si accumulano silenziosamente per un periodo anche molto lungo, senza che succeda praticamente niente.  Ed è proprio questa dilazione degli effetti rispetto alle cause che impedisce un tempestivo adattamento, provocando quindi effetti dirompenti.

Ad esempio, se, un poco per volta, si accumula un carico eccessivo su una trave di legno, un osservatore accorto avrà modo di vedere che pian piano si flette, vi compaiono fenditure caratteristiche e nel silenzio si udirà scricchiolare.  Ci sarà quindi il tempo per spostare i mobili. Viceversa, se si eccede nel caricare una trave di cemento armato, non si vedranno segni di sorta finché un giorno, all'improvviso, la trave cederà di schianto.  E se vi capita di sentire scricchiolare una trave di questo tipo, non pensate ai mobili, ma a scappare perché è già troppo tardi.

Considerando che i principali effetti della sovrappopolazione sono l’aumento della disoccupazione, l’incremento dei flussi migratori, lo sgretolamento delle strutture sociali, la distruzione di ecosistemi, la perdita di biomassa e di biodiversità, l’erosione dei suoli ed altri simili, non credo che ci sia molto bisogno di dilungarsi sul fatto che la trave stia scricchiolando molto forte e non da adesso.

Ma potremmo forse fare qualcosa per evitare il peggio che incombe?

In effetti, fin dagli anni ’60 del ‘900, quando la tendenza demografica è diventata evidente, c’è stato un fiorire di proposte, perlopiù concentrate sulla riduzione delle nascite, ma non hanno funzionato.  A livello globale, la curva demografica reale ha ricalcato quasi perfettamente quella prevista negli scenari “business as usual”.

In parte perché solo alcuni paesi hanno ridotto sufficientemente la natalità ed anche questi troppo lentamente. Ma soprattutto perché l’aumento vertiginoso della popolazione è dipeso prevalentemente dalla riduzione della mortalità, un fatto direttamente correlato con l’aumento delle produzioni agricole ed al miglioramento dei servizi sanitari più o meno in tutto il mondo.

Sicuramente le due conquiste della modernità più universalmente apprezzate. Ma conquiste direttamente dipendenti dal tipo di sviluppo economico che abbiamo avuto, poiché solo questo tipo e questo livello di crescita economica poteva mettere a disposizione le immani risorse necessarie ad un tale sviluppo della scienza e dell’industria medico-farmaceutica, così come per l’industrializzazione dell’agricoltura, lo sviluppo dei trasporti ecc.

Sappiamo per esperienza che crescita economica significa maggiori opportunità di guadagno, oltre che più beni e più servizi da acquistare. E’ intuitivo che ciò favorisca sia la natalità che la longevità; dunque la crescita demografica.   E’ invece molto meno evidente che, alle lunghe, proprio il perdurare della crescita demografica finisca con l’erodere l’economia. Eppure tutti sanno ( o dovrebbero sapere) che una famiglia deve scegliere se pagare l’università al figlio, acquistare una macchina nuova, andare in vacanza in un albergo di lusso o mettere al mondo un altro bambino. Semplicemente perché non ci sono risorse sufficienti per fare tutte queste cose contemporaneamente, a meno che non si guadagni di più.   Ma guadagnare di più significa per l'appunto crescita economica.

E, malgrado la frenesia di governi, banche, imprenditori ecc. la semplice verità è che i presupposti per la crescita economica non ci sono più. Al di la dei trucchi contabili, l’occidente è in recessione da quasi 20 anni oramai; ed il resto del mondo, alla spicciolata, ci segue.

Andamento di PIL, debito federale e borsa negli USA. I dati del PIL,
 corretto 
dalle manipolazioni contabili, sono tratti da John Williams,
”Shadow Government 
Statistics”)
In estrema sintesi, crescita demografica e crescita economica si rinforzano vicendevolmente, ma fra le due è la crescita economica che fa aggio sull'altra perché, se l’economia si contrae, la mortalità inevitabilmente sale,  mentre la natalità può sia aumentare che diminuire a seconda di molti fattori,
principalmente il livello d’autonomia decisionale delle donne in seno alla società.

Dunque: esiste una soluzione del problema? Secondo me, dipende da cosa chiamiamo “soluzione”. Se intendiamo dire che esiste un modo per riportare l’umanità in equilibrio con le superstiti risorse del pianeta in maniera non traumatica, direi certamente: NO.

Qualunque intervento anche solo teoricamente adottabile dalle pubbliche autorità non sortirebbe effetti sensibili prima di alcuni decenni, mentre gli effetti della contrazione economica si stanno già facendo sentire in alcuni paesi e, con ogni probabilità, cominceranno a farsi sentire su scala globale nel giro di 10-20 anni da adesso.   Dunque molto prima ed in modo, purtroppo, molto più rapido.

Insomma, per una volta è vero il detto “il problema è la soluzione”, ma ciò non significa che siamo eticamente autorizzati a stare a guardare la fine della nostra civiltà con le mani in mano, magari sogghignando “io l’avevo detto”.  Al contrario, è proprio quando la barca affonda che bisogna darsi maggiormente da fare.

Per cominciare, ridurre la natalità non sarà certamente sufficiente a riportare la situazione entro i limiti di sostenibilità, ma può fare moltissimo per ridurre il carico di sofferenza collettiva nel prossimo futuro.   Soprattutto, può dare un contributo cruciale nel flettere la curva della popolazione abbastanza in fretta da permettere agli ecosistemi di recuperare abbastanza da poter assicurare una vita decente ai discendenti dei superstiti.

Del pari, studiare ogni possibile modo per ridurre i propri impatti personali e collettivi sul pianeta, ben lungi dall'essere inutile, aiuterà a guadagnare tempo, lenire almeno un poco le situazioni più disperate e, soprattutto, elaborare i presupposti per la nascita di una civiltà futura molto diversa da quella attuale.

Per non parlare dell’urgenza di elaborare e sperimentare forme di aggregazione sociale e forme di economia di sussistenza preadattati, entro i limiti del possibile, alle condizioni socio-economiche e politiche probabili nel futuro a medio termine.

Un altro campo d’azione sterminato è occuparsi di trasmettere ai posteri almeno una parte dell’immenso patrimonio d’arte e scienza che abbiamo generato e accumulato attraverso secoli. E’ estremamente improbabile che le civiltà del futuro abbiano a disposizione i mezzi che abbiamo avuto noi, semplicemente perché le risorse necessarie non esistono più. Ma proprio per questo dovremmo preoccuparci, forse ancor più che di qualunque altra cosa, di proteggere questo nostro straordinario prezioso patrimonio dalla distruzione dei decenni venturi. Abbiamo ben visto di quali danni siano capaci gruppi di fanatici: quali saranno le conseguenze degli inevitabili e drastici tagli ai bilanci di università, musei, biblioteche, eccetera?

Infine, non dobbiamo dimenticare mai che se poco può essere fatto per lenire la durezza dei tempi a venire, moltissimo possiamo invece fare per rendere tali tempi molto, ma molto peggiori.  Il dilagare di nazionalismi e fanatismi di ogni sorta, il diffondersi di pensieri del tipo “ci vorrebbe un uomo forte” o “si stava meglio quando si stava peggio” e simili, sono tutti dei “dejà vu” in altre epoche di profonda crisi, che dovrebbero metterci all'erta.

Mantenersi impermeabili a questi richiami e cercare di contrastarli dovrebbe essere una delle occupazioni quotidiane di chi desidera dare il suo piccolo contributo ad una decrescita che, se non sarà felice, si può sperare che sia almeno “passabile”.  Evitando di farne l’incubo che, apparentemente, sempre più persone stanno cercando di materializzare.   Perlopiù per lo spasmodico desiderio di evitare l’inevitabile, quasi che fosse possibile riportare indietro l’orologio delle storia ad epoche in cui, è vero, si viveva meglio di oggi.   Ma è proprio in quelle epoche che abbiamo stoltamente sovraccaricato le strutture vitali del pianeta. Tornare indietro non servirebbe quindi a nulla; meno male che non è possibile.